1.
Un tentativo di catalogazione su WikiCommons
Questa è una premessa al progetto di catalogo delle immagini di Wilhelm von Gloeden che ho iniziato su WikiCommons qui. Le immagini sono elencate usando il numero di catalogo indicato sul retro, che serviva ai clienti di Gloeden per ordinare stampe e ristampe (Gloeden produsse, come molti fotografi della sua epoca, campionari di miniature dai quali era possibile scegliere e ordinare, anche per corrispondenza, l'ingrandimento preferito). La numerazione
non ha purtroppo carattere cronologico: quando Gloeden inaugurò
il catalogo (possiamo ipotizzare, "a naso", che ciò sia potuto avvenire
tra il 1895 [1],
quando iniziò l'attività commerciale, e il 1899, quando effettuò
il deposito legale delle sue immagini) v'inserì infatti alla rinfusa
una scelta accurata di foto scattate nel decennio precedente con
criteri grosso modo tematici: infatti
il catalogo esisteva anche fisicamente sotto forma di libroni che venivano
esibiti ai clienti (che io ho potuto vedere di persona da ragazzino:
sì, ho vissuto a Taormina) e per ovvi motivi di "opportunità"
le foto di nudo non erano mescolate a quelle di ritratti o di paesaggi,
o di seminudo.
Infine è stato possibile verificare che sul retro di stampe diverse dello stesso scatto c'erano effettivamente scritti numeri differenti, ma sempre gli stessi due. Ci si è perciò dovuti rassegnare all'idea che il catalogo non era unico, ma plurimo, diviso a seconda delle dimensioni delle negative in vetro, alloggiate in cassettine in legno in gruppi omogenei per dimensione. Oltre al catalogo
"di medio formato" (Gloeden possedeva tre apparecchi fotografici, che usavano
lastre di formato diverso) che oltrepassava il numero 3200 e quello assai
più contenuto di "grande formato", che arriva a 300 circa, esiste
un terzo "catalogo speciale", forse di opere di altri autori commercializzate
da Gloeden, marcato con la lettera "B".
2. Un catalogo molto "ospitale" Il problema
più grave nella messa a fuoco del lavoro artistico di Gloeden è
stato, fino a pochi anni fa, la costante confusione delle sue opere con
quelle di Wilhelm
von Plüschow e di Vincenzo
Galdi. Una volta liberatici
dalla produzione dei due fotografi appena citati, però, ci rendiamo
conto del fatto che nel catalogo di Gloeden sono ancora presenti immagini
la cui estetica stride con quella del resto del corpus.
Salta
subito all'occhio il fatto che alcuni
dei primi 150 numeri (grosso modo) hanno doppioni seguiti o
preceduti dalla lettera "B": si tratta d'immagini di Gloeden che hanno
la tendenza a ripresentarsi nei cataloghi di altri fotografi, specificamente
Crupi e Bruno, e in due casi anche di Plueschow. Ho inteso la
"B" come iniziale di "Bis"; tuttavia è
spuntata una "C" con lo stesso carattere su una foto di Crupi, ed una
"A" è segnalata su alcune foto vendute online, anche se in nessuna
era fornita la scansione del numero. La mia spiegazione, a questo punto?
