Da: Carmina
[1111] [1]
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5.
Elegia
de puero peste aegrotante
|
5.
Elegia
su un ragazzo malato di peste.
|
Ergo
te, miserande puer, fata improba, fata
impia, fata
meis inuida deliciis,
eripuere?
meisque oculis tua tristia cernam
funera,
et infelix ipse superstes ero?
Et potero
infelix tantum spectare dolorem,
et non in
lacrymas ire et in exitium? |
Dunque,
il destino malvagio, il destino empio
il destino
invidioso delle mie gioie, mi ha portato via te, povero ragazzo?
Vedrò
con i miei occhi i tuoi tristi funerali
e sopravviverò
infelice a te?
Potrò,
infelice, assistere a tanto dolore,
non finire
in lacrime e in rovina? |
Ergo
me miserum illa eadem fata improba, fata
impia, fata
meis inuida deliciis,
seruauere,
tuis superessem ingratus ut annis,
et desiderio
conficerer misero?
Vt te crudeli
consumptum peste uiderem,
et ferrem
tristes munera ad exsequias?
Te ne rogo
positum sine me, mea uita, uidebo,
nec me eadem
absumptum flamma inimica feret? |
Dunque,
quello stesso destino malvagio, empio,
invidioso delle
mie gioie, salvò me infelice
che non sono
degno di sopravvivere ai tuoi anni,
e sono abbattuto
da un infausto desiderio?
Come posso
vedere te consumato dalla peste crudele,
e portarti
doni alle tristi esequie?
Come potrò
vederti, vita mia, posto sul rogo senza di me,
e non lanciarmi
nella stessa fiamma nemica che ti consuma? |
Haud
ita mi suadebit amor pietasque dolorque;
namque simul
tecum me illa perire iubent. |
Non
certo così mi esorteranno l’amore, la pietà e il dolore;
e infatti mi
ordinano di morire insieme con te. |
Scilicet
hoc scelus admissum purgabimus in te,
quod tibi
supremo in tempore defuimus;
quod, nimium
uitae memores stultique timoris,
debita amicitiae
clausimus officia. |
Così
riscatterò questa disgrazia caduta su di te,
poichè
non ti sono stato vicino nell’ora estrema;
poichè,
troppo memore della vita e dello stolto timore,
ho dimenticato
gli obblighi dovuti all’amicizia. |
Et puto,
care puer, sensisti; et saepe timentem
incusasti:
o mi quae satis hiscat humus?
O mihi quae
ueniant pro tali praemia culpa
digna? meum
ueniant in mala cuncta caput. |
E penso, caro
ragazzo, che te ne sei accorto;
e spesso hai
accusato me che avevo paura:
”Oh è
meglio che per me si apra la terra?
Oh quali premi
degni di tale colpa mi toccheranno?
Possano giungere
tutti i mali sulla mia testa”. |
Non ego
suppliciis exponi perfidus ultra
deprecor;
aut uitae deprecor exitium,
quae mihi
te uiuo ut fuerat gratissima quondam,
nunc eadem
exstincto tristis et aspera erit. |
Io, sleale,
prego con suppliche che non soffra oltre;
o prego che
abbia termine la vita,
che un tempo,
quando eri in vita, era stata per me la più cara,
ora, invece,
che sei ormai morto, sarà triste e dura. |
Pestis iniqua,
proterua, incommoda, pessima pestis,
pestis auara,
bonorum omnium acerba cinis,
tu ne mei
pueri uultus inimica nitentes
ausa es
pallidulis commaculare notis?
Agnoui certe
uitiati signa coloris,
obscuras
gemini luminis esse faces,
et tamen
ignarus causas meditabar inanes:
non erat
ad tantum mens bene docta malum. |
Peste ingiusta,
sfrontata, molesta, pessima peste,
peste avida,
precoce rovina di tutte le cose buone,
tu, nemica
del volto splendente del mio ragazzo,
hai osato macchiarlo
con pallide macchie?
Ho ben riconosciuto
i segni del colore infetto,
la luce dei
suoi occhi che si oscurava,
e tuttavia
pensavo, ignaro, a cause senza importanza:
la mia mente
non era ben preparata a tanto male. |
Tu ne etiam
scelus hoc, morienti ingratus abessem,
tu potuisti,
essem ut immemor, efficere?
