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Negli anni Settanta David Bowie fu il primo cantante a sperimentare (e all'epoca ci voleva fegato, per farlo) le possibilità promozionali della fama di omosessuale, continuando ad alternare coming out gay e relazioni eterosessuali in un va-e-vieni che deve avere procurato l'ulcera a più di uno dei suoi addetti alle pubbliche relazioni.
Da questo punto di
vista merita d'essere qui segnalato, a titolo di premessa alla nostra
analisi della presenza lgbt nel videoclip musicale, il
filmato promozionale del suo 45 giri "John, I'm only dancing", del 1972.
La canzone
- che oggi è totalmente innocua ma che all'epoca provocò
crisi isteriche e reazioni censorie - rassicura un amico, John, dicendogli
di non preoccuparsi; lei lo eccita, è vero, ma con lei il cantante
sta solo ballando, e niente di più:
Eppure, la mera possibilità d'una chiave di lettura gay suscitò il panico censorio, secondo Wikipedia (sempre preziosa per tutto ciò che riguarda il periodo pre-Internet):
La prova del fatto
che Bowie non fosse però la vittima innocente di censori
troppo maliziosi e che lo scandalo se lo stesse andando a cercare
ce la dà questo filmato
promozionale della canzone.
Su Wikipedia ci
spacciano questo filmato come una sorta di spartiacque tra l'epoca dei
filmati promozionali e i videoclip, rifilandocelo come il "primo"
vero "videoclip" (cito
letteralmente: "Lester Bangs avrebbe identificato "John, I’m only
dancing" come "il preciso momento in cui è nata la concezione moderna
di video musicale", circa tre anni prima di "Bohemian
rhapsody" dei Queen").
A me non sembra
proprio, ed è per questo che ne ho fatto una "premessa": si
tratta infatti solo della ripresa d'una prova generale di spettacolo teatrale,
e non di materiale visivo prodotto o raccolto espressamente per
il filmato, come di solito avviene nei videoclip.
Qui stiamo perciò
ancora parlando, a mio parere, del filmato promozionale d'un evento,
e non d'un vero e proprio "videoclip", come quelli che sarebbero stati
prodotti a partire dal 1981 (circa) grazie alla nascita di MTV.
Ciò premesso,
va notata la presenza dei ballerini/mimi "androgini" (la ripresa dei cui
passi di danza intervalla quella dei primi piani di Bowie e dei suonatori),
truccati in modo che non fosse chiaro al primo sguardo quale fosse l'uomo
e quale la donna.
Bastò
questo a inquietare, anzi, fu proprio questa goccia a far traboccare
il vaso, al punto che la BBC bandì (!!!) il filmato di "John,
I'm only dancing" dal suo seguitissimo programma "Top of the pops", la
hit parade dei successi del momento. Amen.
Fa sorridere pensare
che è esistito un tempo in cui perfino un filmatino innocuo e asessuato
come questo sia stato giudicato farina del diavolo!
Eppure è
da lì che veniamo, ed è importarci ricordare che se il mondo
è cambiato, ciò è avvenuto solo attraverso la lotta
e alla deliberata volontà di farlo cambiare.
Nella vita, nessuno
ti regala mai niente.
[Una
nota in margine, sempre come premessa: nel 1975 sarebbe uscito nelle
sale Rocky
horror picture show, di cui circolano ormai in Rete vari spezzoni,
fra i quali quella della celeberrima canzone "Sweet
transvestite".
Non
si tratta però di videoclip veri e propri, bensì di spezzoni
strappati da un lungometraggio musicale: pertanto non li prenderò
in considerazione per la presente analisi cronologica dei videoclip.
Vale
la pena, già che siamo, anche di annotare il diverso grado di apertura
dei media, inversamente proporzionale alla dimensione del pubblico
a cui si rivolgevano: Rocky horror, delirio camp
che ha per protagonista un vampiro extraterrestre transessuale che si costruisce
in laboratorio un amante muscoloso, nacque infatti per il teatro,
e solo in un secondo momento arrivò al cinema, e questo in
un anno in cui omosessualità e travestitismo erano ancora tabù
per la tv, che non si sarebbe "aperta" ai primi timidissimi clip
con tematiche lgbt fino al 1981 almeno].
Che tenerezza i tempi
in cui per essere "trasgressivi" bastava apparire travestito da donna!
Eppure nel 1979 le cose stavano proprio così.
Rivisto oggi, questo
video del "sulfureo" Bowie sembra quasi una recita di teatro parrocchiale.
Eppure, se quanto
rivela Wikipedia ha fondamento, il video spaventò la casa di
produzione, la Rca, spingendola addirittura a non distribuire in 45 giri
questa canzone negli Usa.
Colpa della fama
di "sessualmente ambiguo" che Bowie s'era divertito a coltivare,
e di versi come "Quando sei un ragazzo / gli altri ragazzi ti tengono
d'occhio" che usa un verbo (Other boys check you out)
che può essere tradotto anche come "gli altri ragazzi vogliono
controllare quanto ce l'hai grosso". Tant'è che questo verso
fu censurato, sempre secondo Wikipedia, durante la performance che Bowie
fece sul canale televisivo statunitense NBC...
Eppure qui tutto lo scandalo consiste in una boutade innocua: le tre coriste del brano altri non sono che Bowie stesso, uno e trino, intabarrato in improbabili vestiti femminili. Cosa che viene sottolineata da una passerella finale in cui le "coriste" si tolgono la parrucca e puliscono il rossetto, giusto nel caso che gli spettatori di allora fossero davvero così tonti da non arrivarci da soli.
Questo non è
un vero e proprio videoclip, nel senso in cui l'intendiamo oggi,
o per essere più precisi pur essendo quasi un videoclip il
suo linguaggio filmico appartiene ancora visibilmente al genere che ha
dato vita ai clip: i filmati promozionali, intesi come supporto
televisivo al lancio d'una canzone, in un'epoca in cui era ancora la canzone
ad essere al centro dell'attenzione dei produttori.
Erano supporti estremamente
costosi, e quindi solo gli artisti più celebri (e Bowie era fra
loro) potevano permetterseli. Questo spiega la posizione di "precursore
isolato" che Bowie riveste in questa mia piccola rassegna storica.
Riguardando oggi questo filmato, da un lato si sorride alla sua ingenuità, e dall'altro si capisce perché l'emergere del tema lgbt nei videoclip abbia richiesto tanti anni, essendo prima necessario che una generazione di spettatori (e di censori!), capace di scandalizzarsi perfino davanti a un Bowie con la parrucca in testa, riuscisse a digerire qualcosa di più sostanzioso.
1979 - Miro - "Oh, no dottore!" - Dall'Lp: Ambiguità.
Visto il successo mietuto con l'"ambiguità" da David Bowie e dal suo clone "de noantri", Renato Zero, Miro cercò d'acchiappare l'onda con un album intitolato, guarda tu il caso, Ambiguità. Ora, il 1979 fu un anno in cui la tematica gay nelle canzonette italiane letteralmente esplose, dopo decenni di censura. Il problema per Miro fu che la Tv non era minimamente pronta a seguire l'apertura del mercato musicale, come conferma il fatto che ci volle ancora un quarto di secolo prima che in Italia nei clip iniziasse a scemare l'autocensura sulle tematiche omosessuali.
Questa canzone presenta
le reazioni d'un paziente a un medico (psicoanalista?) che gli ha fatto
proposte sessuali, per le quali il paziente gli dà del "malato".
Ma allora come mai come il dottore a cui il cantante si rivolge, al maschile,
in questo filmato è una donna, che prende appunti accavallando
le gambe coperte da calze a rete?
Semplice, la Tv
italiana, all'epoca, non aveva nessuna paura del ridicolo. La tematica
omosessuale non poteva essere rappresentata, punto e basta. E quindi ecco
il dottore diventare una dottoressa.
Domanda: che senso
commerciale ha fare un Lp intitolato Ambiguità se poi lo
si deve commercializzare sbarazzandosi delle ambiguità? E infatti
Miro non sfondò, a differenza di Renato Zero, maestro nel giocare
sul filo del rasoio.
Il video in sé è immeritevole di memoria, tirato com'è al risparmio e senza idee, tuttavia come documento storico e di costume è davvero significativo.
Questo non è
un vero videoclip, e ciò spiega anche la data straordinariamente
precoce (MTV, la culla del fenomeno
del video musicale, sarebbe stata fondata solo nel 1981).
Circola su Youtube
come brano a sé, ma è in realtà soltanto un estratto
dal film Saranno
famosi, dove uno dei personaggi (quello gay), interpretato da Paul
McCrane, si rifugia nella sua stanza per sfogare il sentimento d'amore
impossibile verso un compagno di scuola eterosessuale. Per lui canta questa
canzone ("Va bene per te, se ti chiamo "mio"?").
Si tratta d'un brano estremamente tenero e delicato, eseguito con voce e chitarra, ed è totalmente al di fuori degli stereotipi che all'epoca prevalevano ancora nel cinema quando si parlava d'amore omosessuale (ivi compreso il film Saranno famosi). Non essendo né svenevole e maledetto né trasgressivo e provocatorio, contribuì a modo suo ad aprire una nuova strada nel modo di trattare l'omosessualità sul grande schermo.
Un aspetto divertente di questa canzone (che negli anni ha avuto moltissime covers) è che fu scritta in origine dallo stesso McCrane per la sua ragazza, e inserita nel film mutando il sesso della persona a cui era destinata.
1981 - John, Elton - "Elton's song". Dall'Lp: The fox.
Fra i vari tipi di videoclip esistenti,
di sicuro questo appartiene al tipo più strano: i videoclip "fantasma".
Il filmato
non venne infatti mai trasmesso in Tv al tempo in cui la
canzone che illustra (incisa nel 1979) uscì, nel lontano
e pionieristico (per l'arte del videoclip) 1981. Ebbe circolazione solo
come allegato all'album del cantante, e sicuramente non contribuì
a smorzare con l'impatto delle sue immagini le polemiche e le censure che
colpirono la canzone.
Un video troppo audace, troppo esplicito, troppo sfacciato per la Tv. E soprattutto, troppo "pericoloso", provenendo da un cantante che aveva fatto mezzo coming out (dicendosi prudentemente solo "bisessuale") addirittura nel 1976. (Oggi Elton John ha fatto l'altro mezzo passo, dichiarandosi gay, ed è felicemente sposato col suo compagno).
Guardando il clip si capisce insomma il
motivo per cui c'è stato bisogno d'un movimento di liberazione gay
per far cambiare la società: giudicato troppo "forte" allora, oggi
sembra un video educativo per la terza media.
Definirlo "casto" è un eufemismo.
Non vi succede nulla di più audace di uno sguardo (non ricambiato),
non vi si vede nulla di più sexy d'un adolescente che fa ginnastica
in calzoncini. E però... Però parla dell'innamoramento
platonico da parte d'un ragazzino per un compagno di scuola un po' più
adulto, nonché atletico (e già munito di ragazza). E questo
per l'epoca era già troppo.
Meno male che il movimento gay è
esistito!
Il testo
della canzone (scritto da Tom
Robinson, autore nel 1976 dell'inno "Glad
to be gay") è, per l'epoca, decisamente coraggioso
ed esplicito, ma senza strafare.
Il cantante, nella
persona d'uno studente, si rivolge a un "tu" che frequenta la stessa scuola
(e che a un certo punto è descritto mentre gioca a biliardo, il
che permette di identificarlo come un maschio), raccontando come sia costretto
a vivere da lontano un amore impossibile e che la società non è
in grado di capire:
Amo i tuoi capelli
da zingaro e i tuoi occhi mori,
sono sempre impreparato
alle tue risposte pungenti,
ciniche e scarne.
Sto disteso,
sveglio, e sogno te.
Il filmato illustra con una certa
fedeltà i concetti del testo, ma non lo fa nel modo pedissequo abbastanza
comune nei videoclip delle origini, ovvero illustrando ogni frase cantata
(se il cantante nominava gli occhi, si mostrava un primo piano degli occhi,
e così via).
Piuttosto, le immagini di vita scolastica
del college
inglese scorrono per conto loro sotto la canzone, mostrando piccoli episodi,
che poi consistono fondamentalmente nel ragazzino che spia di nascosto
il ragazzone, o che si macera nella sua solitudine a pensare e sognare.
E a vergognarsi per le prese in giro dei compagni.
Ma al principio e nel finale (a canzone
non ancora iniziata e già conclusa) si vede il ragazzone che regge
con visibile sconcerto un foglio di carta, suggerendoci così che
la canzone stessa possa essere una lettera d'amore inviata alla persona
amata al momento di partire dal college (la parte cantata del filmato
inizia e finisce con un'inquadratura del ragazzino che aspetta il treno
in stazione, e le ombre e luci che corrono sul volto del ragazzone suggeriscono
che stia davanti a un treno che si muove).
A mio parere John con questo video arrivò al limite massimo consentito all'epoca: per la scelta del tema (doppiamente scottante in un periodo, quello precedente il 1998, in cui nel Regno Unito ai ragazzi erano proibiti per legge i rapporti omosessuali fino ai 21 anni), per la scelta del paroliere (gay dichiarato e militante), e per il titolo beffardamente ambiguo ("La canzone di Elton" -- in origine usato da Robinson solo per distinguere il pezzo in lavorazione per John da quelli commissionati da altri cantanti) che si prestava ad essere letto come un orgoglioso "La canzone della storia di Elton John".
Se non vi spiace, per una volta, ascoltare
una canzone un poco malinconica, questo video merita l'attenzione: magari
è un po' datato per il contesto di cui parla, però di per
sé nulla ha perso della sua freschezza: gli amori impossibili infatti
esisteranno sempre, oggi come ieri.
La musica è bella, il tema è
trattato in modo delicato e sensibile... e forse una storia del genere,
prima o poi, è a capitata a tutti noi.
Consigliato.
1981 - Rough trade - "High school confidential". Dall'Lp: Avoid Freud.
"High school confidential"
(che "ruba" il titolo di
un film del 1958, che potrebbe essere tradotto liberamente come "Segreti
di una scuola media superiore") fu una delle prime canzoni dirette
al pubblico generale a introdurre la tematica lesbica con un linguaggio
assolutamente diretto ("mi fa bagnare nei jeans / quando cammina
verso di me").
Ciò nonostante,
la sua trasposizione in immagini, nel videoclip qui recensito, è
timida, volutamente ambigua e sostanzialmente inconcludente..
La cosa è comprensibile pensando al fatto che la canzone stessa ebbe problemi a "passare" in radio e fu anche censurata, quindi figuriamoci l'accoglienza che (non) avrebbe avuto nella Tv di allora un video che fosse stato altrettanto esplicito nelle immagini quanto lo era stata la canzone nelle parole:
Con questi limiti, il video ha oggi un valore soltanto storico, non avendo ormai più nulla da raccontare a noi del XXI secolo.
Al contrario la canzone,
con un accattivante motivetto rock-and-roll, ha vissuto di vita propria
anche negli anni successivi, al punto da meritare nel 1995 una
cover da parte della cantante Peaches,
una risposta della band canadese "Lesbians
on ecstasy" (che nel 2004 nella canzone "The
pleasure principal" immagina che il preside convochi Pope per discutere
della sua ossessione per la compagna), e infine una riscrittura da parte
della stessa Carol Pope, in
chiave maschile (gay), per la colonna sonora della prima serie della
serie tv Queer
as folk, nel 2000.
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Questa follia visiva
camp
è uno dei primissimi videoclip, e forse addirittura il primo, ad
aver affrontato il tema omosessuale.
Se guardate
su Youtube ne trovate anche varie versioni alternative e cover.
Di questa canzone Wikipedia spiega che "fu bandita dalla BBC per "riferimenti espliciti al sesso gay"; il che non le impedì di ottenere uno straordinario successo nelle discoteche d'Europa e Nord America. In questo periodo, Pete Shelley parlò apertamente della sua bisessualità" (all'epoca non esisteva ancora il "queer", quindi se si voleva fare mezzo coming out soltanto si ricorreva alla "bisessualità": il che significava ammettere che si amavano sia gli uomini, sia i maschi).
Il titolo inglese è proprio come l'ho scritto, "Homosapien", senza la "s" finale. E a chi parla inglese la parola "homo" richiama immediatamente più il concetto di "homo/sexual" che quello di "uomo". Shelley gioca su questo fatto, e lo slittamento dalla classificazione biologica a quello sessuale è immediato:
Insomma, questo video cercò di far finta d'essere il commento visivo d'una canzone d'antropologia culturale o magari paleontologia, ma ovviamente non ci credettero né gli autori, né tanto meno i censori della radio-tv britannica...