Che la "B", come la "A" e la "C", potrebbe indicare non un autore ma
un formato (o una busta, se riferita ai positivi) diversi, e quindi
separati dagli altri prodotti da Gloeden. 2.1 - Un
catalogo molto "ospitale" - Giovanni Crupi
Queste foto con la "banda nera" seguono una numerazione che fa parte d'un catalogo separato rispetto a quello generale di Gloeden (i numeri si sovrappongono infatti a quelli del catalogo generale di Gloeden, duplicandoli), e riportano o nel titolo o sul retro (sotto forma di lettera maiuscola piuttosto grossa impressa con un timbro) la lettera "B". I miei corrispondenti ed io abbiamo discusso parecchio sul significato da dare a questo gruppo d'immagini, che a me a un certo punto era parso possibile spiegare come frutto di un'acquisto d'immagini crupiane da parte di Gloeden (magari allo scopo di aiutare l'amico in difficoltà) nel momento in cui il primo chiuse l'attività nel 1899. Tuttavia, dopo che ho creato
su WikiCommons sia il catalogo delle foto di Gloeden sia il
catalogo delle foto di Crupi è stato possibile verificare, proprio
grazie a questo lavoro, che finora non è mai apparsa o sul mercato
o in un libro alcuna delle foto "B" di Gloeden con la firma di Crupi: tutte
quelle foto hanno fin qui circolato solo col timbro di Gloeden. Per questi motivi la spiegazione dell'acquisto di un blocco di negativi da Giovanni Crupi mi appare ora improbabile, al punto che forse le misteriose foto "B" si possono meglio spiegare come immagini prodotte appositamente da Gloeden per lo smercio commerciale presso terzi (magari proprio presso il negozio di Crupi) prima d'avviare un'attività commerciale in proprio (verso il 1895). Si spiegherebbe così perché nella fascia in basso tutte le foto siano deliberatamente prive della firma, a differenza di quelle di Crupi, nelle quali è sempre presente: proprio per poter essere vendute da terzi. La questione sembrerebbe risolta in questo
modo... ma purtroppo non lo è, dato che poi si
verificano casi come
questo, nel quale Gloeden aggiunge tranquillamente un secondo timbro a
una foto che già ne possedeva uno di Crupi (o viceversa!),
oltre a una "B" timbrata prima del numero di catalogo (162 B). E non si
tratta d'un caso isolato, perché si
ripete anche su questa immagine, che porta il numero 122 B. E il significato
da dare a questo doppio timbro, così come alla sigla "B", purtroppo
per ora mi sfugge.
Palesemente qualcosa non quadra: o Gloeden pubblicò come propria un'immagine di Crupi, o viceversa. E a mio parere non è pensabile che ciò sia avvenuto come atto di pirateria (non fra persone che erano amiche, che vivevano a poche centinaia di metri di distanza e s'incontravano più volte al giorno): chiunque dei due abbia pubblicato il lavoro dall'altro lo fece con il consenso della controparte.
2.2 - Un catalogo molto "ospitale" - Giuseppe Bruno Un altro "ospite"
è il maestro stesso di Gloeden, Giuseppe
Bruno.
Questo scatto fa parte d'un vero e proprio reportage scattato nel paesino montano di Limina, alle spalle di Taormina, la cui attribuzione è piuttosto confusa: una di queste immagini è apparsa a un'asta di Bloomsbury e riporta sul retro il timbro di Bruno, ma altre immagini con i medesimi modelli sono segnalate fra le immagini di Gloeden. In almeno un caso la Fondazione Alinari possiede il negativo, proveniente dall'archivio di Gloeden! Questo reportage
si configura come un nucleo coerente d'immagini (quasi tutte ritratti di
popolani) che contrasta con l'estetica del resto dell'opera di Gloeden
(si vedano come esempi questa,
questa
e questa).
Al contrario per Gloeden i popolani sono umili, sì, pittoreschi, certamente, e talora colpiti dal destino come nel servizio scattato nel 1908 a Messina dopo il terremoto, ma comunque dignitosi e composti, insomma all'altezza delle idealizzazioni di Teocrito e Virgilio che sono chiamati a incarnare. E se non ci fossero gli studi storici, niente ci farebbe sospettare che nella realtà la Taormina "arcadica" e serena di Gloeden era una terra tanto disperatamente povera da perdere, per emigrazione, addirittura un terzo dei suoi abitanti nel solo periodo del suo soggiorno! Anche in questo caso, insomma, è necessaria una spiegazione. 2.3 - Un
catalogo molto "ospitale" - Pancrazio Buciunì
3. Un ordinamento non cronologico Gloeden arrivò a Taormina nel 1878 e si dilettò di fotografia da subito. Nel 1880 fu incoraggiato da Francesco Paolo Michetti a proseguire a fotografare. Nel 1893 Gloeden vinse la
sua prima medaglia a un'esposizione, a Londra, e
pubblicò le sue prime foto di nudo sulla rivista "The studio".
