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Un don Giovanni Bosco poco cattolico...

16/01/2003

Carissimo,

mi sono imbattuto per caso nel suo sito e ho letto.
A parziale completamento e rettifica di quanto lei pubblica sul suo sito circa San Giovanni Bosco, terrei a sottolineare che:


1. 

Don Bosco arrivò al sacerdozio con sacrificio e volontà propria. La "protezione" alla quale lei fa menzione può riguardare quella di don Calosso, prete che lo avviò, bambino, allo studio del latino, alla cui morte, però, Giovanni Bosco rifiutò l'eredità consegnandola ai parenti.

Questo non evitò a Giovanni Bosco di raccogliere soldi per poter pagarsi gli studi necessari all'epoca per diventare sacerdote ricorrendo al lavoro e al buon cuore delle famiglie della sua borgata. 
Giovane studente a Chieri, dovette lavorare di notte per potersi mantenere.

La benevolenza - non solo in termini di aiuti economici, riconducibili questi, in sintesi, a qualche intervento di don Cafasso mentre don Bosco studiava teologia - fu sempre giustificata dall'eccezionale rendimento scolastico del ragazzo e dalla non comune intelligenza che in lui fu sempre riscontrata.


2.

Quanto alla "caparbia ostilità delle gerarchie cattoliche", risulta che il Papa Pio IX stimasse don Bosco, che l'Arcivescovo di Torino, mons. Fransoni ne lodasse l'opera, fino alla morte avvenuta nel 1862.

Vero è che con i due vescovi seguenti ebbe dei disaccordi. Con Mons. Riccardi si scontrò per quanto riguardava la formazione dei chierici che cooperavano con don Bosco. La questione fu risolta con l'approvazione pontificia della Società Salesiana.

Sempre a riguardo della caparbia ostilità, essa fu talmente caparbia che il Papa stesso consultò don Bosco per la nomina del nuovo Arcivescovo. Fu don Bosco a fare il nome di mons. Gastaldi, già vescovo di Saluzzo e già benefattore di don Bosco, col quale ebbe screzi in seguito alla poco felice uscita di don Bosco che rivelò all'amico di essere stato lui ad aver fatto il nome al Papa. Sappiamo come sono la suscettibilità e l'orgoglio umani.
Questi screzi furono risolti dalla diplomazia vaticana sotto l'impulso di Leone XIII, anch'esso ammiratore di don Bosco insieme a diversi esponenti del collegio cardinalizio (tra cui il Card. Nina).

Mai e poi mai, tra l'altro, don Bosco mise in discussione l'apparato gerarchico della Chiesa e dello Stato.

La costruzione della chiesa del Sacro Cuore di Roma, che lei indica come prezzo da pagare per la "ottusa obbedienza al Papa" in vista del "perdono" da parte dell'Arcivescovo di Torino... questo non è esatto. Il documento di "scuse" mal ingoiato da don Bosco, ma senza sceneggiate pubbliche da parte sua o dei salesiani, risale al 17 Gennaio 1881. Il 5 Aprile 1880, prima dunque che la causa fosse proposta e si discutesse in Vaticano, don Bosco aveva già accettato un ordine di Leone XIII e cioè la costruzione del tempio.

Il Card. Alimonda, successore di Gastaldi a Torino, fu un altro membro della curia sinceramente affezionato a don Bosco.


Proseguendo nella seconda parte del suo intervento, è altresì falsa l'affermazione che vede don Bosco ostile all'unità d'Italia. Secondo testimoni egli "ebbe la notizia della presa di Roma mentr'era a Lanzo, e con meraviglia dei presenti la ricevette con tranquillità, come se udisse una cosa conosciuta da tempo".

Questo indica che, al contrario di molti cattolici del tempo che vissero la presa di Roma come un attentato alla propria religione, don  Bosco tenne sempre fissa la fedeltà al Papa come Vicario di Cristo e non come capo politico, distaccando l'ambito politico dal suo agire come prete, risoluzione già evidente intorno al 1848 e ribadita anni dopo "Mi accorsi che se volevo fare un po' di bene, dovevo mettere da parte ogni politica".


