Mah![Che senso ha questo sito?]
2-1-2003 Scrivere di autori gay, letteratura gay, storia gay ecc... è un po' come perpetuare e proclamare una diversità che per altro non si vuole giustamente percepita come diversità, il che mi sembra vagamente contraddittorio. Io non son gay, ma chissenefrega. A me, se fa cultura (a proposito complimenti per il suo sito) o semplicemente se ha qualcosa di originale da dire un gay o un etero, un fascista o comunista, uno juventino o un milanista, un grasso o un magro, proprio non me ne importa nulla di queste classificazioni. Mi dà invece fastidio questa continua ricerca di categorie in cui magari eventualmente nascondere qualche incapacità e mediocrità. Ma, mi perdoni, se io dividessi l'umanità tra coloro a cui piace la marmellata di arance e quelli a cui non piace, Lei la troverebbe una cosa intelligente? E scriverebbe la biografia degli autori a cui piaceva la marmellata di arance, i testi di coloro a cui piaceva la marmellata, la storia di coloro a cui piaceva la marmellata, l'attualità di coloro a cui piace la marmellata? Perché non scrivere di tutti o di tutto ciò che la sua sensibilità suggerisce, senza queste classificazioni ridicole? Paolo F. |
Questa lettera il 21-1-2003 ha sollecitato il parere di una lettrice: lo si può leggere qui.
Gentile Paolo F.
io non so se certe classificazioni siano davvero "ridicole" oppure no, so però che appena lei ha concluso la sua prima frase, ha iniziato la seconda frase adoperando senza accorgersene proprio una di tali definizioni ("Io non sono gay"), nonostante fosse irrilevante ai fini del discorso che mi stava proponendo.
Orbene, certe classificazione saranno (forse!) anche ridicole, però evidentemente servono, e molto, per lo meno a chiarirsi a vicenda, altrimenti lei non avrebbe mai sentito la necessità di usarne una già nella seconda frase, non trova?
Mi conceda perciò di risponderle che se certe classificazioni, ridicole o no che siano, sono utili a lei per definirsi "non gay", non vedo come lei possa negarmi il diritto di ritenerle altrettanto utili per definire me, ed altri come me. Tutto qui: la legge è uguale per tutti... oppure "alcuni sono più uguali degli altri"?
"Definio", in latino significa "traccio confini". Le concedo senza sforzo che i confini siano assolutamente ridicoli, ciononostante provi a passarne uno senza un passaporto, e si accorgerà del fatto che, ridicoli o no, sono una cosa terribilmente seria, tale da farle rischiare la vita. Lo chieda agli extracomunitari che ogni anno muoiono cercando di varcare il nostro, di confine. Cosa in cui io non trovo nulla di ridicolo... semmai di tragico.
Il fatto poi che, come lei afferma, "non si
voglia percepire come diversità" ciò che diversità
invece è, non mi pare affatto positivo, bensì assai
negativo,
col pericolo di scivolare anche nel razzismo.
Perché negare che bianchi e neri siano
diversi, donne e uomini siano diversi, giovani e vecchi siano diversi,
significa fornire a tutti un vestito della stessa misura, che deve
andare bene per tutti: una cultura omogeneizzata buona per tutti,
piaccia o meno.
Ovviamente, al momento di scegliere se imporre a tutti una cultura eterosessuale o una cultura omosessuale, io ho qualche sospetto su quale sia la cultura che si vuole imporre a tutti nello stesso modo, come se fosse la sola Cultura, con una bella "C" maiuscola, mentre tutte le altre "non sono affatto cultura", o se proprio lo sono hanno una "c" minuscola minuscola... E lei, lei quale pensa che sarà?
Ebbene, io non credo in "una misura per tutti", in una cultura che deve andare bene per tutti, piaccia o no. Credo nel diritto di ognuno ad essere diverso dagli altri, ad essere quel che è... e a vivere la propria cultura specifica.
Dunque non c'è nessun "contraddizione" nel chiamare "diverso" un diverso: è solo giusto, solo rispettoso della sua diversità. Fingere che lei non sia diverso da me non sarebbe un atto di gentilezza, ma al contrario un atto di violenza che raderebbe a zero il mio (o il suo) vissuto, la mia (sua) diversità, la mia (sua) esperienza, il mio (suo) stile di vita, la mia (nostra) cultura, appunto.
