L'articolo che segue è un esempio delle posizioni che combattevo nel mio saggio: Omosessualità e cultura. Può esistere una "cultura omosessuale"?Un mio commento del 2004, Vent'anni dopo (1984-2004). Un commento e un ricordo di Giovanni Dall'Orto, è in fondo all'articolo
L'articolo qui ricopiato è tratto da "L'Unità", 1-7-1984.
Discussioni, mostre, libri, spettacoli sui temi della "cultura omosessuale"
ROMA - È un moltiplicarsi di iniziative:
omosessualità e... e tutto ti resto: e letteratura, cinema, poesia,
psicanalisi, fede, sport, industria culturale. Mai come quest'anno il 28
giugno - data che per il movimento omosessuale significa rievocazione della
rivolta e riaffermazione dell'orgoglio - ha visto un interesse così
diffuso.
A Roma una rassegna di film a iniziativa
dell'ARCI; a Bologna, con la partecipazione dell'amministrazione cittadina,
delle forze politiche, delle associazioni culturali, un ciclo di dibattiti,
e mostre, e poesia, il tutto promosso dal "Cassero"; ad Agape, convocati
da gruppi cristiani, incontri di riflessione e di autoidentificazione.
A
Genova un ciclo di serate sui "codici della comunicazione omosessuale";
a Brescia temi consimili nei "Venerdì del no" ancora dell'ARCI;
altro ancora a Milano col gruppo della rivista "Babilonia", a Napoli con
una radio locale, a Roma col circolo culturale "Mieli" e con gruppi di
ricerca nell'Università.
E intanto "A!exis" della Yourcenar
va forte in libreria, Alberoni scrive saggi sull'amicizia, i ragazzi all'uscita
dal cinema chiedono il manifesto di "Lucida follia", che mostra la Schygulla
con sul collo i segni allusivi di un bacio femminile. Interesse vero o
falso? È ancora una volta il mercato che comanda o c'è dell'altro?
- Francesco
Gnerre, giovane studioso di letteratura italiana, impegnato
sul fronte della liberazione sessuale. Che cosa risponde?
"Attenzione a non cadere in un atteggiamento
moralistico. Il mercato, sì, ha i suoi interessi, è ovvio.
Ma dietro il mercato io vedo un bisogno diffuso di incontrarsi, di discutere
di capire. Secondo me è un segno della maturazione della coscienza
civile in un paese che alla sessualità, e specie alla sessualità
"diversa" ha sempre guardato con imbarazzo, ipocrisia, moralismo. La nostra
non è la tradizione francese, neppure in letteratura', ma qualche
cosa evidentemente sta cambiando".
- Dibattiti, spettacoli, incontri, rassegne,
libri: quindi il segno di una maturazione culturale, e perfino di un mutamento
del costume?
"In qualche misura sì, anche
se la repressione non può dirsi certo finita. La si esercita oggi
in forme diverse, la si cela dietro una facciata di tolleranza o dietro
il silenzio che resta il più efficace metodo di rimozione. Comunque
è innegabile il bisogno di sapere.
In Italia non c'è una conoscenza
della fenomenologia omosessuale. Ci sono omosessuali che fanno vita di
coppia, altri che perseguono una ben precisa idea di rapporto, altri che
si affidano a incontri occasionali. Ciascun gruppo elabora modelli di comportamento
e forme di comunicazione che differiscono ma che bisogna conoscere, moduli
espressivi, riferimenti culturali...".
- Torna un difficile interrogativo:
se esista o no una "cultura omosessuale". A riproporlo contribuisce non
solo la varietà delle iniziative accennate, ma anche l'uscita in
queste settimane - per le edizioni del "Gruppo Abele" di Torino - di un
libro di Giovanni Dall'Orto dai titolo "Leggere omosessuale". Si tratta
di una bibliografia contenente i titoli dei libri pubblicati in Italia
tra il 1800 e il 1982 e riguardanti, in vario modo, l'argomento omosessuale.
