Novella 141
del
Corpus Iuris civilis [559] [1]
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CXLI
Edictum Iustiniani
ad Constantinopolitanos.
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141
Editto di Giustiniano
agli abitanti di Costantinopoli.
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De luxuriantibus
contra naturam.
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Di coloro che copulano
contro natura.
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Praefatio: |
Premessa: |
Semper quidem
humanitate et clementia dei omnes indigemus, maxime vero nunc cum multitudine
peccatorum nostrorum multis cum modis ad iracundiam provocavimus. |
Tutti noi siamo certamente
sempre in difetto della benevolenza e clemenza di Dio, soprattutto ora
con la moltitudine dei nostri peccati e in molti modi lo abbiamo provocato
all’ira. |
Et
minatus est quidem, et ostendit, quid peccata nostra mereantur,
clemens tamen fuit iramque rejecit poenitentiam nostram expectans, et qui
nolit mortem nostram, peccantium, sed conversionem et vitam. |
E
minacciò e mostrò cosa meritavano i nostri peccati, tuttavia
fu clemente e respinse l’ira, aspettando la nostra penitenza, e non vuole
la morte di noi peccatori, ma la conversione e la vita. |
Quare justum non est,
ut omnes divitias bonitatis, et tolerantiae et patientiae clementis dei
contemnamus, ne duro et poenitentiam non agente corde nostro accummulemus
nobis iram in diem irae, sed ut omnes quidem pravis cupiditatibus et actionibus
abstineamus, maxime vero illi, qui in abominabili et deo merito exosa atque
impia actione contabuerunt. |
Perciò non è
giusto che disprezziamo tutte le ricchezze della bontà, della tolleranza
e pazienza di Dio clemente né che, non avendo fatto penitenza il
nostro cuore duro, accumuliamo in noi l’ira nel giorno dell’ira, ma che
tutti ci asteniamo da azioni e desideri perversi, soprattutto coloro che
si sono consumati in azioni abominevoli, odiose contro Dio ed empie. |
Loquimur autem de stupro
masculorum, quod multi impie committunt masculi cum masculis turpitudinem
perpetrantes. |
Parliamo della vergogna dei
maschi che molti maschi commettono in modo empio con maschi, perpetrando
turpitudine. |
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Giustiniano
e la sua corte. Mosaico a Ravenna.
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Cap.
I.
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Cap. 1
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Scimus enim
sacris scripturis
edocit, quam justam poenam deus illis, qui Sodomae
olim habituarunt, propter insanam hanc commixtionem inflexerit, adeo ut
huiusque regio illa inextincto igne ardeat, atque per hoc nos docet, ut
impiam illam actionem aversemur. |
Infatti sappiamo che le
Sacre scritture ci insegnano che Dio inflisse giusta pena a coloro
che una volta abitavano a Sodoma,
a causa di questa insana congiunzione, tanto che quel luogo bruciò
di fuoco inestinguibile, e perciò ci insegna di respingere quella
empia azione. |
Recursus
vero scimus, quid de his sanctus apostolus dicat, quidque reipublicae nostrae
leges sanciant, atque ut omnes, qui timori dei intenti sunt, impia et profana
actione abstinere debeant, quae nec a brutis perpetra invenitur, atque
illi quidem, qui eius rei sibiconscii non sunt, in futurum etiam tempus
sibi caveant,
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Sappiamo
che può riaccadere, ciò che di essi il santo Apostolo <San
Paolo> dice e ciò che le leggi del nostro Stato sanciscono,
affinché tutti quelli che sono attenti al timore di Dio debbano
astenersi da azioni empie e profane che non capita siano commesse nemmeno
dai bruti, e quelli che non sono consapevoli di ciò, anche nel futuro
badino a se stessi, |
qui vero hoc affectu jam
contabuerunt, non solum in posterum desistant, set etiam verum poenitentiam
agant et deo supplicentur, et beatissimo patriarchae vitium indicent, et
sanationis modum accipiant, et secundum id, quod scriptum est, fructum
poenitentiae ferant, ut clemens deus pro divitiis misericordiaesua nos