Riscoprirlo adesso,
con la sua ingenuità da un lato, e il suo testo molto coraggioso
(un vero inno alla solidarietà fra gay), fa oggi un certo effetto.
E a me è
piaciuto.
Nel 1981 l'arte del videoclip stava ancora muovendo solo i primi passi, e gli uffici Promozione delle case discografiche le riservavano budgets limitati. Visto con gli occhi di oggi, quindi, apparirà un po' tirato al risparmio questo video (nonostante abbia vinto un "Grammy award" nel 1983), che dopotutto era destinato a promuovere la canzone "Physical", che nel 1981 fu per settimane al numero uno delle classifiche di tutto il mondo, sparata in modo asfissiante e incessante da tutte le radio e da tutti i juke-box...
Eppure così è: gli autori dei videoclip dell'epoca dovevano ovviare alla limitatezza del budget con tentativi d'attirare l'attenzione con colpi di scena più o meno riusciti e se possibile scandalosi, ma senza entrare in urto con le regole della censura (all'epoca molto meno liberali d'oggi in fatto di nudità e allusioni sessuali: questa stessa canzone fu bandita dalle radio di diversi Paesi per il suo testo troppo "sessualmente esplicito"!).
E così in
questo "Physical" il video sceglie di giocare sul doppio senso della parola
del titolo, mostrando la procace cantante mentre sculetta e sorride in
una palestra, dove apparentemente insegna educazione... fisica a
una classe di signori decisamente sovrappeso.
In realtà
le parole della canzone (che non hanno alcuno rapporto col tema omosessuale)
invitano semplicemente l'uomo concupito a piantarla con il corteggiamento
e gli inviti al ristorante, e di metterla una buona volta sul piano fisico,
liberando gli istinti animali e lasciando parlare i corpi...
Implicitamente, il
video dà una risposta ai motivi dei problemi della cantante: cambiata
stanza e trovatasi in mezzo a un gruppo di giovani e guizzanti culturisti
per cercare qualcuno con cui giocare a tennis, Ms Olivia si vede prima
snobbare da tutti, e poi subisce addirittura lo scorno di vedere i bei
maschioni uscire mano nella mano a due a due.
Alla fine, solo
uno dei suoi disprezzati allievi "grassoni" sarà provvidenzialmente
disposto a ridarle il sorriso, giocando con lei.
.
La boutade
visiva finale del video, se da un lato costituisce una delle primissime
apparizioni del tema gay nei videoclip, dall'altro non si addentra
eccessivamente nei terreni dell'inesplorato, in quanto il luogo comune
secondo cui "tutti i culturisti sso' ffroci" era sufficientemente
diffuso all'epoca da poter essere considerato addirittura una leggenda
urbana.
Senza contare la
soddisfazione d'uno spettatore "diversamente bello", che poteva dirsi tutto
tronfio: "Quelli saranno anche più fisicati di me, però
almeno io sono normale e quindi le donne sbagliano a preferire loro
a me". (Un'interpretazione del video che ho visto circolare in Rete
dice addirittura la cantante non ha cambiato stanza, bensì epoca:
ha solo rivisto i suoi allievi una volta smagriti e tonificati dalle sue
cure. Ma diventati belli, diventano tutti gay... Agghiacciante).
Ma questo è
un altro discorso.
A questo video resta
comunque l'onore di contenere una delle primissime menzioni in assoluto
dell'esistenza dei gay, nella nascente arte del videoclip.
Joe Jackson è stato uno dei grandi autori sottovalutati degli anni Ottanta. Nonostante abbia avuto per un breve periodo un buon successo commerciale, non è mai assurdo al ruolo di stardom al quale la raffinatezza e l'eleganza delle sue canzoni lo candidava naturalmente.
Non credo che ciò sia dovuto al fatto che fosse gay dichiarato (anzi, "fag", come si autodefinisce nella canzone "Don't wanna be like that"), dato che come ne La lettera scarlatta il miglior modo per mantenere un segreto nella vita è esibirlo, tant'è che molti suoi fans ignorano tuttora il fatto cha abbia fatto coming out ere geologiche fa. Credo che si sia trattato piuttosto di sfortuna, occasioni mancate, coincidenze avverse, dato che nella conquista del successo spesso più che il talento conta il caso, il fatto d'essere stato al momento giusto nel posto giusto (o essere andato al letto col produttore giusto). E poi ahimè conta molto il fisico (Jackson era bravo ma bruttino), come Jackson stesso lamenta in una canzone, scritta contro i "pretty boys" dai denti perfetti e i sorrisi smaglianti... e che non sanno cantare.
Questa canzone, "Real men" ("Veri uomini"), è un buon esempio del suo lavoro artistico. Si tratta d'una riflessione sul cambiamento dei ruoli maschile/femminile fatta da un'ottica gay e con il buon senso dell'umorismo, che investe tanto la realtà etero quanto quella gay (dell'epoca pre-Aids), quest'ultima affettuosamente beffeggiata per i suoi rigidi codici di vestiario e comportamento:
Non vuoi apparire stupido, non vuoi
offendere
allora non chiamarmi frocio
a meno che tu sia un amico.
E poi se sei alto e bello e forte
puoi metterti l'uniforme ed io ci giocherò
un po'".
La musica è giocata in buona parte sul pianoforte e la voce, con pochissimo accompagnamento ulteriore, con un risultato molto pulito, raffinato, lineare, e decisamente gradevole.
Questa è la canzone.
Poi c'è il discorso del video.
Chi lo ha creato, credo si sia preso un infarto, trovandosi di fronte a un testo tanto sfacciato ed esplicito in un'epoca in cui il cinema aveva ancora fortissime remore a mostrare in immagni le persone omosessuali. E non era, si badi bene, solo questione di preconcetti personali, bensì di vere e proprie censure: la menzione dell'omosessualità rischiava concretamente di far mettere al bando una canzone dalla radio o un filmato dalla tv. Bisognava quindi fare attenzione a non tendere troppo la corda, perché il danno sarebbe stato economico.
La soluzione del regista è stata da un lato limitarsi a un unico cenno di passata all'omosessualità (due adolescenti si corteggiano, appoggiati a un muro, nel momento in cui il cantante parla esplicitamente dei "froci"), dall'altro alternare spesso riprese di Jackson mentre suona il pianoforte e canta, e per finire, inventare una delirante ed assurda storiellina parallela, con un bel giovanotto automunito che corteggia una sana all-American girl, che a quanto pare non gliela vuole dare. Allora un giorno, esasperato, prende la rincorsa con la macchina e si getta in un burrone e muore. Non chiedetemi perché l'astinenza da passera debba causare ipso facto il suicidio: il video non l'ho fatto io (e quel tipo di astinenza non mi scuce neanche un baffo...). A me pare solo che la soluzione escogitata sia semplicemente cretina.
Ciononostante è comunque curioso, e significativo, il breve istante in cui il ragazzo osserva (con atteggiamento fra l'ostile e l'invidioso) i due adolescenti gay che si corteggiano con naturalezza, dimentichi del resto del mondo, mentre la sua ragazza gli nega, scorbutica, anche un semplice bacetto.
Per finire, la bellezza della canzone le ha meritato una cover da parte di Tori Amos, e una da parte dei Pansy Division.
"Relax"
può essere definito simbolicamente il
video con cui iniziò l'attacco alla censura praticata dalle tv contro
la tematica omosessuale nei videoclip.
Un po' era giocoforza
farlo, dato che le
parole dicono: "Rilàssati / non fare così / quando
vuoi arrivarci. / Rilassati / non fare così / quando vuoi venire".
E non c'è chi non veda che qui si sta parlando, dichiaratamente,
d'un rapporto orale. Con un tema così, non sfidare le censure
era impossibile...
Si noti che il cantante
del gruppo, Holly
Johnson, fu molto più sveglio e rapido nel fare coming
out di quanto non lo siano stati i suoi tentennanti colleghi "velati"
dell'epoca, da Boy
George a Freddie
Mercury a Morissey
a Marc Almond a Neil
Tennant --
per non parlare dei Village
people, che non lo fecero mai. (E quando nel 1993 si scoprì
sieropositivo, discusse anche di questa sua condizione).
Anzi, con Paul
Rutherford i componenti gay dichiarati della band erano
ben due.
Messa così, non possono esserci dubbi sul fatto che fosse del tutto intenzionale il doppio senso omosessuale di versi della canzone quali:
Ciò premesso,
mi correggo: mostrare nel video l'omosessualità non era proprio
proprio giocoforza, come dimostra il fatto che per questa canzone fu approntata
una seconda versione del videoclip, priva d'eccessi (e tirata via al risparmio),
nonché totalmente eterosessuale.
Quindi se l'argomento
fu evocato, fu perché si volle deliberatamente farlo.
Insomma, col senno
di poi è fin troppo facile dire che, visto il tema della canzone,
la messa al bando del video fu cercata espressamente (e infallibilmente
ottenuta) come strategia pubblicitaria. Peraltro di successo, visto che
dopo un attimo dalla messa al bando non si parlava d'altro e tutti bramavano
(invano) di vedere il video proibito (Internet non c'era ancora).
La stessa campagna pubblicitaria cercava
lo scandalo con frasi come: "I Frankie Goes to Hollywood stanno
per venire. Si faranno leccare gli stivali dai Duran Duran. 19 pollici"
[cioè 33 giri, NdR] "da prendere tutti, fino in fondo".
L'aspetto con cui
viene presentata la realtà gay è quella della sottocultura
clone (leather)
delle metropoli Usa dell'epoca.
(Una sottocultura,
peraltro, che senza che nessuno lo immaginasse stava per essere completamente
spazzata via
dall'Aids, di cui s'era già sentito qualche tuono e fulmine,
ma non ancora il tornado in tutta la sua forza, dato che ci avrebbe messo
ancora un paio d'anni ad esplodere).
In secondo luogo il locale gay qui è presentato attraverso occhi e mentalità completamente eterosessuali, come una specie di riproposizione musicale della Cena di Trimalcione del Satyricon di Fellini (i richiami sono evidenti: c'è perfino un incongruo ciccione in portantina con tanto di toga romana, che da un matroneo ordina di torturare questo o quel cliente. Ricorda molto gli imperatori romani cattivi e capricciosi dei film peplum degli anni Sessanta).
La situazione in
cui si trova Johnson, prescelto dal ciccione per essere dato in pasto a
un tigrotto, che invece riuscirà ad ammansire, è più
degna della favola di Barbablù o di Pollicino che d'una vicenda
del 1983, e il locale somiglia più a un antro della strega che
a un bar gay. La paglia per terra fa pensare più ad un circo
che ad un locale, e la presenza d'animali conferma il richiamo alle arene
dei circhi o agli zoo.
Palesemente, qui
è stata lasciata via libera alle fantasie etero più morbose
a proposito di quanto si svolgeva dietro le porte dei postacci per uominisessuali.
Il risultato è grottesco, ed anzi a tratti ripugnante: ben lontano
dalla celebrazione gioiosa e senza complessi della sessualità, su
cui si basava la sottocultura gay di quegli anni!
Il locale è un casino in tutti i sensi, con gente che si agita senza costrutto, con un mezzo travestito che lecca una banana non sbucciata (che oplà, finirà un mano a Johnson), vergini di Norimberga, gabbie, e per finire l'allusione alla "pioggia dorata" nella scena conclusiva, in cui getti di liquido cadono dall'alto addosso a Holly Johnson e Paul Rutherford. Sinceramente, per garantire matematicamente il bando dalle tv, a questo video mancava solo che uccidessero e mangiassero crudo un bambino.
Insomma, nonostante
questo video abbia contribuito a rompere tabù (e questo giustifica
in parte l'entusiasmo con cui fu accolto all'epoca), qui non c'è
una vera celebrazione sbarazzina del sesso come nella canzone, qui non
c'è gioia: l'atmosfera è cupa, e letteralmente mortifera.
Prefigurazione dell'Aids?
Può darsi. Ma di certo anche tanto moralismo eterosessuale
su quel che si pensava fosse il mondo gay, trasformato in immagini.
La canzone "Relax"
ebbe uno straordinario successo di vendite, e la curiosità che il
video attrasse riuscendo a non farsi trasmettere in tv iniziò
ad instillare nelle tv stesse il sospetto che una parte del pubblico i
video un po' "audaci" in realtà li volesse vedere.
Ma la liberalizzazione
sul tema proseguì a passo di lumaca ancora per qualche anno. Tant'è
vero che le prime canzoni esplicitamente gay che riuscirono a diventare
video negli anni seguenti, non riuscirono ancora per un po' a bucare la
cappa del conformismo.
Con questa canzone siamo ancora relativamente alle origini del fenomeno del videoclip, che non era ancora diventato pienamente una forma d'arte a sé.
Anche questo video
degli Smiths
è quindi poco più d'una esecuzione del pezzo davanti a una
telecamera, con giusto qualche accessorio per abbellire le immagini (un
pavimento cosparso di mazzi di fiori), ma nulla più.
In questo caso abbiamo
un giovane Morissey,
che sul petto seminudo ostenta un collier da far invidia a una regina,
che canta le parole di "Questo uomo affascinante" mentre agita e rotea
un mazzo di fiori.
Nonostante il tono relativamente esplicito delle parole (gli Smiths furono fra i primi ad inserire tematiche omosessuali nelle loro canzoni, sia pure con continui, esasperanti distinguo e ritirate strategiche), l'immagine dell'amore omosessuale non riesce ancora a far capolino in questo clip: la trasgressività del messaggio è quindi ancora affidata interamente alle parole. Però chi ha vissuto in quegli anni ricorderà come già questo "poco" fosse in realtà molto per l'epoca, nonché audace.
Quanto alla canzone,
si tratta d'una delicata storia di coming out.
La simbolica foratura
della gomma d'una bicicletta obbliga a cercare il passaggio d'un automobilista:
L'arrivo di questa eccellente canzone da discoteca fu una specie di fulmine a ciel sereno. Grazie al suo motivetto accattivante e alla straordinaria voce in falsetto di Jimmi Somerville, scalò la vetta delle classifiche di tutto il mondo, nonostante il testo fosse l'esatto opposto del disimpegnato: parla infatti d'un "ragazzo di paese" che abbandona casa e paese a causa della sua omosessualità.
E d'omosessualità non si parla qui certo per via d'allusioni, dato che il logo del gruppo, sulla copertina del "singolo" che conteneva questo brano, era inquadrato in un triangolo rosa, all'epoca simbolo principale delle lotte del movimento gay.
Il testo era imperniato sulla maggior forza della discriminazione antiomosessuale nelle realtà di provincia, causa dell'esodo che ha creato comunità glbt in tutte le grandi città dell'Occidente:
Dimostrarono inoltre che non era il pubblico a rifiutare canzoni "impegnate", bensì il sistema di produzione musicale, che non voleva mettere in discussione i propri pregiudizi. La favola secondo cui "se parli di gay non vendi", fu smentita una buona volta proprio dal successo mondiale di questo gruppo, dichiaratamente, militantemente, sfacciatamente gay. E con canzoni dichiaratamente, militantemente, sfacciatamente gay.
I ragazzi eterosessuali ballavano divertiti senza far gran caso alle parole questi motivetti molto orecchiabili, ma per i "ragazzini della provincia" quello dei Bronski Beat fu il primo messaggio di liberazione che proveniva dai grandi canali generalisti, che in quel periodo erano, all'estero, ancora ostili e censorii alla tematica della liberazione gay quanto lo sono oggi in Italia. Per molti, queste canzoni equivalsero a un angelo che scendeva dal cielo con una tromba a proclamare: "Sveglia!"
Purtroppo però il "sistema di produzione musicale" non gradì molto il fatto d'essere messo a nudo in questo modo. Per questo, tutti i video di questo gruppo musicale (e dei suoi componenti, dopo il precoce scioglimento) furono penalizzati da una demenziale volontà di "alleggerire" il messaggio politico dei testi con immagini talmente innocue da sfiorare a tratti l'infantilismo, come in "Why?".
A questo amaro destino sfugge solo il presente "Smalltown boy", forse per il fatto che falsificare proprio la canzone che aveva lanciato a livello mondiale il gruppo era difficile. Fatto sta che il messaggio del testo in questo videoclip traspare in modo chiaro, anche se dobbiamo sempre ricordare che quel che oggi è magari materiale da educande, all'epoca era percepito come fortemente tabù. Pertanto, alludere sottilmente piuttosto che mostrare apertamente fu una strategia in parte dettata da viltà e omofobia, ma in parte anche dalla prudenza, per evitare che il video fosse messo al bando dalle tv.