E qui intanto una sorpresa: divisi in sei capitoli - letteratura, poesia,
movimento, saggistica, archeologia, immagini - i titoli contenuti come
in un indice ragionato sono circa ottocento. Un numero insospettato, non
e così?
"Già, non ce ne eravamo accorti,
ma Dall'Orto, attraverso una ricerca paziente e meritoria, ci mette di
fronte ad un catalogo che mai prima qualcuno aveva pensato di compilare.
Libri conosciuti ma anche libri poco noti, rari, talvolta introvabili se
non in qualche grande biblioteca pubblica: dall'ultimo "Pao Pao" di Tondelli
alle lettere d'amore di Oscar
Wilde, dai romanzi di Jean
Genet ai trattati psichiatrici
dell'Ottocento, dai rapporti di sessuologia alle biografie dei militanti
del movimento italiano".
-
Parliamo fra un momento della attendibilità scientifica. Voglio
insistere invece sull'impressione che suscita scorrere un centinaio di
pagine fitte di titoli sull'argomento omosessuale. È esatto dire
che molti di quei libri sono passati inosservati? Tu sei autore di un saggio
("L'eroe negato", pubblicato da Gammalibri) riguardante la figura dell'omosessuale
nella narrativa italiana contemporanea, quindi hai scavato nella materia...
"È vero, se molti titoli
sono conosciuti, altri sono passati sotto silenzio o quasi, un po' perché
editi da case minori e un po' perché lo stesso modo di leggere è
spesso reticente, autocensorio. Di fronte al nodo vero, si leva come una
cortina. L'anno scorso i miei studenti hanno letto "L'isola di Arturo",
di Elsa Morante, ma l'elemento centrale continuava a sfuggirgli. Perché
il padre di Arturo se ne andava in giro per il mondo? Questo sorvolare,
questo ritrarsi è un'operazione che spesso fa anche la critica letteraria,
tutta presa dall'esame della forma, dello stile...".
- E non si può dire che spesso
anche gli scrittori sono rimasti vittima dei condizionamento?
"Senza dubbio, perché anche
lo scrittore risente del clima dei suo tempo. E come potrebbe essere diverso?
Alla fine degli anni Settanta, sul tema specifico dell'omosessualità
si facevano libri ideologici, rivendicativi. Oggi mi sembra che non sia
più così: si fanno libri che rappresentano la condizione
omosessuale senza bisogno dì ideologizzare, semplicemente, sul terreno
della normale ricerca letteraria. Il che non vuole dire, lo ripeto, che
il pregiudizio sia scomparso. Finché la sessualità non verrà
accettata come un elemento della variabilità umana, finché
il comportamento omosessuale sarà considerato trasgressivo e deviante,
non scompariranno né la condizione di disagio né la mistificazione
sul terreno - che dovrebbe essere incontestabile - dell'identità".
- Torniamo al libro, e più generalmente
al tema della cultura omosessuale. Come si fa un catalogo come quello di
Dall'Orto? Esiste, per esempio, una scrittura omosessuale?
"L'autore dice di sì ma lo
avrei delle perplessità. Quando si legge "scrittore omosessuale"
non si sfugge all'impressione che la definizione contenga una discriminante
negativa e persino una pregiudiziale razzistica. Del resto nessuno sente
il bisogno di precisare "scrittore eterosessuale". Nell'etichetta vedo
una limitazione, una demarcazione di confini che uno scrittore non può
accettare. Capisco che in determinati momenti di repressione può
essere apprezzabile, perfino necessaria una dichiarazione di identità
sessuale, ma uno scrittore - omosessuale o eterosessuale che sia - ha un
rapporto molto più complesso con la realtà. In letteratura
si tratta dunque di una distinzione assolutamente arbitraria".
- Dal che si deduce che è arbitraria
anche la definizione di "cultura omosessuale"; cioè che non esiste
una "cultura separata"...
"Un momento. Io per "cultura omosessuale"
intendo quel complesso di comportamenti, gesti, linguaggi che gli omosessuali.
come ogni minoranza, sono stati costretti a elaborare in maniera diversa
dagli altri. E quindi attribuisco al termine "cultura" un senso antropologico.