"Rispettarmi" significa quindi tenere sempre presente la mia diversità - una regola che vale nei due sensi, ovviamente, ma che nella realtà funziona sempre, chissà perché, solo in un senso...
Attenzione: non la sto trattando da razzista: probabilmente lei parla così perché fra i suoi amici avrà, come ne ho del resto anch'io, qualche omosessuale che s'offende a sentirsi definire "diverso" perché, essendo razzista lui, coloro che sono diversi da lui gli fanno schifo... pertanto non vuole essere "diverso" a sua volta. (Incidentalmente: sì, esistono anche omosessuali razzisti... moltissimi!).
Io però non sono un omosessuale di questo tipo, dato che pure gli omosessuali sono diversi l'uno dall'altro -- proprio come gli eterosessuali, ed è questo il bello dell'antirazzismo, la scoperta che alla fin fine anche i gruppi di "diversi da noi" sono costituiti da individui tutti diversi l'uno dall'altro, proprio come "noi".
Ecco perché io pubblico un sito su coloro a cui piaceva la marmellata amara d'arance. Perché io sono diverso dai soliti omosessuali che strillano che non si deve parlare di marmellata amara d'arance, che è sconveniente, e che i siti devono obbligatoriamente, necessariamente, inevitabilmente parlare solo ed esclusivamente di mostarda dolce di Cremona, e che fare altrimenti è "ghettizzante"!
Insomma... è proprio vero, anche i "diversi" sono diversi!
I miei migliori saluti.
Giovanni Dall'Orto
P.S. In Rete, i siti su coloro a cui piace la mostarda dolce di Cremona, e solo quella, e rigorosamente quella (e guai a sostenere che potessero amare la marmellata amara d'arance, eh no, non è permesso nemmeno accennare alla marmellata amara d'arance, perché è, scandaloso, "ma come osi?"), ci sono già, a migliaia.
Lei ha mai scritto a uno di essi per chiedere che senso avesse il sito? Se no, ecco qualcosa d'interessante da fare per domani... e i prossimi ventisei anni. Se non altro per par condicio.
03/01/2003
Gentile Giovanni, Ho più che il dubbio di aver provocato un Suo risentimento, e me ne dispiace. E, visto che questa frase è sempre di circostanza, prendo a prestito quella celeberrima: "Ed egli se ne dispiacque in cuor suo" che rende meglio. Io debbo essermi spiegato male, anzi
malissimo.
Se la Sua voce porta l'arricchimento
della cultura gay, come quella di qualcun altro porta quello della cultura
yiddish, o della mostarda di Cremona, io son contento.
Mi viene in mente il tempo in cui la doccia era di sinistra e il bagno di destra, e, fuor di metafora, che uno come Borges non andava letto e pubblicato perché non politically correct. Triste. Specificità, diversità, sono costituenti comuni e patrimonio di tutti, non chiavi di contrapposizione, né recinti da difendere e dogmi da perpetuare. La parola magica non è tanto o solo identità, quanto contaminazione, io credo. Mi dirà, ma si rende conto lei anima bella dei pregiudizi contro cui abbiamo lottato, del silenzio a cui siamo stati costretti, e magari di qualche vergogna che ci è stata affibbiata? Sì, penso di sì. Ma proprio per questo, proprio per questo Le ho suggerito: scriva di tutto ciò che il suo talento Le suggerisce, arricchito della sua specificità, ma non costretto ideologicamente dalla sua specificità. Sennò quella rischia di diventare l'ennesima chiesa, che parte con le più buone intenzioni, e finisce con le persecuzioni e le abiure o, meno apocalitticamente, semplicemente avvitandosi su se stessa. Io sono uomo, io sono donna, io sono foglia, io sono gatto e sono il respiro del gatto. Io sono eterosessuale e sono omosessuale, in questa meravigliosa vita. Parafrasando Whitman, che naturalmente qui in Italia non si leggeva... Stia bene. |
Gentile Paolo,
nessun risentimento: se mi fossi offeso, avrei
cestinato la mail e basta.