quoque clementia sua dignetur, et omnes pro illorum, qui poenitentiam agunt,
saluti gratias ipsi agamus, in quos etiam nunc magistratiis inquirere jussimus,
deum placentes, qui juste nobis iratus est. |
quelli che in verità
si erano già consumati in questa passione, non solo desistano in
futuro, ma anche facciano davvero penitenza e supplichino Dio, rivelino
il vizio al beatissimo patriarca, accettino il modo di guarigione e, secondo
ciò che è scritto, sopportino il frutto della penitenza,
affinché Dio clemente per le ricchezze della misericordia degni
della sua clemenza anche noi, e tutti rendiamo grazie alla stessa salvezza
per quelli che fanno penitenza, verso cui anche ora abbiamo ordinato ai
magistrati di indagare, piacendo a Dio, che giustamente è adirato
con noi. |
Et
nunc quidem ad sacrorum dierum honorem respicientes benignum deum rogamus,
ut illi qui in impiae huius actionis coeno volvuntur, ita resipiscant,
ut alia eam puniendi occasio nobis non detur; |
E
ora, considerando il rispetto dei giorni sacri, chiediamo a Dio benigno
che coloro che si rotolano nel fango di questa azione empia, si pentano
in modo che non sia data a noi un’altra occasione di punirli; |
denunciamus autem omnibus,
qui einsmodi peccati sibi conscii sunt, nisi peccare desinant, atque se
ipsos beatissimo patriarchae deferentes salutis suae curam agant, propter
impias eiusmodi actiones deum intra sanctum festum se non detulerunt, vel
in impia illa actione perseveraverunt, ne per negligeniam hac in re commissam
deum contra nos irritemus, si tam impiae et prohibitae actioni, quaeque
maxime idonea sit ad bonum deum ad omnium perniciem irritandum, conniveamus. |
annunciamo poi a tutti quelli
che sono consapevoli di tale peccato, se non smettono di peccare, deferendo
se stessi al beatissimo patriarca, di avere cura della propria salvezza,
a causa di tali azioni empie, non parteciperanno al santo giorno di festa,
o che hanno perseverato in quella azione empia, non irriteremo Dio contro
di noi per negligenza commessa in questo, se chiudiamo gli occhi di fronte
ad un’azione tanto empia e proibita che è la più adatta ad
irritare il buon Dio per la sventura di tutti. |
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L'autore ringrazia
fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati
su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnalerà
eventuali errori in essa contenuti. |
Note
[1]
Il testo latino dal sito Schwulencity
e dal sito The
Roman online library.
A stampa come:
Novellae.
In: Rudolf Schöll & Wilhelm Kroll, Corpus Iuris Civilis,
vol. 3, Weidmann, Berlin 1954 (testo greco e testo latino).
Testo greco
e traduzione italiana anche in: Danilo
Dalla, Ubi Venus mutatur, Giuffrè, Milano 1987,
pp. 205-207.
La traduzione
dal latino qui proposta, inedita, è di Pierluigi
Gallucci, che ringrazio per il contributo.
La revisione
del testo italiano è mia, quindi eventuali errori sono da imputare
a me soltanto.
Le novellae
sono le leggi emanate per la prima volta dall'imperatore Giustiniano, e
da lui aggiunte, come sezione a parte, al Corpus
iuris civilis. Furono promulgate con doppio testo, greco e latino.
Oltre alla presente
novella 141 [559 d.C.], si
veda la novella 77 [ca. 535/539 d.C.].
Di questa legge
è sopravvissuto solo il testo greco (online ne è presente
una versione in latino).
Il testo dice:
Nuovamente, per non abusare della pazienza divina, ci si rivolge contro
chi pratica lo "stupro sui maschi" (tòn arrénon fthoràn).
Contro di esso ci ammonisce la Bibbia laddove parla di Sodoma, e ce ne
parla S. Paolo.
Dunque ci si
astenga da tale azione, che nemmeno gli animali compiono, e chi è
caduto vittima di tale malattia (nòson) la confessi al patriarca
e cerchi il modo di curarlo (therapéias) con la penitenza,
evitando così ulteriori punizioni.
Chi infatti
non confesserà e non farà penitenza entro la Pasqua del 559
d.C. si esporrà alle pene peggiori, perché si indagherà
su coloro che non si sono confessati, in modo tale che Dio non si adiri
per la noncuranza degli uomini.
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