Se invece si vuole parlare di "cultura alta" o di cultura come complesso
di conoscenze, allora no, dico che non esiste, perché Proust
fa parte della cultura europea, non certo della cultura omosessuale".
- Classificazioni a parte, qual è
il tuo giudizio di ricercatore letterario sul metodo seguito nella compilazione
della bibliografia?
"La parte dedicata alla saggistica
e alla storia mi sembra più corretta rispetto a quella dedicata
alla letteratura e alla poesia; qui ci sono catalogazioni sommarie e giudizi
a volte francamente arbitrari. Al di là delle contestazioni e delle
critiche che si possono fare a questa o a quella parte, resta però
il fatto che è già molto importante che un tale lavoro sia
stato compiuto. Può essere lo spunto per altre ricerche, per riflessioni
più ampie. E questo, mi pare, il suo vero scopo. Del resto la nostra
stessa conversazione, partita dal libro, non è andata ben oltre?".
Eugenio Manca
Francesco Gnerre. Roma, agosto 2000. [Foto G. Dall'Orto].
"L'Unità" nel 1984 era ancora, non dimentichiamolo, l'organo ufficiale del Partito comunista, che si stava aprendo solo in quegli anni al tema gay, e che affrontava con sgomento l'idea di rivedere tutte le sue categorie mentali per far spazio alle pretese di quei "nuovi soggetti politici" che nell'ortodossia sovietico-marxista non avevano mai avuto alcun posto. L'omosessualità, in quanto "sovrastrutturale", non era importante come i problemi "strutturali", cioè i problemi economici. Quindi cosa cavolo pretendevano e volevano questi "compagni busoni"?
Sì, s'era disposti a riconoscere che non bisognava essere maleducati con loro (ma questo non ce lo ha mai negato neppure il papa...), ma non andava giù l'idea di dover trattare con loro in quanto soggetti politici (solo con la crisi socio-sanitaria causata dall'esplodere dell'Aids, a partire dal 1985-86, i partiti della sinistra si rassegneranno a questo amaro passo).
Oggi sicuramente sfugge a chi non ha vissuto quegli anni un dettaglio: la definizione di Gnerre come "impegnato sul fronte della liberazione sessuale" -- anziché omo-sessuale. Ma è un dettaglio rivelatore d'una mentalità: Francesco era all'epoca uno dei pochissimi gay "dichiarati" d'Italia; il disagio nell'usare la parola "omosessuale" era quindi del giornalista...
Conobbi in quegli anni Eugenio Manca, un eterosessuale dichiarato che in quegli anni accompagnò per il suo giornale la reticente "apertura" del suo partito alla tematica e al mondo gay, e lo trovai persona colta, gentile, impegnata. Ma anche influenzato (come rivela anche questo pezzo) dalla mentalità del "Generone" culturale romano, cioè dell'ambiente che si è rivelato in assoluto il più ostile a qualsiasi ipotesi di una cultura omosessuale.
In quella cricca non si entrava se non si sputava prima sull'eresia che affermava che potesse esserci più di una Cultura... peggio poi se alternativa a quella (eterosessuale, maschile, borghese, bianca...) che monopolizzava e monopolizza anche oggi il mondo accademico italiano.
La cosa più divertente (o tragica) è che di questo Generone fa parte un numero spropositato di omosessuali. Di solito (ma non sempre) non accettati, magari sposati, magari addirittura in cura psicoanalitica... ma froci tanto quanto me.
(Un aneddoto in proposito. Ricordo ancor oggi una discussione con un altro giornalista dell'"Unità", anch'egli degno esponente di questo Generone, ad Assisi, nel 1982 o 1983. Io ero lì come omosessuale dichiarato, e lui iniziò a incalzarmi col fatto che insomma, io ero fascista perché volevo incasellare la gente, ghettizzandola con definizioni arbitrarie... La solita pippa mentale.
