LO SCANDALO SI DISSOLVE
IN UNA LUCE D'ORO
I giovani leoni di Taormina
Strambo
archivio fotografico di un vecchio pescatore - L'ambiguo estetismo del
barone von Gloeden è finito - Nuovi costumi; i corteggiatori delle
turiste straniere giungono, in motocicletta, dai centri agricoli disseminati
fra l'Etna e il mare - Ce sunnu i fimmini; e l'impresa è spesso
fruttuosa - Ma anche questo passerà, sotto l'ardente sole impassibile.
(Dal nostro
inviato speciale)
Taormina,
30 giugno.
San Pietro era
la data stabilita per il primo giro della "roulette" di Taormina, in coincidenza
con l'arrivo del "rallye" del cinema, ma la festa è passata, le
dive sono ripartite e la "roulette" è rimasta immobile come molti
avevano preveduto, e ciò senza i minacciati pronunciamenti di popolo.
Le proteste contro le interferenze di Roma hanno avuto toni accesi e la
vicenda del casinò di Taormina ha così avuto la precisa fisionomia
di speculazione politica suscitata per creare nuove occasioni di contrasto
fra Roma e Palermo e tener desta nell'opinione pubblica la veemente, ma
generica protesta siciliana contro il centralismo romano.
Che Taormina
abbia urgente necessità di un casinò per risollevare le sue
condizioni turistiche sono in pochi a crederlo, perché queste condizioni
sono abbastanza floride. Inoltre, è ovvio che non sono alcuni tavoli
di "roulette" e di "baccarà" a richiamare turisti di rango ed a
creare un'atmosfera, Taormina può contare su una vasta, fedelissima
clientela che continuerà a frequentarla anche se il fenomeno mondiale
del turismo di massa non l'ha risparmiata e se non vi è il casinò.
È uno degli angoli più belli del mondo e l'atmosfera che
l'avvolge, pervaso di strana eccitazione, è unica.
Vive qui un
ottuagenario che potrebbe essere il simbolo di Taormina, della sua candida
perversità. È un antico pescatore alto un metro e mezzo,
dal volto arguto, brunito e liscio, che contrasta con la canizie dei baffi
a punta e dei capelli. Per interrogarlo e consultare l'imponente archivio
fotografico, più volte saccheggiato, sono entrati nella sua povera
casa, un vasto soppalco ingombro di letti e seggiole, principi e re di
corona, letterati di gran nome e giornalisti e le sue nipotine, graziose
fanciulle coi boccoli biondi allentati sulle spalle, hanno imparato a fare
l'inchino di corte. Seduto su una bassa sedia traballante, forse la stessa
che accolse più auguste membra, sfoglio anch'io le fotografie che
all'inizio del secolo fecero il giro del mondo e resero celebre Taormina.
Dalla finestra spalancata entra l'aria azzurra del golfo, il profumo orgiastico
del caprifoglio, lo stridere forsennato delle rondini ebre di luce.
L'atmosfera
è ancora quella in cui visse il barone von Gloeden, lo strambo,
aristocratico fotografo tedesco che ritraeva i bruni adolescenti di Taormina
in brevi tuniche trasparenti e ghirlandette di fiori tra i capelli neri
secondo un gusto decadente che cercava giustificazioni in un malinteso
classicismo. Dove sono oggi i modelli atteggiati a satiretti, tertosamente
appoggiati ad alberi ed a sgretolati pozzi antichi? Questo è morto,
quest'altro è all'ospizio, la fanciulla abbigliata da ninfa è
morta da mezzo secolo, suicida per amore. L'ottuagenario Pancrazio
Bucinì, detto il Moro, che fu valido collaboratore di von
Gloeden, commenta ogni fotografia con ricordi lucidi facendo scorrere tra
le dita nocchiute il filo invisibile della storia di Taormina, città
prediletta dagli dei.
Molte cose sono
mutate da quell'inizio di secolo, quando i primi avventurosi turisti tedeschi,
seguiti dagli inglesi, la scoprirono con le sue rovine millenarie sullo
sfondo esaltante dell'Etna, immersa nel profumo della zagara. È
mutato, soprattutto, il costume della gente di Taormina da quando, nel
dopoguerra, incominciarono a scendere le schiere fitte delle turiste nordiche
avide dì luce e di emozioni violente. Sulla spiaggia di Maz<z>arò,
luminosa e dolcemente incurvata fra l'azzurro del mare ed il verde fosco
degli aranceti, lungo la baia dell'Isolabella nitida come una coppa di
diaspro, i nipoti dei modelli di von Gloeden, scuri e taciturni, fanno
ora la posta alle bagnanti straniere estenuate dal sole e dai profumi.
