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san Tommaso d'Aquino 
(Thomas Aquinas, 1225-1274)
 
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NOTA BENE. Questo testo è un semplice "appunto", condiviso in attesa di trovare il tempo
per curare o farne curare la traduzione, il commento, o entrambe le cose.
Da: Summa theologica [1266-1273] [1]
I, ii, quaestio 31,
articulus 7
I, ii, quaestio 31,
articolo 7

[34880] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod nulla delectatio sit innaturalis. Delectatio enim in affectibus animae proportionatur quieti in corporibus. Sed appetitus corporis naturalis non quiescit nisi in loco connaturali. Ergo nec quies appetitus animalis, quae est delectatio, potest esse nisi in aliquo connaturali. Nulla ergo delectatio est non naturalis.

[34880] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 1
Procediamo così al settimo. Sembra che nessun piacere sia innaturale. Infatti il piacere negli affetti dell’anima è proporzionato alla quiete nei corpi. Ma il desiderio del corpo naturale non si placa se non in un luogo connaturale. Quindi non ci può essere un quieto desiderio animale, che è il piacere, se non in altro luogo connaturale. Dunque nessun piacere è non naturale.
[34881] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 2 
Praeterea, illud quod est contra naturam, est violentum. Sed omne violentum est contristans, ut dicitur in V Metaphys. Ergo nihil quod est contra naturam, potest esse delectabile.
[34881] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 2 
Inoltre, ciò che è contro natura è violento. Ma ogni cosa violenta è triste, come dice [V Metafisica]. Dunque niente che è contro natura può essere piacevole.
[34882] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 3 
Praeterea, constitui in propriam naturam, cum sentitur, causat delectationem; ut patet ex definitione philosophi supra posita. Sed constitui in naturam, unicuique est naturale, quia motus naturalis est qui est ad terminum naturalem. 
Ergo omnis delectatio est naturalis.
[34882] Iª-IIae q. 31 a. 7 arg. 3
Inoltre, essere basato sulla propria natura, quando si sente, causa piacere; come appare chiaro dalla definizione del filosofo sopra esposta. Ma essere basato sulla natura, è naturale per ciascuno, perchè è un moto naturale quello che ha un fine naturale. Dunque ogni piacere è naturale.
 
[34883] Iª-IIae q. 31 a. 7 s. c. 
Sed contra est quod philosophus dicit, in VII Ethic., quod quaedam delectationes sunt aegritudinales et contra naturam.
[34882] Iª-IIae q. 31 a. 7 s.c.
Ma è contro ciò che il Filosofo dice in [VII Etica] che alcuni piaceri sono malattie e contro natura.
[34884] Iª-IIae q. 31 a. 7 co. 
Respondeo dicendum quod naturale dicitur quod est secundum naturam, ut dicitur in II Physic. Natura autem in homine dupliciter sumi potest. Uno modo, prout intellectus et ratio est potissime hominis natura, quia secundum eam homo in specie constituitur. Et secundum hoc, naturales delectationes hominum dici possunt quae sunt in eo quod convenit homini secundum rationem, sicut delectari in contemplatione veritatis, et in actibus virtutum, est naturale homini. Alio modo potest sumi natura in homine secundum quod condividitur rationi, id scilicet quod est commune homini et aliis, praecipue quod rationi non obedit. Et secundum hoc, ea quae pertinent ad conservationem corporis, vel secundum individuum, ut cibus, potus, lectus, et huiusmodi, vel secundum speciem, sicut venereorum usus, dicuntur homini delectabilia naturaliter. Secundum utrasque autem delectationes, contingit aliquas esse innaturales, simpliciter loquendo, sed connaturales secundum quid. Contingit enim in aliquo individuo corrumpi aliquod principiorum naturalium speciei; et sic id quod est contra naturam speciei, fieri per accidens naturale huic individuo; sicut huic aquae calefactae est naturale quod calefaciat. Ita igitur contingit quod id quod est contra naturam hominis, vel quantum ad rationem, vel quantum ad corporis conservationem, fiat huic homini connaturale, propter aliquam corruptionem naturae in eo existentem. Quae quidem corruptio potest esse vel ex parte corporis, sive ex aegritudine, sicut febricitantibus dulcia videntur amara et e converso; sive propter malam complexionem, sicut aliqui delectantur in comestione terrae vel carbonum, vel aliquorum huiusmodi, vel etiam ex parte animae, sicut propter consuetudinem aliqui, delectantur in comedendo homines, vel in coitu bestiarum aut masculorum, aut aliorum huiusmodi, quae non sunt secundum naturam humanam.
[34884] Iª-IIae q. 31 a. 7 co. 
Io rispondo dicendo che si definisce naturale ciò che è secondo natura, come si dice in [II Fisica]. Ma la natura nell’uomo può essere intesa in due modi. Il primo come l’intelletto e la ragione sono principalmente la natura dell’uomo, poiché secondo essa l’uomo è posto nella specie. E secondo ciò, possono essere chiamati naturali piaceri degli uomini quelli che sono tali che si conviene che siano naturali per l’uomo secondo ragione, come dilettarsi nella contemplazione della verità e negli atti delle virtù. In un secondo modo può essere intesa la natura nell’uomo secondo ciò che si condivide con la ragione, si intende ciò che è comune all’uomo e agli altri, soprattutto ciò che non obbedisce alla ragione. E poi, le cose riguardano la conservazione del corpo, o secondo gli individui come mangiare, bere, riposare e simili, o secondo la specie come gli atti sessuali, sono dette piaceri per natura dell’uomo. Ma secondo questi due piaceri, capita che alcuni siano innaturali, semplicemente parlando, ma connaturali secondo qualcosa. Capita infatti che in qualche individuo sia corrotto qualcuno dei principi naturali della specie; e così ciò che è contro la natura della specie, diventa per caso naturale per quest’individuo; come l’acqua scaldata è naturale che emani calore. Così quindi capita che ciò che è contro la natura dell’uomo, o per quanto la ragione o la conservazione del corpo, diventi connaturale a quest’uomo a causa di una qualche corruzione di natura esistente in lui. Questa corruzione può essere o da parte del corpo o per malattia, come a chi ha la febbre sembrano dolci le cose amare e viceversa; o a causa di un cattivo complesso, come alcuni si dilettano a mangiare terra o carbone o simili, o anche dal parte dell’anima, come per consuetudine alcuni si dilettano a mangiare uomini, o ad accoppiarsi con bestie o altri uomini o simili, cose che non sono secondo la natura umana.
[34885] Iª-IIae q. 31 a. 7 ad arg. 
Et per hoc patet responsio ad obiecta.
[34885] Iª-IIae q. 31 a. 7 ad arg. 
E per questo è importante una risposta alle obiezioni.
IIª-IIae, quaestio 94,
articulus. 3
IIª-IIae, quaestio 94,
articulus. 3