Non ricordo molto bene l'andamento della discussione; in compenso ricordo bene come andò a finire: io e lui in un letto matrimoniale in una splendida camera affrescata a grottesche (anche l'occhio, e non solo il finocchio, vuole la sua parte...).
Il "compagno giornalista" aveva deciso, tutto sommato, di "ghettizzarsi" anche lui... e posso giurarvi che, da come ci sapeva fare, non era certo la prima volta che si "ghettizzava").
Aneddoti a parte, si spiega proprio con quel clima e con quell'atteggiamento mentale l'abiura pubblica compiuta in queste righe da Gnerre, e la sua damnatio nei confronti della proposta politica e culturale che stava alla base del mio Leggere omosessuale (liquidato come una costruzione volenterosa ma inabitabile, buona al più come cava di materiale di spoglio per costruzioni davvero "serie". O al più come spunto per permettere a uno come lui di "andare oltre": vedi la battuta che chiude il pezzo).
Per quanto io e Gnerre siamo stati amici, a un certo punto i nostri punti di vista proprio sulla questione della cultura gay si sono rivelati totalmente inconciliabili. Ci chiamavano a far conferenze assieme proprio perché i nostri due libri erano usciti più o meno assieme, e finivamo ogni volta per beccarci sempre sullo stesso punto: "Può esistere una cultura gay"? Per lui no, per me sì.
Questo ci è costato una rottura, e una cortese freddezza durata per molti anni. Basti dire che nelle sue opere i miei scritti sulla cultura gay non sono mai citati... E questa fu in realtà non uno sgarbo, ma una cortesia, da parte sua, perché si comportò così per evitare di sparare ad alzo zero su di me e sulle mie idee eretiche e "assurde", come avrebbe senz'altro fatto se solo mi avesse nominato...
Eppure, col senno di poi, posso affermare che è stato un bene che ci siamo divisi in due campi, su questo punto, proseguendo il lavoro ciascuno per la sua strada, su strade diverse.
Francesco ha tentato di portare il tema omosessuale all'interno del Generone stesso, sforzandosi di cambiarlo da dentro. Assieme a lui altri nomi di spicco dell'intelligentsija gay romana, come Giovanni Forti, Mario Fortunato, Tommaso Giartosio, hanno dedicato anni di vita e studio alla stessa scommessa.
Io invece, convinto che da quell'ambiente e da quell'impostazione culturale non si sarebbe mai potuto cavare nulla, ho lavorato assieme a coloro che volevano costruire una "cultura alternativa", una "cultura altra" rispetto a quella ufficiale, potendo godere anch'io della compagnia di molti nomi di spicco e valore.
Sempre col senno di poi, oggi sono costretto ad ammettere (ma non ero altrettanto pronto a farlo, nel 1984) che entrambi gli approcci apparivano altrettanto ragionevoli, e quindi altrettanto bisognosi di essere messi alla prova sul campo. Limitarsi ad enunciarli non bastava: occorreva mettere in pratica nel concreto, ognuno per la sua parte, le nostre due "scommesse culturali", e vedere chi avrebbe ottenuto i risultati migliori. "La verifica del pudding è assaggiarlo", dice un proverbio inglese.
Oggi io penso che i fatti abbiano ormai dato ragione a chi sosteneva il concetto di cultura omosessuale. Il mondo accademico italiano non s'è mai aperto al discorso gay.
Il Generone, romano e non romano, non s'è smosso d'una virgola in vent'anni: l'unico cambiamento è che oggi il suo insopportabile snobismo radical-chic da checche altezzose si esprime più attraverso il "Manifesto" che attraverso l'"Unità".
Francesco Gnerre, dopo aver dedicato un paio di decenni ad accrescere, ripensare, arricchire il suo Eroe negato, se lo è visto a sua volta killerare sul "Manifesto" da Emanuele Trevi in una recensione semplicemente scandalosa per spocchia e omofobia... in base ai medesimi, identici argomenti usati da lui in questo articolo dell'"Unità" vent'anni fa!