In questo clip,
alle immagini di Jimmy Somerville che se ne va via su un treno s'alternano
flash sulla precedente vita in provincia.
La mamma e il papà
- famiglia poco affettuosa (ah! sarà per questo che il bimbo è
venuto fuori frocio...).
Gli amici gay del
posto (gli altri due componenti del complesso), assieme ai quali il cantante
va in piscina a lumare i ragazzotti indigeni che si tuffano. Uno di loro
gli sorride, e lui fraintende il significato del gesto: lo va a cercare
negli spogliatoi, ma lo sguardo schifato dell'altro lo gela.
E ne ha di che:
il bellimbusto gli tenderà un'imboscata, assieme ai suoi amici,
che lo picchieranno.
Un poliziotto riporta
la vittima a casa dai suoi e, come sempre in questi casi, la vittima
della violenza omofobica si trasforma in imputato: tempesta in famiglia,
e quindi decisione di andarsene.
La mamma è
affranta, il papà si vergogna, ma alla fine pur facendo la faccia
da burbero gli sgancia un po' di soldi per aiutarlo.
E poi via, verso
la città. Dove Jimmy re-incontrerà i suoi due amici.
Come si vede, la trama è elementare, ma questo non è un male, perché l'aderenza quasi didascalica alle parole evita di far violenza a una canzone, come questa, felicemente riuscita. Per una volta, il video non impone il proprio messaggio al quello della musica.
A dispetto degli anni passati, insomma, il video non ha ancora perso la sua freschezza, nonostante la timidezza estrema con cui è trattato il tema gay oggi appaia un po' anacronistica. Ma la musica sprizza ancora scintille, e insomma, vale ancora la pena di essere visto, e consigliato agli amici.
Tra le molte covers
e citazioni di questa celebre canzone, ho trovato particolarmente riuscita
quella, per coro, dei Nylons (dal CD Run for cover, 1996).
A testimonianza
del perdurare dello status di icona conquistato da questo brano,
inoltre, nel 2002 il cantante gay tedesco Manuel
Sanchez ha intitolato un suo Cd, Good news for a smalltown boy
("Buone notizie per un ragazzo di provincia"), ed il riff della
canzone è stato riutilizzato nel 2004 nella canzone "Please" dei
Dare 2B diff'rnt e ancora, nel 2010, la base musicale
è stata usata dagli italiani Monkey Mono per il loro video anch'esso
intitolato "Smalltown boy".
È molto curioso notare come i Bronski Beat, il gruppo che fece letteralmente esplodere la tematica gay nelle discoteche di tutto il mondo nel 1984 con l'LP The age of consent, abbiano sempre proceduto di pari passo con testi scandalosamente espliciti, e videoclips che han fatto sforzi ridicoli, fino all'assurdo, per non mostrare mai nulla d'omosessuale.
La scelta fu tanto
sistematica che non è difficile immaginare che il gruppo abbia avuto
problemi con la casa discografica, probabilmente terrorizzata dall'idea
d'avventurarsi sul terreno della rappresentazione per immagini dell'omosessualità,
dopo essersi spinta fin troppo "oltre" sul terreno dei testi.
A quell'epoca, in
effetti, "cinema gay" era sinonimo di "pornografia", perché
la pura e semplice rappresentazione degli omosessuali era considrata
"oscena" da gran parte della società.
A questa regola non
sfugge questo videoclip.
La canzone tratta
il tema della violenza omofobica, e lo fa senza mezzi termini:
Mai tentativo di
"parlar d'altro", per evitare di parlare dei diritti gay ("you and me
together, fighting for our love" - "Tu ed io assieme, lottando per
il nostro amore"), fu più smaccato, e soprattutto ridicolo.
Specie perché
applicato a un gruppo che aveva composto un intero LP di canzoni che
rivendicavano i diritti gay, perfino nel titolo (L'età del
consenso) che alludeva alla battaglia dei gay britannici (poi vinta)
per abbassare l'età del consenso per gli atti omosessuali alla stessa
età richiesta per gli atti eterosessuali...
La vicenda di questo video è, io credo, l'esempio migliore di quanto fosse difficile e spesso ipocrita negli anni Ottanta il rapporto fra tematica gay e mondo dell'industria musicale.
L'omosessualità
del cantante dei Queen,
Freddie
Mercury, era uno dei segreti meglio preservati e pertanto
più
noti a livello mondiale. Anche perché Mercury frequentava
imperterrito la scena gay, e solo una capacità d'autoinganno
seconda solo al suo ego riusciva a convincerlo che fosse possibile essere
celebri, e al tempo stesso frequentare
certi postacci in incognito.
Il tema gay fu però
sempre, fino alla morte di Mercury, totalmente tabù, per ragioni
sia di marketing, sia di difficoltà personale (immagino che
essere un parsi
indiano nato a Zanzibar non costituisse la condizione socio-culturale migliore
per prendere in considerazione un coming out).
Per una qualche ragione, in questo video i Queen decisero d'afferrare il toro per le corna, però senza rischiare troppo, prendendosi gioco delle voci ed aprendo il filmato con una scena in cui tutti e quattro erano travestiti da donna (Mercury senza tagliarsi i suoi celebri baffi). Questo succede nonostante le parole della canzone non facciano la minima allusione alla tematica gay.
Il travestimento era in realtà, come spiega la versione inglese di Wikipedia (luglio 2010), una parodia dei personaggi di una telenovela inglese di successo, Coronation street, ma ovviamente quest'allusione non fu colta al di fuori del suolo britannico.
Quest'ambientazione
non era comunque la sola del clip: in un'altra scena fu usato addirittura
il Royal Ballet (per una fantasia su Nijinskij,
la cui omosessualità è celeberrima, ma ciò passò
inosservato), in un'altra ancora appare un'ambientazione in miniera che
ricorda molto da vicino Metropolis,
il film muto del 1927 alla cui colonna sonora realizzata da Giorgio
Moroder in quello stesso 1984 Freddie Mercury collaborò.
Le reazioni alla
sola sezione in cui i Queen apparivano vestiti da donna (si noti, in modo
palesemente goliardico e non sessuale: era travestimento, non travestitismo)
furono esplosive. Mtv Usa (la più importante Mtv al mondo)
mise addirittura al bando il video fino al 1991, proprio a causa
di questa scena. Inoltre il brano non entrò mai ai vertici
delle classifiche Usa, come era ormai abitudine per i Queen, e nessun altro
loro brano ci sarebbe più riuscito per altri otto anni!
Questo disastro
delle pubbliche relazioni fu possibile perché i Queen probabilmente
sottovalutarono quanto ormai la notizia dell'omosessualità di Mercury
fosse universalmente diffusa, cosicché il video, anziché
risultare una blanda pernacchia ai pettegolezzi in materia, fu interpretato
sia da fans che da detrattori come il tanto atteso - o tanto temuto - coming
out, che invece Mercury non realizzò mai fino alla fine
dei suoi giorni.
Si dice che Mercury, divinamente offeso,
avesse per ritorsione (!) giurato in quest'occasione di non realizzare
mai più concerti negli Usa, ma la colpa del disastro fu in parte
sua, dato che recitò la sua parte con una tale carica camp
civettuola che solo un cieco (per esempio, lui stesso) avrebbe potuto evitare
di notare che quello che canta non è un semplice tizio con vestiti
buffi, ma una vera e propria drag... Queen.
In parole povere, il pubblico dimostrò
maggiore intelligenza di coloro che realizzarono il video, che non avevano
compreso che i tempi erano cambiati, e che trattarono un tema ormai
esplosivo come se fosse un argomento su cui era ancora possibile sbrigarsela
con barzellette da bar o teatrini da oratorio.
Secondo Wikipedia
italiana (a cui non posso fare a meno di ricorrere perché le polemiche
di quegli anni - su carta, o a voce - sono oggi in massima parte inaccessibili
in Rete), a Rio de Janiero la riproposizione del travestimento del video
fu addirittura accolto con un bombardamento d'oggetti contro il palco,
che durò fin quando Mercury si tolse infine gli abiti femminili.
Wikipedia non riconosce le vere ragioni
(omofobiche) dell'episodio, spiegandolo risibilmente col fatto che
la canzone era diventata un inno alla libertà per i latinoamericani,
mentre
Insomma, la vicenda dimostrò che il tema gay andava ormai trattato seriamente, nel bene e nel male, e che il tempo in cui era possibile limitarsi a considerarlo buono solo per gag d'avanspettacolo era finito. Come i Queen (e i loro produttori) scoprirono letteralmente a loro spese.
1985 - Almond, Marc & Bronski Beat - "I feel love" & "Johnny remember me".
Nel 1985 mettere
assieme i Bronski
beat e Marc
Almond in un clip significava superare qualsiasi livello
di guardia del tasso di frociaggine, quale oggi non si riuscirebbe a raggiungere
neppure un consort di musica rinascimentale con strumenti originali.
Equivaleva, per fare un paragone col 2010, a un clip con Madonna
e Lady
Gaga assieme.
Perché se
la fama dei Bronski Beat e di Marc Almond è stata meteorica (anche
se più nel primo caso che nel secondo), si trattò di fama
a livello mondiale, ai vertici delle classifiche.
Ebbene, prendete
questi due ingredienti, metteteli assieme, mescolateli ed avrete... eeeh?
Una schifezza come questo video?
Da non credere!
Ancora una volta l'omosessualità ha
provocato infarti a catena fra produttori e registi.
Qui abbiamo un medley
di non meno di quattro canzoni, fra le quali la canzone-simbolo della disco-music
degli anni Settanta, "I
feel love" di Donna
Summer. Un brano-culto per i gay di qualche decennio fa.
Si tratta d'una
canzone d'amore, in origine cantata da una donna, e qui ripresa da un gruppo
di quattro persone, tutte rigorosamente maschietti.
Il regista avrebbe potuto fare buon viso a cattivo (per lui) gioco, e premere sul pedale del camp, dando a tutto l'insieme un aspetto surreale, per disinnescare un poco (se ci teneva tanto a farlo) il messaggio eversivo di quest'accoppiata di regine. E invece è riuscito soltanto a finire in pieno kitsch (che non è più a buon mercato del camp, è solo più di cattivo gusto e basta) con scenografie da teatrino da liceo di provincia, e guai poi a fare intravedere una minima scintilla di (omo)erotismo!
E però...
come fare a non deludere i fans gay?
Idea! Mettiamo situazioni
allusive a storie d'amore fra uomini, ma senza far capire che sono storie
d'amore: saranno gli spettatori a colmare i vuoti... se proprio ci terranno
a farlo.
Ecco dunque un surfista,
un torero (che richiama l'LP Torment
and toreros di Marc Almond), un motociclista
e un automobilista interagire (in modo totalmente innocuo) volta per volta
con le quattro persone presenti in studio. Ma allo scopo di non far venire
strane idee a nessuno, il filmato è girato in modo tale che le immagini
risultino accelerate, con effetto da comica di "Ridolini",
che butta tutto sul ridere.
Alla fine, a furia
di prendere precauzioni e mettere le mani avanti, il risultato è
un papocchio. Come ho detto, si cerca di essere camp e si riesce
solo ad essere kitsch. Si cerca di essere allusivi, e si risulta
solo inconcludenti. Si cerca di contentate tutti, e non credo proprio che
l'obiettivo sia stato raggiunto. E così via.
Insomma, siamo di fronte ad una colossale occasione mancata, e ad un'impostazione clamorosamente sbagliata.
E dire che questo
medley è una delle cose più elettrizzanti e ipnotiche
mai prodotte da questi musicisti e cantanti.
Quindi gli ingredienti
per creare un capolavoro che entrasse nell'olimpo dell'immaginario collettivo
gay a fianco di Pink
Narcissus e magari Sebastiane,
volendo, c'erano tutti. Non sono stati sfruttati, perché farlo avrebbe
implicato trattare l'omosessualità come un non-problema.
Cosa che in quegli
anni, come dimostrano alcuni filmati dell'epoca, era già possibile
fare. Ma non si è voluto farlo.
Peccato, peccato e peccato.
1985 - The Communards - "You are my world". Dall'Lp: Communards.
Anche qui il solito problema di tutte le (sempre più numerose) canzoni gay di quegli anni: come trattare in immagini un tema che all'epoca era tabù nel mondo dell'immagine? La risposta fu quella tipica di quell'epoca: facendo uso dell'ambiguità, e contando sul fatto che la massa degli spettatori, distratti, non avrebbe badato alle parole, o le avrebbe prese per la solita (ennesima) cover da Donna Summer cantata senza modificarne il testo.
Un testo che peraltro è abbastanza melenso, perfino al di sopra del tasso glicemico tipico delle canzonette:
La regia segue fondamentalmente,
con una serie di gag visive terra-terra, il disperato tentativo
del giovanotto di cavarsela.
Per esorcizzare
il sospetto di omosessualismo, le scene di potenziale nudo (il ragazzo
che entra nella vasca da bagno, il ragazzo che toglie il vestito per metterlo
in lavatrice) vengono radicalmente censurate, e non un centimetro quadrato
di satanica pelle maschile è esposto allo sguardo lubrico di potenziali
spettatori gay. Nemmeno quando la narrazione avrebbe giustificato un
rapido abbaglio di carne nuda: niente! Questo serve a dare l'idea dell'ottica
con cui questo video è stato confezionato.
Nulla viene detto
mai del sesso della persona attesa, che quando arriva è mostrata
nel solo dettaglio d'una mano che picchia un batacchio.
E a questo punto,
ovviamente, il vestito non è ancora asciutto. Che fare?
Niente paura: il
ragazzo prende il vestito che Jimmy Somerville indossava mentre cantava
(era visibile su un televisore portatile), e con quello addosso apre alla
persona amata...
Ze end.
In base a qualche
misteriosa proprietà transitiva della frociaggine, il fatto che
il ragazzo indossi il vestito di Somerville e che Somerville cantasse il
suo amore per un uomo, permette d'identificare la persona in arrivo con
l'uomo per cui cantava Somerville. E questo bastava (all'epoca) a rendere
soddisfatta l'audience gay. (E anche se non la soddisfaceva, era
giocoforza accontentarsi, perché o questa minestra, o saltare dalla
finestra).
Ma ovviamente per
arrivare a questa conclusione occorre una serie di contorcimenti logici
che solo i gay, all'epoca affamati di qualsiasi cosa permettesse
loro di rispecchiarsi, avevano voglia di compiere. Mentre gli spettatori
etero, vivendo in un mondo in cui tutto ciò che non è etichettato
come gay è di default etero, erano autorizzati dalla consuetudine
a identificare la persona in arrivo con una donna. E con questo, la casa
discografica tirava un sospiro di sollievo.
In conclusione, questo
video è fondamentalmente un'occasione mancata: come tutti gli
altri video di Somerville/Bronski Beat/Communards su testi a tematica gay,
non rientra fra quelli che hanno aperto strade e possibilità
sulla tematica lgbt.
Come tutti gli altri
video di Somerville & c. si mantiene infatti nel territorio grigio
dell'ambiguità, che all'epoca era il più sicuro, ma anche
quello meno passibile d'innovazioni e sperimentazioni.
Per un complesso dal nome tanto rivoluzionario, ritratto a iosa con bandiere rosse e falciemartello, nonché composto da due dei gay più dichiarati della Terra, direi che il gap fra le promesse e il risultato sia stato enorme.
Ahimè.
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Il testo di questa canzone francese, nonostante il titolo provocatorio e altisonante ("Terzo sesso") non ha davvero il coraggio d'affrontare il tema dell'omosessualità, e allora ci gira intorno gingillandosi maldestramente col tema dell'androginia, esaltando
Si aggiunga che il videoclip non è nient'altro che la ripresa di un'esibizione del gruppo, virata con qualche effetto di ritocco d'immagine per farlo apparire "moderno". Inevitabilmente, oggi questi effetti grafici "moderni" del clip fanno ridere, e ricordano più che altro il lavoro della mia nipotina di dieci anni quando gioca con gli effetti grafici di "Windows movie maker"...
Insomma, una canzoncina yé yé gradevole e orecchiabile, però nulla di più di questo: un prodotto seriale usa-e-getta, che non viene certo sottratto al logorio del tempo da un videoclip che s'è limitato al minimo sindacale...
Riposi in pace.
