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Gabriele Boccaccini, I giudaismi del Secondo Tempio. Da Ezechiele a Daniele, Morcelliana, 2008 [2001].
 
Copertina di ''I giudaismi del Secondo Tempio'', di Gabriele Boccaccini.

[Saggi]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


I molti (ed affascinanti) cammini paralleli del giudaismo pre-rabbinico.

Boccaccini in questo volume (prima metà d'uno sforzo che nell'introduzione è annunciato in due libri) ha preso per le corna un toro di portata non certo piccola: la nascita della religione ebraica come la conosciamo oggi (il "giudaismo rabbinico") dopo la... naqbah dell'annientamento della religione giudaica incentrata sul Tempio (raso al suolo dalle truppe romane), nel 66-70 d.C.
La sopravvivenza del giudaismo come religione fu possibile solo grazie a una radicale e drastica reinvenzione, che però fu presentata, per l'appunto, come ritorno a una tradizione risalente addirittura a Mosè, sbadatamente mai messa per iscritto per 1200 anni, ma ora finalmente codificata dopo la "parentesi" millenaria del giudaismo sacerdotale:

Quest'opera fu merito fondamentalmente della corrente farisaica, come è noto e riconosciuto pacificamente da tutti.
Negli stessi anni un'altra corrente del giudaismo, il cristianesimo, era intenta a "tornare alle origini" in modo diametralmente opposto (allargando i ranghi anziché rinserrando le fila), presentandosi a sua volta come il compimento della religione ebraica e come inveramento delle sue promesse...


Ma queste radici invocate da entrambe le nuove religioni, esistevano? Boccaccini s'è dato il compito d'indagare come e in che misura le tematiche del giudaismo del I secolo d.C. esistessero già in quello del Secondo Tempio.
Egli si trova così, a suo rischio e pericolo, a smontare, per esaminarlo criticamente, il mito di fondazione originaria di ben due grandi religioni (ebraismo e cristianesimo) senza contarne una terza (l'Islam).
Si capisce quindi l'estrema prudenza con cui inizia a muoversi, con una sterminata introduzione di 60 pagine, in cui pone le basi della legittimità della storia del pensiero come branca di ricerca autonoma e indipendente dalla teologia e dalla filosofia.
Devo dire che ci riesce in modo egregio, argomentando in modo sempre pacato, documentato, ed anche un po' didattico, anche se questo denso capitolo epistemologico rallenta un po' troppo la lettura, rimandando il momento in cui il lettore si troverà (finalmente!) in medias res.


La tesi fondamentale del volume (che, lo ripeto, non arriva fino alla distruzione del Tempio, ma si ferma grossomodo al periodo maccabaico) è che

Nello stesso modo, In altre parole non tutte le innovazioni del giudaismo rabbinico sono tali, rifacendosi non certo a Mosè, come pretendono, ma almeno a correnti minoritarie (e per certi tratti anche eterodosse) del giudaismo del Secondo Tempio.

Il corpo del libro è costituito dall'analisi delle singole tendenze culturali riscontrabili all'interno del giudaismo dei secoli V-III a.C.
Un'analisi svolta in modo tanto semplice, chiaro, documentato, lineare, da farmi sperimentare per la prima volta in vita mia il caso di un libro di religione che mi ha tenuto incollato fino alle quattro di mattina perché non riuscivo a smettere di leggere...


L'esame inizia dalla corrente "sadocita / sadocide", rappresentante della visione del mondo della casta sacerdotale, che rientrò dall'Esilio con una concezione esclusivista del proprio ruolo e dei propri poteri (e del proprio dio, divenuto ora il solo Dio dell'universo), nonché forte dell'appoggio garantitole dal potere persiano. Quest'ultimo le permise di sbarazzarsi (con un colpo di stato di cui la Bibbia nasconde i dettagli) dei discendenti della casa reale di Davide (a iniziare dal governatore Zorobabele), per governare in proprio.