Il cerchio s'è chiuso...
[E qui aggiungo un dettaglio piccolo, ma fino ad un certo punto.
Dopo che il cover-boy della prima edizione era stata un uomo sanguinante, truccato e incatenato, alquanto raccapricciante, la seconda vede in copertina una fila di grotteschi nanerottoli che strisciano per terra, in fila indiana. Ecco in che modo i redattori delle case editrici esprimono il concetto di "lettura omosessuale"...
Anche le immagini parlano, ed è quindi sintomatico e significativo quel che dicono a proposito dell'incapacità sistematica delle case editrici italiote (nicchia ecologica prediletta dal Generone), di mostrare un'immagina sana, o attraente, o magari entrambe le cose, che esprima il concetto di "lettura gay" senza ricorrere a immagini o raccapriccianti o grottesche. Ma s'è mai visto un editore sano di mente rendere intenzionalmente ripugnante per il potenziale cliente la copertina d'un libro? Eppure, quando si parla d'omosessualità, la cosa accade. E non una volta sola. Evidentemente gli adepti del Generone l'omosessualità la vedono proprio così.
Chiusa parentesi].
Mario Fortunato ha strillato Urbi et Orbi - dopo aver sostenuto che l'omosessualità, nel mondo culturale, era "ormai" una non-issue - che la sua rimozione dal posto di direttore dell'Istituto culturale italiano a Londra era giustificata solo dalla sua omosessualità. Ma guarda tu...
Tommaso Giartosio, per schivare l'accusa mossami da Gnerre di "catalogazioni sommarie e giudizi a volte francamente arbitrari", ha costruito in base a un attentissimo e faticosissimo calibraggio di ogni e qualsiasi teoria critica ortodossa il suo Perché non possiamo non dirci (un tentativo di sintesi fra il bisogno di riconoscere l'esistenza della cultura omosessuale e l'esigenza di non disconoscere i dogmi del Generone romano). Ma fino ad oggi (ottobre 2004) ha ricevuto come unica accoglienza, per citare ancora Gnerre, "il silenzio, che resta il più efficace metodo di rimozione".
Solo i massmedia gay (cioè proprio gli strumenti di quella "Cultura omosessuale" autonoma, che Gnerre giudicava un nonsense nel 1984) ne hanno parlato...
In altre parole, io posso affermare oggi a cuor leggero che la critica ed anche l'ipotesi espressa da Gnerre in questa intervista si sono rivelate false.
Ma posso farlo solo perché Gnerre le ha messe concretamente alla prova, dedicando due decenni della sua vita a questa verifica.
E trovandosi al momento del bilancio con molte porte chiuse in faccia, una stima universale per il lavoro svolto... ma dal campo sbagliato, cioè quello che alla "impossibile" cultura gay ci crede eccome, e ne ritiene anzi Gnerre uno degli esponenti di spicco.
A parte questo risultato, anche per lui il silenzio, rotto solo da qualche magra briciola accademica, s'è rivelato il più efficace metodo di rimozione.
Leggere omosessuale non era perfetto (ma io non mai preteso che lo fosse: iniziai a scoprirvi refusi ed omissioni prima ancora che fosse terminata la stampa!), ma nemmeno così tremendo come lo dipinsero Manca e Gnerre. Era solo un po' eretico... ed intenzionalmente! "Pretendeva" di giudicare le opere letterarie non solo in base al loro valore estetico esteriore, ma anche (eresia!) in base al contenuto, all'ideologia espressa dallo scrittore, al modo di trattare i personaggi omosessuali, all'eventuale omofobia.
Ero stufo di romanzi che - all'epoca - si concludevano tutti con il suicidio o la morte del protagonista invertito. Magari, come Morte a Venezia, annunciandolo fin dal titolo...
E lo scrissi.
Suscitando lo scandalo del Generone (ivi incluso Giovanni Forti, che recensì anch'egli schizzinosamente il libro. E dove? Ma sul "Manifesto"!).