Nonostante nei primissimi anni Ottanta Marc Almond fosse una delle persone più notoriamente omosessuali al mondo (il suo modo di presentarsi, da vera flaming queen, lasciava pochissimi dubbi a chicchessia), la sua strategia di marketing ha sempre evitato le dichiarazioni troppo aperte, alla Bronski Beat.
Almond ha semmai
privilegiato nelle sue canzoni un approccio più alla don't ask,
don't tell, evitando le prese di posizione più militanti, ma
ficcandoci sempre dentro qualche elemento, qualche richiamo, qualche allusione
più o meno sfacciata che strizzasse l'occhio all'interpretazione
gay.
Oggi può
forse apparire strano, ma questa strategia funzionava, dato che
il mercato discografico offriva talmente poco e talmente di rado, nel campo
glbt, che anche queste piccole allusioni venivano tesaurizzate ed apprezzate
come se fossero grosse novità. Figuriamoci poi nei videoclip, che
all'epoca erano ancora impantanati a scontrarsi con la bigotteria del medium
televisivo.
E a dire il vero il gioco della decrittazione
delle allusioni nelle canzoni di Almond era tanto diffuso all'epoca che
mi ricordo che si diceva in giro che questa canzone parlasse in realtà,
sotto metafora, del fisting...
("Era il gioiello più prezioso / che io potessi darti. / Colorami
di rosso quando mi sento blu/triste")!
Il clip per "Ruby
red" ("Rosso rubino", una delle migliori canzoni di Almond) non fa
eccezione, rispetto a questa strategia.
Girato interamente
sotto un filtro rosso e popolato di diavolacci e diavoletti rossi, affastella
una serie d'immagini che tendono ancora a seguire pedissequamente il testo,
trasponendolo in immagini, com'era di moda alle origini del videoclip (per
esempio, se il testo dice che il cuore della persona amata era "rosso
come la fiammata dalla pistola d'un killer"; ecco che ci viene mostrata
diligentemente una pistola, e lo sparo).
Ciò toglie
una coerenza narrativa propria al filmato, dato che il testo procede per
accumulazione d'immagini poetiche e metafore, senza una precisa logica
narrativa.
Fra tutti i videoclip dell'epoca con allusioni gay, questo è quello che maggiormente s'avvicina all'universo d'immagini di Pink Narcissus, film che peraltro all'epoca non aveva ancora raggiunto lo status di cult di cui gode oggi. Potrebbe quindi anche essere più un caso di "evoluzione parallela" che di citazione deliberata di James Bidgood.
Da parte sua, il testo della canzone (peraltro di buon livello) contiene allusioni che, se si vuole, sono chiaramente leggibili in chiave omosessuale (per esempio, il rimprovero verso la persona amata di aver picchiato l'io narrante fino a farlo diventare "black and blue", ovvero coperto di lividi, non si applica certo a una gentile signorina, casommai a un tamarro maschilista come il marinaio nel letto: fa parte d'un certo immaginario omoerotico che non disdegna l'S&M.
Resta in ogni caso il fatto che se è difficile considerare questo come un vero e proprio videoclip a tematica gay, la sua estetica strizza l'occhio alla sensibilità gay (ovviamente a quella camp) in modo assolutamente sfacciato.
Questo video, affidato al regista gay militante Derek Jarman (già autore all'epoca del rivoluzionario Sebastiane), dimostra che per produrre un bel video non occorre una camionata di soldi, e neppure un carattere istericamente gay che faccia uno scandalo promozionale.
In effetti gli Smiths, interpreti della canzone, non solo non furono mai paladini della lotta di liberazione gay, ma il loro frontman Morissey ha giocherellato in modo altamente stucchevole per decenni col tormentone del "io lo sono, o forse non lo sono, anzi no che non lo sono, e se anche lo fossi sarebbero solo affari miei". Uff!
Ebbene, qui quel
che non ci misero gli Smiths ce lo mise di suo Jarman. Riuscendo nel contempo
ad aggirare l'eterno problema dell'epoca; la censura omofoba delle tv
che, prima dell'epoca d'Internet e di iTunes, erano le uniche
destinatarie di questi video promozionali.
Jarman seppe anzi
trasformare una seria limitazione (la proibizione di rappresentare l'omosessualità)
in una risorsa espressiva, come vedremo.
Il regista gioca sul minimalismo apparente, nascondendo sotto un velo di semplicità - se non addirittura banalità - una realtà complessa, che richiede un piccolo sforzo mentale per aprire lo scrigno del messaggio, il quale però una volta capito si rivela prezioso.
Il testo, da solo, non ha nessuna connotazione omosessuale. Il cantante si rivolge, come in millanta altre canzoni, a un generico "tu" il cui sesso non viene specificato, chiedendogli di renderlo felice:
Jarman ha costruito
il commento visivo con la sovrapposizione di tre strati d'immagini.
Il primo è
il ritratto, virato in colore blu, amoroso e carezzevole, d'un bellissimo
ragazzo in calzoncini, sdraiato sulla pancia mentre prende il sole. Il
ragazzo è perfettamente immobile, ma è sveglio, come rivela
a un certo punto l'ammiccamento d'un occhio.
Il secondo strato
è un increspamento onirico di onde liquide, virate in colore giallo,
che appare e scompare.
Il terzo, infine,
è un assemblaggio d'immagini in colori naturali ma molto schiariti,
che commentano il testo mostrando tipiche abitazioni inglesi, automezzi
in moto, scene d'incidente d'auto, veicoli incendiati e quant'altro.
I tre strati formano una continua polifonia, diventando alternativamente più o meno visibili rispetto agli altri due, con un effetto straniante, a metà fra il sogno e l'incubo, che è poi quello della canzone.
L'aspetto rilevante del clip sta nella figura del ragazzo, che dimostra che quando siamo di fronte a un artista vero, è possibile dire mille parole anche facendo silenzio. Il modo in cui la camera lo riprende equivale infatti a una lenta, estasiata carezza. Non un solo gay in tutta la Terra, ammirando il video, non capì all'epoca cosa ci stesse dicendo il regista: "Questo ragazzo è la persona amata, quella per cui la canzone è stata scritta".
E tuttavia nel video
appare per due volte una coppia composta da un ragazzo biondo e una
ragazza mora che si baciano, necessaria per permettere alla massa dell'audience,
quella composta dagli eterosessuali, una chiave di lettura totalmente diversa.
Qui Jarman adopera
una tecnica che sarebbe stata molto usata negli anni a venire, per presentare
canzoni a tematica gay senza fare uscire di testa gli etero. Il ragazzo
è infatti presentato in modo da poter essere visto come colui che
sta pronunciando le parole della canzone, e il fatto che chi canta sia
un uomo rientra a questo punto nell'assoluta normalità (dà
voce al personaggio delle immagini), mentre la scena del bacio è
ciò a cui il ragazzo sta - probabilmente - pensando.
Jarman è quindi
riuscito a trasformare quello che era un reale impedimento culturale
dell'epoca in un'occasione per creare una "opera aperta", che avesse
diverse possibilità di lettura a seconda del tipo di spettatore
che vedeva il filmato.
Lo ripeto: nessun
gay si lasciò all'epoca ingannare dalla coppietta etero che si bacia,
percependola semplicemente come parte dello "sfondo di catastrofi" (per
l'appunto...) contro il quale si staglia il vero soggetto del filmato,
cioè il ragazzo azzurro, che per il narratore costituisce la fine
delle catastrofi e l'inizio di qualcos'altro (un verso dice: "E nel
buio sottopassaggio / ho pensato: "Oh Dio, finalmente è giunta la
mia occasione!").
Viceversa, questo
video sfacciatamente omoerotico non incorse in nessuna censura, polemica
o bando, grazie al fatto che tutti gli etero scelsero in massa la chiave
di lettura che faceva a meno dell'elemento omoerotico. Geniale!
La differenza fra Jarman e l'esercito delle dodicimila scimmiette che in quegli stessi anni (e purtroppo ancora oggi) costruivano video "ambigui", è che gli altri costruivano filmati "né carne né pesce" per paura di scontentare qualcuno, mentre Jarman ha prodotto un filmato che è sia carne che pesce, a seconda di come lo spettatore desidera che sia.
A conclusione dirò
che questo è un filmato splendido, accompagnato da una canzone perfettamente
riuscita, dalla bella melodia molto cantabile, eseguita da un Morissey
in particolare stato di grazia.
Secondo il mio parere
personale resta a tutt'oggi uno dei più bei videoclip a tematica
gay mai prodotti.
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1988
- Boy George - "No clause 28" [45 giri].
Il cantante dei
Culture Club
"Boy George" divenne celebre giovanissimo a livello mondiale non solo per
la bella voce e le sue canzoni orecchiabili e ben orchestrate, ma anche
per una stravaganza nel vestire al limite (e talvolta oltre il limite)
del travestitismo, coltivata con cura (peraltro con successo) a fini promozionali.
Magari oggi fa anche un po' ridere ripensare a quanto fosse cocciuta la determinazione con cui questa signorinella travestita negasse, strillando oltraggiata come un'aquila spennata viva, d'essere omosessuale, nonostante tutti sussurrassero che la canzone "Do you really want to hurt me" fosse stata scritta per il batterista "dagli occhi di bragia" con cui aveva una relazione... cosa che peraltro anni dopo avrebbe confermato lui stesso!
In quella prima parte
della sua carriera Boy George fu l'incarnazione stessa della checca
fatua discotecara, strafatta dagli alluci fino alle punte delle treccine,
che viveva solo di moda, droga, locali notturni e sesso (quest'ultimo ammesso
solo molti anni dopo: all'epoca infatti Boy George divenne celebre per
avere dichiarato in un'intervista, per spiegare l'assenza di frequentazioni
femminili, che in effetti trovava una tazza di buon tè molto più
gratificante del sesso. E ci fu chi commentò all'epoca: "Sì,
certo: il dildo non è più largo abbastanza, ormai, quindi
è passato alle tazze...").
La politica gay
era insomma l'ultima, ma davvero l'ultima, delle preoccupazioni di questa
bambina stoned.
Poi, la catastrofe. Dopo qualche anno di successi travolgenti la Sorte, volubile e capricciosa, decise che era arrivato il momento di travolgere anche i Culture Club. Per Boy George fu il crollo, un crollo che lo vide anche implicato in storie di droga con relativo arresto e in altre questioni che non è il caso di elencare qui ed ora.
A noi importa il
risultato di questa crisi personale e professionale: riuscì a
riemergerne un nuovo Boy George, forse un tantinello ancora stoned,
ma meno terrorizzato dalla prospettiva del coming out (che finalmente
arrivò) e con un nuovo interesse per alcune questioni di politica.
Un Boy George capace
addirittura d'accorgersi che nel frattempo era scoppiata un'epidemia, l'Aids,
che stava costringendo le agendine del telefono di tutti noi a una cura
dimagrante forzata... e contro la quale le autorità non volevano
far nulla perché tanto
ammazzava solo froci e drogati.
Boy George rivelò insomma un inatteso lato di militante gay, che lo avrebbe portato sia a scrivere canzoni a tematica apertamente gay, sia a svelare l'ispirazione omosessuale di alcuni successi dei Culture club. Molti anni dopo, nel 2002, avrebbe raccolto tutto questo materiale in quel gioiellino che è il CD U can never be2straight (gioco di parole fra "Non si è mai onesti abbastanza", e "Non si è mai etero abbastanza"), un piccolo capolavoro d'equilibrio negli arrangiamenti e nell'interpretazione.
Le parole
della canzone sono un po' confuse, e rivelano lo sfogo scritto di getto
da un cantante che di politica s'era sempre disinteressato... e si vede.
Ma proprio perché sembrano uno
sfogo hanno un tono diretto che conferisce loro un certo impatto, al di
fuori della retorica.
Il tono è quello del volantino
politico, senza pretese poetiche:
Fondamentalmente il video è fatto
con un gruppo di ragazzetti poco più che adolescenti che balla,
intervallato da primi piani di Boy George ripresi in bianco e nero su uno
sfondo coloratissimo, spesso fatto di mosaici di fiori spaventosamente
kitsch.
Nel filmato si fa un vero abuso degli
"effetti speciali" resi possibili dai nuovi macchinari per la manipolazione
digitale d'immagini. "Effettoni" che al confronto di quelli possibili oggi
fanno solo ridere, e "invecchiano" il video molto più di qualsiasi
altra cosa.
Nel complesso non si tratta quindi
certamente d'uno dei dieci video a tematica lgbt più riusciti della
storia, cionostante questo clip è interessante per il modo in cui
segnala e registra il cambiamento sociale e politico causato in quel periodo
dall'irruzione dell'Aids e dal "colpo di frusta" antigay che esso aveva
reso possibile.
Pur non essendo una gran riuscita, il
filmato è insomma una preziosa testimonianza dell'epoca, nonché
ovviamente dell'evoluzione graduale di Boy George da svampita da discoteca
a (quasi) militante gay.
1988
- Gainsbourg, Serge - "Mon légionnaire" (prima versione). Dall'Lp:You're
under arrest.
Serge
Gainsbourg ha passato la vita a fare il "bambino terribile",
divertendosi a creare sistematicamente scandalo e ad infrangere tutti i
tabù possibili e immaginabili.
Per dare un'idea di chi fosse, a beneficio di chi fosse troppo giovane per averlo sentito nominare, basterà dire che una delle sue canzoni s'intitola "Les femmes, ça fait pédé" ("Le donne, sembrano checche"), che spiega: "Le donne sono effeminate, sono molto effeminate, talmente effeminate che sembrano checche". Ci siamo capiti...
Non stupisce quindi il fatto che solo una
persona così potesse osare fare una cosa tanto demenziale
quanto cantare in prima persona una canzone francese molto famosa, "Il
mio legionario", che parla dell'amore per un soldato della Legione Straniera,
lanciata nel 1936 dalla cantante Marie
Dubas e resa celebre da una cover di Edith
Piaf.
Ovviamente il testo,
che era fortemente eterosessuale, una volta cantato da un uomo diventa
scandalosamente gay:
Peccato che nel
momento di passare dalla canzone al video qualcosa sia andato storto nella
testa dei produttori e del regista.
Niente da ridire
sulla scelta del bianco e nero e sull'ambientazione (un enorme capannone,
camuffato da ambiente industriale) per riportare a quel 1936 in cui la
canzone era nata: dopotutto, di legionari oggigiorno ne sono rimasti pochini...
Ok anche per la
scelta di prendere un gruppo di ballerini e truccarli in modo da farli
sembrare una manica d'evasi dal bagno penale. Inquietanti, ma pur sempre
parte dell'atmosfera da cui nacque la canzone.
Perfino il tocco
genettiano con cui sono ripresi i corpi guizzanti dei ballerini non è
fuori luogo.
Il problema nasce
proprio quando si decide di mostrarcelo, il famoso legionario tanto
evocato. Sarà snello? Sarà bello? Profumerà di
sabbia?
Ecco, s'apre il
portone, e la sua sagoma si staglia controluce. E dopo qualche istante
di suspense, il giovane si fa avanti.
Ma non è
un giovane. È un bambino (un bambino, nella Legione Straniera?
Ma in che delirio siamo finiti?). A lui il cantante s'avvicina con fare
paterno.
E a questo punto
senza nessun motivo o ragione o provocazione, la marmaglia si scatena
e snuda i coltelli a serramanico e s'accinge ad attaccare.
Fine del clip.
Ora, se affrontare
il tema dell'omosessualità è un problema, un regista dovrebbe
avere la decenza di dirlo ai committenti. E soprattutto di dirselo.
Anche perché
se no la figura del menga ce la fa lui, se per evitare di trattare il tema
inizia il filmato come Un
chant d'amour e lo termina come Ufo
robot. Come minimo, ci fa la figura di quello che non è
capace neppure di narrare per tre minuti di fila senza distrarsi. Come
massimo, sbaglia totalmente il video, com'è accaduto in questo caso.
Proprio perché le belle immagini patinate e i volteggi dei ballerini
riescono inizialmente a dare una certa solennità alla vicenda, il
tonfo del finale ridicolo e abborracciato stride ancora di più con
la parte precedente.
Forse sarà
stato per questo (ipotizzo) che dopo questo video scombiccherato e deludente
Gainsbourg ha creato una seconda versione del clip,
sempre sulla stessa canzone.
Con risultati, questa
seconda volta, decisamente azzeccati.
Nel 1988 il videoclip era ormai completamente
sganciato dalle sue origini di filmatino promozionale di un'Lp, per diventare
sempre più simile a un cortometraggio, sia pure cantato anziché
recitato. Ed era ormai venduto (in videocassetta!) come prodotto autonomo.