O Di, quale
malum terris in peste dedistis!
An ne aliud
fors crudelius aut grauius?
Qua natos
patres, nati fugere parentes,
coniugiique
manet non bene firma fides;
ipsa sibi
est odio natura et se fugit ipsam,
cessat et
humanae foedus amicitiae. |
E anche tu,
ingrato di non essere stato vicino a lui che moriva,
hai potuto
compiere questo misfatto, incurante di come stava?
O Dei, quale
male avete mandato in terra con la peste!
Forse ce n’era
un altro più grave o più crudele?
Per questa,
i padri lasciano i figli, i figli lasciano i genitori,
e la fedeltà
dell coniuge non resta ben salda;
la natura stessa
la odia e la fugge,
rompe anche
il legame di amicizia tra gli uomini. |
Quin etiam
in sacros pestis mala saeuit amantes,
et quoque
nescio quid pessima iuris habet.
Illa modo
nimium uitae me fecit auarum,
et memorem
pueri non satis esse mei. |
Anzi la malvagia
peste infierisce sui sacri amanti,
e non so neppure
perché compia questa grandissima ingiustizia.
Ora essa mi
ha reso troppo avido di vita,
e non abbastanza
memore del mio ragazzo. |
Tu potuisti,
inimica, incommoda, pessima pestis,
in tam coniunctas
ferre manus animas?
Ergo qui
omnia uincis Amor, cui caetera parent,
unum non
potes hoc perdomuisse malum?
At poteram
domuisse ego perditus: una uoluntas
defuit;
una, puer, culpa putanda mea est. |
Tu hai potuto,
nemica, molesta, pessima peste,
fare violenza
contro due anime unite così strette?
Dunque, Amore
che tutto vinci, a cui ogni cosa obbedisce,
non puoi soggiogare
solo questo male?
Invece, avrei
potuto soggiogarlo io, infelice: solo la volontà
mi è
mancata; solo a me, ragazzo, va imputata la colpa. |
Debueram
tecum stratis iacuisse sub isdem,
et conferre
tuis oribus ora mea;
his etiam
saeuo de uulnere dira uenena
exhaurire,
et tecum inde perire simul. |
Avrei dovuto
giacere con te sotto quelle coperte,
e unire le
tue labbra alle mie;
e con esse
anche assorbire dall’orribile piaga i funesti veleni
e quindi morire
insieme con te. |
Non ego
nunc furiis agitari nempe uiderer,
attonitusque
umbras effugere ante tuas.
O quibus
iratos placem pro crimine manes
suppliciis,
proque impietate mea? |
Ora io non
sembro affatto sconvolto dai rimorsi,
e fuggo, attonito,
davanti alle tue ombre.
Oh con quali
preghiere placherò le adirate anime dei morti
per il mio
crimine e la mia empietà? |
Non mea
multiplices ueniant si in crimina mortes,
crimina
multiplici morte queam luere. |
Se molteplici
morti non troveranno i miei crimini,
potrei espiare
i crimini con una molteplice morte. |
Parce puer,
quaeso, atque ulcisci desine amantem:
non decet
a cinere et funere saeuitia. |
Ti prego, ragazzo,
risparmia e cessa di vendicarti dell’amato:
non si addice
alla cenere e al cadavere la crudeltà. |
Sic tua
non onerosa cubet super ossa sepulti,
et tibi
perpetuo florida uernet humus. |
Così
non giacerai sepolto sopra le tue pesanti ossa,
e la terra
rinverdirà fiorita su di te in eterno. |
Eventuale
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|
6.
De
sanitate eiusdem pueri.
|
6.
