Da: Perì
aeròn udaton topon (De aeris aquis et locis) / Dell'aere,
dell'acqua e de' luoghi [sec. V / IV a.C.] [1]
Cerco una traduzione
in italiano liberamente riproucibile per questo brano.
Chi potesse
aiutarmi, mi
scriva.
Grazie anticipate.
III,
22
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III,
22
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Testo |
<La terra degli Sciti,
in Russia, è molto umida>.
Né possibile è
che così fatta natura abondi in figliuoli, percioché né
l'uomo appetisce spesso di congiungersi con femina, per umidità
di natura e per morbidezza e per frigidità di ventre, per le quali
cose è di necessità che rarissime volte nasca nell'uomo stemperato
appetito di congiugnimento, e di più, per lo continuo cavalcare
rotti, divengono mal atti a ciò. |
Testo |
Or
questi sono gl'impedimenti dalla parte degli uomini.
E dalla parte delle femine
sono altresì e la grassezza della carne e l'umidità, percioché
le matrici [uteri] non possono poi apprendere
il seme, che la purgazione [mestruazione] non
viene loro ogni mese come fanno di bisogno, ma dopo lungo tempo e poca,
e la bocca delle matrici per la grassezza si riserra né può
ricevere il seme; ed esse sono ociose [oziose] e grasse, e i ventri loro
freddi e morbidi.
E per queste necessità
non può la nazione degli Sciti abbondare in figliuoli.
E si può di ciò
prendere certo argomento dalle serve, che non così tosto s'accostano
a [copulano con] l'uomo, che concepiscono, perché s'affaticano e
hanno carne magra. |
Testo |
Oltre a ciò i più
degli Sciti divengono disutili al congiungimento e si mettono a fare le
bisogne feminili [i lavori tipici delle donne],
e il ragionar loro è parimente da femine: e questi sono chiamati
uomini
senza maschilità. [enarei] |
Testo |
Ora
i paesani attribuiscono la cagione a Dio, riveriscono questi uomini e adorangli,
temendo ciascuno di sé simile disaventura. |
Testo |
Ma a me pare che e questi
mali e tutti gli altri procedono da Dio, e che niuno abbia più del
divino dell'altro o dell'umano, anzi tutti sono divini, e ciascuno di questi
ha sua natura, né niuno aviene senza natura. |
Testo |
E racconterò come
a me paia che questo male avenga.
Essi per lo cavalcare sono
assaliti da lunghi dolori, sì come coloro che cavalcano co' piedi
pendenti; poi diventano zoppi e si ritraggono le coscie a coloro che fieramente
s'infermano [ammalano]. |
Testo |
Or tengono cotale maniera
in curarsi: dal principio dell'infirmità si tagliano l'una e l'altra
vena dopo l'orecchia, e quando è sgollato il sangue per debolezza
sono soprapresi dal sonno e dormono; poscia si destano, alcuni sani e alcuni
no. |
Testo |
A me pare adunque che essi
con questa cura si guastino, percioché dopo gli orecchi sono vene
le quali quando altri taglia, coloro a' quali sono tagliati divengono sterili.
