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Francesco Rosso (1910-2001)

Pancrazio Buciunì mostra un album fotografico di Gloeden.
Pancrazio Buciunì mostra un album fotografico di Gloeden.
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Da: "La Stampa" [1/7/1959] [1].
 
LO SCANDALO SI DISSOLVE IN UNA LUCE D'ORO

I giovani leoni di Taormina

Strambo archivio fotografico di un vecchio pescatore - L'ambiguo estetismo del barone von Gloeden è finito - Nuovi costumi; i corteggiatori delle turiste straniere giungono, in motocicletta, dai centri agricoli disseminati fra l'Etna e il mare - Ce sunnu i fimmini; e l'impresa è spesso fruttuosa - Ma anche questo passerà, sotto l'ardente sole impassibile.

(Dal nostro inviato speciale)  
Taormina, 30 giugno. 

San Pietro era la data stabilita per il primo giro della "roulette" di Taormina, in coincidenza con l'arrivo del "rallye" del cinema, ma la festa è passata, le dive sono ripartite e la "roulette" è rimasta immobile come molti avevano preveduto, e ciò senza i minacciati pronunciamenti di popolo. Le proteste contro le interferenze di Roma hanno avuto toni accesi e la vicenda del casinò di Taormina ha così avuto la precisa fisionomia di speculazione politica suscitata per creare nuove occasioni di contrasto fra Roma e Palermo e tener desta nell'opinione pubblica la veemente, ma generica protesta siciliana contro il centralismo romano. 

Che Taormina abbia urgente necessità di un casinò per risollevare le sue condizioni turistiche sono in pochi a crederlo, perché queste condizioni sono abbastanza floride. Inoltre, è ovvio che non sono alcuni tavoli di "roulette" e di "baccarà" a richiamare turisti di rango ed a creare un'atmosfera, Taormina può contare su una vasta, fedelissima clientela che continuerà a frequentarla anche se il fenomeno mondiale del turismo di massa non l'ha risparmiata e se non vi è il casinò. È uno degli angoli più belli del mondo e l'atmosfera che l'avvolge, pervaso di strana eccitazione, è unica. 

Vive qui un ottuagenario che potrebbe essere il simbolo di Taormina, della sua candida perversità. È un antico pescatore alto un metro e mezzo, dal volto arguto, brunito e liscio, che contrasta con la canizie dei baffi a punta e dei capelli. Per interrogarlo e consultare l'imponente archivio fotografico, più volte saccheggiato, sono entrati nella sua povera casa, un vasto soppalco ingombro di letti e seggiole, principi e re di corona, letterati di gran nome e giornalisti e le sue nipotine, graziose fanciulle coi boccoli biondi allentati sulle spalle, hanno imparato a fare l'inchino di corte. Seduto su una bassa sedia traballante, forse la stessa che accolse più auguste membra, sfoglio anch'io le fotografie che all'inizio del secolo fecero il giro del mondo e resero celebre Taormina. Dalla finestra spalancata entra l'aria azzurra del golfo, il profumo orgiastico del caprifoglio, lo stridere forsennato delle rondini ebre di luce. 

L'atmosfera è ancora quella in cui visse il barone von Gloeden, lo strambo, aristocratico fotografo tedesco che ritraeva i bruni adolescenti di Taormina in brevi tuniche trasparenti e ghirlandette di fiori tra i capelli neri secondo un gusto decadente che cercava giustificazioni in un malinteso classicismo. Dove sono oggi i modelli atteggiati a satiretti, tertosamente appoggiati ad alberi ed a sgretolati pozzi antichi? Questo è morto, quest'altro è all'ospizio, la fanciulla abbigliata da ninfa è morta da mezzo secolo, suicida per amore. L'ottuagenario Pancrazio Bucinì, detto il Moro, che fu valido collaboratore di von Gloeden, commenta ogni fotografia con ricordi lucidi facendo scorrere tra le dita nocchiute il filo invisibile della storia di Taormina, città prediletta dagli dei.  

Molte cose sono mutate da quell'inizio di secolo, quando i primi avventurosi turisti tedeschi, seguiti dagli inglesi, la scoprirono con le sue rovine millenarie sullo sfondo esaltante dell'Etna, immersa nel profumo della zagara. È mutato, soprattutto, il costume della gente di Taormina da quando, nel dopoguerra, incominciarono a scendere le schiere fitte delle turiste nordiche avide dì luce e di emozioni violente. Sulla spiaggia di Maz<z>arò, luminosa e dolcemente incurvata fra l'azzurro del mare ed il verde fosco degli aranceti, lungo la baia dell'Isolabella nitida come una coppa di diaspro, i nipoti dei modelli di von Gloeden, scuri e taciturni, fanno ora la posta alle bagnanti straniere estenuate dal sole e dai profumi.  

Si definiscono "giovani leoni" e puntano la preda più con l'atteggiamento di neri pavoni che di belve. I giornali di Catania e di Messina li definisco più prosaicamente "i pappagalli di Taormina", un fenomeno diffuso su tutte le spiagge italiane, ma che qui assume toni di fastidiosa insistenza. Non sempre la preda è disposta a lasciarsi divorare e accadono spiacevoli incidenti perché il giovanotto siciliano quasi mai si rassegna al rifiuto e deve intervenire la polizia.  

