Da: Dissertatio
Joannis Casae archiep. Beneventani adversus Paulum Vergerium
/
Dissertazione di
Giovanni Della Casa, arcivescovo di Benevento, contro <Pier> Paolo Vergerio
[1550 ca.] [1]
.
<De
libro "De laudibus sodomiae" quodam, Casae false adscripto>.
|
<Sulla
falsa attribuzione al Della Casa di un
libro In lode della sodomia>.
|
/
p. 231 / Praeterea, si qui sunt paulo minus casti libelli, per jocum
aliquibus in adolescentia scripti, eos tu, cui tibi commodum fuerit, adscribito:
quae dubia erunt, in pessimam partem rapito: multa de tuo addito: quod
de versiculis
illis qui de
Furni laudibus inscripti iam olim sunt, fecisse te
video: quamquam illos me annis ab hinc quinque, et viginti editos, alterius
cujusdam nomine inscriptos, legisse me memini. |
/
p. 231 / Inoltre, se ci sono dei libretti un po' meno casti,
scritti per scherzo da qualcuno in adolescenza, tu li attribuisci a chi
ti fa comodo; se ci sono cose dubbie, le stravolgi nel modo peggiore; aggiungi
molto di tuo: questo vedo che hai fatto riguardo a quei versicoli che già
una volta furono attribuiti al "Capitolo del forno":
anche se ricordo di aver letto che quei versi sono stati pubblicati già
25 anni fa e attribuiti al nome di qualcun altro. |
Tu
Joanni Casae attribuis: quem tumet affirmare soles ornate, politeque scribere,
& versibus posse, & soluta oratione: id quod video Bembo
quoque, et Flaminio
idem visum esse, aliisque multis item bonis, doctisque viris, qui de ejus
hominis cum eloquentia, tum temperantia, integritate, humanitateque elogia
quaedam scripta relinquerunt. |
Tu
li attribuisci a Giovanni della Casa: di colui contro cui ti agiti, sei
solito affermare che scrive in modo elegante e raffinato, che è
capace con i versi e sciolto nella prosa: cosa che vedo che sembrò
anche a Bembo, come a Marco Antonio Flaminio e ugualmente a molti altri
buoni e dotti uomini, che lasceranno elogi scritti di quest’uomo con eloquenza,
sobrietà, integrità e umanità. |
Sed
si Joannis Casae ii versiculi sunt; ejus ego hominis gravitatem, &
constantiam laudare possim; nisi tu illi iratus de judicio tantopere sis;
qui to- / p. 232 / ties a te lacessitus, respondit
tibi numquam, praesertim cum tribus verbis facere illi hoc licuerit, quicumque
eos versos ludens scripsit: nam si tu aliud atque ille dicit, intelligis,
tua isthaec culpa est, qui non male dicta male interpreteris: quod si aliud
dicitur, aliud significatur, tamen tu in aliam partem accipis, ac cogitatum
ab ejus carminis auctore fit: feminae enim illis versibus plane, non
mares laudantur, si modo quicquam praeter Furnum ipsum laudatur. |
Ma
se questi versicoli sono di Giovanni della Casa, io potrei lodare la fermezza
e la severità di quest’uomo, se tu non fossi tanto in collera con
lui nel giudizio; lui che è stato aggredito tante volte da te, non
ti ha mai risposto, tanto più che avrebbe potuto farlo con le parole
del popolo, chiunque, scherzando, abbia scritto quei versi: infatti, se
quello dice una cosa e tu ne intendi un’altra, la colpa è tua, che
interpreti in modo malizioso cose dette in modo non malizioso: poichè
se si dice “altro”, significa “altro”, tuttavia tu lo intendi in modo diverso,
e il tuo pensiero diventa autore di quella poesia: infatti, in quei
versi sono lodate chiaramente le donne, non gli uomini, posto che sia
lodato qualcosa oltre al forno stesso. |
Neque
tu ignoras, sed vetere illo tuo uteris artificio oratorio, gratificare
enim tibi cupio, quando tu te Principum Nuncium, Christi Legatum esse tu
jactare, ac praedicare solitus es. |
E
tu lo sai bene, ma usi quel tuo vecchio artificio oratorio: infatti, desidero
gratificarti dal momento che sei solito andar dicendo e vantando di essere
il Primo Nunzio, Inviato di Cristo. |
|
Pierpaolo
Vergerio (1498-1565).