Al massimo un po' di sconcerto per la sua paura
(che lei non è
il primo a manifestare, anzi...) del fatto che gli omosessuali si
"isolino", si "ghettizzino", si "avvitino su se stessi". Insomma, che si
chiudano
fuori dalla società.
Sconcerto, perché questo rischio non
esiste. Io parlo la vostra stessa lingua, frequento la vostra società,
lavoro per voi, conosco i vostri riti di accoppiamento, subisco le vostre
leggi, pago le tasse per i vostri figli... e se faccio un sito sui gay
celebri parlo pur sempre di persone che alla fin fine hanno lavorato per
voi...
Di tutte le idee folli che potrebbero venirmi,
l'idea di potere "uscire" da tale società è la più
pazza di tutte.
Lei parla del rischio che si formi "un'altra Chiesa", ma non le viene in mente il fatto che viviamo in un Paese dove di "un'altra" Chiesa (o meglio, tante) ci sarebbe un gran bisogno per contrastare lo strapotere monopolistico, di anno in anno sempre più arrogante, di quell'unica Chiesa che si è costruita in base ai principi dell'extra Ecclesiam nulla salus ("al di fuori della Chiesa cattolica non esiste salvezza") e del comando evangelico "compelle eos intrare" ("costringili ad entrare").
Lei parla del "pericolo" di fondare un'altra Chiesa... e me lo fa in un Paese che il pluralismo religioso non l'ha conosciuto mai?
Davvero lei è convinto del fatto che fondare Chiese sia un pericolo maggiore del subire il monopolio di quella che già abbiamo? Extra Ecclesiam nulla salus? Io non lo posso credere...
Aggiungiamo un altro dato, buffo e strano: le sfugge
forse che se c'è qualcuno che questo terrore dell'"avvitamento su
se stessi" non ce l'ha, sono proprio gli omosessuali come me.
E allora qui c'è qualcosa che non quadra.
Perché i ghetti,
quelli veri però, i diretti interessati li hanno sempre
combattuti,
da che mondo è mondo, al punto che i "normali" han dovuto ricorrere
alla violenza, per riempirli.
Invece, a suo dire, io gay sarei qui a costruirmi
il mio ghetto, mentre gli etero sono lì a mettermene in guardia,
generosi.
Non le pare un po' il mondo alla rovescia, questo?
Lei ci crede davvero all'illuminata benevolenza delle maggioranza verso le minoranze?
O mi permetterà di insinuarle il sospetto che il "fastidio" che lei mi manifestava, potrebbe avere cause diverse da quelle che lei cita?
Mi permetta di insinuare, allora.
Per esempio che gli eterosessuali sanno che noi
saremo comunque sempre parte della loro cultura (tutti
i froci nascono da famiglie o coppie
eterosessuali: è assiomatico)...
mentre se noi recuperiamo la nostra cultura, saranno semmai gli
eterosessuali a rischiare di essere "tagliati fuori", se non faranno
uno sforzo extra per capirci... uno sforzo che troppi di loro non hanno
nessuna
voglia di fare.
Lei è in effetti molto chiaro e lucido
quando paventa una "religione ad excludendum" da parte degli omosessuali
(noi ad escludere voi e non il contrario! questa poi!): ha espresso
con chiarezza ed onestà la paura eterosessuale di fronte alla cultura
gay: esserne esclusi.
Ebbene, noi non saremo mai "tagliati fuori"
dalla vostra cultura, dato che ci viviamo dentro a bagnomaria. Impossibile
eliminarci (...e
non è che non ci abbiate provato più e più
volte, nella storia).
Tuttavia nemmeno voi riuscirete mai, nemmeno volendo,
ad essere tagliati fuori dalla nostra: noi siamo, letteralmente,
i vostri figli, i vostri fratelli, i vostri colleghi di lavoro; viviamo
assieme a voi, in mezzo a voi, nasciamo da voi...
Quindi, l'unico sforzo richiestole per non correre
il rischio dell'esclusione, che lei teme, è frequentarci di più
(e la sua curiosità, che l'ha portata sul mio sito, va indubbiamente
in questa direzione), conoscerci di più, rispettarci di più
per quel che siamo.
Cioè darci un poco più di
spazio
nella vostra cultura (che sarebbe poi anche la nostra, in teoria -- ma
solo in teoria).