Io stimo adunque ch'essi
perciò si tagliano quelle vene. |
Testo |
Appresso perché, andando
per usar [aver rapporti sessuali] con le mogli,
né venga loro fatto la prima volta [quando
succede loro una volta di "fare cilecca"], non mettono il cuore
a ciò né si danno affanno; ma quando due e tre e più
fiate [volte] hanno tentato senza effetto,
facendosi a credere d'aver commesso alcun peccato verso Dio, a cui attribuiscono
ciò, si vestono di gonna feminile publicandosi
[proclamando] d'essere senza maschilità, e femineggiano
e si mettono a fare insieme con le femine quelle bisogne ch'esse sogliono
fare. |
Testo |
Or ciò aviene a' ricchi
degli Sciti e non agl'infimi, ma i nobilissimi e coloro ch'hanno più
polso perché cavalcano sono sottoposti a ciò, e i poveri
meno, che non cavalcano. |
Testo |
E di vero convenevole [appropriata]
cosa era, se questa infirmità è più divina dell'altre,
che non toccasse solamente a' nobilissimi e a' ricchissimi tra' Sciti,
ma a tutti ugualmente, anzi pare a coloro che non hanno beni, li quali
mai non onorano gl'iddii [gli dei] (se vero
è ch'essi godano dell'onore fatto loro dagli uomini e ne rendano
loro guiderdone), percioché verisimile cosa è che i ricchi
sacrifichino spesse fiate [volte] agl'iddii
e che consagrino loro de' doni delle sue ricchezze e che gli onorino, e
che i poveri non facciano ciò perché non hanno di che, e
di più ch'essi gli maledicano perché non danno loro medesimamente
delle facultà [perché non danno anche
a loro delle ricchezze]: laonde per questi peccati doverebbono i
disagiati incappare più tosto ne' mali che i ricchi. |
Testo |
Ma, così come ancora
prima ho detto, questi mali procedono [vengono] dagl'iddii
come ancora gli altri, e ciascuno aviene secondo la natura. |
Testo |
E così fatta infermità
aviene agli Sciti per tale cagione quale io ho detto, né punto sono
risparmiati gli altri uomini, percioché là dove cavalcano
assai e spesso i più sono assaliti da lunghi dolori e da sciatica
e da doglie de' piedi, né sono stimulati a lussuria. |
Testo |
Queste cose fanno gli Sciti,
e per queste cagioni oltre a tutti gli uomini sono disutilissimi all'usare
con le femine, e perché continuamente portano le brache e sono a
cavallo il più del tempo, laonde né [neppure]
con
mano si toccano le parti vergognose, e per la freddura e per la stanchezza
si dimenticano del piacere dell'amoroso congiungimento, né intendono
a ciò se non quando sono privati della maschilità. |
Testo |
Così fatte cose adunque
diciamo della nazione delli Sciti. |
|
Il fine del trattato
d'Ippocrate Dell'Aere e dell'acqua.
|
Guerrieri sciti.
Oreficeria del sec. IV a.C.
Donna scita
accudisce alle bestie. Oreficeria del sec. IV a.C.
[2].
[3].
[4].
[5].
[6].
[7].
[8].
[9].
[10].
[11].
[12].
sto cella parziale
(il testo ci gira attorno |
testo dida |
L'autore ringrazia
fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati
su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà
eventuali errori in essa contenuti. |
Note
[1]
La traduzione italiana con testo greco a fronte di questo testo, attribuito
al medico greco Ippocrate (quello del famoso "giuramento"),
è disponibile come Arie
acque luoghi, Marsilio, Venezia 1986.
Per
motivi di copyright, in attesa che qualcuno mi offra una traduzione liberamente
riproducibile, ho qui recuperato la vetusta traduzione cinquecentesca
edita come: Parte del trattato Dell'aere, dell'acqua e de' luoghi
d'Ippocrate, nella quale si ragiona delli Sciti, in:
Giovanni
Battista Ramusio (1485-1557), Navigazioni e viaggi,
Einaudi,
Torino 1978, vol. 4, messa
online
dal Progetto Manuzio.
Ho fatto ricorso
a questo poco elegante escamotage solo perché il testo
era troppo importante per mancare dal sito. Ma accetto volentieri soluzioni
più adeguate.
Arie acque
luoghi è un trattato di medicina sull'influenza
dell'ambiente sull'organismo. A III, 22 Ippocrate discute come fra
i barbari russi l'eccesso di tempo passato a cavallo "raffreddi" le loro
parti genitali al punto da privarli della virilità: alcuni di loro,
che chiama "enarei"
(termine di origine incerta, che viene tradotto come "svirilizzati") non
riuscendo ad avere rapporti con le donne, si vestono da donne e ne adottano
lo stile di vita.
Nella
sua descrizione di quello che è palesemente un ruolo
sciamanico di "travestito sacro", assunto a partire dalla mancanza
di interesse per la sessualità eterosessuale, Ippocrate è
in polemica con lo storico Erodoto (490/480-430/420 a.C.).
Costui,
nelle sue Storie [del 450-425 a.C.], [Rizzoli, Milano 1984].
aveva a due riprese trattato degli "enarei".