Un grosso blocco d'immagini, scattate come minimo nel corso d'un decennio, e forse più, ottenne il "deposito legale" nel 1899 e riporta nel timbro sul retro l'indicazioni di varie date (compreso il 30 febbraio!) con una formula del tipo: "deponirt 11-3-1899", che non indica quindi la data di realizzazione ma solo quella di registrazione. La presenza
di questo timbro permette comunque una datazione almeno ''ante
quem''.
Del resto questa immagine, che porta la data di stampa del 1914 ma anche il timbro dell'erede Pancrazio Buciunì, indica che alla morte di Gloeden (1931) questo foglietto risultava ancora invenduto. Un segnale tangibile di un fatto già noto per altre vie, ossia che lo scoppio del primo conflitto mondiale segna l'inizio del calo, prima, e del crollo, poi, delle fortune di Gloeden. Semplicemente, era "passato di moda".
Noi tendiamo ancora a prendere per oro colato la descrizione del romanzo Eccentrici amori scritto da Peyrefitte, che racconta una relazione idilliaca fra Gloeden e la popolazione, sempre tollerante e indulgente verso di lui e i suoi traffici coi ragazzi. Ma un articolo del 1908 ricorda che egli aveva già vinto "due o più" processi per diffamazione contro compaesani (fra loro, nel 1894, l'ex sindaco Ottone Geleng, colui che gli aveva fatto conoscere Taormina!) che avevano osato affermare che egli era omosessuale. E proprio nel 1908 (non un anno qualsiasi, bensì quello dello scandalo Moltke-Eulenburg) Gloeden fu il bersaglio d'una campagna stampa, nella quale fu accusato di esercitare un vero e proprio "mercato di carne umana". Non occorre un genio spiccato per immaginare
che il nostro possa essere stato "invitato", da qualche autorità
paesana, a comportarsi in modo più prudente, se
non voleva far la fine del cugino von Plüschow, anch'egli fotografo,
processato proprio nel 1908 e infine espulso dall'Italia nel 1910 per i
suoi traffici coi ragazzi. Del resto, l'articolo del 1908 chiede apertamente
che anche a Gloeden sia riservato lo stesso trattamento del cugino.
Tornando alle
immagini con l'indicazione "deponirt" aggiungerò che esse
non appaiono in sequenza cronologica, e neppure raggruppate per
servizio, ma costituiscono palesemente una "antologia", scelta come la
parte maggiormente meritevole della spesa del Deposito
legale.
Dopo il primo
migliaio d'immagini, più o meno, nel catalogo di Gloeden inizia
infine ad apparire una certa tendenza al raggruppamento fra scatti simili
e quindi coevi (si veda come esempio la lunga sequenza ai numeri
1206-1244, che presentano gli stessi modelli e gli stessi luoghi), segno
che dopo aver catalogato un grosso arretrato, il fotografo aveva iniziato
ad aggiungere nuovi servizi man mano che li realizzava.
Come si vede, tutti i criteri elencati fin qui denunciano il fatto che la numerazione di Gloeden aveva intenti strettamente commerciali, mirati esclusivamente a permettere una più rapida individuazione della cassettina nella quale era archiviato ogni negatrivo, e non era intesa come "catalogo dell'artista".
4. Diamo un po' i numeri. Per una buona
parte (anche se le mani, le firme e le matite sono diverse), le immagini
di Gloeden che riportano sul retro il numero di catalogo scritto da Gloeden
stesso (o dai suoi assistenti di laboratorio [3])
mostrano l'uso d'una tipica matita blu a punta grossa (di quelle rossoblù
da "maestro di scuola").
(In genere le foto dei due compatrioti sono sufficientemente diverse da essere ben distinguibili, ma Gloeden abitò per un periodo a Napoli e utilizzò la terrazza Plüschow a Mergellina (Posillipo), quindi per tutto questo gruppo d'immagini occorre ragionare caso per caso). Oltre a ciò,
sul mercato antiquario (soprattutto su Ebay)
sono state offerte numerose stampe con numeri superiori al 3.000 (di solito,
scritto in normale matita copiativa grigia), che in gran parte sono palesemente
ristampe più recenti su carta fotografica baritata, moderna
(e non sulla carta albuminata o salata utilizzata da Gloeden) e prive di
viraggio.
