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di:
Giovanni Dall'Orto.
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Tony Patrioli è un fotografo con un destino bizzarro: diventare contro il suo volere un "classico", nonché interprete quasi unico dell'Eros omosessuale di un'intera stagione della storia italiana, a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta.
Patrioli ha creato le sue foto in un’epoca
che volgeva alla fine. Per secoli la società contadina italiana
aveva escluso dalla sessualità i giovani: la (etero)sessualità
era infatti un privilegio da adulto, non un diritto. In questo contesto
l’omosessualità era vissuta come un “male minore”, a cui far ricorso
“in mancanza di meglio”...
La “disponibilità” dei giovani
dell’arcaica e agreste Italia era quindi leggendaria in tutta l’Europa
gay più urbanizzata.
Era una disponibilità non solo a
darsi, ma anche a esibirsi. Provando fierezza e piacere nel vedere ammirato
un corpo che secondo l'ideologia dell'epoca nessuno considerava "bello":
la bellezza era infatti una caratteristica che "apparteneva" alle donne,
non ai ragazzi.
Le fotografie di nudo di Patrioli (che
ha come unico precursore, negli anni Cinquanta e Sessanta, il tedesco Konrad
Helbig, 1917-1985) hanno immortalato gli ultimi ragazzi e gli ultimi
anni di questa fase di "disponibilità" a esibirsi (e a concedersi)
su una spiaggia o sulla riva d'un fosso.
La cosa più strana, che Patrioli
racconta ridendo, è che le foto artistiche per cui è oggi
conosciuto furono all'inizio solo un capriccio privato (in quanto prive
di mercato), nato ai margini di servizi pornografici, venduti soprattutto
alla rivista Doppiosenso (che per qualche anno fu in pratica monopolizzata
da lui).
Questo spiega la loro forza selvaggia,
la loro spontaneità e immediatezza, la loro collocazione al di fuori
delle mode artistiche dell'epoca (pagando un esplicito omaggio, al massimo,
al solo Wilhelm
von Gloeden).
Sono "appunti" che fissano la bellezza
d'un ragazzo, che in qualche caso era anche amante del fotografo, in altri
era invece un ragazzo incontrato per strada, magari uno degli ultimi e
pasoliniani "ragazzi di vita".
Solo quando una valanga di porno "gratuito"
(cioè, rubato) iniziò ad arrivare dagli Usa e rese
"superfluo" il pagamento dei fotografi, Patrioli ebbe occasione di scoprire
che anche le sue foto d'arte avevano un mercato, che piacevano, e che anzi
alla fine interessavano addirittura più di quelle "a luci rosse".
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Seguendo i libri nel corso degli anni si nota addirittura nei modelli un'evoluzione fisica. E non solo nelle capigliature (nei primi anni Settanta erano di moda i capelli lunghi), ma anche nei corpi e nelle pose. Appare la nuova moda della palestra: alcuni corpi iniziano ad essere più "costruiti". Appaiono soprattutto sguardi e pose che tradiscono la conoscenza del nudo maschile, sempre più esplicito e sempre più onnipresente, diffuso per la prima volta in quegli anni grazie alle pubblicità di moda. E sparisce la selvaggia "innocenza" dei ragazzi, sempre più consci di sé.
Nonostante Patrioli non avesse perso nulla
delle sue capacità, alla fine urtò contro il fatto che il
tipo stesso di modelli per cui era diventato famoso nel mondo (e che il
mercato pretendeva da lui) s'era estinto.
Come se non bastasse, mentre la sua fotografia
era diventata sempre più soft e artistica, il nudo gay nel
frattempo era diventato sempre più esplicito e hard.
Tutto questo congiurò per fargli
abbandonare la fotografia di nudo, a cavallo dell'ultimo decennio del secolo
scorso.
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E così Patrioli sarà infine consacrato dalla prima mostra italiana delle sue fotografie tenuta in una galleria d'arte. Sabato 2 ottobre 2010 si inaugura a Brescia, presso la Wavephotogallery (via Trieste 32a), alle 18:30, la mostra monografica 70's men's portraits.
La mostra, che propone cinquanta immagini
(ristampate appositamente per l'occasione), resterà aperta fino
al 30 ottobre 2010.
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