Ormai nuovo mezzo di espressione artistica
- sia pure sottoposto alle esigenze molto stringenti del marketing
che lo finanziava - il clip aveva perso l'abitudine di rendere per immagini,
frase per frase, il testo della canzone sottostante, per lanciarsi a raccontare
storie autonome. Queste storie potevano non avere alcun rapporto con il
testo cantato. A volte con risultati penosi (quando il regista faceva violenza
alla canzone) e volte invece con risultati interessanti.
Come nel caso di questo "Domino
dancing" dei Pet shop boys, nel quale le immagini raccontano
una storia che non ha nulla a che vedere col testo (la "danza del domino"
sarebbe una metafora dei rapporti sessuali casuali), che peraltro non parla
in alcun modo d'omosessualità.
Il video racconta infatti la rivalità amorosa fra due bellissimi adolescenti latinos di Portorico, che dal modo che hanno di relazionarsi sembrano amici o fratelli, per una ragazza anche lei bellissima, che da parte sua sembra disposta a farsi corteggiare con equanimità da entrambi.
Ebbene: nonostante il
coming out di Neil Tennant risalga solo al 1994, il duo
nel 1988 aveva già iniziato a flirtare (anche a fini promozionali:
nel marketing l'importante è far parlare di sé!) con la notizia
della possibile omosessualità di uno di loro,
o di tutti e due.
"Domino dancing"
fa però qualcosa di più che flirtare, e prende il toro gay
per le corna, gettandosi in un omoerotismo alla Bruce
Weber che la storiellina eterosessuale che funge da facciata ufficiale
per il clip non riesce assolutamente a celare.
In Rete è difficoltoso trovar oggi traccia di tutto quanto è avvenuto prima degli anni Novanta, e così il dibattito che suscitò questo video (che si svolse su carta, non su Internet) è difficile da documentare, ora. Ma ricordo perfettamente che l'attenzione amorosa (e golosa) dedicata ai corpi dei due ragazzi, fece discutere, specie nella scena finale di lotta (a torso nudo, sulla riva del mare, al rallentatore...) che somiglia più a una schermaglia amorosa o a una danza di corteggiamento che a una rissa fra rivali in amore.
Oggi ovviamente vediamo con occhi diversi
questo video: la nudità maschile è stata ormai sdoganata
dalle riviste e dalle pubblicità di moda, e dopo il Grande
Fratello nessuna tv evita più un torso nudo maschile per la
paura di perdere spettatori.
Resta il fatto che questo clip fu pioniere
nello "sdoganamento" d'una sensibilità e d'un occhio gay nel campo
dei videoclip, e che la sua qualità era tale che a vent'anni di
distanza ne è stata riproposta una
"versione estesa" e rimixata. Quindi, se non lo avete ancora
visto, guardatevelo.
1989 - D'Arby, Terence Trent - "Billy don't fall". Dall'Lp: Neither fish nor flesh.
Questo è un video contraddittorio, ma proprio per questo ancor più significativo dell'epoca in cui fu prodotto.
La colpa è
in parte anche della canzone, che vuol essere una denuncia delle tragedie
che, nell'indifferenza di troppi, stava causando l'epidemia di Aids, esplosa
da non molti anni. Poiché gli attori sono tutti neri (e questo è
anche il primo video d'un cantante nero ad affrontare il tema dell'omosessualità),
è indubbio che questo clip possa vantarsi di aver contribuito
allo sforzo di coscientizzazione della comunità nera (e non solo
di quella).
Ovviamente, però,
a parlare di drammi umani si finisce per fare una canzone drammatica. E
questa lo è...
Billy era un ragazzo solare e positivo, che amava i ragazzi, e non capiva perché lo si prendesse di mira per questo. Ciò lo aveva portato ad appoggiarsi sempre più al suo amico, l'io narrante della canzone, al punto che questi era stato costretto a rivolgergli una preghiera: quella di non innamorarsi di lui, dato che non essendo gay non sarebbe stato in grado di corrisponderlo.
Purtroppo però un giorno Billy si ammalò e
Ma anche senza questa scelta di drammatizzare, sarebbe stata comunque la pregnanza emotiva delle immagini a rendere assai più brutale lo stacco brusco fra le scene di Billy che frequenta il cantante, o che passeggia di notte abbracciato a un altro uomo (ed è aggredito da un gruppo di omofobi!!!) e quelle in cui è in un letto d'ospedale a tossire a morte, o quella conclusiva in cui il cantante passeggia in un cimitero in cui appare il nome di Billy su una croce... Immagini "pesanti", non c'è che dire: molto più delle parole.
Il problema è solo che oggi è più difficile capire d'impulso le motivazioni profonde di quelle scelte artistiche, dato che ormai la drammaticità stessa dell'epidemia causata dall'Hiv è stata in gran parte arginata. All'epoca una diagnosi di sieropositività era quasi sempre una condanna a morte entro pochi anni, oggi invece per fortuna, almeno in Occidente, non lo è più. E quindi l'impatto emotivo d'un video come questo ci risulta ben diverso, rispetto al 1989.
Un fan ha scritto sulla pagina di Youtube di questo video:
Ma farlo sarebbe
un errore, e sarebbe anche un peccato, dato che - sia pure con qualche
contraddizione (buttare in mare uno che t'ha baciato sulla guancia resta
pur sempre un comportamento da babbuino!) - rimane un bel video, scritto
per una bella canzone.
Da guardare.
1989 - Gainsbourg, Serge - "Mon légionnaire" (seconda versione). Dall'Lp: You're under arrest.
Non devo essere stato solo io a trovare demenziale la prima versione del video di "Mon légionnaire" di Serge Gainsbourg, se nel 1989 Henri Legoy ha provveduto a girarne una seconda versione, che ribalta completamente l'impostazione del primo. Vincendo il confronto su tutta la linea.
Perché se
Gainsbourg
s'è divertito a rilanciare, cantandola un prima persona e quindi
rendendola gay, una
canzone d'anteguerra (1936) eterosessuale portata al successo da Edith
Piaf (e quindi ben nota al grande pubblico francese), è chiaro
che una parte del senso dell'operazione stava nello straniamento provocato
dalla trasformazione in senso omosessuale d'una canzone che in origine
non lo era.
"Riportare all'ordine"
la canzone, censurandone l'aspetto omosessuale, significava cancellare
questo straniamento, che in definitiva era il tocco di genio caratteristico
d'un cantante (eterosessualissimo) che per tutta la sua vita è stato
un provocatore nato.
Qui il nostalgico
"bianco e nero" è rimpiazzato dal colore, che ci riporta al presente
e alla realtà.
Il budget,
eliminato il corpo da ballo, s'è ridotto, così come il numero
di personaggi, ma la narrazione ci ha guadagnato in concisione.
Ci sono il cantante,
un bar palesemente gay (i clienti a un certo punto iniziano a ballare fra
loro in modo sensuale), un biondo molto macho in canottiera. E una
fotografia di un soldato della Legione Straniera francese incorniciata,
in mano al cantante, che racconta al biondo il grande amore nutrito per
quel giovane.
L'avventore un po'
lo sta ad ascoltare e un po' lo tiene a distanza, per via delle le sue
esplicite avances.
Ed alla fine, di
fronte all'insistenza con cui il cantante gliela porge, schiaccerà
sotto il tacco la foto del legionario, che inquadrata da vicino si rivela
ritrarre nessun altro se non... Scopritelo voi.
Questo clip dimostra come si possano fare cose gradevoli anche con un budget limitato, se si ha a disposizione (come qui) un testo "forte" e un cantante dotato di personalità, ma soprattutto se non ci si è messi in testa di intonacare e occultare con le proprie immagini i significati giudicati "troppo anticonformisti" del testo.
Nel presente caso
la volontà di creare qualcosa di nettamente diverso dalla
prima versione ha privilegiato una narrazione lineare, senza fronzoli,
basata più sugli sguardi e le inquadrature e i gesti che sulle acrobazie
dei ballerini, o sulle solite macchine da presa che frullano avanti e indietro
per il palcoscenico come palline da ping pong in un tornado, tipiche dei
videoclip.
Nel testo della
canzone c'era una storia, il clip l'ha arricchita senza negarla
o censurarla, e così facendo ha esaltato la canzone e il cantante.
Sicuramente da vedere,
anche da parte di chi è troppo giovane per ricordarsi del "fenomeno
Gainsbourg".
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Per moltissimo tempo
la rappresentazione pubblica dell'omosessualità è stata proibita,
con una sola eccezione: le rappresentazioni comiche, nelle quali l'omosessualità
era oggetto di scherno e derisione.
L'arte del videoclip
è nata quando ormai questa regola era venuta meno, ma di tanto in
tanto capita ancora di trovare qualche ritardatario, come questo
brano hip-hop, o l'orribile "Per
diventare gay" di Mines, (del 2006!).
"Funky cold Medina"
è il nome d'un presunto cocktail afrodisiaco che il cantante (anche
se definirlo così è eccessivo, dato che si limita a rappare)
racconta d'aver scoperto e provato per avere più successo con le
ragazze. Un paio di sorsi, e tutte ti trovano irresistibile.
La canzone è
intenzionalmente comica, dato che alla fine il narratore riuscirà
ad ottenere le attenzioni solo del suo cane, di un transgender, e di una
donna che parla di matrimonio al primissimo incontro...
La descrizione dell'incontro con la transgender nel testo è descritto come segue:
Neppure sul lato delle immagini il video si salva, essendo decisamente povero, limitandosi ad alternare riprese del rapper e messe in scena pedisseque delle situazioni raccontate nel testo.
In conclusione, un clip d'interesse puramente documentario, ma nulla di più.
1990 - lang, k. d. - "So in love". Dall'Lp: AA.VV., Red, hot & blue (1990).
Nel 1990 la
crisi dell'Aids aveva raggiunto il suo picco. La comunità gay
americana era stata letteralmente decimata dall'epidemia, e le autorità
non avevano mostrato il minimo interesse a combattere una malattia che
era tanto cortese da sbarazzarla da froci e tossici.
La comunità
gay provvide quindi a organizzare attività d'assistenza e prevenzione,
a sostegno delle quali furono escogitate innumerevoli raccolte di
fondi.
L'Lp Red, hot & blue fu una di queste iniziative: artisti all'epoca celebri contribuirono esibendosi gratuitamente, uno per canzone, reinterpretando (ognuno col proprio stile) celebri successi del grande canzonettista statunitense Cole Porter, che quasi per caso era anche gay.
Nessuna delle canzoni di Porter ha tema esplicitamente gay, anche se i doppi sensi dei suoi testi sono a volte clamorosi (per esempio la canzone "Blow, Gabriel, blow", che invita l'arcangelo Gabriele a soffiare (to blow) nella sua tromba di gloria, inizia con una frase che in slang significa esattamente: "Succhia, Gabriele, succhia").
Almeno tre video di canzoni tratte da questo Lp hanno scelto di mostrare scene legate alla vita omosessuale: il presente "So in love" della cantante lesbica k. d. lang, "You do something to me" (della cantante bisessuale Sinead O'Connor), e "From this moment on", del cantante gay Jimmy Somerville.
"So
in love" ("Ti amo a tal punto") è
una delle canzoni più belle e celebri di Cole Porter, ed è
stata quindi cantata da un'infinità di artisti.
Questa versione
di k.d. lang si differenzia dalle altre per l'atmosfera un po' melanconica,
che stempera il romanticismo di maniera dei versi.
Le immagini del video ci mostrano infatti la lang nei panni d'una donna che si sta prendendo cura della compagna amata (e che si tratti d'una donna ce lo mostra un vestito femminile steso ad asciugare, che la cantante bacia), attraverso la routine quotidiana di chi deve assistere una persona malata di Aids e non autosufficiente.
Il video mostra la
defatigante routine della persona sulla quale ricade l'intero peso
dell'assistenza domiciliare, alle prese con la necessità di sterilizzare
gli indumenti contaminati da liquidi biologici, potenziali veicoli di contagio.
I guanti indossati
dalla cantante per fare il bucato (che in parte qui viene addirittura bollito
per sterilizzarlo), all'epoca erano sufficienti a comunicare a molti spettatori
la diagnosi della malattia di cui soffriva la persona amata: la "peste
del secolo", l'Aids.
Lang scelse in questo
video di attirare l'attenzione sul fatto che le donne lesbiche, pur essendo
meno colpite di altri gruppi, non erano affatto immuni dal problema, come
troppi pensavano all'epoca.
Ed anche se il video
sceglie di non presentarci nulla di diverso da una sequenza di gesti della
routine casalinga (arricchiti da dettagli, come la sedia speciale
usata per lavare sotto la doccia la persona ammalata, incapace ormai di
reggersi in piedi), il messaggio arriva con potenza grazie al contrasto
con il testo zuccheroso della canzone, che giura "ti amerò fino
a che io morirò".
Anche se tutti sapevamo,
in quel periodo in cui non esistevano ancora i medicinali efficaci
del giorno d'oggi, che la frase significava semmai "ti amerò
fino a che tu morirai".
Un video potente, decisamente "fuori dal coro". Consigliato.
Madonna, con il suo fiuto per le tendenze, nel 1990 seppe intuire prima e meglio d'altri che era ormai possibile glamourizzare la rappresentazione visiva dell'omosessualità anche nel campo ritardatario dei videoclip (le radio stavano ormai aprendo al tema gay: erano le immagini a provocare la massima resistenza).
In questo video di "Justify my love" (patinatissimo, ed apertamente ispirato al linguaggio visivo dei servizi di moda: non a caso il regista era il fotografo di moda Jean-Baptiste Mondino) madame Ciccone ha quindi provveduto ad inserire timidi, veloci ma assolutamente espliciti riferimenti visuali al travestitismo e all'omosessualità, benché il testo non contenesse nulla di allusivo a questo tema.
Certo: due decenni
e centinaia di videoclip a tematica lgbt dopo, le aperture di Madonna al
tema ci appaiono timide timide, e fondamentalmente innocue, tuttavia
questo
video era decisamente "audace" per l'epoca in cui fu prodotto, tanto
da meritarsi il bando da Mtv fino al 2002. (Altre tv si limitarono
invece a programmarlo in orario notturno).
La censura, ovviamente,
non fece altro che mandare alle stelle le vendite delle videocassette
contenenti il filmato: questo è stato in effetti il videoclip su
videocassetta più venduto nella storia di questo tipo di supporto...
(E qui mi si conceda una nota in margine: grazie alla crescita del canale di vendita delle videocassette, da questo momento in poi per un videoclip il bando da Mtv poté considerarsi ormai come il più efficace strumento promozionale - come Madonna aveva capito benissimo. Le etichette più potenti iniziarono quindi a cercare di provocarlo, invece che di evitarlo. Nacque così l'abitudine di produrre due versioni, una integrale da vendere magari con etichette del tipo "FINALMENTE IL VIDEO INTEGRALE BANDITO DA MTV!", l'altra, espurgata, per la normale programmazione televisiva. Come vedremo, nel XXI secolo la Rete avrebbe poi reso possibile il contatto diretto fra artista e pubblico, lanciando attraverso videoclip azzeccati artisti completamente censurati dalle tv).
Il bersaglio del video (e del testo della canzone) è la bigotteria morale, che pretende d'avere il diritto di chiedere a chicchessia di "giustificare il proprio amore". Questa bigotteria è soprattutto religiosa, come ribadiscono i crocifissi che ricorrono nelle immagini, ma anche la frase dal tono di sentenziosità biblica che conclude il video:
Se oggi il filmato
appare piuttosto scontato (escludendo comunque la cura formale, che è
straordinaria anche per gli standard odierni) è solo perché
esso si colloca all'inizio d'un movimento di radicalizzazione del linguaggio
dei video musicali che nel frattempo è giunto a pieno compimento.
Madonna ebbe
un ruolo non piccolo in questo cambiamento, perché seppe individuare
il giusto confine fra lo scandalo coltivato ad arte per solleticare i pruriti
del pubblico, e l'oltraggiosità eccessiva.
1990 - Madonna - "Vogue". Single. Poi nell'LP: I'm breathless.
Madonna è sempre stata un'antenna ricevitrice sintonizzata su tutto quanto fosse nuovo in fatto di mode e tendenze, capace di farlo suo e rilanciarlo con perfetto tempismo e comunque sempre un attimo prima delle sue rivali.
Nei suoi vagabondaggi notturni per New York, alla ricerca di trend e tendenze, la sua strada ha incrociato un giorno quella del vogueing, un fenomeno nato nella sottocultura dei gay non-bianchi, specie neri e ispanici. Da questo incontro sono nati questa canzone e questo video, intitolati "Vogue".