[43025] IIª-IIae q. 94 a. 3 arg. 1 
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod idololatria non sit gravissimum peccatorum. Pessimum enim optimo opponitur, ut dicitur in VIII Ethic. Sed cultus interior, qui consistit in fide, spe et caritate, est melior quam cultus exterior. Ergo infidelitas, desperatio et odium Dei, quae opponuntur cultui interiori, sunt graviora peccata quam idololatria, quae opponitur cultui exteriori.

[43025] IIª-IIae q. 94 a. 3 arg. 1 
Così si procede al terzo. Sembra che l’idolatria non sia un peccato gravissimo. Infatti il pessimo si contrappone all’ottimo, come si dice in [VIII Etica]. Ma il culto interiore che consiste in fede, speranza e carità, è meglio del culto esteriore. Dunque la mancanza di fede, la disperazione e l’odio di Dio che sono opposti al culto interiore, sono peccati più gravi dell’idolatria che si oppone al culto esteriore.
[43026] IIª-IIae q. 94 a. 3 arg. 2 
Praeterea, tanto aliquod peccatum est gravius quanto magis est contra Deum. Sed directius videtur aliquis contra Deum agere blasphemando, vel fidem impugnando, quam cultum Dei alii exhibendo, quod pertinet ad idololatriam. Ergo blasphemia vel impugnatio fidei est gravius peccatum quam idololatria.
[43026] IIª-IIae q. 94 a. 3 arg. 2
Poi, un peccato è tanto più grave quanto più è contro Dio. Ma sembra più diretto qualcuno che agisce contro Dio bestemmiando o attaccando la fede, che mostrando il culto di un altro Dio, che riguarda l’idolatria. Dunque la bestemmia o l’attacco alla fede è peccato più grave dell’idolatria.
[43027] IIª-IIae q. 94 a. 3 arg. 3 
Praeterea, minora mala maioribus malis puniri videntur. Sed peccatum idololatriae punitum est peccato contra naturam, ut dicitur Rom. I. 
Ergo peccatum contra naturam est gravius peccato idololatriae.
[43027] IIª-IIae q. 94 a. 3 arg. 3
Poi, i mali minori sembra essere puniti dai mali maggiori. Ma il peccato di idolatria è punito come il peccato contro natura, come si dice in [Romani I]. 
Dunque il peccato contro natura è più grave del peccato di idolatria.
[43028] IIª-IIae q. 94 a. 3 arg. 4 
Praeterea, Augustinus dicit, XX contra Faust., neque vos, scilicet Manichaeos, Paganos dicimus, aut schisma Paganorum, sed habere cum eis quandam similitudinem, eo quod multos colatis deos. Verum vos esse eis longe deteriores, quod illi ea colunt quae sunt, sed pro diis colenda non sunt; vos autem ea colitis quae omnino non sunt. Ergo vitium haereticae pravitatis est gravius quam idololatria.
[43028] IIª-IIae q. 94 a. 3 arg. 4
Poi, S. Agostino dice [XX contro Faust.], voi, s’intende Manichei, noi diciamo Pagani, o scisma dei Pagani, ma hanno qualche similitudine con loro, poiché venerano molte divinità. Davvero voi siete di gran lunga peggiori di loro, poiché quelli venerano cose che esistono, ma non sono da venerare come dei; mentre voi venerate cose che non esistono del tutto. Dunque il vizio della perversità eretica è più grave dell’idolatria.
[43029] IIª-IIae q. 94 a. 3 arg. 5 
Praeterea, super illud Gal. IV, quomodo convertimini iterum ad infirma et egena elementa? Dicit Glossa Hieronymi, legis observantia, cui dediti tunc erant, erat peccatum paene par servituti idolorum, cui ante conversionem vacaverant. Non ergo peccatum idololatriae est gravissimum.
[43029] IIª-IIae q. 94 a. 3 arg. 5
Poi, su quel passo [Gal IV], in che modo possiamo rivolgerci di nuovo agli elementi deboli e poveri? Dice [Glossa di Geronimo], l’osservanza della legge a cui allora erano dediti, era un peccato quasi pari all’obbedienza degli idoli a cui si erano dedicati prima della conversione. Dunque il peccato di idolatria non è il più grave.
[43030] IIª-IIae q. 94 a. 3 s. c. 
Sed contra est quod Levit. XV, super illud quod dicitur de immunditia mulieris patientis fluxum sanguinis, dicit Glossa, omne peccatum est immunditia animae, sed idololatria maxime.
[43030] IIª-IIae q. 94 a. 3 s. c. 
Ma è contro ciò che viene detto dal [Levitico XV] sull’impurità della donna che ha un flusso di sangue, dice la [Glossa], ogni peccato è impurità dell’anima, ma l’idolatria soprattutto.
[43031] IIª-IIae q. 94 a. 3 co. 
Respondeo dicendum quod gravitas alicuius peccati potest attendi dupliciter. Uno modo, ex parte ipsius peccati. Et sic peccatum idololatriae est gravissimum. Sicut enim in terrena republica gravissimum esse videtur quod aliquis honorem regium alteri impendat quam vero regi, quia quantum in se est, totum reipublicae perturbat ordinem; ita in peccatis quae contra Deum committuntur, quae tamen sunt maxima, gravissimum esse videtur quod aliquis honorem divinum creaturae impendat, quia quantum est in se, facit alium Deum in mundo, minuens principatum divinum. Alio modo potest attendi gravitas peccati ex parte peccantis, sicut dicitur esse gravius peccatum eius qui peccat scienter quam eius qui peccat ignoranter. Et secundum hoc nihil prohibet gravius peccare haereticos, qui scienter corrumpunt fidem quam acceperunt, quam idololatras ignoranter peccantes. Et similiter etiam aliqua alia peccata possunt esse maiora propter maiorem contemptum peccantis.
