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Maurizio Aragno, Nizza e Savoia. Come e perché divennero francesi (e lo rimasero), Ananke, Torino 2011.
 
Copertina di ''Nizza e Savoia'', di Maurizio Aragno.

[Saggio]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Il Risorgimento studiato da un'ottica decisamente insolita

Gli eventi storici a volte si capiscono meglio osservati dall'angolino di un dettaglio, anche perché è proprio così che tutti noi viviamo la storia: a partire dal nostro piccolo orticello.
Questa gustosa ricostruzione di un evento del tutto marginale della storia del Risorgimento italiano (la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia in cambio del suo aiuto nell'espansione territoriale di casa Savoia verso l'Italia) permette di osservare il Risorgimento stesso, per così dire, da dietro le quinte.

L'autore è un vero appassionato che è andato a spulciare il probabile e l'improbabile, cosicché il risultato in questo libro si può definire senz'altro "esaustivo".
Oltre tutto, è molto utile anche la parte iniziale, che ricostruisce con accuratezza il contesto in cui la decisione maturò, raccontando il Risorgimento con tutti i suoi retroscena, le tresche, le trame, i voltafaccia...

Dal libro emerge chiaramente come i due monarchi fecero i loro accordi, come tradizione, nel pieno sprezzo delle popolazioni coinvolte, che vennero scambiate come le figurine di quando eravamo bambini. La pagliacciata dei plebisciti (ce li hanno fatti studiare a scuola, ma si sono "dimenticati" di dirci che al seggio veniva consegnata solo la scheda con il "sì") non fece altro che sottolineare la bizzarra concezione del termine "volontà popolare" che nutrivano Napoleone III e Vittorio Emanuele II.
Oltre tutto, la pagliacciata era inutile, visto che la Savoia era inequivocabilmente di lingua e cultura francese, e che la Francia era un impero mentre il Regno di Sardegna era il pulcinella delle potenze europee... ma ci fu di mezzo la voglia di stravincere, con percentuali, appunto, plebiscitarie.

Quanto alla Contea di Nizza, l'autore sembra inclinare più per la tesi della sua "italianità" che per quella opposta, ma ad onore del vero, a parte una piccola élite italianizzata (della quale peraltro faceva parte un certo Giuseppe Garibaldi, che non fu propriamente un Signor Nessuno per la storia d'Italia), il resto della popolazione parlava dialetti provenzali, come si fa del resto tuttora nelle province italiane al confine con la Francia. E diciamo che ci vuole uno sforzo non piccolo per considerare italiani tout-court i provenzali.
Non dubito del fatto che, se Nizza fosse rimasta italiana, la popolazione tutta avrebbe finito con l'adottare oggi l'italiano anziché il francese come lingua d'uso quotidiano, ma da qui a pensare che fosse già allora "italiana", come Aragno sembra pensare nell'intimo dei precordi, ce ne corre...
Ciò detto, va chiarito che Aragno si mantiene sempre gradevolmente neutrale nella sua esposizione, senza revanscismi antistorici di sorta, permettendosi al più qualche battutina sulla disinvoltura con cui un Cavour un giorno giurava sul carattere italiano di Nizza e il mese dopo lo negava recisamente, a seconda delle convenienze del momento, oppure della leggerezza con cui Vittorio Emanuele fosse pronto a sbarazzarsi della Sardegna rifilandola alla Francia in cambio di territori con meno pecore e più abitanti, soldi, industrie e ferrovie. Queste cose, a scuola non ce le insegnarono, e la garbata e mai eccessiva ironia dell'autore di questo libro verso cotali "Padri della Patria" è assolutamente meritata.

Il libro pullula di notizie strane, rare, curiose, inattese (tipo: chi avrebbe mai sospettato che una parte della Savoia pensò seriamente, nel momento in cui cessava il rapporto con la dinastia a cui aveva dato i natali, di chiedere l'annessione alla Svizzera, anziché alla Francia?), e i protagonisti del nostro Risorgimento sono presentati sotto aspetti insoliti.
L'autore non è però incline a "revisionismi" leghistici e tantomeno a revanscismi neofascisti. Raccoglie i dati (ricchissima e molto interessante è qui la parte iconografica), li elenca, e racconta una storia.
Al lettore non offre nulla di più né di meno di quanto aveva promesso nel titolo: la storia di come quei due territori divennero francesi, attraverso il racconto delle manovre e delle congiure e dei patti e dei trattati e della propaganda che prepararono i fatti del 1859 e 1860.

Anche qui, inevitabilmente Cavour emerge come un "grande tessitore" che quasi senza sapere come si trovò per le mani una tela grande il quadruplo del previsto. La sua celebre prudenza di conservatore lo spingeva a puntare a obiettivi "realistici", come il raddoppio del suo Stato, mettendo le mani sulla ricca pianura e le ricche manifatture della Lombardia, anche a costo di rinunciare alle avite pietraie e agli scoscesi ghiacciai della Savoia. E se necessario, pure alla Sardegna.
Poi, invece, ci mise lo zampino Garibaldi, e le cose andarono come sappiamo, e come né Cavour né soprattutto Napoleone III intendevano che andassero. Ma questa è un'altra storia.

Consiglio questo libro non banale, curioso, divertente e appassionato, che con le sue 170 pagine non costituisce un impegno gravoso per il lettore, e vale decisamente il prezzo richiesto dall'editore.


 
 
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