|
<De
Petro Aloysio Farnesio>
|
<Su
Pier Luigi Farnese>
|
/
p. 232 / Nam de Petro
Aloysio Farnesio, quem tu insectaris jam toties con- /
p. 233 / viciis mortuum, quis est, qui fabulam illam non audierit? |
/
p. 232 / Infatti,
chi è che non ha mai sentito quella famosa diceria su Pier
Luigi Farnese, contro cui, ormai morto, ti scagli con tanti insulti? |
Quotus
autem quisque est, qui commentitium id totum esse, atque a malevolis confictum,
scire te neget? |
Ma
quanto pochi sono coloro che dicono che non sai che è tutto falso
e inventato da persone malevole? |
A
te autem requirunt Itali homines superiora illa scilicet, quibus testibus,
atque adeo quibus indiciis id compereris: cur id, quod tibi non magis,
quam ceteris omnibus compertum sit, solus affirmes? |
E
poi gli uomini italiani ti chiedono proprio quelle suddette vicende, da
quali testimoni e soprattutto da quali indizi hai scoperto questo: perché
solo tu affermi con certezza questo, che è noto a te non più
che a tutti gli altri? |
Cur
hoc tibis sumas, ut hominem vexes mortuum? |
Perchè
ti arroghi il diritto di insultare un uomo morto? |
Eloquentia
te fretum dices: illi malevolentia, atque audacia, tum inimicitiis adductum
putant: loquacem te, et maledicum, atque malevolum dicunt; eloquentem,
aut disertum negant. |
Dici di contare
sulla tua eloquenza: ma quelli pensano che sei spinto dal malanimo, dalla
sfrontatezza come dai moti d'odio: dicono che sei pettegolo, maldicente
e malevolo; dicono che non sei eloquente o accorto nel parlare. |
Quid, quod
secum ipsa tua pugnat oratio, nec cohaerere ullo modo potest? |
Che dire poi
del fatto che la tua eloquenza contraddice se stessa e non può stare
in piedi in nessun modo? |
Fama est,
inquis, veneno Episcopum illum periisse, ne facere tantum Petri Aloysii
facinum palam posset. |
Corre voce
– dici – che quel vescovo si avvelenò, in modo che il delitto tanto
grande di Pier Luigi non fosse reso pubblico. |
Mitto ausum
te esse veneni mentionem facere; impudentiam enim profiteris: illud requiro,
utrum datum istud venenum fit, priusquam resciri facinus illud potuerit:
quod tu, si affirmas, quaero abs te, qui ergo resciscere potuisti? |
Tralascio il
fatto che osi far menzione del veleno; infatti, riveli la tua sfrontatezza:
mi chiedo, se mai gli fu dato questo veleno, di quel che è successo
prima che quel delitto si riuscisse venire a sapere: quindi, se lo affermi
con certezza, ti chiedo: come, dunque, sei riuscito a venirlo a sapere? |
Sin postquam
vulgata ea res est, ut ad te quoque fama, ac nuncii pervenerint, quid attinuit
venenum dari?
Sed ego
stultior, qui a te dicti ullius rationem postulem. |
Ma se questa
cosa è stata divulgata in seguito, tanto che anche a te sono giunte
voci e notizie, cosa importa che si è avvelenato?
Ma sono proprio
sciocco io che chiedo il motivo di una cosa non detta da te. |
[2].
[3].
L'autore ringrazia
fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati
su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà
eventuali errori in essa contenuti. |
Note
[1]
Il testo (apocrifo?) è copiato da: Dissertatio Joannis Casae
archiep. Beneventani adversus Paulum Vergerium, in: Giovanni Della
Casa, Opere, Pisanello, Venezia, 5 tomi, tomo 4°, pp. 225-240.
Citazioni dalle
pp. 231-232 e 232-233.
I titoli delle
citazioni e i neretti sono stati aggiunti da me.
La traduzione
dal latino, inedita, è di Pierluigi
Gallucci, che ringrazio per il l'aiuto.
L'opera, un'invettiva
violenta e spesso volgare contro il vescovo Pier
Paolo Vergerio (1498-1565), che s'era
unito al campo Protestante, è considerata apocrifa da diversi studiosi,
e attribuita da Luigi Alberto Ferrai (Studii storici, Drucker, Padova-Verona
1892, a p. 79) a un certo frate Ippolito Chizzuola,
"uno dei più fieri oppositori di Pier Paolo Vergerio".
La data è
poco dopo il 1550, anno della difesa del Vergerio contro il Della Casa,
che era stato incaricato del suo processo per opinioni protestanti.
Chiunque sia
l'autore, comunque, a noi interessa perché documenta l'inizio di
quella guerra ideologica, fra cattolici e protestanti, in cui l'omosessualità
sarebbe stata usata come bomba da scagliare contro i nemici.
Anche per questo
motivo l'enorme tolleranza verso il discorso omosessuale, tipica del Rinascimento,
viene rapidamente meno a partire da questo periodo. Non sarà più
lecito scrivere e pubblicare, per scherzo, poesie omosessuali, perché
poi avrebbero potuto essere rinfacciate dai nemici come documenti di un
gusto reale. E se qualcuno era ancora disposto a rischiare tale fama, le
autorità - specie religiose - non vollero più sentir parlare
di qualsiasi cosa che desse un'apparenza "dissoluta" alla propria
"parte" politica.
Quanto al fatto
che poi ci sia accontentati della semplice apparenza, e si sia così
celebrato il trionfo dell'Ipocrisia... questo è un altro paio di
maniche.
[2].
[3]. |