Sulla
guarigione del medesimo ragazzo.
|
Gaudete,
o lepidi mei sodales,
Victori
optime, tuque Carnesecca,
et profundite
tota gaudiorum
semina interioribus
medullis,
risu et
murmure et omnibus cachinnis. |
Gioite,
miei cari amici,
ottimo Vittorio
e tu, Carnesecca,
e sprizzate
gioia da tutti i pori,
.....
con il sorriso,
il chiasso e ogni tipo di risata. |
Gaudete
et reliqui mei sodales
quos gaudere
bonis decet sodalis:
meus nam
puer ille conualescit,
ille, inquam,
puer, ille conualescit
cui nos
carmina maesta dixeramus
nuper, quem
mala febris occuparat
et contagia
pestilentiarum; |
Gioite,
anche tutti gli altri miei amici,
che è
bene rallegrarsi del bene degli amici:
infatti quel
mio ragazzo è guarito,
lui, dico,
proprio quel ragazzo
a cui avevo
dedicato di recente tristi poesie,
che era stato
colpito da una brutta febbre
e dal contagio
della peste; |
ille,
inquam, e manibus tenebricosis
Orci et
pallidulis nimis tenebris
uitae ad
lumina restitutus almae est. |
lui,
dico, è stato restituito, alla viva luce della vita
dalle tenebrose
mani della Morte
e dalle profonde
tenebre che fanno impallidire. |
Gaudete,
o lepidi mei sodales,
quos gaudere
bonis decet sodalis. |
Gioite,
cari miei amici,
che è
bene rallegrarsi del bene degli amici. |
Eventuale
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|
9.
Angelo
Diuitio. [1523]
|
9.
Ad Angelo
Divizi da Bibbiena.
|
Ergo
ego te, ante alios unum quem semper amaui,
unum quem
petii toto animo atque anima,
cui mea
deuotis mens dedita sensibus uni
iampridem
a teneris seruiit unguiculis,
cogor in
extremas abiturus linquere terras,
et triste
infelix mittor in exsilium? |
Dunque
io, che ho sempre amato solo te più degli altri,
che ho desiderato
solo te con tutta la mente e l’anima,
che ho dedicato
solo a te il mio pensiero con sentimenti devoti
già
fin dal tempo dell’infanzia,
sono costretto
a lasciarti andare verso terre lontane
e sono mandato,
infelice, in un triste esilio? |
Nec
tamen id merui; nisi amor facit ipse nocentem
et titulus
culpae est perdite amasse meae. |
Ma
io non merito questo; a meno che l’amore in sé mi renda colpevole
E il nome della
mia colpa sia aver amato perdutamente. |
Odissem!
hinc certi sceleris, puto, praemia ferrem,
nec caris
miser auellerer ex oculis.
Ibo equidem
quocumque ferent tua iussa, libensque,
ut placeam,
caris auferar ex oculis. |
Almeno ti odiassi!
Penso che trarrei vantaggio da questa sicura disgrazia,
E non dovrei
staccarmi, infelice, dai tuoi cari occhi.
Quanto a me,
andrò dovunque mi porteranno i tuoi ordini, e volentieri,
come desideri
tu, starò lontano dai tuoi cari occhi. |
Perpetiar
quicquid crudele et quicquid acerbum est:
sed certe
uestra est haec amor inuidia. |
Sopporterò
qualunque cosa crudele e dura:
ma certamente
questa tua ostilità è amore.
[Nota,
da fare: Del Berni abbiamo
tre sonetti, datati 23 gennaio 1523, scritti
al Divizi nella stessa occasione: l'esilio in
un'abbazia abruzzese per punirlo
di una colpa di tipo omosessuale. |
Eventuale
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10.
Angelo
Diuitio. [1523]
|
10.
Ad Angelo
Divizi da Bibbiena.