I cacciatori più insistenti arrivano dai centri agricoli disseminati fra l'Etna e il mare. In tre sulla motocicletta, fanno la gita a Taormina perché là "ce sunnu i fimmini" ed in molti casi la battuta è fruttuosa, perché spesso le bagnanti vengono in Sicilia proprio per questo. Di pomeriggio, finito il bagno, si vedono nei ristoranti e nei bar strane coppie, lei biondissima e non sempre giovane, lui sempre giovane e nerissimo di capelli. Mangiano e bevono in silenzio, possono intendersi soltanto coi gesti e gli sguardi. Sono incontri così frequenti che nessuno vi fa caso, come nessuno si meravigliava mezzo secolo addietro delle strambe manie fotografiche di von Gloeden.  

L'aria di Taormina, chiara e pervasa da misteriose eccitazioni, annega nella sua vastità profumata ogni stranezza. Nelle ore calde del meriggio, quando il sole folgora sulle seriche cateratte delle bougainvillee cardinalizie e le foglie scure degli aranceti, quasi di metallo, emanano un sentore acuto e amaro, la punta aspra dell'Etna si dissolve in una luminosa nuvola azzurra e la città pare come librata in una luce d'oro. Sono le ore perverse di Taormina, più delle soffici notti gonfie di esaltazione.  

Contemporaneamente è però possibile scoprire, un volto diverso della città, un aspetto, casalingo e bottegaio, dimesso e quasi estraneo al variopinto cosmopolitismo che la invade. L'ottuagenario Pancrazio Bucinì, detto il Moro, può raccontarmi con sereno distacco come il suo aristocratico principale andasse a cercare modelli per le sue fotografie tra pescatori e mulattieri mentre la figlia maggiore muove le pentole e le sue nipoti stanno ad ascoltare. Ogni accostamento, anche il più ardito, trova nell'aria di Taormina una sua, paradossale, giustificazione. In nessun altro centro turistico, per quanto affollato e indifferente alle bizzarrie della clientela più eterogenea, come Nizza, Capri, Cannes o Venezia, ho trovato il benevolo silenzio di Taormina per le stravaganze dei turisti giunti dai quattro angoli del mondo. I più legati alla tradizione si lagnano dei mutamenti, preferiscono il passato, quando i clienti erano meno numerosi ma tanto ricchi che uno solo spendeva come dieci di oggi, e piangono sulla decadenza della loro città.  
Sono gente umile, pescatori, barcaioli, cocchieri che si sono visti soppiantare dai motoscafi e dai tassì, un po' all'antica, come Pancrazio Bucini, diventato archivista di un mondo e di un costume irrepetibile. I giovani la pensano diversamente, corrono ebri di sole lungo la strada tortuosa sulle motociclette frastornanti, gridano frasi audaci alle mature ed estasiate turiste nordiche.  
Nella sua luce esaltante, Taormina concilia tutti i contrasti, soddisfa i desideri di ognuno. Il turismo di massa, così deprecato dai teorici, ha esercitato un benefico effetto anche su Taormina, il "pappagallismo" di cui si lagnano i giornali di Messina e Catania si va esaurendo grazie alla facilità degli incontri e Vitaliano Brancati, se fosse ancora vivo, avrebbe ormai scarsi argomenti per la sua acre ironia sull'esasperazione cerebraloide e sensuale dei siciliani. Il grande flusso di turiste inglesi, francesi, tedesche e scandinave ha lacerato molti diaframmi, di fronte a loro i giovani leoni siciliani già si sentono con la criniera ravviata.  

Non passerà gran tempo che saranno le turiste a prendere l'iniziativa per l'idillio, ma anche questo non turberà la serena impassibilità di Taormina che, oltre al teatro, ha ereditato dall'antica Grecia il gusto della raffinata indifferenza alle contingenze della moda e guarda lo scorrere della vita, diversa solo nelle apparenze, da un'altezza fatta di tollerante saggezza e di comprensione per le infinite debolezze umane. 

Francesco Rosso 

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L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti.

 
Note 

[1] Il testo è quello di: Francesco Rosso, I giovani leoni di Taormina, "La Stampa", 1 luglio 1959, numero 155, pagina 3.  Il testo è online qui. 

Ho aggiunto qualche interlinea e corretto i refusi, ma ho mantenuto il testo com'era, compresa la zoppicante mancanza di segni d'interpunzione. 

Il testo è interessante non tanto per quel che dice (di fatto, non dice nulla, limitandosi a "far letteratura", a partire da quanto aveva popolarizzato Peyrefitte nel romanzo Eccentrici amori, uscito l'anno precedente) quanto per la mentalità di cui è espressione.  
Buciunì vi viene trattato come il bizzarro relitto d'un passato ormai privo d'interesse, a fronte d'un presente e di un futuro ben più esaltanti. 
Fu questa mentalità, espressione di un desiderio di dimenticare un passato fatto di povertà e di turismo sessuale non sempre moralmente ineccepibile, che ha fatto sì che a Taormina oggi non sia rimasto il più piccolo cimelio di Gloeden, se si eccettua la collezione privata di Malambrì. 
 
 

 


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