Circa poi tutto ciò che concerne la sfera sessuale

Se lei volesse leggere, ad esempio, il diario personale di Giovanni XXIII, Giornale dell'anima leggerebbe come nella mentalità del suo tempo fosse consigliabile al giovane seminarista e al sacerdote evitare di trattenersi a dialogare con donne o fissarle mentre si dialogava.

Francobllo commemmorativo di don Giovanni Bosco, 1988Tutto questo può far sorridere adesso, con le lenti che abbiamo a disposizione per guardare il mondo. Ma è ingeneroso, e sostanzialmente ingiusto, guardare al passato cercando di inquadrarlo nei nostri schemi mentali di adesso.

L'esempio di Giovanni XXIII, del seminario di Bergamo, serve a capire come la mentalità alla quale 80 anni di lui prima crebbe don Bosco (e con lui il clero suo coevo) fosse accettata universalmente e fosse vista come cosa non solo "normale" ma "necessaria" per essere buoni sacerdoti.

Non che egli non fosse in grado di avere rapporti interpersonali con gente del sesso opposto (ci sono episodi di amicizie femminili durate tutta una vita), ma l'educazione del tempo era quella.

Nemmeno, l'educazione del tempo era improntata ad una sessuofobia, diversamente dalle scuole salesiane non sarebbero usciti tanti padri di famiglia (e così pure dai seminari).


Per quanto riguarda la vita di S. Domenico Savio occorre dire che don Bosco alla domanda di Domenico che gli chiedeva come diventare santo, rispose dicendo che la santità consisteva nello stare allegri, nel compiere i propri doveri di studio e di pietà e nel far del bene agli altri.

Non è una regola "negativa", direi, anzi, piuttosto positiva, basata sul "fare" e non sul "reprimere" nemmeno un lato della propria persona.


Quanto alla castità, essa è da sempre considerata una virtù prima ancora che esistesse il cristianesimo e poco o nulla dovrebbe stupire che essa sia, tutt'ora, proposta a chi è cristiano (certo, perché a chi non lo è, cosa gliene importa di quello che dice la Chiesa?).


Passando poi alla Chiesa che guarderebbe con certo sospetto gli ideali educativi di don Bosco, occorre distinguere bene: nessuno, adesso e in Italia, applicherebbe come un calco i metodi usati 150 anni fa da don Bosco.

Gli ideali di fondo (il bene spirituale, culturale e sociale dei giovani) sono gli stessi.

Cambiano i modi con i quali essi sono realizzati. La Chiesa, poi, chiama "Padre, Maestro e Amico della Gioventù" don Bosco.
Strano modo per esprimere il proprio sospetto.


Mi fermo qui e mi scuso se mi sono dilungato. Ma ritengo che per poter discutere - serenamente - di una questione, occorra uno sforzo di documentazione e di ricerca di verità che a volte, per diversi motivi, può mancare, inducendo così alla presentazione di un argomento distante da quella che può essere la verità.

Se è la Verità, quella che cerchiamo, cerchiamola veramente, chiedendoci, tra l'altro, se un articolista de "La Stampa", un grafologo (chissà cosa direbbe quel grafologo di me e di lei), il nonno di qualcuno (e anche qui: se fra 100 anni qualcuno raccontasse che io ho ammazzato una persona, a chi si darebbe credito? Alle mie memorie, alle memorie di chi mi ha conosciuto, o a lui?) e qualche libero (da cosa o da chi?) pensatore con o senza clergyman, ne siano gli unici depositari.

La rilettura di tutte le memorie biografiche e delle biografie più accreditate può essere un primo passo. Certamente se ciò non si è fatto si corre il rischio di sentire l'ammonimento di Wittgenstein: "Di ciò che non si conosce è meglio non parlare", che spesso ci fa capire quanta faziosità ci sia in molti discorsi.

Il tutto con la consapevolezza che, quando si parla di Santi, Cattolicesimo, Chiesa e quant'altro, si entra in un campo ove diversa è l'impostazione a seconda dell'essere o no davvero credenti, fatto che fa alzare la mano per porre la domanda: "Ma se non ci credi. Che t'importa se...?"

Ci può - ci deve - anche essere il pensiero "esterno", chiamiamolo laico. Ma esso sia almeno oggettivo.

