La valutazione di un romanzo inedito
[inedito, 28 marzo 2014]
di: Giovanni Dall'Orto
Premessa.
La
mia indisponibilità l'ho specificata chiaramente nella
pagina che riporta il mio indirizzo email, e la ribadisco ora qui.
Primo,
perché la lettura e valutazione dei manoscritti è un lavoro,
e non trovo nessun motivo per cui dovrei lavorare gratis per esimi sconosciuti
che mi scrivono "per avere un parere". Secondo, perché se anche
mi facessi pagare da loro, la cosa non funzionerebbe lo stesso, dato che
chi manda manoscritti non desidera MAI una valutazione bensì, SEMPRE,
una rassicurazione e una conferma sul fatto d'essere un grande scrittore.
La valutazione dei manoscritti è un lavoro che ha senso se è
pagato (o eseguito, se è piccolo) dall'editore, che ha un preciso
interesse a sentirsi dire o decidere quali manoscritti cestinare senza
pietà, laddove nessun autore è disposto a pagare per poi
sentirsi dire che il suo manoscritto va cestinato senza pietà. Credo
che questo sia un concetto semplice da comprendere.
Ciò premesso, un amico, che conosco da dieci anni ed ha una bella mente, mi ha di recente chiesto a tradimento se gli potevo leggere un manoscritto di narrativa. Gli ho risposto che io un manoscritto non lo leggo a nessuno, a meno che interessi a me leggerlo, tuttavia se voleva avrei fatto per lui, e solo perché era lui, quel che si fa di solito quando in una redazione si riceve un manoscritto: ne avrei letto e valutato l'inizio, o un capitolo o due a sua scelta, cosa di solito sufficiente per capire se il resto del manoscritto merita o no la lettura. Questo perché se un autore non è capace di farsi leggere nelle prime venti pagine, importa davvero poco il fatto che magari a pagina duecento abbia scritto un capolavoro, visto che a pagina duecento non arriverà nessun lettore. Ho condensato questa regola nello slogan: "Se io arrivo a pagina venti, hai vinto". E chi non ha pratica di lettura di manoscritti si sorprenderebbe nello scoprire quale percentuale di capolavori inediti non regge una lettura oltre la terza o quarta pagina: diciamo il 98%. Un ulteriore 1,9% casca entro pagina venti. Sul rimanente 0,1%, si può discutere.
Pubblico qui di seguito il giudizio che ho mandato a questo mio amico, che non so se ne sarà stato molto soddisfatto. Ma lui mi ha chiesto di valutarlo come avrei valutato un qualsiasi manoscritto destinato a una casa editrice, ed io l'ho fatto. Anticipo che il mio responso è: l'autore non è privo della capacità di scrivere, tuttavia ha bisogno di rilavorare il manoscritto, specie in relazione allo stile, alla lingua e alla focalizzazione della narrazione. In parole povere: non è pronto per la pubblicazione. Questo pensavo e questo ho scritto, e per fortuna il mittente sembra averla presa bene. Oggi ha persino messo "mi piace" su un mio post di facebook, quindi vuol dire che per ora non mi ha ancora bannato dalle sue amicizie... :-D
Pubblico
qui di seguito il giudizio (ovviamente anonimizzandolo) per tutti coloro
che mi scrivono, nonostante gli avvisi, per propormi in omaggio
non più i loro manoscritti, ma ormai i loro ebook autopubblicati,
online su Amazon.it
o su Lulu.com, o simili.
Sono spiacente di dover ribadire che no, non do valutazioni di manoscritti
O di ebooks O di libri. I libri che recensisco di norma me
li pago di tasca mia perché voglio essere libero di dire quel che
penso, senza suscitare faide e vendette e rancori eterni da parte dell'autore
per la serie: "ma
come, io ti ho regalato il libro, e tu ne parli male?".
E
se li ricevo in regalo, è perché si tratta di persone - anche
sconosciute in precedenza - con le quali ho discusso a lungo prima della
nascita del loro libro di argomenti che intrigavano anche me, e
di solito in questi casi le osservazioni che avevo da fare le ho già
fatte prima della pubblicazione. Se i vostri interessi combaciano
coi miei, discutiamone, altrimenti, lo giuro, non ho nulla di personale,
ma ho il problema che i libri sono milioni e la mia vita una sola.
Grazie
per la comprensione.