Boccaccini tratteggia la "resistibile ascesa" di questo piano, ed esamina in che modo le preoccupazioni e le polemiche di questo periodo (dalla polemica antimonarchica alla rivendicazione del monopolio assoluto sul sacerdozio per i soli sedicenti "discendenti di Sadok"), si estendono all'indietro nel passato, spingendo a riscrivere i testi biblici già esistenti per adattarli alla nuova visione del mondo e del Patto con YHWH. Nonché a produrre quell'abbondante letteratura biblica da tempo identificata con la "Redazione sacerdotale".
Ho trovato di enorme interesse la cura e il dettaglio della ricostruzione storica di questo periodo e di questo processo, che culminò con l'abbandono dei samaritani (che si diedero culto e tempio autonomi), con l'inclusione di alcune famiglie sacerdotali autoctone inizialmente escluse ma rivelatesi un osso troppo duro, e viceversa con l'esclusione dal culto di tutti i leviti, di alcune famiglie sacerdotali esiliche, della massa dei sacerdoti autoctoni e soprattutto della casa reale.


A fianco di questa prima corrente di pensiero Boccaccini individua poi la corrente "enochica". I suoi esponenti sono, a suo parere, sacerdoti esclusi dal culto nel corso delle ricorrenti "purghe" causate dalla lotta per il potere all'interno della casta sacerdotale.

Questa corrente ha lasciato traccia di sé in testi (molti dei quali aventi per protagonista il patriarca Enoch, da cui il nome) che sono stati tutti espulsi dal canone biblico, e non per caso. Essi infatti contestano la visione del mondo dei sadociti, che teorizzavano una realtà perfettamente ordinata, una volta per tutte, da YHWH, e regolamentata dal Patto/Alleanza, garantito dal culto monopolizzato dai soli sacerdoti "figli di Sadok".

Gli enochici dissentono, presentando (anche attraverso il genere letterario dell'apocalisse) un mondo corrotto e in preda al disordine, a causa dell'introduzione del Male (che quindi non promana dalla volontà di YHWH, ma ha vita autonoma) a causa della ribellione degli angeli e della nascita dei Giganti (questi ultimi furono uccisi, ma le loro anime rimasero sulla Terra sotto forma di spiriti malvagi).

La corrente enochica introduce una quantità d'innovazioni destinare ad avere un enorme successo nelle correnti che da essa discenderanno, come il cristianesimo e il giudaismo rabbinico (ma anche la setta del Qumran, che pur avendo base sadocita accetta molte idee enochiche): la presenza di angeli buoni e malvagi (i nostri diavoli) e di spiriti malvagi, la cattiveria intrinseca e il disordine intrinseco del mondo fisico a causa di un Peccato Originale situato all'inizio della storia umana, la necessità di una Redenzione dopo questa Caduta, la Fine dei Tempi e la resurrezione dei morti in quel momento, il Giudizio Finale e la vita eterna... Tutte novità respinte dai sadociti, tant'è che ancora nei vangeli i loro discendenti sadducei "tentano" Gesù con domande-tranello sulla "ridicola" idea della resurrezione dei morti.

Gli enochici non contestano il culto del Tempio (a cui dopo tutto aspiravano), ma implicano che esso non è officiato nel modo perfetto e tale da garantire l'ordine del mondo, come invece i sadociti teorizzavano.

Ho letto con un interesse enorme questa sezione, perché mi ha permesso di toccare con mano sul farsi la nascita di moltissime dottrine che nella Bibbia non avevamo trovato (Genesi, per ribattere alle tesi enochiche riprende sì il mito degli angeli ribelli e dei Giganti, ma solo per depotenziarne il senso), e che però nel cristianesimo troviamo come dati di fatto scontati, anzi fondanti della visione del mondo di questa religione.


Una terza corrente culturale fu quella sapienziale, di matrice laica, tradizionalmente legata al potere monarchico, ora costretta a fare i conti con il potere sacerdotale.

Fu soprattutto in epoca tolemaica, quando il Tempio aveva perso il potere politico già delegatogli dai persiani ed ora trasferito dai greci a governatori civili, che questa letteratura si trovò a riflettere, e polemizzare, con le due letterature precedenti.
Opere come il Qohelet, Giona, Giobbe, esprimono lo scetticismo mostrato da questi intellettuali per la visione di Ordine Cosmico perfetto, grazie al Patto con YHWH, propugnata dalla corrente sadocide.
Nessun Patto - afferma questa corrente, che si confrontava anche con le teorie e le domande della filosofia dei dominatori greci - può legare la potenza di Dio, che è onnipotente, nessuna volontà umana può limitarlo e piegarlo; da qui lo scetticismo di un'opera come Qohelet.
Al tempo stesso però questa corrente polemizza, a volte anche con sarcasmo, sulle "vuote" visioni della tradizione enochica, trattandole alla guisa di sciocchi sogni e fantasie.