Si definiscono
"giovani leoni" e puntano la preda più con l'atteggiamento di neri
pavoni che di belve. I giornali di Catania e di Messina li definisco più
prosaicamente "i pappagalli di Taormina", un fenomeno diffuso su tutte
le spiagge italiane, ma che qui assume toni di fastidiosa insistenza. Non
sempre la preda è disposta a lasciarsi divorare e accadono spiacevoli
incidenti perché il giovanotto siciliano quasi mai si rassegna al
rifiuto e deve intervenire la polizia.
I cacciatori
più insistenti arrivano dai centri agricoli disseminati fra l'Etna
e il mare. In tre sulla motocicletta, fanno la gita a Taormina perché
là "ce sunnu i fimmini" ed in molti casi la battuta è fruttuosa,
perché spesso le bagnanti vengono in Sicilia proprio per questo.
Di pomeriggio, finito il bagno, si vedono nei ristoranti e nei bar strane
coppie, lei biondissima e non sempre giovane, lui sempre giovane e nerissimo
di capelli. Mangiano e bevono in silenzio, possono intendersi soltanto
coi gesti e gli sguardi. Sono incontri così frequenti che nessuno
vi fa caso, come nessuno si meravigliava mezzo secolo addietro delle strambe
manie fotografiche di von Gloeden.
L'aria di Taormina,
chiara e pervasa da misteriose eccitazioni, annega nella sua vastità
profumata ogni stranezza. Nelle ore calde del meriggio, quando il sole
folgora sulle seriche cateratte delle bougainvillee cardinalizie e le foglie
scure degli aranceti, quasi di metallo, emanano un sentore acuto e amaro,
la punta aspra dell'Etna si dissolve in una luminosa nuvola azzurra e la
città pare come librata in una luce d'oro. Sono le ore perverse
di Taormina, più delle soffici notti gonfie di esaltazione.
Contemporaneamente
è però possibile scoprire, un volto diverso della città,
un aspetto, casalingo e bottegaio, dimesso e quasi estraneo al variopinto
cosmopolitismo che la invade. L'ottuagenario Pancrazio
Bucinì, detto il Moro, può raccontarmi con sereno
distacco come il suo aristocratico principale andasse a cercare modelli
per le sue fotografie tra pescatori e mulattieri mentre la figlia maggiore
muove le pentole e le sue nipoti stanno ad ascoltare. Ogni accostamento,
anche il più ardito, trova nell'aria di Taormina una sua, paradossale,
giustificazione. In nessun altro centro turistico, per quanto affollato
e indifferente alle bizzarrie della clientela più eterogenea, come
Nizza, Capri, Cannes o Venezia, ho trovato il benevolo silenzio di Taormina
per le stravaganze dei turisti giunti dai quattro angoli del mondo. I più
legati alla tradizione si lagnano dei mutamenti, preferiscono il passato,
quando i clienti erano meno numerosi ma tanto ricchi che uno solo spendeva
come dieci di oggi, e piangono sulla decadenza della loro città.
Sono gente
umile, pescatori, barcaioli, cocchieri che si sono visti soppiantare dai
motoscafi e dai tassì, un po' all'antica, come Pancrazio Bucini,
diventato archivista di un mondo e di un costume irrepetibile. I giovani
la pensano diversamente, corrono ebri di sole lungo la strada tortuosa
sulle motociclette frastornanti, gridano frasi audaci alle mature ed estasiate
turiste nordiche.
Nella sua luce
esaltante, Taormina concilia tutti i contrasti, soddisfa i desideri di
ognuno. Il turismo di massa, così deprecato dai teorici, ha esercitato
un benefico effetto anche su Taormina, il "pappagallismo" di cui si lagnano
i giornali di Messina e Catania si va esaurendo grazie alla facilità
degli incontri e Vitaliano
Brancati, se fosse ancora vivo, avrebbe ormai scarsi argomenti
per la sua acre ironia sull'esasperazione cerebraloide e sensuale dei siciliani.
Il grande flusso di turiste inglesi, francesi, tedesche e scandinave ha
lacerato molti diaframmi, di fronte a loro i giovani leoni siciliani già
si sentono con la criniera ravviata.
Non passerà
gran tempo che saranno le turiste a prendere l'iniziativa per l'idillio,
ma anche questo non turberà la serena impassibilità di Taormina
che, oltre al teatro, ha ereditato dall'antica Grecia il gusto della raffinata
indifferenza alle contingenze della moda e guarda lo scorrere della vita,
diversa solo nelle apparenze, da un'altezza fatta di tollerante saggezza
e di comprensione per le infinite debolezze umane.
Francesco
Rosso
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