[43031] IIª-IIae q. 94 a. 3 co. 
Io rispondo dicendo che la gravità di un peccato può essere intesa in due modi. Il primo modo, dalla parte del peccato stesso. E così il peccato di idolatria è il più grave. Come infatti nella repubblica terrena sembra essere gravissimo che qualcuno attribuisca l’onore regio a uno diverso dal vero re, poiché, per quanto è in sé, turba l’ordine dell’intero Stato; così tra i peccati che sono commessi contro Dio, che tuttavia sono i maggiori, sembra essere gravissimo che qualcuno attribuisca l’onore divino a un’altra creatura, poiché, per quanto è in sé, mette un altro Dio nel mondo, sminuendo la superiorità divina. Il secondo modo, la gravità del peccato può essere intesa dalla parte del peccatore, come si dice che è più grave il peccato di chi pecca consapevolmente che chi pecca senza saperlo. E secondo ciò, nulla proibisce di peccare in modo più grave agli eretici che consapevolmente corrompono la fede che avevano accolto, rispetto agli idolatri che peccato senza saperlo. E similmente anche alcuni altri peccati possono essere maggiori a causa di un maggiore disprezzo del peccatore.
[43032] IIª-IIae q. 94 a. 3 ad 1 
Ad primum ergo dicendum quod idololatria praesupponit interiorem infidelitatem, et adiicit exterius indebitum cultum. Si vero sit exterior tantum idololatria absque interiori infidelitate, additur culpa falsitatis, ut prius dictum est.
[43032] IIª-IIae q. 94 a. 3 ad 1
Dunque per prima cosa bisogna dire che l’idolatria presuppone una mancanza di fede interiore e aggiunge un culto esteriore indebito. Se davvero ci sia tanta idolatria esteriore senza mancanza di fede interiore, si aggiunge la colpa della falsità, come è stato detto prima.
[43033] IIª-IIae q. 94 a. 3 ad 2 
Ad secundum dicendum quod idololatria includit magnam blasphemiam, inquantum Deo subtrahitur dominii singularitas. Et fidem opere impugnat idololatria.
[43033] IIª-IIae q. 94 a. 3 ad 2
Per secondo bisogna dire che l’idolatria include una grande blasfemia, poiché è sottratta a Dio l’unicità del dominio. E l’idolatria combatte la fede fortemente.
[43034] IIª-IIae q. 94 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod quia de ratione poenae est quod sit contra voluntatem, peccatum per quod aliud punitur oportet esse magis manifestum, ut ex hoc homo sibi ipsi et aliis detestabilis reddatur, non autem oportet quod sit gravius. Et secundum hoc,
peccatum contra naturam minus est quam peccatum idololatriae, sed quia est manifestius, ponitur quasi conveniens poena peccati idololatriae, ut scilicet, sicut homo per idololatriam pervertit ordinem divini honoris, ita per peccatum contra naturam propriae naturae confusibilem perversitatem patiatur.
[43034] IIª-IIae q. 94 a. 3 ad 3
Per terzo, bisogna dire che, poiché è secondo il criterio della pena ciò che è contro la volontà, è opportuno che il peccato per cui si è puniti sia più manifesto, affinché per questo l’uomo detestabile a se stesso e agli altri ritorni, ma non è opportuno che sia più grave. E secondo ciò, il peccato contro natura è minore del peccato di idolatria, ma poiché è più manifesto, si pone quasi conforme la pena del peccato di idolatria, diciamo, come l’uomo per idolatria perverte l’ordine dell’onore divino, così per il peccato contro natura permette una perversione che confonde la propria natura.
[43035] IIª-IIae q. 94 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod haeresis Manichaeorum, etiam quantum ad genus peccati, gravior est quam peccatum aliorum idololatrarum, quia magis derogant divino honori, ponentes duos deos contrarios, et multa vana fabulosa de Deo fingentes.
Secus autem est de aliis haereticis, qui unum Deum confitentur et eum solum colunt.
[43035] IIª-IIae q. 94 a. 3 ad 4
Per quarto bisogna dire che l’eresia dei manichei, anche per quanto al genere di peccato, è più grave del peccato degli altri idolatri, poiché riducono di più l’onore divino, ponendo due dei opposti e inventando tante false storie su Dio. Ma è diverso per gli altri eretici che confessano un solo Dio e venerano lui solo.
[43036] IIª-IIae q. 94 a. 3 ad 5
Ad quintum dicendum quod observatio legis tempore gratiae non est omnino aequalis idololatriae secundum genus peccati, sed paene aequalis, quia utrumque est species pestiferae superstitionis.

