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N. Bardelle (sec. XX)

Ritratto di Radclyffe Hall vestita da uomo.
La scrittrice Radlcyffe Hall (1880-1943), che come mostra questa foto preferiva gli abiti maschili.
 
La canzone dell'uomo-donna [1947/49] [1] 
.
A Venezia un uomo-donna 
          - parabòn zibòn zibòn - 
ha gettato via la gonna 
          - parabòn zibòn zibòn - 
Si è messa i pantaloni 
ma gli mancano i bottoni 
          - dàghela ben biondina 
          daghela ben biondà. -
Il suo nome dell'infanzia 
rinnegava lei con ansia: 
per non chiamarsi Carolina 
gettò via la sottanina.
Aveva allor quattordici anni 
quando da uomo indossò i panni 
per cambiare il traguardo 
si fà chiamare Edoardo.
E così si dà al mestiere 
vero e bravo cameriere, 
sapeva bene ingannare 
la Barista per sposare.
La prima notte con premura 
la sua sposa con sverzura.[2] 
lei cercava tutto.[3] invano 
non ci rimase gnente in mano.
Incomincia il battibecco 
ma si accordano sul letto: 
l'uomo-donna autorizzava, 
per lei un amico gli trovava.
Avenne la combinazione, 
con un bell'uomo fè relazione 
e così questa sposina 
dà alla luce una bambina.
L'uomo-donna è felice 
la bambina è sua, a tutti dice, 
nessuno può più sospettare 
perché papà si fa chiamare.
Se non si ammala da morire 
non potevano scoprire.[4]. 
Il Dottore senza sbaglio 
al centro ha visto che c'è il taglio.[5].
È una donna battezzata 
con un'altra donna s'è sposata: 
quando arrivava quell'amico 
accontentava moglie e marito.[6].
 
 
Il foglio volante della collezione Luca Locati Luciani che contiene la canzone. 
 
Facendo clic sull'immagine apparirà un ingrandimento del solo testo della "canzone dell'uomo-donna".
 
 
 

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti.

Note 

[1] Il testo viene da un foglio volante di cantastorie, dallo stesso titolo, stampato a Bologna nell'immediato dopoguerra. Non è datato, ma contiene la canzone "W il 29 classe atomica", che celebra una classe di coscritti diciottenni, quindi scritta nel 1947, mentre un'altra canzone che celebra la terza vittoria di Fausto Coppi nella Milano-Sanremo ci colloca esattamente nel 1949.  
Il testo è firmato da un certo "N. Bardelle", sul quale non ho trovato alcuna notizia.  
La musica è quella di "Osteria numero uno", come rivela il ritornello della prima strofa (non ripetuto nelle strofe seguenti).  
La lingua è un italiano popolare con frequenti cadute nei calchi dialettali (bolognesi, come dimostra il termine "sverzura"). 

Il foglio è nella collezione di Luca Locati Luciani, che ringrazio per l'invio della scansione. 
Visto che metto online la scansione del testo non ho fatto una trascrizione "diplomatica", aggiungendo un po' punteggiatura e correggendo un paio di errorini. Ho però mantenuto gli idiotismi del testo. 

Non ci è per ora noto il caso di cronaca veneziana che ha dato origine alla canzone.  
Si tratta comunque d'un caso di quelle che sono state definite passing women, donne che si sono vestite da uomo, vivendo come uomini.  
Non tutte furono lesbiche, ma la protagonista della canzone chiaramente lo fu, visto che si premurò di sposare un'altra donna. Anche se a rigor di logica sarebbe più corretto definirla una "transessuale f-t-m". 
Ho proposto nel mio sito la cronaca di un altro caso simile. 

[2] Un "dizionario bolognese" online così definisce la parola "sverzura": Stato mentale che comporta una particolare carica o spinta a compiere determinate azioni. La "sverzura" in campo sessuale è un classico, ma può essere associato ad una giornata particolarmente dinamica: "Oggi sono in sverzura, vado via come un treno". 

[3] Eufemismo per indicare il membro virile. 

[4] "Se Carolina non si fosse ammalata di una malattia che l'avrebbe portata alla morte, nessuno avrebbe potuto scoprire il suo vero sesso". 

[5] "Ha verificato che in mezzo alle gambe aveva un sesso femminile". 

[6] La frase conclusiva è forse la nota più interessante di tutto il documento.  
L'autore non riesce a concepire l'idea di una lesbica, al punto da farne una donna che s'è vestita da uomo (per godere dei privilegi maschili) ma senza rinunciare a godersi un bel maschio.  
Questa strana conclusione mostra con chiarezza a che livelli arrivassero il tabù e la rimozione dell'omosessualità in quegli anni.


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