Fra le ristampe
appaiono poi quelle prodotte dall'erede stesso Pancrazio
Buciunì, che potrebbe forse aver prodotto (ma a mio parere
è più probabile che si trattasse di semplici "fondi di magazzino",
ereditati e poi venduti col proprio timbro) ancora qualche stampa all'albumina,
ma che si convertì decisamente per la massima parte alla
più pratica stampa sulla carta fotografica moderna. Queste immagini,
prive di viraggio,
pur non essendo tecnicamente "ristampe" dato che sono tratte dai negativi
originali, sono ovviamente anche cromaticamente diverse dalle stampe più
vecchie (Gloeden sperimentò per tutta la vita con i viraggi delle
sue foto, che variano dal rosa al seppia al bruno al blu al violetto pallido),
e sul mercato antiquario sono trattate alla stregua di "ristampe".
Alcune di queste tirature a volte riportano la sigla BP, o B, o M.<oro?>, a volte portano il timbro di Gloeden, altre un timbro apposito di Buciunì, ma altre volte sono prive di timbro (e di numerazione, quindi non le ho inserite nel catalogo).
Come anticipavo poco sopra, la lettera "B" posposta al numero di catalogo è abbastanza frequente nelle scritte in matita grigia in scrittura "angolosa", che io ipotizzo (ma non ho nessuna prova che mi permetta di dimostrarlo e potrei sbagliarmi) possa essere quella di Pancrazio Buciunì. I riscontri che ho potuto fare con numeri di catalogo certi, perché presenti nei campionari prodotti da Gloeden, mostrano in tutti i casi la corrispondenza fra i numeri scritti da questa mano e quelli del catalogo. Chiunque fosse o sia questa persona, quindi, aveva o ha tuttora accesso alla numerazione di Gloeden ed usa quella, e non la numerazione d'un distributore o ad hoc. Per questo motivo, a mio parere, la numerazione indicata dalla mano "angolosa" in matita a mina grigia è attendibile.
Raramente queste opere si rivelano, a un secondo esame, opera di Galdi o Plueschow, che tecnicamente non erano inferiori a Gloeden, tanto più che a volte il taglio dei capelli di queste immagini "anomale" ci suggerisce gli anni Venti, quando ormai questi due fotografi avevano cessato l'attività. Sappiamo inoltre
che Gaetano
D'Agata, ottimo paesaggista commerciale ma goffo ritrattista di nudo
maschile, da giovane fu assistente presso la ditta di Gloeden: alcune di
tali foto potrebbero perciò essere state scattate da lui durante
il suo apprendistato, e "inglobate" nel catalogo del proprietario della
ditta.
Tuttavia un'altra
spiegazione plausibile punta in un'altra direzione: l'erede Pancrazio Buciunì
ammise
espressamente di avere scattato, nell'anteguerra, alcuni ritratti di
nudo maschile, che però egli stesso aveva giudicato di qualità
inferiore a quelli prodotti dal maestro.
5. Sopra il 3000 È fra
le "ristampe" (o "stampe del secondo periodo" che dir si voglia), che appare
una numerazione spesso diversa da quella originale, e molto più
alta della precedente.
Per quel che
riguarda poi le numerazioni molto elevate (anche 60.000!), sempre
e senza eccezioni in matita grigia, esse possono essere tranquillamente
spiegate come i numeri del catalogo dei distributori (Gloeden ne
ebbe parecchi, sia in Italia che all'estero: per esempio, alcune foto certamente
sue portano il timbro della ditta
Brogi di Firenze, o Angelo
Pedo di Roma).
Per esempio, negli anni Settanta/Novanta del secolo scorso lo studio fotografico Malambrì di Taormina, nell'ambito d'una riscoperta del lavoro di Gloeden, produsse e commercializzò (dichiarando espressamente che si trattava di ristampe, cosa rivelata anche dal prezzo molto contenuto) una buona quantità di stampe fotografiche in bianco e nero e su carta fotografica moderna, tratte da positivi, reperiti sul mercato. (All'epoca le negative erano ancora in mano agli eredi di Buciunì, che gelosamente non permettevano di trarne ristampe). Io stesso ne acquistai un lotto di un centinaio di pezzi per il libro Von Gloeden ieri e oggi, che curai nel 1993 per le "Edizioni Babilonia". Che si trattasse di positivi rifotografati me lo mostrò il fatto che uno di essi aveva immortalato sbadatamente, in un angolo, una mosca posata sull'immagine! Infine, il fatto che si trattasse di positivi reperiti sul mercato (e bisogna dire, con un'acribia e un amore che avrebbero meritato maggiori apprezzamenti) lo mostra il fatto che tra le immagini che acquistai, due (fra cui quella del ragazzo col berretto con cui si apre il volume) si rivelarono essere di Wilhelm von Plüschow.