[di questo brano devo fare la scheda nelle schede verdi]

[43036] IIª-IIae q. 94 a. 3 ad 5
Per quinto, bisogna dire che l’osservanza della legge in tempo di grazia non è del tutto uguale all’idolatria secondo il genere di peccato, ma quasi uguale, poiché sono entrambi tipi di funesta superstizione.
IIª-IIae, quaestio 154,
articulus 11
IIª-IIae, quaestio 154,
articulus 11

[45229] IIª-IIae, q. 154 a. 11 arg. 1
Ad undecimum sic proceditur. Videtur quod vitium contra naturam non sit species luxuriae. Quia in praedicta enumeratione specierum luxuriae nulla fit mentio de vitio contra naturam. Ergo non est species luxuriae.

[45229] IIª-IIae, q. 154 a. 11 arg. 1
Così si procede all’undicesimo. Sembra che il vizio contro natura non sia un tipo di lussuria. Poiché nell’elenco predetto dei tipi di lussuria non si fa alcuna menzione del vizio contro natura. Dunque non è un tipo di lussuria.
[45230] IIª-IIae, q. 154 a. 11 arg. 2 
Praeterea, luxuria opponitur virtuti, et ita sub malitia continetur. Sed vitium contra naturam non continetur sub malitia, sed sub bestialitate, ut patet per philosophum, in VII Ethic. Ergo vitium contra naturam non est species luxuriae.
[45230] IIª-IIae, q. 154 a. 11 arg. 2
Poi, la lussuria si oppone alla virtù, e così è compresa sotto la malvagità. Ma il vizio contro natura non è compreso sotto la malvagità, ma sotto la bestialità, come si trova nel Filosofo [VII Etica]. Dunque il vizio contro natura non è un tipo di lussuria.
[45231] IIª-IIae, q. 154 a. 11 arg. 3 
Praeterea, luxuria consistit circa actus ad generationem humanam ordinatos, ut ex supra dictis patet. Sed vitium contra naturam consistit circa actus ex quibus non potest generatio sequi. Ergo vitium contra naturam non est species luxuriae.
[45231] IIª-IIae, q. 154 a. 11 arg. 3
Poi, la lussuria consiste in atti regolati per la procreazione umana, come è chiaro da ciò che è stato detto sopra. Ma il vizio contro natura consiste in atti da cui non può seguire la procreazione. Dunque il vizio contro natura non è un tipo di lussuria.
[45232] IIª-IIae, q. 154 a. 11 s. c. 
Sed contra est quod, II ad Cor. XII, connumeratur aliis luxuriae speciebus, ubi dicitur, non egerunt poenitentiam super immunditia et fornicatione et impudicitia, ubi dicit Glossa, immunditia, idest, luxuria contra naturam.
[45232] IIª-IIae, q. 154 a. 11 s. c. 
Ma è contro ciò che II ad Cor. XII, è aggiunto agli altri tipi di lussuria, dove si dice, non fecero penitenza sull’impurità, fornicazione e spudoratezza, dove dice la Glossa per impurità s’intende lussuria contro natura.
[45233] IIª-IIae, q. 154 a. 11 co. 
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, ibi est determinata luxuriae species ubi specialis ratio deformitatis occurrit quae facit indecentem actum venereum. Quod quidem potest esse dupliciter. Uno quidem modo, quia repugnat rationi rectae, quod est commune in omni vitio luxuriae. Alio modo, quia etiam, super hoc, repugnat ipsi ordini naturali venerei actus qui convenit humanae speciei, quod dicitur vitium contra naturam. Quod quidem potest pluribus modis contingere. Uno quidem modo, si absque omni concubitu, causa delectationis venereae, pollutio procuretur, quod pertinet ad peccatum immunditiae, quam quidam mollitiem vocant. Alio modo, si fiat per concubitum ad rem non eiusdem speciei, quod vocatur bestialitas. Tertio modo, si fiat per concubitum ad non debitum sexum, puta masculi ad masculum vel feminae ad feminam, ut apostolus dicit, ad Rom. I, quod dicitur sodomiticum vitium. Quarto, si non servetur naturalis modus concumbendi, aut quantum ad instrumentum non debitum; aut quantum ad alios monstruosos et bestiales concumbendi modos.