|
Si
qua fides usquam mortalibus, Angele, habenda est
pro pietate
animi et moribus ingenuis,
dum sibi
conscia mens nihil aut fecisse maligne
aut dixisse
ullo in tempore se meminit, |
Se
i mortali devono mai avere qualche fiducia, Angelo,
per la pietà
d’animo e i nobili costumi,
mentre la mente
in piena coscienza ricorda
di non aver
detto o fatto nulla di male in nessun tempo, |
Sed
sanctam coluisse fidem, sed foedera sancta
aeruasse,
et sanctas semper amicitias;
debetur
certe nobis haec plurima apud te
pro pietate
animi et moribus ingenuis. |
ma
anzi di aver praticato una sacra fede, rispettato i sacri precetti
e sempre le
sacre amicizie (seruasse?);
dovresti darmene
certamente moltissima,
per la pietà
d’animo e i nobili costumi. |
Nam
quod perditus ante malo flagrauerim amore,
et fuerim
toto infamia nota foro,
pro quo
te caruisse, diuque ingratus abesse
debueram,
et tristes extimuisse minas,
crede mihi,
fuit id fortunae crimen iniquae,
non morum
aut animi non satis ingenui;
fortunae
omnipotentis, apertum in corpora nostra
inque animos
late quae gerit imperium,
mergens
fortia colla profundo uortice amoris,
et torquens
caecis corda cupidinibus. |
Infatti,
quando arsi perdutamente di un amore maligno,
fui bollato
d’infamia in tutta la corte,
per cui dovevo
stare senza te, starti lontano, infelice, a lungo,
e temere serie
minacce,
credimi, questo
fu colpa di una sorte ingiusta,
di un animo
e di costumi non abbastanza nobili;
della sorte
onnipotente che ha potere chiaro
sui nostri
corpi e ampio sui nostri animi,
mentre affonda
forti colli nel profondo gorgo dell’amore,
e tormenta
i cuori con cieche passioni. |
Quae
licet oblitumque hominum oblitumque Deorum
extremam
prorsus me ingerit in rabiem,
nulla tamen
rabies fuit aut uis effera tanti,
quae tete
nostro auelleret ex animo;
te quem
longus amor media in praecordia fixum
iussit in
aeternos usque manere dies;
cuius amorem
nulla iniuria temporis unquam
aut hominum
nostro e pectore dissoluet,
quidquid
erit posthac, quaecumque hominumque Deumque
Fortunaeue
in me dictaque factaque sint. |
Anche
se esse, che macchiarono gli uomini e gli dei,
mi gettano
proprio nella rabbia estrema,
tuttavia non
ci fu nessuna rabbia o forza tanto furiosa,
che potesse
togliere proprio te dal mio cuore;
te che hai
fatto sì che un lungo amore rimanesse fisso
in mezzo al
cuore per l’eternità;
il cui amore
non potrà mai essere staccato dal mio animo
da nessuna
offesa del tempo o degli uomini,
qualunque cosa
succederà d’ora in poi, qualunque cosa sia fatta o detta contro
di me
dagli uomini,
dagli dei o dalla sorte. |
Quare si
hactenus insano labefactus amore
admisisse
in te noxam aliquam potui,
pro qua
te caruisse, diuque ingratus abesse
debuerim,
et tristes extimuisse minas,
ignosces;
etenim post longa incommoda, longa
supplicia
et longi dedecus exsilii,
denique
post demptam per saeua piacula labem,
si qua erat,
irarum desinere usque decet; |
Perciò,
se finora, sconvolto da un insano amore,
ho potuto comettere
verso di te qualche errore,
per cui dovrei
stare senza te, starti lontano, infelice, a lungo,
e temere serie
minacce,
lo sai; e infatti
dopo lunghe difficoltà, lunghi supplizi
e il disonore
di un lungo esilio,
e infine, dopo
aver tolto l’onta (se mai ce n’era una)
con duri sacrifici,
conviene che si abbandonino per sempre i moti d’ira; |
et mihi
reddere te, et uiuacem exstinguere curam,
quae pectus
tristi torquet amaritie;
ne forte
Adriacas si unquam uesanus in undas
deferar,
heu uestris naufragus ex oculis,
aut terra
ignota iaceam neglectus, et exsul,
et matutinis
praeda data alitibus,
dicaris
miserae mortis tu causa fuisse,
et tua sit
nostri funeris inuidia. |
che io ritorni
a te, e che plachi l’affanno ancora vivo,
che ti tormenta
il cuore con triste amarezza;
affinchè,
se per caso, impazzito, mi gettassi nelle onde dell’Adriatico,
oh naufrago
ai vostri occhi,
o dovessi giacere
in una terra sconosciuta, abbandonato ed esule,
dato in pasto
agli uccelli del mattino,
non si dica
che sei stato causa di una morte infelice,
e non sia tuo
l’odio per la mia morte. |
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L'autore ringrazia
fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati
su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà
eventuali errori in essa contenuti. |
Note
[1]
Il testo da: Francesco Berni, Carmina, come a suo tempo pubblicato
online dal defunto sito "Poeti d'Italia
in lingua latina", che riproduceva l'edizione a cura di M. Scorsone,
______, _____ 1995.
La traduzione
dal latino, inedita, è di Pierluigi
Gallucci, che ringrazio per il l'aiuto.
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