A
I
105, affermando che gli sciti che saccheggiarono il tempio di Afrodite
ad Ascalona furono puniti dalla dea (della fertilità e sessualità)
con il "morbo femminile" (thèlean noùson) e loro e
i loro discendenti (sic) sono chiamati "enarei".
Erodoto
torna sul tema a IV 67: fra gli sciti gli "androgini enarei"
affermano che Afrodite ha dato loro il dono della divinazione, che eseguono
con cortecce d'albero.
Siamo
dunque
di fronte a una condizione che ha origine divina, che consente il contatto
col divino al punto da permettere di praticare la divinazione.
Ippocrate
cerca però, da bravo scienziato, e non a torto, di fare a meno della
spiegazione religiosa, limitandosi alle spiegazioni razionali. Tutte
le malattie, dice, sono di origine divina: qualificare la thèlean
noùson come "morbo sacro" è quindi sbagliato. La condizione
di enareo deve avere cause naturali. Ed è qui chei
Ippocrate se ne esce con la sua spiegazione del rapporto fra ippica e omosessualità...
e qui casca l'asino. Perché il rapporto fra religione e condizione
di enareo esisteva davvero.
Ippocrate
se la cava dicendo che gli altri uomini venerano gli enarei per
timore che possa capitare loro la stessa cosa, ma questa è una spiegazione
alquanto stiracchiata. DIciamo chenon ha capito cosa succedesse perché
non lo voleva capire, perché la tradizione dei sacerdoti che incarnassero
al tempo stesso il principio maschile e quello femminile era abbastanza
estranea alla religione greca.
Questo
brano ha fatto discutere molto. Fra gli scritti in proposito segnalo (non
è una bibliografia esaustiva):
-
BOUHIER
DE VERSALIEUX, JEAN (1673-1746), Récherches et dissertations sur
Hérodote, De Saint, Dijon 1746 (BB).
Nel
cap. XX, pp. 207-212, si dimostra attraverso la comparazione dei termini
usati che la "malattia femminile", che secondo --> Erodoto e --> Ippocrate
colpiva gli Sciti, altro non era che omosessualità passiva (cfr.
COSTAR e HEYNE).
[Erodoto,
Sciti, malattia femminile]
-
COSTAR
PIERRE (16**- 16**), Apologie de Mr Costar à Menage, Courbé,
Paris???? 1657 (VE BN).
Alle
pp. 194-204 l'autore sostiene, in polemica con un "M.eur Girac", che la
"malattia delle donne" fra gli sciti, di cui parla Erodoto, altro non era
che omosessualità passiva. E per dimostrarlo cita altri passi in
cui théleia nòsos ha chiaramente tale significato.
Per
un'opinione antica diversa vedi, in questa stessa sezione, Heyne, per un'opinione
analoga, Bouhier de Versalieux.
[Erodoto,
Sciti, malattia femminile]
-
Christian
Gottlob Heyne (1729-1812), De maribus inter Scythas morbo effeminatis,
et de hermaphroditis Floridae [1778];
-
Pierre-Paul
Broca (1820-1880), Sur les enarées du Caucase / Sugli
enarrei
del Caucaso [1877].
-
Georges
Dumézil, Storie degli sciti, Rizzoli, Milano 1980.
-
1999
“Priestesses, Enarees, and Other Statuses Among Indo-Iranian Peoples.”
Proceedings of the Tenth Annual UCLA Indo-European Conference: Los Angeles,
May 21-23, 1998. Karlene Jones-Bley, Martin E. Huld, Angela Della Volpe,
and Miriam Robbins Dexter (eds.). Journal of Indo-European Studies Monograph
Series No. 32. Washington, D.C.: Institute for the Study of Man, 231-259.
-
2000
"Enarees and Women of High Status," In Davis-Kimball, Eileen Murphy, Ludmila
Koryakova, and Leonid Yablonsky (Eds.) Kurgans, Ritual Sites, and Settlements:
Eurasian Bronze Iron Age, Oxford: British Archaeological Research Reports:
International Series 890: Oxford: Archaeopress. pp. 223-229. [non vidi]
[2].
[3].
[4].
[5].
[6].
[7].
[8].
[9].
[10].
[11].
[12].
carpenter
intermediate sex |