[45233] IIª-IIae, q. 154 a. 11 co.
Io rispondo dicendo che, come è stato detto sopra, dove c’è un determinato tipo di lussuria, là c’è uno speciale tipo di deformità che rende indecente l’atto sessuale. Questo può accadere in due modi. Il primo, poiché si oppone alla retta ragione, cosa che è comune a tutti i vizi della lussuria. Il secondo, poiché inoltre si oppone anche allo stesso ordine naturale dell’atto sessuale che è adatto alla specie umana, perciò si chiama vizio contro natura. E ciò può avvenire in molti modi. Uno, se si procura la polluzione senza accoppiamento per il piacere sessuale, cosa che riguarda il peccato di masturbazione che alcuni chiamano effemminatezza. Un altro, se accade con l’accoppiamento con soggetti non della stessa specie, che si chiama bestialità. Un terzo, se accade con l’accoppiamento con il sesso indebito, per esempio maschio con maschio o femmina con femmina, come dice l’apostolo [Romani I] che si chiama vizio sodomitico. Un quarto, se non si usa il modo naturale di accoppiarsi o per lo strumento indebito o per altri mostruosi e bestiali modi accoppiarsi.
[45234] IIª-IIae, q. 154 a. 11 ad 1 
Ad primum ergo dicendum quod ibi enumerantur species luxuriae quae non repugnant humanae naturae. Et ideo praetermittitur vitium contra naturam.
[45234] IIª-IIae, q. 154 a. 11 ad 1 
Per prima cosa dunque bisogna dire che lì sono elencati i tipi di lussuria che non sono opposti alla natura umana. E così è omesso il vizio contro natura.
[45235] IIª-IIae, q. 154 a. 11 ad 2 
Ad secundum dicendum quod bestialitas differt a malitia, quae humanae virtuti opponitur, per quendam excessum circa eandem materiam. Et ideo ad idem genus reduci potest.
[45235] IIª-IIae, q. 154 a. 11 ad 2
Per secondo bisogna dire che la bestialità è differente dalla malvagità, che è opposta alla virtù umana, per una certa deviazione sulla medesima materia. E così si può ricondurre al medesimo genere.
[45236] IIª-IIae, q. 154 a. 11 ad 3 
Ad tertium dicendum quod luxuriosus non intendit generationem humanam, sed delectationem veneream, quam potest aliquis experiri sine actibus ex quibus sequitur humana generatio. Et hoc est quod quaeritur in vitio contra naturam.
[45236] IIª-IIae, q. 154 a. 11 ad 3
Per terzo bisogna dire che il lussurioso non mira alla procreazione umana, ma al piacere sessuale che qualcuno può provare senza atti da cui segue la procreazione umana. E questo è ciò che si cerca nel vizio contro natura.
IIª-IIae, quaestio 154,
articulus 12
Articolo 12

[45237] IIª-IIae, q. 154 a. 12 arg. 1 
Ad duodecimum sic proceditur. Videtur quod vitium contra naturam non sit maximum peccatum inter species luxuriae. Tanto enim aliquod peccatum est gravius, quanto magis contrariatur caritati. Sed magis videntur contrariari caritati proximi adulterium et stuprum et raptus, quae vergunt in iniuriam proximi, quam peccata contra naturam, per quae nullus alteri iniuriatur. Ergo peccatum contra naturam non est maximum inter species luxuriae.