I miei più cordiali saluti,
Andrea Merli

[Una seconda lettera di Andrea Merli, in risposta alla mia risposta, è qui]

Risposta,

Gentile (don?) Andrea Merli,

C'è soprattutto un motivo per cui il don Bosco che ho studiato e propongo io nel mio sito e quello che conosce e descrive lei non combaciano: il mio è un essere umano, mentre quello che emerge dalla sua lettera non è un uomo: è un santo, un ideale, vissuto in un mondo ideale.

Per esempio, mi sorprende che lei neghi o minimizzi le ostilità, anzi le vere angherie che egli dovette subire, il superamento delle quali lo rendono oggettivamente un "grande" uomo, indipendentemente dal nostro giudizio sull'istituzione i cui interessi egli servì.

Ma sottolineare che la Chiesa di allora non lo capì davvero, ne diffidò, lo tenne a distanza, alla fine lo cooptò usandolo quando si rese conto di non riuscire a batterlo, non significa immiserirne la figura: al contrario, significa esaltarne la tenacia, la lungimiranza, la pazienza... l'abilità.

Solo una visione molto ristretta dell'istituzione cattolica, una visione astorica e ideologica, può provare fastidio di fronte ad una presentazione non che agiografica della storia ecclesiale.
Dico "ristretta" perché, insomma, occorre davvero farlo, qui, un elenco di tutti i santi cattolici, anche grandi e importanti, accusati, processati, condannati, costretti all'ammenda?
E anche a farlo, cosa si dimostrerebbe che già non si sappia? Che la Chiesa cattolica sbaglia? Ma anche un bambino lo sa già, avendo sentito più e più volte in TV il papa chiedere "perdono" per gli "errori" della Chiesa...
Dunque, dov'è lo scandalo, nel dire che la gerarchia fece dei torti a don Bosco? In che modo ne sminuiamo la figura? Dopo tutto, sul lungo termine l'ha avuta vinta lui... Tant'è che lo hanno pure fatto santo: più di così...


Ma non è certo per questo che lei mi ha scritto. Il punto, come sappiamo entrambi, è un altro.

Il punto è che, una volta fatti tutti gli "aggiustamenti" che lei mi chiede, quel che resta non è più storia. È agiografia, cioè esaltazione della vita d'un santo.

Ora, io non ho nulla contro le agiografie. Sono un genere letterario dignitosissimo e  antichissimo e alcune agiografie, specie quelle medievali, sono anche assolutamente deliziose da leggere.

Però io sono uno storico, non un agiografo. Tutto qui.

Rimproverarmi per avere fatto storia, anziché agiografia, è ingeneroso: è come accusare un romanziere per avere scritto romanzi e non poesie.


Ma, a legger meglio, lei non mi riconosce affatto il diritto di dirmi "storico". La mia ricerca è mal fondata, mal informata, mal impostata: "occorre uno sforzo di documentazione e di ricerca di verità che a volte, per diversi motivi, può mancare, inducendo così alla presentazione di un argomento distante da quella che può essere la verità".

Da qui, e siamo al peggio, un invito a tacere: "La rilettura di tutte le memorie biografiche e delle biografie più accreditate può essere un primo passo. Certamente se ciò non si è fatto si corre il rischio di sentire l'ammonimento di Wittgenstein: "Di ciò che non si conosce è meglio non parlare", che spesso ci fa capire quanta faziosità ci sia in molti discorsi".

E qui dissentire dal suo punto di vista è allora, mi conceda, un mio preciso diritto.

Don Giovanni Bosco fra i ragazzi. Quadro di Crida.La mia ricerca storica su Bosco è stata infatti compiuta sui più aggiornati studi storici disponibili all'epoca, ed ha richiesto un tempo abbastanza lungo (mesi), nonostante la brevità dello scritto risultatone.
Fra gli altri testi consultai e citai: una monografia sui santi sociali piemontesi di un teologo cattolico (Quinzio); un letterato laico che lei sarebbe il primo a voler definire "poco autorevole", se lo volesse davvero definire tale liquidandolo come un semplice "giornalista della Stampa" (Ceronetti), un docente cattolico in un ateneo salesiano (D'Aquino)... ed altri ancora, sia italiani sia stranieri.
Ho poi consultato anche agiografie cattoliche (nonostante non le abbia citate perché hanno semplicemente rimosso il problema, censurandolo).
Al momento di pubblicare online il testo ho infine compiuto una ricerca di aggiornamento in Rete.