A voler essere pignoli non è corretto parlare genericamente di "gay", dato che il fenomeno nacque in uno spicchio ben preciso della realtà omosessuale, cioè il settore di quelle che noi in Italia definiremmo le "dolcegabbanate" o le "checche Armani", ovvero le "sfrante" che vivono in funzione della moda, e che hanno per unico sogno entrare a far parte di quel mondo, fosse pure solo come commesse da H&M.
Alcuni gruppi di
queste persone avevano preso l'abitudine di ritrovarsi per celebrare assieme
il rito della sfilata di moda, un sogno dal quale erano destinate a rimanere
escluse per sempre per il colore della loro pelle (i fotomodellazzi americani,
se ci fate caso, sono quasi tutti bianchi, e preferibilmente biondi e con
occhi azzurri, nonostante i "non-bianchi" stiano
ormai per diventare la maggioranza della popolazione statunitense).
Si dividevano in
gruppi che portavano il nome di celebri case di moda, denominati
"houses" (parola che in inglese sta per "casa di moda", ma anche
per "casata nobiliare") e si sfidavano in gare di portamento
e posa (per questo Madonna nella canzone continua a ripetere "strike
a pose", "mettiti in posa").
La musica accompagnava le esibizioni (come del resto accade nella "vera" passerella), e quindi arricchire con gesti di danza l'esibizione fu del tutto naturale.
Questo insieme d'atteggiamenti e danza fu battezzato per l'appunto "vogueing" ("vogue" al presente indicativo e all'imperativo, come nel titolo della canzone) prendendo il nome dalla celeberrima rivista di moda "Vogue".
In
questo video l'omaggio s'estende ulteriormente alla stessa rivista
"Vogue" e ai fotografi dei suoi mitici "anni d'oro" (quelli a cavallo del
secondo conflitto mondiale: i quadri della pittrice lesbica Tamara
de Lempicka esibiti nel clip "datano" con più precisione
agli anni Trenta), in particolare il fotografo gay Horst
P. Horst.
Il filmato, girato
in un elegante bianco e nero, è infatti una specie di gigantesco
"omaggio a", nel
quale una posa su due ripete quella di qualche grande fotografo di moda
e di celebrità hollywoodiane di quel periodo (in particolare
l'attrice bisessuale Marlene
Dietrich). Madonna canta addirittura, a un certo punto, un elenco
di nomi di celebrità che si sono meritate d'assurgere al ruolo d'icone
per il fatto di avere "stile e grazia" (per puro caso, tutte gay/lesbiche,
o "icone gay").
In questo video, cantato e ballato splendidamente da una Madonna al massimo della forma, appaiono anche alcuni ballerini selezionati dalla divina in persona sulle passerelle del vogueing, che si esibiscono nelle loro tipiche pose, e passi di danza.
E come ci insegnano i grandi stilisti, la differenza tra l'avere "stile e grazia" e il non averne, sta tutta nei dettagli. Per esempio, questo.
1990 - O'Connor, Sinead - "You do something to me" - Dall'Lp: AA.VV., Red, hot & blue.
Anche questo video, come il precedente "So in love", deriva dall'Lp: Red , hot & blue.
La cantante irlandese
ed eterosessuale (o per meglio dire, ondeggiantemente
bisex) Sinead O'Connor rinuncia qui ai capelli rasati, che avevano
reso celebre il suo look, e indossa una parrucca platinata per interpretare
la cantante d'un locale da ballo degli anni Trenta.
In questo modo ci
riporta idealmente ai tempi dei primi successi musicali di Cole
Porter, autore della canzone.
Il titolo del filmato,
"Le bal de Magic city", in francese, ci aiuta a collocare nello spazio
il locale da ballo: a Parigi, città in cui esattamente in quel giro
d'anni Brassai
scattò una
serie di fotografie di clienti di locali per omosessuali e lesbiche,
che restano una delle poche testimonianze della vita gay di quegli anni.
La scenografia del
video richiama con prepotenza quelle immagini, delle quali potrebbe anzi
essere considerato una specie di "messa in scena" cinematografica. Ciò
avviene nonostante il fatto che il testo della canzone non offra alcuno
spunto di lettura in chiave gay, limitandosi a dire che "tu mi
provochi qualcosa / che nessun altro riesce a provocare".
Nel video danzano abbracciate diverse coppie di persone dello stesso sesso in costume carnevalesco (e vola anche qualche coriandolo), un paio di marinaretti (non si sa se veri o solo in costume), una signora bianca con un partner nero, coppie di donne, qualche coppia etero, e per buona misura un travestito o due.
Dopo aver ricostruito (in modo alquanto idealizzato, a dire il vero) la realtà gay dell'epoca di Porter, nella conclusione il filmato ci riporta bruscamente alla drammatica realtà gay del 1990, con un'immagine della O'Connor mentre partecipa ad una veglia a lume di candela (come quelle organizzate all'epoca per ricordare le vittime dell'epidemia) e due celeberrimi slogan di "Act up!", la più vivace associazione di azione politica anti-Aids di quegli anni: "SILENZIO = MORTE", e "AZIONE = VITA".
Ciò detto, la canzone è romantica e bella, la O'Connor è brava, il filmato è curato... dunque uno sguardo a questo video bisogna senz'altro darla, prima o poi.
1990 - Pet Shop Boys - "Being boring". Dall'Lp: Behaviour.
Nel periodo in cui
la televisione restava l'ultimo dei grandi media di massa a resistere
all'arrivo della tematica omosessuale nel dibattito, su questo argomento
le riviste di moda, per il loro carattere elitario, avevano nel frattempo
potuto evolvere, quasi inosservate, un approccio originale.
Un approccio che
riusciva a conciliare l'interesse per la bellezza maschile (che
tanto appello ha sul numeroso pubblico gay che segue - e popola - questo
mondo) con la necessità di non terrorizzare la maggioranza eterosessuale
mostrando apertamente il babau, cioè i froci. Questo mondo alludeva,
faceva l'occhiolino, insinuava, richiamava, in un gioco teatrale senza
fine in cui l'omoerotismo era sempre più presente, e lo era sempre
più sfacciatamente, però sempre dietro alibi tanto risibili
quanto rispettati in modo ferreo. L'omosessualità restava (e in
gran parte resta) innominabile e tabù, ma in attesa di sdoganare
lei si poteva iniziare a sdoganare la bellezza dei giovani manzi ignudi,
rendendola socialmente accettabile, rendendola "glamorous", rendendo
accettabile l'idea che anche i maschi (etero!) potessero esibire i loro
corpi nudi e andarne fieri. E lo si fece.
Quest'evoluzione
era stata resa possibile dall'opera d'un gruppo di fotografi di genio,
del quale faceva parte Bruce
Weber, che avevano inventato un linguaggio, un immaginario, un
approccio alla bellezza maschile, che da un lato strizzava l'occhio all'immaginario
erotico gay, e dall'altro non perdeva mai di vista il fatto che la foto
di moda è un'ancella del marketing, e deve sempre affascinare
i potenziali clienti, e mai spaventarli.
Arruolare questa
pattuglia d'innovatori per la realizzazione d'un prodotto destinato anch'esso
al marketing, qual è il videoclip, era quindi una mossa del
tutto naturale: tant'è che oggi non si contano più ormai
i fotografi di moda che girano videoclip.
La scelta dei Pet
Shop Boys d'affidare proprio a Bruce Weber la realizzazione di tre loro
video, in quel periodo, si rivelò una mossa tempestiva e azzeccata.
Va aggiunto che
il duo inglese dimostrò una notevole pazienza di fronte al
capriccio egolatrico del fotografo, accettando di fare uscire i clip con
la buffonesca dicitura: "Un film di Bruce Weber. Musica dei Pet Shop
Boys", come se la canzone da promuovere fosse in realtà la colonna
sonora d'un cortometraggio. Ovviamente oggi dell'ego smisurato di
Weber (che graziosamente "dedica" ai Pet Shop Boys il clip) non si cura
nessuno, quaggiù nel mondo reale, e tutti considerano (ovviamente)
questi filmati come i clip delle canzoni dei Pet shop boys, e non il contrario.
Il risultato finale
è comunque valso la pazienza. Questo
"Being boring", nato dalla collaborazione fra Weber e i Pet Shop Boys,
si rivela infatti d'enorme impatto visivo, qualificandosi come uno
dei più riusciti e convincenti tentativi dell'epoca di sdoganare
il tema dell'erotismo (che dopo tutto è IL tema delle parole
delle canzonette) oltre la barriera delle censure delle tv. Elegante, mai
volgare, ma al tempo stesso molto erotico, era l'esatta mistura fra l'Arte
(necessaria come alibi per aggirare la censura) e l'Eros (necessario
per attirare l'attenzione del gentile pubblico e incentivare gli acquisti).
.
Non si trattava d'un accidente, ma del risultato d'una strategia deliberata, come dimostrano il precedente di "Domino dancing", nonché i loro video successivi, anch'essi a sensibilità omoerotica. Una volta è un caso, quattro, una precisa strategia. Che inffatti sarebbe stata completata, nel 1994, dal coming out di Neil Tennant.
Non ho trovato dati
sulle intenzioni con cui questo video fu prodotto, ma direi che sia sufficiente
guardarlo per capire come chi lo ha creato abbia voluto inserirvi un filo
rosso omoerotico, grazie alla continua delibazione della bellezza maschile
(a scapito di quella femminile).
Addirittura, il
filmato s'apre con un modello muscoloso e completamente nudo
(anche se di spalle) che salta su un trampolino elastico accanto a una
piscina (di super-lusso).
Sia chiaro: per l'intero
video non esiste la minima interazione fra persone che faccia pensare anche
lontanamente all'omosessualità: tutti i baci e le strusciate sono
rigorosamente fra maschi e femmine. E questo fu l'indispensabile lasciapassare
con cui questo video omoerotico si presentò (con successo) per l'ammissione
al mondo - dominato dall'eterosessismo e dal puritanesimo - delle tv.
Neppure il
testo contiene allusioni che possano essere lette in senso omosessuale,
anzi nomina espressamente una "lei"..
L'omoerotismo indiscutibile di questo filmato risiede quindi interamente nel taglio delle immagini, a iniziare dalla scelta di presentare molti fotomodelli (maschi) bellissimi in vari stati di svestizione, mentre la vista delle loro partner svestite è sempre ostacolata o dai corpi dei loro partner, o da schiuma da bagno, o da accidenti vari. In altre parole: ogni volta che appare una coppia eterosessuale impegnata nella propagazione della specie umana, l'obiettivo del regista si fionda sempre a colpo sicuro sul maschietto. E che maschietti!
Decisamente esagerata l'ambientazione sardanapalesca come accompagnamento delle parole (che si limitano al luogo comune del quanto fosse bella e spensierata la vita da giovani, e quanto fossero belle e mai noiose le feste a cui si andava allora), però la scelta d'esagerare qui è deliberata. Dopo tutto "Meglio il lusso che niente!" è lo slogan che muove tutta la moda...
Nell'insieme, la
cura formale estrema di Weber (che si diverte anche a citare in più
punti artisti e fotografi del XX secolo, facendo così del filmato
anche un piccolo quiz di storia della cultura dell'immagine) ha dato un
ottimo risultato. Che è, come detto, di grande impatto, e lo era
ancora più nel 1990, quando la visione del nudo maschile non era
ancora inflazionata quanto lo è oggi.
Ciononostante
la filosofia che sta alla base del filmato (l'importante nella vita è
essere giovani, belli, scopare, e non pensare a nulla) lo ha invecchiato
parecchio, perché lo data a colpo sicuro agli anni pre-crisi della
"New York da bere". Oggi che la realtà (quella dei "mutui sub-prime"
e dei fotomodelli che per campare arrotondano come escort) ha battuto
una volta di più i pugni sul tavolo della "favola bella" del mondo
della moda, questa mandria di manzi vitaminizzati che frullano e si rotolano
nell'appartamento appare fatua, sciocca, persa nel nulla.
Il video appare
quindi esteriormente patinato e bello, ma privo di sostanza. Non vi
succede nulla, e i manzi che lo popolano non hanno nulla da dire se
non che sono belli e scopabili, e nulla da far succedere se non camminare
come in passerella per far trasudare la loro bonaggine, e magari concedersi
per la scopata di turno.
Sì, càpperi,
Mr Weber, sono tutti davvero bonissimi... e quindi?
No, la Moda non salverà
il mondo, come implica questo filmato. Anzi, sarà già tanto
se il mondo permetterà alla Moda di salvare se stessa...
Però, nell'attesa
di sapere come finirà, noi ci godiamo questa gradevole canzone dei
Pet Shop Boys, ed il video che l'accompagna.
1990 - Somerville, Jimmy - "From this moment on". Dall'Lp: AA.VV., Red, hot & blue.
Anche questo video, come i precedenti "So in love" e "You do something to me", deriva dall'Lp: Red, hot & blue.
E questo è
anche, paradossalmente, il primo ed unico clip in cui il cantante
gay militante Jimmy Somerville arriva infine a rappresentare in
immagini l'amore omosessuale.
Dico "paradossalmente"
perché, dopo aver cantato per anni canzoni con testi gay che non
hanno mai dato vita a un videoclip con immagini gay, qui si arriva infine
al traguardo con un testo che in origine non era affatto connotato
in senso omosessuale (i versi si limitano a inanellare romanticherie melense
come: "Da questo momento in poi, non ci saranno più canzoni tristi",
ma senza svelare il sesso della persona amata). Si tratta della canzone
del 1951 del compositore Cole
Porter: "From this moment on" ("Da questo momento in poi").
Questo video arrivò
nel momento del massimo successo della carriera solistica di Somerville,
quando era già iniziato il declino che lo avrebbe fatto quasi dimenticare
negli anni successivi.
Non conosco i retroscena
che permisero a Somerville di mostrare infine immagini relative alla tematica
gay in questo video. Forse fu la tematica dell'Aids a rendere più
"socialmente accettabile" l'innovazione, o forse fu Somerville stesso a
ribellarsi infine alla censura che la sua casa discografica gli aveva imposto
fino a quel momento (col risultato che nessuno dei reticenti video
di Somerville su testo gay può essere definito "memorabile").
Questo clip
inizia con una domanda: "Quale pulsione ci salverà ora che il
sesso non lo farà più?".
Prosegue alternando
il volto del cantante, quello d'un bel giovane che parrebbe sognare, o
riflettere su qualcosa di doloroso, e due ballerini (uno bianco ed uno
nero) che a torso nudo si abbracciano e amoreggiano.
Dopo un po' un primo
piano ci permette di osservare come il ballerino bianco abbia il volto
scavato di chi aveva l'Aids conclamato in quegli anni in cui non esistevano
ancora le attuali triterapie.
Tant'è vero che il video stesso si conclude con un appello a finanziare
la ricerca d'una terapia: sullo sfondo d'una pioggia di dollari campeggia
infatti la scritta: "Trovate una cura!".
In questo modo il
messaggio assume due volti: da un lato riafferma quanto sia bello e importante
l'amore, ma dall'altro ricorda quanto esso sia fragile e impotente di fronte
a un evento disastroso come l'Aids.
Purtroppo il regista non ha saputo osare, affidando l'intero messaggio alla coppia di ballerini-amanti, come sarebbe stato possibile, e ha ritenuto necessario inzepparci lambiccate immagini didascalico-allegoriche (il giovane malinconico con la rosa in mano, il finto cielo stellato, il giovane coronato di spine, il giovane che lacrima, il giovane che sfascia con un pugno un manichino maschile...) che hanno solo appesantito la visione, rendendola cerebrale senza aggiungere nessun contenuto -- a mio parere.
Nonostante si sia
perso in questo modo l'occasione di fare di questo clip uno di quelli "memorabili"
negli anni, resta il fatto che "From this moment on" si colloca
comunque fra i più convincenti video a tematica gay di quel periodo
e soprattutto fra quelli interpretati da Somerville.
Eppure questa canzone
e questo video sono relativamente (e immeritatamente) sconosciuti: forse
perché usciti troppo tardi per incidere sull'immagine ormai consolidata
di Somerville, o sul suo declino ormai già iniziato.
Soppesati i pro e i contro, comunque, io personalmente consiglierei la visione di questo bel videoclip, che a mio parere è stato trascurato ingiustamente.
Girato dallo stesso regista e nello stesso anno di "From this moment on", dedicato allo stesso tema (l'Aids), questo secondo video differisce dal primo come il giorno dalla notte.