[45237] IIª-IIae, q. 154 a. 12 arg. 1
Così si procede al dodicesimo. Sembra che il vizio contro natura non sia il peccato più grande tra i tipi di lussuria. Infatti un peccato è tanto più grave quanto più va contro la carità. Ma sembrano più contrari all’amore per il prossimo l’adulterio, lo stupro e il rapimento, che vertono all’offesa del prossimo, dei peccati contro natura con i quali nessuno è offeso da un altro. Dunque il peccato contro natura non è il peccato più grande tra i tipi di lussuria.
[45238] IIª-IIae, q. 154 a. 12 arg. 2 
Praeterea, illa peccata videntur esse gravissima quae contra Deum committuntur. Sed sacrilegium directe committitur contra Deum, quia vergit in iniuriam divini cultus. Ergo sacrilegium est gravius peccatum quam vitium contra naturam.
[45238] IIª-IIae, q. 154 a. 12 arg. 2
Poi, sembrano essere i più gravi quei peccati che sono commessi contro Dio. Ma il sacrilegio è commesso direttamente contro Dio, poiché verte all’offesa del culto divino. Dunque il sacrilegio è peccato più grave del vizio contro natura.
[45239] IIª-IIae, q. 154 a. 12 arg. 3 
Praeterea, tanto aliquod peccatum videtur esse gravius, quanto exercetur in personam quam magis diligere debemus. Sed secundum ordinem caritatis magis debemus diligere personas nobis coniunctas, quae polluuntur per incestum, quam personas extraneas, quae interdum polluuntur per vitium contra naturam. Ergo incestus est gravius peccatum quam vitium contra naturam.
[45239] IIª-IIae, q. 154 a. 12 arg. 3
Poi, un peccato sembra essere tanto più grave quanto è commesso verso la persona che dobbiamo amare di più. Ma secondo l’ordine della carità, dobbiamo amare di più le persone unite a noi, che sono violate con l’incesto, rispetto alle persone estranee che talvolta sono violate con il vizio contro natura. Dunque l’incesto è peccato più grave del vizio contro natura.
[45240] IIª-IIae, q. 154 a. 12 arg. 4 
Praeterea, si vitium contra naturam est gravissimum, videtur quod tanto est gravius quanto est magis contra naturam. Sed maxime videtur esse contra naturam peccatum immunditiae seu mollitiei, quia hoc maxime videtur esse secundum naturam, ut alterum sit agens et alterum patiens. 
Ergo, secundum hoc, immunditia esset gravissimum inter vitia contra naturam. Hoc autem est falsum. Non ergo vitia contra naturam sunt gravissima inter peccata luxuriae.
[45240] IIª-IIae, q. 154 a. 12 arg. 4
Poi, se il vizio contro natura è gravissimo, sembra che sia tanto più grave quanto è più contro natura. Ma soprattutto sembra essere contro natura il peccato di masturbazione o mollities, poiché sembra essere soprattutto secondo natura, come uno sia attivo e l’altro passivo.
Dunque, secondo ciò, la masturbazione è il più grave tra i vizi contro natura. Ma questo è falso. Dunque i vizi contro natura non sono i più gravi tra i peccati di lussuria.
[45241] IIª-IIae, q. 154 a. 12 s. c. 
Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro de Adulterin. coniugiis, quod omnium horum, peccatorum scilicet quae ad luxuriam pertinent, pessimum est quod contra naturam fit.
[45241] IIª-IIae, q. 154 a. 12 s. c. 
Ma è contro ciò che S. Agostino dice in [De adulterio coniug.] che di tutti questi peccati, s’intende riguardo alla lussuria, il peggiore è quello contro natura.
[45242] IIª-IIae, q. 154 a. 12 co. 
Respondeo dicendum quod in quolibet genere pessima est principii corruptio, ex quo alia dependent. Principia autem rationis sunt ea quae sunt secundum naturam, nam ratio, praesuppositis his quae sunt a natura determinata, disponit alia secundum quod convenit. Et hoc apparet tam in speculativis quam in operativis. Et ideo, sicut in speculativis error circa ea quorum cognitio est homini naturaliter indita, est gravissimus et turpissimus; ita in agendis agere contra ea quae sunt secundum naturam determinata, est gravissimum et turpissimum. Quia ergo in vitiis quae sunt contra naturam transgreditur homo id quod est secundum naturam determinatum circa usum venereum, inde est quod in tali materia hoc peccatum est gravissimum. Post quod est incestus, qui, sicut dictum est, est contra naturalem reverentiam quam personis coniunctis debemus. Per alias autem luxuriae species praeteritur solum id quod est secundum rationem rectam determinatum, ex praesuppositione tamen naturalium principiorum. Magis autem repugnat rationi quod aliquis venereis utatur non solum contra id quod convenit proli generandae, sed etiam cum iniuria alterius. Et ideo fornicatio simplex, quae committitur sine iniuria alterius personae, est minima inter species luxuriae. Maior autem iniuria est si quis abutatur muliere alterius potestati subiecta ad usum generationis, quam ad solam custodiam. Et ideo adulterium est gravius quam stuprum. Et utrumque aggravatur per violentiam. Propter quod, raptus virginis est gravius quam stuprum, et raptus uxoris quam adulterium. Et haec etiam omnia aggravantur secundum rationem sacrilegii, ut supra dictum est.
[45242] IIª-IIae, q. 154 a. 12 co.