Ora lei mi scrive rimproverandomi la scarsa documentazione. Che però è tale, notiamolo bene, solo se accettiamo che lei liquidi, come lei in effetti liquida, l'attendibilità della mia intera documentazione chiedendomi svagatamente se "qualche libero (da cosa o da chi?) pensatore con o senza clergyman" (che sarebbero poi le mie fonti di documentazione) sia "l'unico depositario" della Verità.

Ora, questa sua è una mossa molto scorretta. Scorretta per il modo in cui butta lì l'enunciato che insinua (ma non dimostra) in una frase sola che le mie fonti storiche non sono attendibili perché composte da "liberi pensatori", e che oltre tutto costoro liberi ("da cosa e da chi?") non sono affatto, dato che libertà e verità stanno "altrove".
Dove? Forse nella realtà religiosa, contrapposta a quella laicale?
No, nemmeno qui, perché lei si premura di colpire anche i "liberi pensatori" "in glergyman".

Dunque, dalla descrizione che lei ne dà libertà e verità hanno un indirizzo ben preciso,  diciamo alcuni appartamenti (peraltro ottimamente affrescati) della Città del Vaticano. E basta.

Orbene, non le riconosco il diritto di ricusare in blocco i miei testimoni: e tanto meno di farlo senza almeno un controinterrogatorio.
Le mie note al margine dello scritto dimostrano che la documentazione, all'opposto di quanto lei mi contesta, scarsa non fu, e che anzi ogni affermazione mia si appoggia su qualche documento che a questo punto, come vuole la regola, se non la convince, tocca a lei confutare, non a me corroborare.
Così vuole la regola del dibattito accademico. Che è l'unico modo civile di discutere fra persone civili che magari possono avere punti di vista antitetici, ma rifiutano la violenza del "compelle eos intrare" contro chiunque non la pensi come loro.


Purtroppo però questo non è un normale dibattito accademico.

Quando lei mi dice che per scrivere un saggio come il mio bisogna leggere le biografie (e questo, io l'ho fatto) lei si affretta ahimè ad aggiungere anche: quelle più "accreditate".
Accreditate?
Da chi?
L'insieme della sua lettera non lascia dubbi sull'interpretazione da dare alla parola: accreditate dalle gerarchie cattoliche.

Ma se così è, di nuovo, non stiamo parlando di biografie storiche: qui stiamo parlando di agiografie.

Insomma, gira gira lei mi rimprovera di aver fatto lo storico e non l'agiografo.
A questo punto però dovrebbe anche farmi capire in cosa consista il torto, la colpa, l'errore, nel fatto di fare lo storico anziché lo scrittore di storielle edificanti sulla vite esemplari dei santi, e forse riusciremmo anche a capirci meglio. Ma me lo faccia capire, per favore.

Vede padre, io non ho mai rifiutato di studiare il tema dell'omosessualità di don Bosco attraverso i documenti cattolici, cioè di vedere il problema attraverso l'ottica opposta alla mia. A riprova di quanto dico: ho letto, usato e citato il cattolico (e omofobo!) D'Aquino. Che, come era suo diritto fare, nega che don Bosco fosse omosessuale: il suo è un punto di vista che io non condivido, ma che ho fedelmente citato nel mio scritto.

Ma questo è tutto quanto son riuscito a trovare. Perché, vede, se io sono aperto a cercare la verità anche fra gli scritti dei miei avversari, dall'altra parte ciò non è neppure preso in considerazione. Il tema è tabù, è censurato, è proibito.

Nel mio sito racconto la buffa disavventura della rivolta suscitata dalla pubblicazione del mio scritto sul sito dei cattolici omosessuali del "Guado": "Come osa insinuare!".
"Insinuare"? Ho forse calunniato? La santità è dunque incompatibile con l'omosessualità? (in effetti, uno dei miei contestatori lo sostiene espressamente).