Ciò detto, mi pare di potere aggiungere che oggi, vent'anni dopo, le posizioni dei due campi sono ormai vicine quanto mai prima.
A mio parere ciò avviene perché ci si è resi conto tutti del fatto che il titolo dell'articolo di Manca (e di mille articoli del genere) andava tradotto così: "Proust è solo degli eterosessuali, non azzardatevi a dire che è anche vostro, brutti froci usurpatori!".
E ci si è resi conto di aver detto certe cose non perché avessero senso, ma solo perché dirle era la condizione sine qua non per avere spazio.
Che senso ha infatti dire, come Gnerre, che "Proust fa parte della cultura europea, non certo della cultura omosessuale"? Che cavolo vuol dire questa frase? Io lo so dove sia l'Europa che ha prodotto la "cultura europea", ma l'Omosessua che avrebbe dovuto prodotto la "cultura omosessuale", su quale razza di carta geografica la trovo?
In altre parole: ma come cavolo si fa a paragonare un termine geografico con un termine sociale? Chi mai direbbe senza scoppiare a ridere di se stesso che "Marx fa parte della cultura europea, non della cultura comunista"? O che "Dante fa parte della cultura italiana, non di quella medievale"?
Come ha potuto una persona avvertita come Gnerre non rendersi conto dell'assurdità totale di quel che stava proclamando?
Io posso solo supporre che lo dicesse perché sapeva che, volere o no, questo era il tributo a Cesare, il biglietto d'ingresso, l'apriti sesamo per ottenere udienza da parte del Generone. Una specie di mantra, ripetutto migliaia di volte da migliaia di intellettuali.
Una parola d'ordine, insomma, e niente di più.
Purtroppo, scendere a questo compromesso non ha pagato.
Pronunciare quell'apriti sesamo non ha mai fatto aprire, in vent'anni, la caverna di Alì Babà, che anzi è rimasta ostinatamente chiusa (saldamente in mano ai Quaranta Ladroni...).
Ma qualcuno di noi, lo ripeto, doveva verificare se quella potesse essere la strada più agevole per tutti. Se la caverna si fosse aperta, oggi grazie a Gnerre e quelli come lui avremmo i gay studies nelle università, avremmo convegni, libri, riviste accademiche... ed io col mio lavoro "alternativo" sarei ora solo una bizzarra diversione, un vicolo cieco, uno che si è arrampicato faticosamente per sentieri montuosi senza accorgersi che c'era una comoda autostrada a disposizione...
Purtroppo però la storia ha voluto che avessi ragione io.
E così ci abbiamo rimesso tutti, e oggi non abbiamo nulla di tutto questo.
Sai che consolazione, quando l'ipotesi pessimista si rivela quella giusta, e tu hai azzeccato l'ipotesi...
Gnerre è stato troppo generoso ed ottimista. Ha creduto troppo nella buona fede dei compagni dell'"Unità" ieri e di quelli del "Manifesto" oggi, che in buona fede non sono stati mai.
Ma che prima di essere accusati di malafede, cioè di franca omofobia, di ostilità preconcetta, di giochi monopolistici di potere, come faccio io qui ed ora, andavano messi alla prova.
La prova c'è stata, e non l'hanno superata.
Però chi ci ha rimesso da questo fallimento siamo stati noi, non loro...
Lunga vita quindi alla cultura omosessuale, checché ne pensasse Gnerre vent'anni fa, e crepi chi essendo eterosessuale crede, da sempre, che Proust (o chicchessia) sia suo! Ma davvero nella vita - a parte gli eterosessuali, ovviamente... - c'è chi può essere così idiota da pensare che "Proust è di qualcuno"?
P.S. Grazie al progresso tecnologico, il lavoro iniziato con Leggere omosessuale prosegue oggi nella bibliografia online di culturagay.it.
A quanto pare, grazie a questa evoluzione, Leggere omosessuale è destinata ad essere, oltre che la prima, anche l'ultima bibliografia a stampa sull'omosessualità in lingua italiana...
Ah, il progresso...
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esistere una "cultura omosessuale"?