G. Dall'Orto
Caro
Xxxxxxxxx,
ho
accettato la lettura solo perché ti considero un amico, laddove
di solito la rifiuto sempre. Il motivo è presto detto: chi sottopone
manoscritti non vuole MAI sentirsi dare una valutazione spassionata, ma
SEMPRE e solo sentirsi rassicurare sul fatto che si tratta di un ottimo
lavoro. Quindi se lo critichi si offende a morte, ma se per quieto vivere
lo rassicuri poi ti arrivano a valanga altri trecento parti letterari,
e allora, sinceramente, no, non ci sto.
Siccome però l'ho accettato, faccio quel che mi hai chiesto. Se ti offendi per qualche osservazione, il torto è tuo, ok?
Se
questo che mi mandi è l'inizio del romanzo, allora è troppo
lento. Tu stai pensando il lavoro dal punto di vista di chi lo scrive,
ma la valutazione va data dal punto di vista di chi lo legge.
Hai
una scrittura un po' barocca, molto ricca di aggettivi turgidi, e molto
propensa a perdersi in lunghe descrizioni liriche. Non c'è nulla
di sbagliato nel fatto di averla, a patto di essere certo di avere un lettore
che ti seguirà pazientemente per tutti i meandri di quel che stai
scrivendo nella speranza, o certezza, che le premesse che costruisci serviranno
a definire il quadro di quanto va a leggere in seguito. Il che significa
che sei uno scrittore noto e famoso, se ottieni questo. O che sei giovane
ma hai dietro un editore disposto a spendere e a "spingerti" in modo aggressivo,
in modo da motivare il lettore alla pazienza.
Il
che implica che se non lo sei, vale il principio del "non licet bovi
quod licet Iovi". Se sei uno scrittore emergente, sei in competizione
con altri centomila (in senso letterale) scrittori emergenti, più
quelli già emersi, ed è essenziale per te farti notare.
Ora,
iniziare un romanzo con diverse pagine di turgide ruminazioni interiori
è un suicidio. Chi ti legge, e non ti conosce ancora, si chiede
"sì, ma dove vuole arrivare"? A mano a mano che le pagine si accumulano,
aumenta la probabilità che tu "perda" per strada il lettore.
Un
buon inizio è sempre importante, in un romanzo. Se riesci a portare
il lettore a pagina venti, hai vinto: nella maggior parte dei casi arriverà
fino alla fine. Se lo fai fermare, per noia o perplessità, la probabilità
che il libro resti a prendere polvere sul comodino per anni, e quindi non
sia né letto né consigliato agli amici, sono alte.
Una
tecnica molto usata a questi scopi è quella dell'usteron
proteron: iniziare in
medias res, e poi recuperare le premesse in un flashback,
se sono importanti. Ma ovviamente non esiste una regola: ogni scrittore
si regola a modo suo. La regola è semmai: devi catturare il lettore
non solo fin dall'inizio, ma soprattutto all'inizio. Dunque, devi
escogitare un modo per dare alla narrazione un inizio più intrigante.
E ti assicuro che il flusso
di coscienza e il rant interiore è ben poco intrigante.
A meno di chiamarti James Joyce...
Le
cose che sta raccontando il tuo protagonista devono essere implicate
per quanto possibile nelle cose che dice e fa. Questo perché se
un narratore ha bisogno di troppe didascalie per spiegare cosa sta accadendo,
ciò vuol dire che suo il disegno non è abbastanza esplicativo
di per sé. E ti faccio notare che noi la vita la viviamo
senza didascalie: il senso dello cose lo assorbiamo dalle cose stesse.
Ovviamente,
dicendoti che idealmente lo stesso dovrebbe succedere anche in un romanzo,
sto esprimendo un'estetica e un gusto, ossia un punto di vista. Altri potrebbero
non condividere questa mia visione del romanzo. Ma tu il parere l'hai chiesto
a me, ed io posso darti solo il mio punto di vista, sorry.
Ti faccio poi una domanda, da lettore: ok, tu mi vuoi raccontare quanto sia bello per il tuo protagonista andare a correre per la campagna, quanto sia bello il paesaggio eccetera eccetera. "Ma per me?" che importanza ha la cosa? E soprattutto: "ma a me che...?". Voglio dire: perché le opinioni di una persona che va a correre per i campi dovrebbero essere importanti per me? Se mi vuoi tenere attaccato al romanzo me lo devi fare intuire tu. Altrimenti stai scrivendo poesia in prosa, come lo splendido Ocnos di Luis Cernuda. Ma la poesia si legge con occhio, e orecchio, diverso da quello che si ha con un brano di prosa, e soprattutto con un romanzo.