6. Il "mistero" del catalogo Alinari Alla morte di
Lucio Amelio le lastre passarono alla Fondazione Alinari di Firenze,
che commercializza tuttora ristampe (dichiarate come tali) su
carta fotografica comune sia senza che con viratura, a richiesta. Nello
smercio di queste ristampe la Alinari usa una numerazione di catalogo ancora
diversa, di propria concezione.
Poiché però la catalogazione di Gloeden aveva una funzione eminentemente pratica e '''commerciale''' (sapere quale negativo andare a prendere e in quale cassetta, per effettuare la ristampa) io non riesco a credere che Gloeden abbia lavorato per tutta la vita indicando sul retro delle immagini una numerazione che poi non coincideva con quella del presunto catalogo "vero" che egli avrebbe usato per sé. La cosa è palesemente insensata. Tanto valeva indicare direttamente il numero del presunto "catalogo vero". La presenza
di un catalogo diverso fra le carte di Gloeden comprate dalla Fondazione
Alinari si può, quindi, spiegare in molti modi: potrebbe essere
un catalogo ri-creato da Buciunì per fare ordine tra quanto rimasto
dopo
il sequestro che causò la rottura di una buona parte delle lastre,
oppure di quello d'inventario di Lucio Amelio (diverse lastre furono vendute
singolarmente dagli eredi di Buciunì "per sopravvivere", prima che
Amelio rilevasse il tutto, quindi un nuovo inventario era d'uopo).
7. Cum
grano salis
Di qualità elevata sono invece di solito le catalogazioni dei musei, come quello d'Orsay, o il Metropolitan Museum, che purtroppo però di solito si limitano a una manciata scarsa d'immagini. Ad ogni modo, nei rari casi in cui esiste, questo tipo di catalogazione ha un'affidabilità molto alta. Per tutti i limiti che ho appena elencato, il catalogo che sto cercando di creare è soggetto a correzioni e modifiche, e i numeri di catalogo indicati vanno presi sempre cum grano salis e con beneficio d'inventario. Si sappia che mi è già capitato più di una volta di chiedere lo spostamento di un'immagine da un numero all'altro. Caveat emptor.
Il mio parere (che è opposto a quella dei miei interlocutori) è che Gloeden non rinumerasse i negativi, e che le incongruenze che abbiamo oggi nella numerazione (vale a dire la stessa immagine, ma con due numeri di catalogo diversi, oppure due diverse immagini col medesimo numero) derivino da errori nostri di registrazione del numero. La mia ipotesi è che col tempo, avendo accesso a esemplari di cui sia possibile avere notizie relative al tipo di numero presente sul retro, queste incongruenze spariranno. In un paio di casi che ho riscontrato io, il numero "blu" concordava per soggetto con i numeri vicini, mentre quello "grigio" era fuori contesto. Questo mi ha suggerito che sia consigliabile, laddove possibile, dar la preferenza all'indicazione del numero "blu". Quanto ai "doppioni" (due immagini diverse con lo stesso numero) li attribuisco al medesimo fenomeno: in tutti i casi non ancora risolti non conosciamo il tipo di numerazione presente sul retro (se "blu" o "grigia"), in compenso la presenza d'immagini palesemente ristampate (prive di viraggio) fra questi doppioni è alta. Dunque si tratta di numeri non presenti originariamente nella numerazione di Gloeden. Ciò premesso,
la "strana" concentrazione di "doppioni" nei primi cento numeri del catalogo
gloedeniano ha attirato l'attenzione mia e dei miei corrispondenti, dato
che è vero che non siamo perfetti e siamo tutti soggetti a errori,
ma perché insistere a sbagliare soprattutto in quei numeri? Non
è che magari esistono foto di Gloeden che intenzionalmente, per
un qualche motivo, riprendono la numerazione da uno a cento per una seconda
volta?
