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Giovanni Della Casa (?) (1503-1556)

Giovanni Della Casa dall'edizione del 1733 delle sue Opere.
Giovanni Della Casa dall'edizione del 1733 delle sue Opere.
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Da: Dissertatio Joannis Casae archiep. Beneventani adversus Paulum Vergerium  
Dissertazione di Giovanni Della Casa, arcivescovo di Benevento, contro <Pier> Paolo Vergerio [1550 ca.] [1] 
. 
<De libro "De laudibus sodomiae"  quodam, Casae false adscripto>. 
<Sulla falsa attribuzione al Della Casa di un libro In lode della sodomia>. 

/ p. 231 / Praeterea, si qui sunt paulo minus casti libelli, per jocum aliquibus in adolescentia scripti, eos tu, cui tibi commodum fuerit, adscribito: quae dubia erunt, in pessimam partem rapito: multa de tuo addito: quod de versiculis illis qui de Furni laudibus inscripti iam olim sunt, fecisse te video: quamquam illos me annis ab hinc quinque, et viginti editos, alterius cujusdam nomine inscriptos, legisse me memini.

/ p. 231 / Inoltre, se ci sono dei libretti un po' meno casti, scritti per scherzo da qualcuno in adolescenza, tu li attribuisci a chi ti fa comodo; se ci sono cose dubbie, le stravolgi nel modo peggiore; aggiungi molto di tuo: questo vedo che hai fatto riguardo a quei versicoli che già una volta furono attribuiti al "Capitolo del forno": anche se ricordo di aver letto che quei versi sono stati pubblicati già 25 anni fa e attribuiti al nome di qualcun altro.

Tu Joanni Casae attribuis: quem tumet affirmare soles ornate, politeque scribere, & versibus posse, & soluta oratione: id quod video Bembo quoque, et Flaminio idem visum esse, aliisque multis item bonis, doctisque viris, qui de ejus hominis cum eloquentia, tum temperantia, integritate, humanitateque elogia quaedam scripta relinquerunt.  Tu li attribuisci a Giovanni della Casa: di colui contro cui ti agiti, sei solito affermare che scrive in modo elegante e raffinato, che è capace con i versi e sciolto nella prosa: cosa che vedo che sembrò anche a Bembo, come a Marco Antonio Flaminio e ugualmente a molti altri buoni e dotti uomini, che lasceranno elogi scritti di quest’uomo con eloquenza, sobrietà, integrità e umanità.
Sed si Joannis Casae ii versiculi sunt; ejus ego hominis gravitatem, & constantiam laudare possim; nisi tu illi iratus de judicio tantopere sis; qui to- / p. 232 / ties a te lacessitus, respondit tibi numquam, praesertim cum tribus verbis facere illi hoc licuerit, quicumque eos versos ludens scripsit: nam si tu aliud atque ille dicit, intelligis, tua isthaec culpa est, qui non male dicta male interpreteris: quod si aliud dicitur, aliud significatur, tamen tu in aliam partem accipis, ac cogitatum ab ejus carminis auctore fit: feminae enim illis versibus plane, non mares laudantur, si modo quicquam praeter Furnum ipsum laudatur.  Ma se questi versicoli sono di Giovanni della Casa, io potrei lodare la fermezza e la severità di quest’uomo, se tu non fossi tanto in collera con lui nel giudizio; lui che è stato aggredito tante volte da te, non ti ha mai risposto, tanto più che avrebbe potuto farlo con le parole del popolo, chiunque, scherzando, abbia scritto quei versi: infatti, se quello dice una cosa e tu ne intendi un’altra, la colpa è tua, che interpreti in modo malizioso cose dette in modo non malizioso: poichè se si dice “altro”, significa “altro”, tuttavia tu lo intendi in modo diverso, e il tuo pensiero diventa autore di quella poesia: infatti, in quei versi sono lodate chiaramente le donne, non gli uomini, posto che sia lodato qualcosa oltre al forno stesso.
Neque tu ignoras, sed vetere illo tuo uteris artificio oratorio, gratificare enim tibi cupio, quando tu te Principum Nuncium, Christi Legatum esse tu jactare, ac praedicare solitus es. E tu lo sai bene, ma usi quel tuo vecchio artificio oratorio: infatti, desidero gratificarti dal momento che sei solito andar dicendo e vantando di essere il Primo Nunzio, Inviato di Cristo.
 
Pierpaolo Vergerio (1498-1565).
Pierpaolo Vergerio (1498-1565). 
 
<De Petro Aloysio Farnesio> 
<Su Pier Luigi Farnese> 

/ p. 232 / Nam de Petro Aloysio Farnesio, quem tu insectaris jam toties con- / p. 233 / viciis mortuum, quis est, qui fabulam illam non audierit?

/ p. 232 / Infatti, chi è che non ha mai sentito quella famosa diceria su Pier Luigi Farnese, contro cui, ormai morto, ti scagli con tanti insulti?