Nelle prima sei pagine non succede assolutamente nulla. E il ragguaglio sulla situazione parentale del personaggio di Giovanni, che non si sa chi sia né se riapparirà nel romanzo, non merita un'intera pagina tutta per sé. A mio parere va cancellato tutto quello che viene prima della frase, che a mio parere deve diventare l'inizio:
Inoltre
eviterei di fare toccare discretamente dal protagonista l'amichetto durante
il bagno, altrimenti "dai via" il romanzo fin dalla prima pagina. Se esiste
tensione erotica, lasciala sospesa, lascia il dubbio nel lettore. Il desiderio
del tuo io narrante deve trasparire, e non essere, daccapo, anche qui,
sottolineato da apposite didascalie e colpi di grancassa: "caro lettore,
sappi che l'io narrante è un piccolo gay in crescita, e che quindi
prevedibilmente il romanzo racconterà di come è cresciuto".
Se la metti da subito in questo modo, il tuo prosieguo può da qui
in poi avere solo due sbocchi: o l'amichetto ci sta o non ci sta. Se non
ci sta, avremo i tormenti interiori e i rimuginii dell'io narrante ferito
e offeso, ed avremo un remake di The
city and the pillar. Se ci sta, altra possibile biforcazione: poi
si pente ed avremo un remake dei Tormentacci
del giovane Toerless in salsa lumbarda con il protagonista
vessato dalla società crudele e inzenzibbile, o non si pente,
ed avremo un remake delle Amicizie
particolari. In tutti questi casi, il pensiero che viene a pagina
UNO al lettore è: "io questa storia l'ho già letta".
Amen.
Siccome
subito dopo passi a parlare del cucciolo agonizzante, I turbamenti del
giovane IO possono allora aspettare le pagine successive, e il lettore
può rimanere nel dubbio. Anzi, meglio se ci rimane!
Incidentalmente,
si nota che questo è un manoscritto non ancora riletto, da dettagli
come la frase: "scesi nello stagno nudo", che implica che ad essere
nudo fosse lo stagno, non il protagonista. Ovviamente la frase deve essere,
a meno di volersi dare al realismo magico, "scesi nudo nello stagno"
o simili. La scrittura non deve essere mai ambigua, se non dove l'ambiguità
è intenzionale da parte dell'autore. L'ambiguità non intenzionale
è un lapsus.
Anche
in "avvertii un guaito da dietro dei cespugli" indica che occorre
ancora la limatura finale: qui il partitivo "dei" è un vezzo linguistico
norditaliano che a sud del Po saprebbe un po' di idiotismo
(in senso linguistico, ovvio): meglio "alcuni", "un" o molto semplicemente:
"i".
Osservazioni
simili per espressioni come "al cancello della palazzina dove stavo"
(in una casa si "sta"?), ma queste sono solo limature che ti verranno
comunque suggerite in fase di editing... se l'editore a cui ti rivolgerai
segue ancora la buona prassi di fare una lettura redazionale del testo
(se non l'ha, fuggi a gambe levate, e pubblicati da solo il libro). Idem
per: "iniziò a gocciolare, e il portone era aperto" (cosa
iniziò a gocciolare? Alla prima lettura della frase credevo intendessi
dire che iniziò a piovere (cosa che cinque frasi dopo succede per
davvero): dopo tutto il mondo di cui sto leggendo lo hai creato tu, e solo
tu sai se può o non può iniziare a piovere in quel punto
della narrazione), "mia madre attraversò Gelmino" (era un
fantasma? ovviamente lo "oltrepassò"). La cosa buffa è
che nella frase successiva la madre "lo oltrepassò come un coltello
caldo nel burro", laddove un coltello "trapassa" il burro, non
lo "oltrepassa". Se lo oltrepassa non lo trapassa, e non è
un gioco di parole, è un chiarimento.
La
frase sul coltello nel burro è inoltre un esempio della tua tendenza
ad esagerare in decorazioni barocche: cosa stesse succedendo l'ha già
detto la prima frase, non era necessaria una seconda frase per ripetere
lo stesso concetto. Devi scegliere fra le due, perché ripetere due
volte le stesse cose è accettato nel linguaggio parlato, non nella
scrittura. Detto in termini più tecnici, la ridondanza
deve essere sempre minore nella scrittura che nel linguaggio parlato, perché
la velocità, nel parlare, può fare perdere alcuni dettagli,
e la ripetizione aiuta a recuperarli, laddove nello scritto, se non si
capisce, si può rileggere la frase.