E tuttavia
almeno due casi certi di rinumerazione mi sono noti: uno
è questo, in cui il n. 714 è stato cancellato e sostituito
col 694. Personalmente lo spiego però con un errore di copiatura
fatta nel corso del processo di stampa, corretto alla bell'e meglio quando
chi compì l'errore se ne rese conto. In effetti, se si rinumera
una foto, è sul negativo che occorre intervenire, non sui positivi.
E se si sposta una foto rinumerandola, logica vuole che al contrario di
quanto avviene in questo caso le si dia un numero più alto del
precedente, utilizzando il primo numero successivo disponibile, e non
certo più basso, visto che a rigor di logica i numeri precedenti
sono già occupati...
Diverso è
ancora il caso della doppia numerazione, nel senso di un secondo
numero aggiunto e non sostituito, che appare in alcune immagini, per esempio
quelle del sopra citato Metropolitan Museum: a puro titolo d'esempio questa
foto riporta sia il numero 893 che il numero 7584.
Con tutti questi ''caveat'' in mente, è chiaro che il catalogo che ho iniziato ad approntare su WikiCommons è, fondamentalmente, solo uno strumento da usare come supporto utile alla corretta identificazione e attribuzione d'immagini prive di timbro e numero di catalogo. Anche per districare la confusione tuttora enorme esistente fra i lavori di Gloeden, Plüschow e Galdi. Le sole persone
che possono proporre un catalogo storicamente fondato sono i responsabili
della Fondazioni Alinari, che possiedono 1000/1200 negativi sicuramente
autentici, ma che a quanto pare sembrano convinte del fatto che i numeri
sul retro dei positivi, o scritti
sul bordo delle lastre di vetro, non costituiscano neppure "veri" numeri
di catalogo.
L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti. |
Note
[1] Il catalogo è stato iniziato entro il 1895, in quanto questo ritaglio dal periodico "Die Kunst fuer Alle" del 1895, p. 47, annuncia che esso esiste e conta già, a quella data,1500 pezzi. [2] Si veda quanto detto qui sotto alla nota numero 3. [3] Un discorso a parte andrebbe fatto sulle sigle che talvolta appaiono sul retro delle immagini assieme alla numerazione. La logica dice - è una prassi in uso fino a pochi anni fa negli uffici - che si tratti della sigla dell'assistente che aveva materialmente realizzato la stampa: ad esempio "BP" sarà Buciunì Pancrazio. Fino ad oggi
nessuno di noi ha dedicato molta attenzione a queste sigle, che somigliavano
troppo a semplici scarabocchi, ma che in futuro potrebbero dirci di più
sul funzionamento del laboratorio di Gloeden e sulle persone in esso coinvolte. Tali distributori comprendevano il mercante d'arte di Lipsia Hugo Grosser e il mercante di fotografia parigino Olivier (oggi Roger-Viollet, 6 rue de Seine, 75006 Paris). Già nel 1894
Grosser vendeva stampe dalla "Collezione di fotografia dal vero nell'isola
di Sicilia": circa 1500 immagini in formato in-folio (20x25) e cabinet
(cioè cartolina, 11x17), che in prevalenza mostravano "giovani
uomini nudi nativi dell'isola di Sicilia" (fonte: l'articolo Kunst
und Photographie sulla ''Velhagen & Klasings Monatshefte'', 1893-94). Hieronimus aggiunge che, secondo informazioni da lui ottenute dai nuovi proprietari, Olivier possedeva circa 1000 negative in vetro di Gloeden e nel 1953 Roger-Viollet ne accrebbe ulteriormente il numero acquistandole dall'erede Pancrazio Buciunì, "che all'epoca le teneva sotto al suo letto". A sua volta Malcom Gain aggiunge
che: "quando andai a trovarli un po' di anni fa, avevano due grosse
cartelle piene di parecchie centinaia di stampe di Gloeden, per la massima
parte ristampe recenti, con decine di stampe di nudi femminili, cosa che
per me costituì una sorpresa.
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