Una volta di più
il problema è quello che ha sempre afflitto (e silurato)
tutti i videoclip di Somerville: la reticenza sul tema gay, che
arriva fino alla vera e propria censura.
Che senso ha infatti,
per una canzone relativa alla lotta contro l'Aids, un video costruito interamente
su una sequenza di volti che non mostra mai, neppure per caso, il volto
d'una persona o coppia riconoscibile come gay, ossia come parte della comunità
che in quegli anni era una delle più duramente colpite dall'Aids
in Occidente?
Che senso ha, soprattutto,
costruire questo video come una sorta di lungo "spot" pubblicitario per
Act Up!, l'organizzazione politica
animata soprattutto da persone omosessuali, il cui slogan era "SILENZIO
= MORTE", se poi non si osa mai dire in tutto il video di quale "silenzio"
si stia parlando?
Certo, le parole della canzone non sono particolarmente ispirate, anzi scadono a tratti nel didascalico-propagandistico:
Concludendo. Benché
questa canzone costituisca un'importante testimonianza d'un certo momento
storico e soprattutto d'una battaglia che alla fine è stata almeno
in parte vinta, a me non pare che il video sia riuscito minimamente a catturare
lo spirito al tempo stesso tragico e galvanizzato di quel periodo.
Peccato.
1991 - Almond, Marc - "Tainted love '91". [Single].
Questa cover del 1991 d'una canzone incisa per la prima volta nel 1965 da Gloria Jones è a sua volta una riproposizione della versione già pubblicata dai "Soft cell" nel 1981 nell'Lp Non-stop erotic cabaret.
Il testo non
contiene il minimo cenno all'omosessualità, e neppure nell'incisione
del 1981 appare nulla che autorizzi una lettura in tal senso.
Si tratta solo del
lamento per un amore ormai "contaminato" che non dà più nulla
all'io narrante, costretto a fuggire da quella che è diventata ormai
un'ossessione che non permette più neppure di dormire la notte:
Una volta correvo da teLa chiave di lettura gay arriva solo con questo video, creato per la nuova versione cantata nel 1991 da Marc Almond (già cantante dei Soft cell).
adesso fuggo da te,
[da] questo amore contaminato che hai dato;
ti ho dato tutto quello che un ragazzo ti poteva dare...
Il volto di Almond
interagisce col ragazzo mentre canta del suo amore infelice. Quale rapporto
c'è fra il cantante e il protagonista del video? Ad una prima occhiata,
il ragazzo è la persona a cui Almond sta rinfacciando il comportamento
crudele. Ed è ovviamente questa la lettura che preferirà
lo spettatore gay.
Poi però
si vede che il ragazzo recita alcune frasi della canzone (ad esempio, quando
Almond dice "prenderò le mie cose e me ne andrò",
l'attore fa esattamente questo), quindi lo spettatore eterosessuale è
autorizzato a vedere l'attore come la vittima dell'amore contaminato
verso una figura dal sesso non specificato, ma "certamente" femminile (per
gli eterosessuali l'amore può essere solo eterosessuale).
Ma il video (peraltro
piuttosto povero e "tirato via" alla garibaldina) è tutta una strizzata
d'occhi a una lettura più gay che etero.
Per i più
malfidenti, a dimostrazione del fatto che Almond intendeva dare un'ottica
gay a questo video, c'è
su Youtube la sua reinterpretazione dal vivo, nel 2006, con tanto di
ballerino leather seminudo col sedere al vento che danza alle sue
spalle... Vedere per credere.
Tocca a un clip francese
l'onore di prendere atto, nel 1991, del fatto che l'omosessualità
è ormai diventata un tema di cui si può discutere senza necessariamente
cercare uno scandalo (meglio se pubblicitario), ma semplicemente per il
fatto che esiste.
Questa "Piazza dei
Grandi" non ha nulla, nel testo,
che richiami a una tematica omosessuale. Racconta infatti semplicemente
dei timori, dei ricordi, dei pensieri che vengono i mente di fronte a un
appuntamento molto singolare: quello che un gruppo di compagni di scuola
ventenni s'era dato, da lì a dieci anni, "stessa piazza, stessa
data, stessa ora".
Ora la data è
arrivata, e si tratta di toccare con mano cosa ciascuno di loro sia diventato
o diventata.
Le immagini seguono con una certa libertà i suggerimenti del testo, mostrandoci diversi individui che si preparano all'appuntamento, e che poi si ritrovano effettivamente nella piazza e infine vanno asseme a cena.
Fra loro c'è anche un uomo, mostrato addormentato nel suo letto, che si sveglia per rispondere a una telefonata, e rimesso giù il telefono si volta verso la persona che dorme accanto a lui... che è un altro giovane uomo. Si tratta di pochi secondi soltanto, ma caratterizzano meglio di ogni altro discorso il senso di quanto le scelte di ciascuno di noi possano portarlo in direzioni divergenti, e inattese, rispetto al passato.
Il regista cerca anche di caratterizzare il personaggio gay attribuendogli qualche gesto di reticenza e incertezza mentre si reca, in taxi e da solo, all'appuntamento, ma alla fine la sua situazione personale non sembrerà aver inciso sulla riuscita della rimpatriata, che viene commentata nelle frasi finali dal cantante con la considerazione che ciascuno di loro era diventato a modo suo, alla fine, "un Grande essere umano".
1991 - Gay, Dario - "Sorelle d'Italia". Dall'Lp: Nonsoloamore.
Ben sedici anni dopo il primo filmato citato in questa pagina (!), arriva finalmente il primo clip italiano che affronti la tematica lgbt. Anzi, ad essere precisi, la tematica "t" e basta, dato che per i "g", i "b" e le "l" occorrerà aspettare altri anni ancora, e perfino i "t" appaiono qui solo nell'aspetto più eclatante e discutibile: la prostituzione di strada.
Il cantante è Dario Gay (il cognome è vero, e si legge "gai": la casa discografica, inorridita dalla coincidenza, pretese allora che lo si scrivesse "Dario Gai"), che anni dopo avrebbe fatto coming out e avrebbe scritto canzoni esplicitamente gay come "Le nuvole" o "Ti sposerò".
"Sorelle d'Italia" è una specie d'apologia dei transessuali che sostano ai lati delle strade per la gioia dei "camionisti d'Italia" (affermazione che provocò una querela da parte dell'Associazione Autotrasportatori!):
Evviva le signoreQuesta canzone fu presentata al festival di Sanremo del 1991 ed ottenne pure un buon successo.
le ultime regine
che sono veramente le signore
e ci fanno l'amore!
Vogliamo le signore,
le loro voci scure
divine, indistruttibili, un po' amare,
e ci sanno scaldare!
(...)
sempre sole - e fa male -
sul viale.
Osservando oggi questo video si ha quasi l'impressione che si tratti d'un esperimento con questo strano e "nuovo" strumento di comunicazione e promozione, fatto senza la minima convinzione (basti vedere le comparse che si distraggono e chiacchierano fra loro nella scena finale mentre ballano alle spalle del cantante!). Il linguaggio del filmato deve infatti molto più a quello del reportage televisivo che a quello del clip musicale, come se il regista non avesse ancora ben chiaro dove andare a parare, o semplicemente non avesse molta familiarità con quanto era già stato prodotto all'estero in questo campo.
Per questi motivi, nonostante la canzone sia spiritosa (con qualche piccolo tocco di sarcasmo) e si ascolti ancor oggi con piacere, direi che il video che l'accompagna non abbia conservato un interesse che non sia quello di documento storico del 1991.
Un altro video di Jimmy Somerville, e un'ennesima
occasione mancata. Forse perché il regista è, ancora
una volta recidivo, lo stesso dei video precedenti, Steve MacLean.
Che "qualcosa" fosse cambiato nel mondo
dei videoclip (che so, tanto per non far nomi, con Madonna...)
il regista l'ha vagamente percepito. Ma la censura era ormai una sua seconda
natura, e anche a sforzarsi, ormai non riusciva più ad essere né
tradizionale, né audace.
Questo video, creato per una cover di una canzone incisa in origine nel 1985, è stato prodotto al risparmio, piazzando un gruppetto di fotomodelli d'ambi i sessi e qualche gogoboy in un ambiente discotecaro, dove Somerville canta e i ragazzi ballano e flirtano.
Tra i flirt ce n'è uno fra
due ragazze, che viene mostrato con sufficiente frequenza da permetterci
di notarlo.
C'è anche qualche breve scena di
due maschi che ballano insieme (in un caso con lo stesso Somerville), ma
senza toccarsi, e un cameo rapidissimo in cui un ragazzo carezza
il braccio d'un altro.
Ebbene, cosa vuol dire tutto questo? Che
messaggio ci dà?
Direi nessuno.
Il video si segnala in effetti per il
tentativo di stare alla larga da qualsiasi messaggio, politico o d'altro
tipo, dopo la sbornia di messaggi politici sperimentata da Somerville
negli anni precedenti.
Ora, può forse darsi che Somerville
abbia esagerato con il messaggio politico negli anni precedenti, ma esiste
una misura in tutto, e passare dal troppo al nulla, non ha molto senso.
Un ennesimo video immeritevole di memoria...
1992 - Erasure - "Take a chance on me". Dall'Lp: ABBA-esque.
Più che d'un
video gay qui sarebbe opportuno parlare d'una semplice boutade visuale
che strizza l'occhio al mercato gay, proponendo una cover in salsa
elettronica d'una canzone degli Abba
(uno dei complessi più amati dal mercato gay d'allora, e purtroppo
anche d'oggi).
Il quartetto svedese
viene infatti qui riproposto da una versione raddoppiata del duo Erasure,
che interpreta le parti spettanti alle due componenti femminili degli Abba
indossando un travestimento femminile alquanto sgargiante.
Ciò manda
un'ulteriore strizzata d'occhio al mercato gay, in quanto era notorio che
uno dei due componenti degli Erasure, Andy
Bell, è gay dichiarato.
Nell'interpretazione
non c'è nulla che si spinga più in là di così.
Certo, nel 1992
il travestitismo maschile a fini non comici non era ancora considerato
tanto banale quanto lo è oggi, quindi una boutade come questa
aveva ancora qualche speranza di farsi notare e di suscitare qualche chiacchiera
(sempre utile, ai fini promozionali). Ma i due componenti fanno molta attenzione
a non spingersi mai oltre la goliardata carnevalesca, evitando qualsiasi
sottotono erotico, o comunque allusivo.
In questo modo la
presenza di due uomini in abiti maschili rientra nel travestimento, e non
nel travestitismo.
Per tali motivi questo video riveste oggi (2011) interesse unicamente come documento storico, non avendo da dirci nulla che nel 2011 non sia stato ampiamente già visto e rivisto.
1992 - Madonna - "Deeper and deeper". Dall'Lp: Erotica.
Ambientato in una New York warholesca degli anni Settanta, con numerose allusioni alla Factory di Warhol e ai suoi personaggi (alcuni dei quali prendono parte al video), questo clip utilizza una volta di più qualche bacio lesbico per impepare la pietanza. Che ad essere sinceri è un motivetto disco privo di meriti che vadano oltre l'orecchiabilità (e il genio promozionale di Madonna, che nonostante tutto riuscì a fargli scalare le classifiche).
L'omosessualità non ha alcun ruolo nello svolgimento del video, ed è semplicemente funzionale al mantenimento dell'immagine "chiacchierata" su cui Madonna ha basato il proprio successo. Tant'è vero che baci e strusciamenti lesbici di Madonna in persona appariranno nell'esecuzione dal vivo di "Why is it so hard" del "Girlie Show 1993".
Non si può peraltro negare a Madonna il merito di aver "sdoganato" le immagini omosessuali nei videoclip, banalizzandole con il vero e proprio abuso che ne ha fatto pur di far (s)parlare di sé.
Per quanto banali
siano canzoni come questa, con la sua fama Madonna spostò un pochino
in avanti la frontiera di quel che era possibile fare e mostrare in un
clip.
Altri l'avevano
in realtà preceduta su questa strada, ma nessuno aveva ancora ottenuto
un tale successo mondiale, mostrando tale immagini a così tante
persone.
1992 - Madonna - "Erotica". Dall'Lp: Erotica.
Nel 1992 Madonna aveva perfettamente rodato l'uso dello scandalo a base sessuale per fare promozione alle sue canzoni, e questo videoclip sembra confezionato (fin dal titolo) con l'espressa intenzione di farsi "bannare" da Mtv, cosa che puntualmente avvenne, e che puntualmente lo rese oggetto di curiosità e interesse.
In realtà,
quanto ad erotismo, il video (girato in un elegante bianco e nero spesso
virato, mutuato agli spot di moda) offre molto meno di ciò che promette
il titolo. C'è una spropositata esibizione di simboli e feticci
sessuali (bondage, leather, fetish e compagnia cantante),
e poi frustini, abitini, lingerie, mascherine eccetera eccetera.
Cosa manca? Giusto
l'erotismo, se si toglie un gruppetto di fotomodelli e fotomodelle che
danza in abiti succinti, ed un paio di baci lesbici fra Madonna e l'attrice
Isabella
Rossellini (molto
casto, sulla guancia) e fra Madonna e la top model nera Naomi
Campbell (della serie: "Qui non badiamo a spese").
Sia chiaro, nel 1992 le immagini di Madonna che frulla la lingua in bocca a Naomi Campbell erano ancora piuttosto "disturbanti" per escludere che questo potesse essere considerato un video per educande. Però i baci lesbici hanno sempre funzionato come "attizza-maschi" eterosessuali, e la vorace eterosessualità di Madonna (che in questo video ha inserito il suo fidanzato del momento, lo scultoreo fotomodello Tony Ward) portava lo spettatore ad escludere in partenza che questi baci potessero essere altro che ciò: un gioco per attizzare i maschi etero. Cosa da sempre accettata e praticata dalla società eterosessuale (il "lesbo-chic" non l'ho inventato io...).
Di questo video si salva, a distanza d'anni, l'esasperata cura formale con cui è stato girato, che lo rende tuttora meritevole di visione. Ma quanto ad erotismo, o scandalo, non credo riuscirebbe ormai a fare alzare il sopracciglio a chiunque abbia visto più di tre videoclip recenti in vita sua.
1992 - Mecano - "El fallo positivo". Dall'Lp: Aidalai
È un video difficile, questo, per via del tema che ha scelto: l'Aids. Un tema che, ieri come oggi, espone ai rischi gemelli della retorica e della superficialità, entrambi inopportuni.
Non dirò che questo gruppo spagnolo sia riuscito nell'intento di evitare entrambi, perché la sua soluzione (affidarsi alla poesia e al "detto a metà", a costo d'essere ermetici) schiva un pericolo al prezzo di cadere in un altro: l'ermetismo appunto, come nei versi del testo, che a tratti si fatica a capire a cosa alludano. O come nelle immagini, gremite di simboli e metafore al punto da risultare francamente oscure.
L'intenzione era
qui, è chiaro, evitare d'essere troppo brutalmente diretti, o troppo
patetici, ed era una buon intenzione
Ma il risultato
non è stato, purtroppo, all'altezza delle intenzioni. Il video risulta
infatti complessivamente caotico e farraginoso, troppo zeppo di simboli
e allusioni per niente facili da dipanare.
Sia chiaro: la cantante
è bravissima, e la canzone è bella, quindi la visione del
video risulta decisamente gradevole.
Ed il testo in sé
riesce, pur nella sua oscurità, nell'intento di non essere né
patetico né superficiale:
L'esito positivo annunciò
che il virus che naviga nell'amore
avanza a vele sciolte,
sgominando le difese nelle tue vene.
Mi hai proibito ogni passione
senza darmi alcun tipo di ragione...
Anche la scena finale,
una "Pietà" d'un uomo che per raggiungere l'amato sieropositivo
sfonda le barriere che costui ha costruito sulla porta per isolarsi dal
mondo, è meno retorica a vedersi di quanto non appaia a raccontarsi.
Tuttavia il risultato
complessivo risulta inadeguato allo sforzo (di sceneggiatura, montaggio,
regia) profuso. Peccato.
Eppure in casi difficili e scottanti come quello di questa canzone nel giudizio finale conta anche l'intenzione, che è ottima. Meglio infatti eccedere in rispetto e delicatezza d'intenti che in grossolanità e faciloneria.
Penso quindi in conclusione che la visione di questo clip sia comunque interessante, non fosse altro che per le doti canore della solista, dalla voce limpida, potente e perfettamente intonata.
1993 - Dion, Céline - "Ziggy (Un garçon pas comme les autres)". Dall'Lp: Dion chante Plamondon.