E
poi: "coppino" è termine dialettale norditaliano, non necessariamente
compreso a sud di Roma, "strascinato" è un altro dialettalismo
(l'italiano standard è "trascinato"), e molti altri dialettalismi
come questi, anche a volte incomprensibili per il lettore non padano.
Poi:
il senso della scena della morte del cagnolino qual è, alla fine?
Dimostrare che l'io narrante, come qualsiasi essere umano nella vita, da
bambino ha avuto esperienze anche negative? Che una volta ha trovato un
cagnolino ferito, che è morto per le ferite?
E
quindi? Quindi al protagonista scoprendo quanto è accaduto viene
da vomitare. Dopodiché, la narrazione salta bruscamente e improvvisamente
ad altro: "Divenni grande, il mio solo desiderio era di andarmene".
So what? Per quale motivo questo episodio dovrebbe essere interessante
per me, lettore? Io non l'ho compreso. E siccome questo è il tuo
mondo, solo tu puoi farmelo capire. Se vuoi che sia importante anche
per me, devi riuscire a farmi capire perché sia stato importante
per te scriverlo... In caso contrario, io lettore "voto con i piedi", chiudendo
il libro e passando ad altro.
Mi fermo qui, altrimenti sembra che mi stia accanendo. E invece no, sto solo motivando il parere. Che è quello che avrei dato se da un editore mi fosse stato assegnato un testo da valutare. Parere che è:
D'altro
canto, la narrazione non è disastrosa, non è cioè
di quelle dei semianalfabeti di belle speranze e nessuna speranza che assediano
le redazioni delle case editrici. La narrazione scorre, il concatenamento
dei ragionamenti funziona, non ho riscontato salti logici e anacoluti nella
parte che ho letto.
L'autore
deve fondamentalmente fare sua la "tecnica" della narrazione, che come
ogni tecnica si impara e si insegna: con la pratica, il confronto, lo studio.
Avere un chiaro modello di scrittura, per iniziare, sarebbe utile. "Scrivere
come X" non è ovviamente un gran merito, ma agli inizi qualsiasi
scrittore di questo mondo ha scritto come X, fosse anche solo la sua maestra
delle elementari. Dal testo sottoposto non è infatti chiaro quale
sia il modello a cui l'autore si ispira, in altre parole dove voglia andare
a parare. A tratti sembra una narrazione autobiografica tipica dei romanzi
gay di coming out, a tratti una rievocazione lirica e poetica dei
luoghi dell'infanzia, altre un flusso di coscienza... Queste ineguaglianze
nuocciono alla coerenza interna del testo. L'autore dovrebbe quindi individuare
con chiarezza ciò che per lui è importante dire, e rinunciare
al resto, sfrondando senza pietà ciò che non è essenziale
al suo fine. Se è la poesia che vuole raggiungere, che scriva apertamente
poesia, senza vergognarsene, se è la narrazione che vuole, che narri,
ma avendo chiaro il quadro di quello che intende dire, senza disperdersi
in mille digressioni di eventi fini a se stessi. Troppi meandri faranno
girare la testa al lettore, e gli fanno perdere interesse. Un utile esercizio
sarebbe immaginare di dover riscrivere il testo avendo solo un terzo dello
spazio adoperato fin qui per riscriverlo, e chiedersi cosa ne salverebbe,
e cosa butterebbe. In questo modo gli si chiarirebbe quale sia la parte
davvero essenziale per lui, che potrebbe procedere a sfrondare i due terzi
non necessari. Salvo poi magari accrescere di nuovo il moncone superstite,
ovvio, ma con coerenza e linearità".
Ecco
Xxxxxxx, questo è il mio parere. Ho letto le prime dieci pagine,
ma è normale, si fa sempre così. Dieci pagine bastano per
vedere se sia necessario intervenire, e in che senso. A volte si prendono
cantonate (vedi
Gide con Proust), ma se ogni editore dovesse leggere le decine e decine
di testi che riceve ogni mese, e se io dovessi accettare la valutare
ogni ebook che mi viene offerto gratis in cambio del mio parere, starei
fresco. In media, ricevo cinque o sei richieste del genere al mese... fai
tu.
Tu
sei una eccezione, e a questo punto non so se sarai contento di esserla
stata.
Ma
mi hai chiesto il mio parere, ed io mi sono limitato a dartelo.
Ciao, buon lavoro.
Giovanni
Dall'Orto