Io rispondo dicendo che in ogni genere è pessima la corruzione del principio da cui dipendono le altre cose. Ma i principi della ragione sono quelli che sono secondo natura, infatti la ragione, presupposto ciò che è determinato dalla natura, dispone le altre cose secondo ciò che si conviene. E questo appare tanto nelle cose speculative quanto in quelle pratiche. E perciò, come nelle cose speculative l’errore su ciò di cui la conoscenza è naturalmente dentro l’uomo, è gravissimo e turpissimo; così nelle cose pratiche, agire contro ciò che è determinato secondo natura è gravissimo e turpissimo. Dunque poiché nei vizi che sono contro natura l’uomo trasgredisce ciò che è determinato secondo natura circa l’atto sessuale, da ciò deriva che in tale materia questo peccato è il più grave. Dopo c’è l’incesto che, come è stato detto, è contro il rispetto naturale che dobbiamo alle persone familiari. Ma per altri tipi di lussuria si oltrepassa solo ciò che è determinato secondo la retta ragione, tuttavia dalla presupposizione dei principi naturali. Ma si oppone di più alla ragione che qualcuno compia atti sessuali non solo contro ciò che conviene per generare figli, ma anche con offesa dell’altro. E perciò la semplice fornicazione, che è commessa senza offesa dell’altra persona, è la minore tra i tipi di lussuria. Ma l’offesa è maggiore se qualcuno abusa di una donna sottoposta al potere di un altro per scopo di procreazione e non di sola sorveglianza. E perciò l’adulterio è più grave dello stupro. Ed entrambi sono aggravati con la violenza. Per questo, il rapimento di una vergine è più grave dello stupro e il rapimento di una moglie più dell’adulterio. E anche tutte queste cose sono aggravate secondo il criterio del sacrilegio, come è stato detto sopra.
[45243] IIª-IIae, q. 154 a. 12 ad 1 
Ad primum ergo dicendum quod, sicut ordo rationis rectae est ab homine, ita ordo naturae est ab ipso Deo. Et ideo in peccatis contra naturam, in quibus ipse ordo naturae violatur, fit iniuria ipsi Deo, ordinatori naturae. Unde Augustinus dicit, III Confess., flagitia quae sunt contra naturam, ubique ac semper detestanda atque punienda sunt, qualia Sodomitarum fuerunt, quae si omnes gentes facerent, eodem criminis reatu divina lege tenerentur, quae non sic fecit homines ut se illo uterentur modo. Violatur quippe ipsa societas quae cum Deo nobis esse debet, cum eadem natura cuius ille auctor est, libidinis perversitate polluitur.
[45243] IIª-IIae, q. 154 a. 12 ad 1
Per prima cosa, dunque, bisogna dire che come l’ordine della giusta ragione deriva dall’uomo, così l’ordine della natura deriva da Dio stesso. E perciò nei peccati contro natura, in cui lo stesso ordine di natura è violato, si reca offesa a Dio stesso, ordinatore della natura. Come S. Agostino dice [III Confessioni], gli atti che sono contro natura sono sempre da detestare e punire, quali furono quelli dei sodomiti, e se tutti i popoli li commettessero, sarebbero considerati con il medesimo reato dalla legge divina, che non fece gli uomini così che si comportassero in quel modo. Infatti è violato il patto stesso che dobbiamo avere con Dio, poiché la medesima natura di cui Egli è creatore, è macchiata dalla perversione della sfrenatezza.
[45244] IIª-IIae, q. 154 a. 12 ad 2 
Ad secundum dicendum quod etiam vitia contra naturam sunt contra Deum, ut dictum est. Et tanto sunt graviora quam sacrilegii corruptela, quanto ordo naturae humanae inditus est prior et stabilior quam quilibet alius ordo superadditus.
[45244] IIª-IIae, q. 154 a. 12 ad 2
Per secondo, bisogna dire che anche i vizi contro natura sono contro Dio, come è stato detto. E sono tanto più gravi della corruzione del sacrilegio quanto l’ordine della natura umana è messo prima e più stabile di ogni altro ordine aggiunto.
[45245] IIª-IIae, q. 154 a. 12 ad 3 
Ad tertium dicendum quod unicuique individuo magis est coniuncta natura speciei quam quodcumque aliud individuum. Et ideo peccata quae fiunt contra naturam speciei, sunt graviora.
[45245] IIª-IIae, q. 154 a. 12 ad 3
Per terzo bisogna dire che la natura della specie è unita ad un solo individuo più che a qualunque altro individuo. E perciò i peccati che sono contro la natura della specie, sono più gravi.
[45246] IIª-IIae, q. 154 a. 12 ad 4 
Ad quartum dicendum quod gravitas in peccato magis attenditur ex abusu alicuius rei quam ex omissione debiti usus. Et ideo inter vitia contra naturam infimum locum tenet peccatum immunditiae, quod consistit in sola omissione concubitus ad alterum. Gravissimum autem est peccatum bestialitatis, ubi non servatur debita species. Unde super illud Gen. XXXVII, accusavit fratres suos crimine pessimo, dicit Glossa, quod cum pecoribus miscebantur. Post hoc autem est vitium sodomiticum, ubi non servatur debitus sexus. Post hoc autem est peccatum ex eo quod non servatur debitus modus concumbendi. Magis autem si non sit debitum vas, quam si sit inordinatio secundum aliqua alia pertinentia ad modum concubitus.
[45246] IIª-IIae, q. 154 a. 12 ad 4
Per quarto bisogna dire che la gravità nel peccato deriva più dall’abuso di qualcosa che dall’omissione di un uso debito. E perciò tra i vizi contro natura il posto più basso lo tiene il peccato di masturbazione che consiste nella sola omissione dell’accoppiamento con un altro. Ma gravissimo è il peccato di bestialità, dove non è rispettata la debita specie. Da qui [Genesi 37] accusò i suoi fratelli del crimine peggiore, dice la Glossa, che si accoppiavano con le pecore. Ma dopo di questo c’è il vizio sodomitico, dove non è rispettato il sesso debito. Poi c’è il peccato da cui non è rispettato il debito modo di accoppiarsi. Ma è meglio se non ci sia un debito vaso che se ci sia disordine secondo alcuni altri modi di accoppiamento. 