Perché vede, è troppo facile rispettarli, i froci, finché si comportano in tutto e per tutto da eterosessuali! Troppo facile, essere tolleranti verso una minoranza che si comporta, di fronte a voi, in modo esattamente omologato!
Molto più difficile, invece, con una minoranza che è se stessa, che non finge più, che non insegue più lo stile di vita eterosessuale come massima vetta dell'evoluzione umana, che vive in base ai propri valori, e non ai vostri.
Difficile... ed è questo che fa davvero paura (quanta gente esprime orrore di fronte a un gesto d'affetto omosessuale per strada? Quanti eterosessuali non esprimono scandalo, disgusto, schifo, di fronte a un gesto che voi potete compiere in qualsiasi momento senza neppure accorgervene?).
Provate a fare questo gesto nella maggior parte del mondo, e vedrete se ne uscirete vivi... (Foto G. Dall'Orto)
No, non c'è nulla d'incomprensibile. Basterebbe ascoltarci, ogni tanto, per accorgersi del fatto che parliamo la vostra stessa lingua... scriviamo i libri che leggete, componiamo la musica che amate, educhiamo i vostri figli nelle scuole, ci prendiamo cura di voi in ospedale, lavoriamo alla catena di montaggio nel posto accanto al vostro... Cosa c'è mai di "incomprensibile"?
Ciò premesso, per noi omosessuali rivalutare la nostra cultura per parlare di e fra noi è una necessità e un obbligo. Semplicemente perché voi non ci lasciate parlare quando siamo fra voi. Possiamo usare la vostra lingua, la usiamo, in effetti, però solo per parlare dei vostri argomenti, perché siete voi che controllate l'uso di questa "lingua" (cioè di questa cultura).
Le mi suggerisce:
"scriva di tutto ciò
che il suo talento Le suggerisce, arricchito della sua specificità,
ma non costretto ideologicamente dalla sua specificità".
Ora, io per vivere scrivo. Da vent'anni.
Ma lei crede che mi lascerebbero pubblicare, se io scrivessi così?
La risposta è: no.
Non faccio la vittima. Non lascerebbero
me, come non lascerebbero nessun altro.
Nessuno ce l'ha con me in quanto
Giovanni Dall'Orto. Nessuno "mi odia", nessuno mi perseguita. Nulla
di personale: al posto mio avrebbe gli stessi problemi qualunque
altra persona (anche lei). Però li avrebbe.
Lei non ha mai sperimentato la richiesta
di tagliare, da uno scritto, ciò che è "arricchito
dalla mia specificità",
perché "non interessa ai lettori" o "non c'è spazio, limitiamoci
alle cose essenziali" (l'omosessualità non rientra mai
fra le cose "essenziali") o "non è il caso"? Io sì.
Ma non solo io. Quanti libri di scuola
parlano mai dell'omosessualità di Michelangelo,
Leonardo,
Cellini
o Giacomo
Leopardi? Basta accennarne, e
scoppia un caso nazionale,
si scopron le tombe e si
levano i morti...
"Arricchire con la mia specificità",
lei dice? "Mah"...
Allora: la contaminazione delle cultura
può esistere solo fra culture che si riconoscono almeno in
parte come tali (foss'anche solo per odiarsi). Ma la cultura eterosessuale
non intende nemmeno riconoscere l'esistenza di una cultura omosessuale,
specifica, con tratti suoi.
Non può perché da che mondo
è mondo si nega sempre ciò a cui si rifiuta il diritto di
cittadinanza: come
Metternich
quando diceva che "L'Italia
è solo un'espressione geografica" o Sharon quando ripete
il mantra secondo cui "non
esiste nessun 'popolo palestinese'".
Non è possibile "contaminazione"
positiva fra due culture, se una delle due non vuole riconoscere l'esistenza
di altre culture a parte se stessa.
E non creda che la situazione stia migliorando:
tutto l'opposto.