Quotus autem quisque est, qui commentitium id totum esse, atque a malevolis confictum, scire te neget? Ma quanto pochi sono coloro che dicono che non sai che è tutto falso e inventato da persone malevole?
A te autem requirunt Itali homines superiora illa scilicet, quibus testibus, atque adeo quibus indiciis id compereris: cur id, quod tibi non magis, quam ceteris omnibus compertum sit, solus affirmes? E poi gli uomini italiani ti chiedono proprio quelle suddette vicende, da quali testimoni e soprattutto da quali indizi hai scoperto questo: perché solo tu affermi con certezza questo, che è noto a te non più che a tutti gli altri?
Cur hoc tibis sumas, ut hominem vexes mortuum? Perchè ti arroghi il diritto di insultare un uomo morto?
Eloquentia te fretum dices: illi malevolentia, atque audacia, tum inimicitiis adductum putant: loquacem te, et maledicum, atque malevolum dicunt; eloquentem, aut disertum negant. Dici di contare sulla tua eloquenza: ma quelli pensano che sei spinto dal malanimo, dalla sfrontatezza come dai moti d'odio: dicono che sei pettegolo, maldicente e malevolo; dicono che non sei eloquente o accorto nel parlare.
Quid, quod secum ipsa tua pugnat oratio, nec cohaerere ullo modo potest? Che dire poi del fatto che la tua eloquenza contraddice se stessa e non può stare in piedi in nessun modo?
Fama est, inquis, veneno Episcopum illum periisse, ne facere tantum Petri Aloysii facinum palam posset. Corre voce – dici – che quel vescovo si avvelenò, in modo che il delitto tanto grande di Pier Luigi non fosse reso pubblico.
Mitto ausum te esse veneni mentionem facere; impudentiam enim profiteris: illud requiro, utrum datum istud venenum fit, priusquam resciri facinus illud potuerit: quod tu, si affirmas, quaero abs te, qui ergo resciscere potuisti? Tralascio il fatto che osi far menzione del veleno; infatti, riveli la tua sfrontatezza: mi chiedo, se mai gli fu dato questo veleno, di quel che è successo prima che quel delitto si riuscisse venire a sapere: quindi, se lo affermi con certezza, ti chiedo: come, dunque, sei riuscito a venirlo a sapere?
Sin postquam vulgata ea res est, ut ad te quoque fama, ac nuncii pervenerint, quid attinuit venenum dari?
Sed ego stultior, qui a te dicti ullius rationem postulem.
Ma se questa cosa è stata divulgata in seguito, tanto che anche a te sono giunte voci e notizie, cosa importa che si è avvelenato?
Ma sono proprio sciocco io che chiedo il motivo di una cosa non detta da te.
[2]. 

[3]. 

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà eventuali errori in essa contenuti.

Note 

[1] Il testo (apocrifo?) è copiato da: Dissertatio Joannis Casae archiep. Beneventani adversus Paulum Vergerium, in: Giovanni Della Casa, Opere, Pisanello, Venezia, 5 tomi, tomo 4°, pp. 225-240.  
Citazioni dalle pp. 231-232 e 232-233.  
I titoli delle citazioni e i neretti sono stati aggiunti da me.

La traduzione dal latino, inedita, è di Pierluigi Gallucci, che ringrazio per il l'aiuto.

L'opera, un'invettiva violenta e spesso volgare contro il vescovo Pier Paolo Vergerio (1498-1565), che s'era unito al campo Protestante, è considerata apocrifa da diversi studiosi, e attribuita da Luigi Alberto Ferrai (Studii storici, Drucker, Padova-Verona 1892, a p. 79) a un certo frate Ippolito Chizzuola, "uno dei più fieri oppositori di Pier Paolo Vergerio".  
La data è poco dopo il 1550, anno della difesa del Vergerio contro il Della Casa, che era stato incaricato del suo processo per opinioni protestanti. 
Chiunque sia l'autore, comunque, a noi interessa perché documenta l'inizio di quella guerra ideologica, fra cattolici e protestanti, in cui l'omosessualità sarebbe stata usata come bomba da scagliare contro i nemici. 
Anche per questo motivo l'enorme tolleranza verso il discorso omosessuale, tipica del Rinascimento, viene rapidamente meno a partire da questo periodo. Non sarà più lecito scrivere e pubblicare, per scherzo, poesie omosessuali, perché poi avrebbero potuto essere rinfacciate dai nemici come documenti di un gusto reale. E se qualcuno era ancora disposto a rischiare tale fama, le autorità - specie religiose - non vollero più sentir parlare di qualsiasi cosa che desse un'apparenza "dissoluta" alla propria "parte" politica. 

Quanto al fatto che poi ci sia accontentati della semplice apparenza, e si sia così celebrato il trionfo dell'Ipocrisia... questo è un altro paio di maniche. 

[2]. 

[3] 


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