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L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa pagina, e chi gli segnaleràeventuali errori in essa contenuti.

Note

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Il testo è quello online dell'Opera omnia online:
Iª-IIae, q. 31, art. 7 e
IIª-IIae q. 94 a. 3 e
IIª-IIae, q. 154 a. 11-12

TOMMASO d'AQUINO, santo (1225-1274), Summa theologica [1266-1273], Salani 1968, voll. ***** (BB, BA) (testo latino e traduzione italiana).

La traduzione dal latino qui proposta, inedita, è sia mia sia di Pierluigi Gallucci, che ringrazio per il contributo. 
La revisione del testo italiano è mia, quindi eventuali errori sono da imputare a me soltanto.

Opera d'immensa importanza nella dottrina cattolica, base per secoli del ragionamento morale cristiano-occidentale (fino ai nostri giorni).
Il merito principale di questo immenso lavoro fu di riconciliare finalmente la filosofia di Aristotele, la cui importanza era stata sempre più compresa nel medioevo (specie grazie all'opera dei commentatori arabi ed arabo-ebrei) con il pensiero tradizionale della Chiesa cattolica, che invece è fin dalle origini impregnato (senza ammetterlo) della teologia di Platone.
Il contrasto fra Platone ed Aristotele sarebbe riemerso ancora, nel Rinascimento, stavolta con Platone nel ruolo del "malvagio" (cfr. BESSARIONE, GIORGIO DI TREBISONDA, PEROTTI)

San Tommaso dei conti d'Aquino si trova spesso citato nei testi antichi anche come: "Aquinas", "Doctor angelicus", "D.<ivus> Thomas", "Thomas".
Vedi nei voll. IX e XXI:
I, ii, q. 31, art. 7: "Se ci siano piaceri non naturali". Rispondendo a una tesi degli pseudo-aristotelici Problemata ( vol. 1.1) san Tommaso afferma che nessuna cosa contro natura può essere oggetto di piacere, ma che nel caso che la natura di un individuo sia "corrotta", come nel caso di un malato, possono apparirgli "connaturali" abitudini e gusti che però sono oggettivamente e restano contro natura.

Ogni piacere è naturale. La "connaturalità" individuale di alcuni piaceri contro natura (fra cui l'omosessualità) nasce solo dalla corruzione della natura individuale della singola persona.

Questo brano ha goduto in tempi recenti di una certa popolarità fra i gay cattolici in quanto Tommaso, seguendo il metodo sillogistico tipico della sua epoca, prima cita una tesi, poi allinea obiezioni ad essa, infine fornisce una soluzione al dubbio. Ebbene: nel brano in questione Tommaso cita proprio la tesi dei Problemata pseudo-aristotelici(senza nominarli) laddove essi affermano che in certi individui provare piacere nella sodomia passiva è "connaturato" alla loro natura.

Da qui è nata la leggenda che dice che san Tommaso d'Aquino giustificava l'omosessualità perché ha affermato che essa è "secondo natura" in quelle persone la cui natura è omosessuale. 
Niente affatto. Tommaso ha citato sì quella tesi, ma per confutarla: infatti il vero punto di vista di Tommaso è che se pure queste persone si comportano soggettivamente "secondo natura" nell'avere rapporti omosessuali, ciò può avvenire solo in base ad una natura corrotta e malata. E' "naturale" per l'idrofobo detestare l'acqua, ma ciò non è e non potrà mai essere naturale in generale.

Pertanto secondo Tommaso non è affatto "secondo natura" (dove "natura" va intesa anche come "ordine divino") che l'omosessuale abbia rapporti omosessuali. 
Un'attenta lettura di questo brano permetterà di fugare ogni dubbio in proposito, oltre che di ammirare stupiti l'estrema eleganza del ragionamento di Tommaso e la raffinatezza con cui escogita soluzioni alle tesi più imbarazzanti e contraddittorie per l'etica cristiana;

II, ii, q. 154, artt. 11-12: "se la sodomia sia______ ........". Qui san Tommaso stabilisce che: l'omosessualità è una delle specie di lussuria, ma soprattutto che tra esse è la più grave dopo la bestialità. 

Essa è più grave anche della masturbazione, dell'incesto e della bestemmia. Infatti "l'ordine della retta ragione deriva dall'uomo, ma l'ordine della natura deriva da Dio. Perciò nei peccati contro natura, nei quali si viola questo ordine, si fa ingiuria a Dio stesso, ordinatore della natura".

Pertanto, "anche i vizi contro natura, come abbiamo spiegato, sono contro Dio. E tanto più sono gravi del sacrilegio, quanto l'ordine della natura ha una sua priorità d'inerenza e di stabilità su qualsiasi altro ordine successivo" (quaestio 12).

L'omosessualità consensuale è addirittura più grave anche dello stupro eterosessuale, perché per lo meno esso è "secondo natura". Questa tesi è tutt'ora seguita dalla Chiesa cattolica!

Su san Tommaso cfr. anche l'Index thomisticus e VIO.

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Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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