Lei sa che i ragazzi gay che vogliono
fare tesi di laurea su temi gay ormai non riescono più ad ottenerne,
da quando è passata la controriforma delle università? A
un mio giovane amico che ha chiesto una tesi su "Sessuologia ed omosessualità
nel periodo fascista" (tema su cui non a caso non esiste nessuno
studio: sarebbe stato un lavoro originale -- e quindi anche faticoso),
è stato contro-proposto dalla docente una tesi su "Società
sportive e fascismo", con l'argomentazione: "Allargare un po' i
suoi orizzonti non le farà male".
Ora, in che senso le società sportive
sono un "orizzonte più largo" dell'omosessualità?
Sono, certo, un argomento più innocuo,
meno politicamente scomodo (e qui, altro che limitarsi a snobbare
Borges, mi permetta! qui si censura...), ma a quanto pare sono "un
orizzonte più ampio" solo ed esclusivamente perché non
toccano il tema omosessuale.
L'omosessualità è infatti
sempre un tema "ristretto" (lei me lo rimprovera un po', no?); mentre qualunque
altro tema non lo è. Guarda caso.
Ancora. Una mia amica sociologa autrice
di tre libri su temi GLBT, ha ottenuto un dottorato di ricerca,
ma a una condizione: che non studiasse il lesbismo. Al massimo la
prostituzione femminile, se proprio ci teneva, ma il lesbismo no.
E perché mai la prostituzione dovrebbe
essere un tema non sconveniente per un dottorato, mentre il lesbismo sì?
Cos'ha di così "rispettabile" la
prostituzione femminile, che il lesbismo non abbia? Forse il fatto che
riguarda le persone eterosessuali? Ah, questo cambia tutto: allora non
è un tema "ristretto", qui sì che ci si allargano gli orizzonti...
E non solo quelli...
E così via. Potrei citarle nomi e nomi di giovani che hanno studiato l'omosessualità negli scorsi dieci anni e che oggi stanno facendo altri lavori, perché per i loro interessi nelle università non c'era posto. Il tema è tabù, e lo è ogni anno di più, man mano che la logica della Chiesa unica (quella che le è scappato di lodare...) prende piede.
E quando denuncio queste cose, cosa mi rispondono sempre gli eterosessuali? "Non credevo che certe cose succedessero ancora, in Italia".
E perché "ancora"? Quando mai non sono successe? C'è stato forse un periodo in cui non succedevano più, ed io me lo sono per caso perso?
Nossignori. La verità, banale, è
che gli eterosessuali, fatte le leggi, nominatisi giudici, giuria e tribunale,
si
sono assolti da sé da qualunque accusa, autoconvincendosi che
"ormai oggi l'omosessualità non è più
un problema, in Italia", e che se gli omosessuali ribattono di no,
hanno la spiegazione pronta: sono LORO, i gay, che ne fanno un problema.
Non è la cultura eterosesuale che
li
"ghettizza" (... ma lei davvero crede che io non preferirei scrivere le
mie cose da un sito cento volte più letto?): sono loro che si
ghettizzano!
Sono loro che fanno i siti ad
excludendum, non i siti normali che non lasciano spazio a certi
temi! (ed anche qui ne avrei, di cose da raccontarle...).
E così via.
Ecco perché mi sono fatto il sito
sulla marmellata d'arance.
Perché almeno qui posso
scrivere quello che interessa a me, senza essere censurato a priori o tagliato
a posteriori.
Se lei fosse al posto mio, cosa farebbe?
Probabilmente farebbe esattamente quel che sto facendo io.
Però lei non è al mio posto...
e si sente a disagio.
Probabilmente lo sarei anch'io, se lei
fosse al posto mio e io al posto suo: la tolleranza va imparata, e non
dai libri, ma sul campo.
Però, vede, io sono al posto mio, e lei al posto suo.
Quindi non mi resta altro che andare avanti a fare quel che faccio.
Con simpatia.
Giovanni Dall'Orto
P.S. Mi sono dilungato (questo ormai è un articolo, non una risposta a una lettera...) perché "parlavo a nuora perché suocera intendesse". Il tema che lei mi ha proposto era infatti troppo ghiotto per non sviscerarlo, tuttavia io non ce l'ho con lei, cioè con una persona dotata di curiosità intellettuale sufficiente a farle visitare un sito bizzarro come questo, bensì con l'establishment culturale, chiuso a qualsiasi discorso non ortodosso...
Spero non se ne sarà avuto a male.