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[Saggio]
Recensione di Giovanni Dall'Orto
Il Risorgimento studiato da un'ottica decisamente insolita
Gli
eventi storici a volte si capiscono meglio osservati dall'angolino di un
dettaglio, anche perché è proprio così che tutti noi
viviamo la storia: a partire dal nostro piccolo orticello.
Questa
gustosa ricostruzione di un evento del tutto marginale della storia del
Risorgimento italiano (la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia
in cambio del suo aiuto nell'espansione territoriale di casa Savoia verso
l'Italia) permette di osservare il Risorgimento stesso, per così
dire, da dietro le quinte.
L'autore è
un vero appassionato che è andato a spulciare il probabile e l'improbabile,
cosicché il risultato in questo libro si può definire senz'altro
"esaustivo".
Oltre tutto, è
molto utile anche la parte iniziale, che ricostruisce con accuratezza il
contesto in cui la decisione maturò, raccontando il Risorgimento
con tutti i suoi retroscena, le tresche, le trame, i voltafaccia...
Dal libro emerge
chiaramente come i due monarchi fecero i loro accordi, come tradizione,
nel pieno sprezzo delle popolazioni coinvolte, che vennero scambiate come
le figurine di quando eravamo bambini. La pagliacciata dei plebisciti (ce
li hanno fatti studiare a scuola, ma si sono "dimenticati" di dirci che
al seggio veniva consegnata solo la scheda con il "sì") non fece
altro che sottolineare la bizzarra concezione del termine "volontà
popolare" che nutrivano Napoleone III e Vittorio Emanuele II.
Oltre tutto, la
pagliacciata era inutile, visto che la Savoia era inequivocabilmente di
lingua e cultura francese, e che la Francia era un impero mentre il Regno
di Sardegna era il pulcinella delle potenze europee... ma ci fu di mezzo
la voglia di stravincere, con percentuali, appunto, plebiscitarie.
Quanto alla Contea
di Nizza, l'autore sembra inclinare più per la tesi della sua "italianità"
che per quella opposta, ma ad onore del vero, a parte una piccola élite
italianizzata (della quale peraltro faceva parte un certo Giuseppe Garibaldi,
che non fu propriamente un Signor Nessuno per la storia d'Italia), il resto
della popolazione parlava dialetti provenzali, come si fa del resto
tuttora nelle province italiane al confine con la Francia. E diciamo che
ci vuole uno sforzo non piccolo per considerare italiani tout-court
i provenzali.
Non dubito del fatto
che, se Nizza fosse rimasta italiana, la popolazione tutta avrebbe finito
con l'adottare oggi l'italiano anziché il francese come lingua d'uso
quotidiano, ma da qui a pensare che fosse già allora "italiana",
come Aragno sembra pensare nell'intimo dei precordi, ce ne corre...
Ciò detto,
va chiarito che Aragno si mantiene sempre gradevolmente neutrale nella
sua esposizione, senza revanscismi antistorici di sorta, permettendosi
al più qualche battutina sulla disinvoltura con cui un Cavour un
giorno giurava sul carattere italiano di Nizza e il mese dopo lo negava
recisamente, a seconda delle convenienze del momento, oppure della leggerezza
con cui Vittorio Emanuele fosse pronto a sbarazzarsi della Sardegna rifilandola
alla Francia in cambio di territori con meno pecore e più abitanti,
soldi, industrie e ferrovie. Queste cose, a scuola non ce le insegnarono,
e la garbata e mai eccessiva ironia dell'autore di questo libro verso cotali
"Padri della Patria" è assolutamente meritata.
Il libro pullula
di notizie strane, rare, curiose, inattese (tipo: chi avrebbe mai sospettato
che una parte della Savoia pensò seriamente, nel momento in cui
cessava il rapporto con la dinastia a cui aveva dato i natali, di chiedere
l'annessione alla Svizzera, anziché alla Francia?), e i protagonisti
del nostro Risorgimento sono presentati sotto aspetti insoliti.
L'autore non è però incline
a "revisionismi" leghistici e tantomeno a revanscismi neofascisti. Raccoglie
i dati (ricchissima e molto interessante è qui la parte iconografica),
li elenca, e racconta una storia.
Al lettore non offre nulla di più
né di meno di quanto aveva promesso nel titolo: la storia di come
quei due territori divennero francesi, attraverso il racconto delle manovre
e delle congiure e dei patti e dei trattati e della propaganda che prepararono
i fatti del 1859 e 1860.
Anche qui, inevitabilmente Cavour emerge
come un "grande tessitore" che quasi senza sapere come si trovò
per le mani una tela grande il quadruplo del previsto. La sua celebre prudenza
di conservatore lo spingeva a puntare a obiettivi "realistici", come il
raddoppio del suo Stato, mettendo le mani sulla ricca pianura e le ricche
manifatture della Lombardia, anche a costo di rinunciare alle avite pietraie
e agli scoscesi ghiacciai della Savoia. E se necessario, pure alla Sardegna.
Poi, invece, ci
mise lo zampino Garibaldi, e le cose andarono come sappiamo, e come né
Cavour né soprattutto Napoleone III intendevano che andassero.
Ma questa è un'altra storia.
Consiglio questo libro non banale, curioso, divertente e appassionato, che con le sue 170 pagine non costituisce un impegno gravoso per il lettore, e vale decisamente il prezzo richiesto dall'editore.