Non è possibile
dar torto al personaggio della fag
hag (frociarola) protagonista di questa canzone, dopo aver
visto questo video.
L'io narrante, una
donna eterosessuale che ha un gay come migliore amico, ha infatti messo
gli occhi su un fotomodellazzo biondo dal viso d'angelo e dal corpo di
diavolaccio. E davvero, chi di noi non lo concupirebbe, al posto suo, andandolo
a prendere dopo una delle mille attività sportive che pratica?
Purtroppo, dopo
aver raccontato del proprio amore, la cantante ammette: "sì,
lo so che ama i ragazzi, / dovrei farmene una ragione / cercare di dimenticare"...
Ma all'amore non si comanda... anche quando si sa che "lui non mi amerà
mai".
Questa splendida
interpretazione, cantata con voce limpida e con malinconico trasporto,
è una cover d'un brano cantato
in origine da Fabienne Thibeault nel musical Starmania
addirittura nel 1978.
Questa versione
della cantante franco-canadese Céline Dion, toccante ed elegantissima,
ebbe un enorme successo di pubblico in tutto il mondo (esiste anche una
versione in inglese sia della canzone che del videoclip) nonostante il
tema "scabroso".
Diventato un piccolo
"classico", questo brano è tuttora in circolazione e continua a
piacere.
Certo, il video colloca
questa delicata storia d'amore impossibile in un contesto totalmente diverso
da quello del testo. Ascoltando le parole, infatti, è chiaro che
l'io narrante è "pazza" di Ziggy perché è "un
ragazzo diverso dagli altri", e sono le sue doti morali ad attrarla,
non quelle fisiche, alle quali non si fa alcun cenno.
Il primo incontro
è avvenuto una notte in cui era sola ed aveva bisogno di parlare
a qualcuno, e Ziggy ha saputo capirla, ascoltarla ("ci siamo raccontati
le nostre vite / abbiamo riso, abbiamo pianto") e tirarle su il morale.
Da qui l'innamoramento, a cui contribuisce il fatto che i due escono assieme
tutte le sere, andando a ballare in locali "molto, molto gai" (dove
Ziggy "ha un sacco d'amici").
Ebbene, mentre il
testo del 1978, cedendo a uno stereotipo diffuso in quegli anni (quello
del gay "sensibile") punta sul lato emozionale di Ziggy (che
lavora in un negozio di dischi e "nella sua testa ha solo la musica"),
il video del 1993 registra il cambiamento di stereotipo avvenuto negli
anni precedenti. Il gay è qui infatti solo il ragazzo mediamente
più bello degli altri (perché prima dei suoi coetanei eterosessuali
aveva iniziato a frequentare palestre e a farsi venire i muscoli) ed è
il suo aspetto fisico, non quello emotivo, ad emergere con prepotenza
dal filmato.
Certo, in un film
è ben difficile mostrare per immagini il lato emotivo d'un
personaggio, però anche concedendo questa attenuante al regista,
resta il fatto che egli ha intenzionalmente deviato il fulcro dell'attenzione.
Nel filmato Ziggy non è più un animo d'artista, sensibile,
e gentile con le donne, quale appare nel testo della canzone; adesso è
un atleta ossessionato dalle attività fisiche, e che si trova molto
a proprio agio in compagnia d'altri maschiacci altrettanto atletici e sportivi.
Nessun accenno invece a interessi artistici o culturali qualsivoglia.
Così, quel
che nella canzone era, fra le righe, uno spirito superiore e mite, capace
di far innamorare una donna per qualità assenti nell'eterosessuale
medio, nel filmato diventa semplicemente un narcisista ossessionato dal
suo aspetto fisico, che proprio per questo difetto caratteriale ha buon
gioco nel far girare la testa alle donne più di quanto possa fare
il povero eterosessuale medio.
Insomma, alla fin
fine il regista ha rifiutato uno stereotipo solo per proporne un altro,
più "aggiornato".
Eppure si nota nel
filmato l'intenzione di compiacere il crescente pubblico gay (come dimostra
una rapidissima scena di nudo integrale, di spalle, negli spogliatoi),
sia pure senza rischiare di alienarsi quello etero. Cosa non facile nel
1993, quando mostrare apertamente comportamenti omosessuali non era in
genere accettabile per le tv, alle quali erano destinati i videoclip musicali.
Così, in
una scena in cui Ziggy viene scherzosamente immobilizzato su un tavolo
da biliardo dal suo avversario, per ben due volte si vede un volto dare
inizio al movimento d'avvicinamento del gesto di chi cerca un bacio, e
in entrambi i casi il gesto è bruscamente interrotto da uno stacco
dopo un attimo. Tanto, si sapeva che lo spettatore gay avrebbe percepito
il gesto e lo avrebbe completato, com'era abituato a fare in quegli anni,
mentre lo spettatore eterosessuale non lo avrebbe percepito, come era abituato
fare in quegli anni, nonché oggi.
Ambiguo è
anche il finale, del tutto gratuito, in cui la figura d'un bel ragazzo
moro con una giacchetta dotata di cappuccio che gli copre i capelli va
incontro a Ziggy, che la bacia, dopodiché si scopre che la figura
s'era nel frattempo "miracolosamente" trasformata nella cantante...
Per lo spettatore
gay si tratta palesemente d'un sogno ad occhi aperti (e impossibile) del
personaggio femminile, per quello etero si tratta invece della conferma
del fatto che un tizio tanto virile non può "veramente" non essere
attratto dalle donne...
Questo finale
è una vigliaccata, perché pensato per smentire con le
immagini il testo, che dice chiaramente che una donna che s'innamora d'un
gay non ha speranze d'essere reciprocata. Peggio ancora, qui il video sottoscrive
all'ideologia per cui una "vera donna", con la costanza e la devozione,
può infine "guarire" l'omosessuale dal suo "vizio".
"Come to my window" fu il primo videoclip prodotto da Melissa Etheridge dopo che, ponendo fine ad anni di pettegolezzi e soffiate, aveva fatto coming out.
Molte attese si concentrarono quindi
su questo filmato, per vedere se avrebbe contenuto allusioni esplicite
al lesbismo.
Che ci furono, ma non furono troppo
esplicite, chiaramente per non urtare il folto pubblico eterosessuale che
seguiva la cantante, già scosso dal coming out.
Il video alterna infatti immagini della
cantante che si esibisce da sola, a quelle d'una donna rinchiusa in un
manicomio (si notano a un certo punto i legacci della camicia di forza),
in una stanza di cui si vede solo un letto e una finestra. La donna parla
e discute coi suoi fantasmi mentali (la stanza è vuota) e scarabocchia
disegni infantili sui muri e sul pavimento.
Il testo invita la donna a venire alla
finestra della cantante, che farà qualsiasi cosa per guadagnarsi
il suo amore, senza preoccuparsi di ciò che dice e pensa la gente:
Non m'importa di cosa pensino,Letta nell'ottica del recente coming out (e la cantante avrebbe successivamente ammesso che il testo era dedicato alla sua compagna di allora), e dello sfrontato titolo dell'Lp pubblicato nel 1993 (Sì, lo sono), il manicomio può essere facilmente decifrato come metafora del closet, cioè della condizione soffocante ed oppressiva di chi non osa fare coming out e vivere per quel che è.
non m'importa di cosa dicano:
cosa sanno di questo
amore, dopo tutto?
La canzone fu un grosso successo commerciale
e vinse un premio
Grammy, diventando, oltre a ciò, una canzone-mito nella
comunità lesbica statunitense.
Purtroppo oggi questo video può
non apparirci all'altezza di tale status mitico, sembrandoci troppo
cervellotico e "velato" per i gusti del XXI secolo.
Tuttavia se è vero che, al solito,
il contenuto lesbico c'è solo per chi abbia voglia di andarlo espressamente
a cercare, ma non è esplicito né nelle parole della canzone
né nelle immagini del clip, la tematica lesbica a ben guardare è
piuttosto chiara, specie per l'anno in cui apparve il filmato. Infatti,
dato che la cantante parla d'amore, e che la sola altra persona che si
vede nelle immagini oltre a lei è una donna, la destinataria delle
parole può essere solo quest'altra donna.
Pertanto, se con gli anni la timidezza
un po' stitica delle immagini ha fatto perdere immediatezza e impatto a
questo video, non si può dimenticare che nel 1994 esso appariva
decisamente più "audace" di quanto possa sembrarci oggi, soprattutto
perché era il primo caso in cui una celebrità nazionale
statunitense toccava il tema lesbico in prima persona con uno
sfacciato "Yes, I am".
Questo rimane quindi un video da vedere
comunque.
Quando ho scoperto che per questa canzone era stato creato un videoclip, cosa abbastanza rara nel 1993, sono subito corso a cercarlo, chiedendomi come avrebbe visualizzato i versi molto espliciti che descrivevano la presenza d'un fratello gay:
L'escamotage adottato dal regista
è semplice. La canzone (satira della famiglia borghese, presentata
come una sorta di gabbia di matti, rottami umani, e ipocriti) mette in
scena la presentazione della fidanzata dell'io narrante alla famiglia,
e vede Andrea Liberovici interpretare, grazie a vari travestimenti (tutti
femminili, meno quello del padre), tutti i componenti della disastrata
famiglia.
Il solo che egli si guarda bene dall'interpretare
è il fratello gay, interpretato invece dall'attrice che
recitava la parte della fidanzata, fornita d'un paio di improbabili baffoni.
In qualche modo il regista si sente in
dovere di fare un'eccezione solo per questo famigerato "fratello gay".
Come se non bastasse, per far questo contraddice
espressamente l'indicazione del testo, che dice che il fratello è
pesantemente truccato da donna.
Ma forse mostrarlo in immagini così
come lo descriveva il testo sarebbe stato troppo, per quell'anno; dopo
tutto, questo è solo il secondo video italiano, in ordine cronologico,
ad avere mai messo in scena tematiche lgbt.
Resta il fatto che il fratello viene qui intabarrato in un giaccone di cuoio, cosparso di catene, e sormontato da assurde girandole piene di spunzoni. Che si tratti di una satira della moda leather/clone, è chiaro, ma per quale motivo il fratello debba essere preso per il culo per il fatto d'essere gay, non lo è affatto.
Morale della favola: anche se nel testo il fratello è presentato con simpatia, in quanto vittima di "molta ipocrisia", tale da spingerlo ad abbandonare la tavolata, nel filmato appare anch'egli, per la sua grottesca omosessualità, una parte del problema.
Molti anni avrebbero dovuto trascorrere
prima che un regista italiano riuscisse a mettere in scena una persona
omosessuale senza ridicolizzarla.
Paradossalmente, era stata proprio la
censura, proibendo di rappresentare per immagini le persone lgbt,
ad averle protette fino a questo momento dalle ridicolizzazioni nei videoclip.
Ma una volta apertasi la fessura, come vedremo, la diga degli stereotipi
si riversò a valle tutta in una volta.
E come se non bastasse, tutto questo accadeva
mentre all'estero erano già apparse nei videoclip personaggi omosessuali
non ridicolizzati.
Il buon giorno si giudica dal mattino...
È un peccato che una canzone maramalda come questa sia stata tradotta in immagini con un video noiosetto come questo, nel quale il regista si preoccupa troppo di non oltrepassare i limiti di quanto una tv sarebbe stata disposta a trasmettere in quegli anni. Col risultato di non riuscire a dirci nulla di più di quanto poteva andar bene per una tv di quegli anni -- il che non è che sia granché entusiasmante, oggi.
Il testo è un'esaltazione esplicita - e per quegli anni francamente coraggiosa, specie per una band di neri - della bisessualità:
La confusione generale è in effetti ciò che viene mostrato anche nel video, nel quale il complesso dei "Living colour" suona in un locale notturno popolato da fotomodelli e fotomodelle molto glamour, che si allacciano fra loro in vari modo: uomini con uomini, donne con uomini, uomini con donne, e donne con donne...
Tutto è terribilmente
glamour, al punto che la bisessualità rischia di essere presentata
e letta come una specie di moda, più che come una condizione: gli
stessi orientamenti tutti-frutti presenti alla festa sono caratterizzati
più da capi di vestiario che da "pericolosi" atteggiamenti o gesti
(ci scappa sì qualche bacio fra persone dello stesso sesso, ma appare
e scompare alla velocità della luce).
Ed ovviamente, giusto
per non spaventare nessuno, le interazioni fra persone dello stesso sesso
sono in massima parte fra donne, e solo in minima parte fra uomini, giusto
per sfruttare un tema scandaloso puntando a non scandalizzare nessuno.
Col risultato di
rischiare di non essere trasgressivi, ma solo pruriginosi,
alla fine.
Per queste ragioni,
di là dell'indubbio merito di caratterizzarsi come il primo
videoclip che abbia affrontato "monograficamente" il tema della bisessualità,
questo filmato non ha rivelato altri spunti d'interesse, ai miei occhi.
Più che altro
l'ho trovato un'occasione clamorosamente sprecata.
1993 - Tourette, Pussy - "French bitch". Dall'Lp: Pussy Tourette in Hi-Fi.
Segnalo questo video di Pussy Tourette innanzi tutto come il primo vero e proprio videoclip interpretato da una drag queen di cui io sia a conoscenza. Non essendo la mia una ricerca storica esaustiva, è possibile che ne esistano altri ancora più precoci, tuttavia è comunque significativo notare come entro questa data la performance di una drag queen fosse ormai pienamente accettabile in un videoclip.
Certo, nello spettacolo il travestitismo ha una tradizione millenaria, quindi non stupisce trovarlo sul palcoscenico, tuttavia la differenza è che qui la drag non è più vestita da donna per far ridere (come nel caso già visto dei Queen) o per stupire (come nel caso di David Bowie): qui la performance punta a convincerci del fatto che chi canta è credibile come donna, senza al tempo stesso farci dimenticare che è in realtà un uomo (del resto, la voce è maschile). Siamo di fronte a un tipico gioco di gender-fucking ("mandare a puttane i generi sessuali") tipico della sensibilità gay.
In secondo luogo, il video stesso
presenta una sceneggiatura a connotati omosessuali. Pussy Tourette s'esibisce
in un café chantant i cui clienti sono abbigliati in modo
da richiamare gli anni Venti, nel quale una donna vestita da uomo
arriva al braccio della cantante, che da parte sua è un uomo vestito
da donna.
Quando l'uomo vede la "cagna francese"
dai grandi occhi e un corpo da fotomodella, che ha deciso di "grattarsi
un prurito" (il ritornello della "cagna" continua a invitare in barbaro
fran-glese: "Vous voulez la mia passera, s'il-vous-plait?"), egli
si lascia sedurre senza resistenza, e Tourette aggredisce la coppia, prendendo
a schiaffi soprattutto la femme, ma anche un po' la butch,
per concludere con una scena in cui Tourette e la femme sono tornate
complicemente assieme (ed è la donna francese, nell'ultima scena,
a indossare i vestiti maschili).
Dunque, sapendo che la cantante è
in realtà un uomo, l'eterosessualità trionfa; tuttavia,
trattandosi d'un uomo vestito da donna, è un'eterosessualità
alquanto speciale a trionfare...
Inoltre, il personaggio interpretato dalla
cantante è una donna biologica, mentre un verso lascia pensare che
la "cagna francese" sia in realtà un transessuale, dato che cerca
di fregarsi l'uomo della cantante "con una figa che s'è portata
dietro dall'estero".
E come se non bastasse, il testo ci fa
sapere che le prime attenzioni della cagna s'erano rivolte in realtà
alla cantante ("Dio solo sa perché volesse scopare con me")
che peraltro non s'era fatta scrupolo di accontentarla (ed "è
ok se se la prende un po' con me"). Solo dopo questa conquista la "cagna"
ha voluto completare l'opera con l'uomo della cantante... Da qui l'ira,
e gli sberloni che volano per la seconda parte del video.
Dopodiché il video ci mostra
che la cantante se l'è presa non per aver perso l'uomo, bensì
per aver perso la "cagna"...
Che casino! Ce n'è a sufficienza per deliziare e divertire ad oltranza gli ascoltatori gay, e per far venire un gran mal di testa quelli etero... Che purtroppo sono la maggioranza, il che spiega perché Pussy Tourette, nonostante abbia avuto un certo successo nel mondo gay statunitense, non sia mai diventata famosa. Immeritatamente, secondo me, dato che la sua musica e le sue canzoni (che si scrive da sola) sono molti più raffinate e divertenti di quelle di altre drag, come RuPaul, che però sono riuscite a "sfondare".