Questa mi pare una domanda seria, pesante, importante, la cui risposta può cambiare il destino di milioni di vite umane. Quindi io mi rifiuto di prenderla alla leggera. Da qui non mi sposto senza combattere.
Visto che gli omosessuali sono "chiamati alla santità" (lei riconoscerà di certo queste parole), sia pure attraverso la castità, è di grande rilievo sapere se tale destino sia loro precluso in partenza, in quanto omosessuali, o no.


Perché, vede padre, se l'omosessualità è compatibile con la santità... dove sono i santi omosessuali (o gli omosessuali santi, fa lo stesso)?
Chi sono?
Alfonso de' Liguori?
Alcuino di York?
Sant'Elredo (che in realtà santo non fu, ma lasciamo correre...)?
Don Bosco, forse?
Nessuno di costoro?

E sia, glielo concedo: nessuno di costoro.

Ma allora chi sono? Dove sono? Ci sono santi negri e santi cinesi, santi dottori e santi dubbiosi, santi sposati e santi celibi, santi uomini e sante donne... ma gli omosessuali santi, dove sono? Chi sono?

Porre questa domanda è forse irrispettoso? No che non lo è. È però, se vogliamo, politico, sì. Perché su questa domanda nessuna risposta, né la sua, né la mia, può essere neutrale.

Ma (e qui rispondo alla sua domanda: "Ma se non ci credi, che t'importa se...?") non sono io quello a cui "importa": è la Chiesa cattolica, quella "a cui importa": della mia vita, del mio stile di vita, del mio diritto a vivere o non vivere in coppia, a vedere o non vedere riconosciuta la mia relazione (se ne ho una)...

Se lei mi dicesse: viva ognuno come crede, con la sua fede cattolica o non cattolica, o la sua non-fede, ognuno secondo i suoi criteri morali e la sua coscienza, crede che io le direi "no"?
In effetti questo è proprio il mio punto di vista.

I cattolici, per me, hanno il pieno diritto di dire, e sostenere, e predicare, che l'omosessualità è - che io sono - incompatibile con la loro religione. Fatti loro, e al limite problema per chi appartiene a quella (o consimile) religione, essendo omosessuale. Non certo per me.

Ma poiché i cattolici insistono ad arrogarsi il presunto "diritto" di dirigere la vita di tutti, non-cattolici compresi, ecco che si rende necessario anche a chi cattolico non è (e che forse avrebbe di meglio da fare che studiare la vita dei santi cattolici!) dire: va bene, andiamo a vedere come applichi tu i principii che predichi a noi.

La mia anti-agiografia di don Bosco era esattamente questo, e non può trarre in inganno nessuno sui suoi scopi, perché fin dalla prima riga dichiara di essere tale.

Non ho scritto per "edificare": ho scritto per capire, e fare capire - se posso.
Per una ricerca di verità.
Non quella assoluta, fissa, immutabile che vorrebbe contrabbandarmi qualcuno, bensì quella di Pilato che si chiede, e chiede anche a lei, duemila anni dopo, "ma cos'è, la verità?".
Domanda inquietante, alla quale io aggiungo più prosaico e terra-terra: ma cosa intende, lei, per "oggettivo"? Chi può dirsi in piena coscienza "oggettivo"? Lei, che rimprovera me di non esserlo? Lei lo è?

E poi, quale verità, quale oggettività? Quelle in nome delle quale lei mi invita a... tacere perché lei sa, mentre io non so?

Decisamente no. La Verità che cerco io è quella che mi spinge a pubblicare la sua lettera, le sue obiezioni, le sue critiche ed anche le sue correzioni (e se su molte questioni le divergenze sono semplici differenze d'interpretazione dei medesimi fatti, su un paio di dettagli lei potrebbe avere individuato un errore, e quindi pubblicare qui la sua correzione è ancora più utile -- la conoscenza storica progredisce proprio così, correggendo gli errori).

La mia verità è quella che non ha paura del confronto, e non chiede mai: "oppure taccia" a chi possiede "verità" diverse, molto diverse, dalla sua.
E la sua?

I miei migliori saluti.
Giovanni Dall'Orto


P.S.

Con stima, le ripeto i miei saluti.

[Una risposta di Andrea Merli a queste mie argomentazioni, e la mia replica, sono qui]

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