L'analisi dell'ideologia che sta alla base di queste opere rivela in modo assai affascinante i dubbi e gli interrogativi degli intellettuali laici ebrei alle prese con il cosmopolitismo e la "globalizzazione" portata dai monarchi greci e dalla loro cultura. Un vero e proprio "shock culturale".

Alla fine, nelle loro fila verrà prodotta una sintesi, evidente in Tobia e nel Siracide.
Il primo è opera apologetica che sanziona l'alleanza tra la famiglia degli "indigeni" tobiadi (ricchi proprietari che non avevano preso parte all'Esilio), già liquidati da Esdra/Nemia come "ammoniti" (quindi non "veri" ebrei) ed ora altissimi funzionari del potere ellenistico. Il matrimonio fra esponenti della loro casata con membri della famiglia dei Sommi sacerdoti sanzionò la riconciliazione, e la storia narrata in Tobia propone a questo scopo concessioni alla visione sadocita del mondo da un lato, e ad aperture verso il mondo dei rustici "Popoli del Paese" dall'altro.
La fusione più perfetta avverrà poi nell'opera di Ben Sira, che nella sua sintesi arriva a prefigurare temi e soluzioni che saranno poi tipiche del successivo giudaismo rabbinico. (Paradossalmente, nota Boccaccini a p. 232, sarà questo fatto a tenere il Siracide e Tobia fuori dal canone rabbinico ebraico, essendo percepiti dai rabbini come ancora "immaturi" rispetto a quella visione della religione che loro avevano affinato e completato... a partire dalla strada tracciata da queste opere).

Dopo la sintesi fra queste due tradizioni, si ebbe infine anche la sintesi fra la tradizione sacerdotale e quella enochica operata dal Libro di Daniele, che Boccaccini analizza con estremo dettaglio.
Un dettaglio tale che a dire il vero a tratti ho trovato un po' noioso questo esame, ma ammetto che esiste una ragione per tanta minuzia: Daniele, con le sue apocalissi, è il crocevia attraverso cui passa quell'evoluzione del pensiero che nel giro di un paio di secoli avrebbe portato alla nascita dei gemelli del giudaismo rabbinico e del giudaismo cristiano. Da qui l'importanza d'un esame minuzioso delle sue idee.


Con Daniele siamo ormai in piena epoca maccabaica.
L'autore di questo libro recupera il concetto di Patto e di Ordine ad esso connesso, ma lo colloca in un contesto in cui il mondo è corrotto, dominato dal Male e dai suoi agenti (che però qui non sono indipendenti da YHWH: qui non ci sono angeli ribelli) e destinato a una catastrofe finale e a un Giudizio Universale.
Recupera anche il linguaggio apocalittico che era stato della tradizione enochica.

Questa sintesi è messa al servizio d'una situazione contingente molto particolare, la guerra fra Antioco IV Epifane e Tolomeo VI per il controllo della Giudea, e la fine del Sommo sacerdozio sadocita con l'assassinio di Onia III, che avrebbe portato alla rivolta maccabaica.
La corrente enochica inserì, nei suoi scritti del periodo, questo sconvolgimento in un piano divino preordinato che portava verso la Fine dei Tempi.
L'analisi enochica apparve tanto convincente, nelle convulsioni e nelle guerre del tempo in cui la casa stessa dei sommi sacerdoti era caduta, da diventare concezione diffusa. Il giudaismo enochico divenne così, da concezione elitaria di una cricca di famiglie sacerdotali escluse dal sacerdozio, una corrente religiosa popolare.

D'altro canto i maccabei, impadronitisi del sacerdozio e del potere politico, cercarono di restaurare l'ideologica sadocita, limitandosi a mettere se stessi nel ruolo dei sommi sacerdoti garanzia del Patto.

Daniele tenta (e ottiene) una sintesi fra queste due tendenze. Utilizza ad ampie mani il contesto e la tradizione apocalittica enochica, ma crede ancora nella validità e nella legittimità del Patto (il Male viene da YHWH, ed è un suo strumento per modellare la Storia secondo le promesse sempre valide del Patto). A questo scopo utilizza tradizioni precedenti, ma riscrivendole e adattandole secondo un complesso schema ideologico-simbolico analizzato nei dettagli da Boccaccini.
Il successo della sintesi è dimostrato dal fatto che il culmine di Daniele è la profezia dell'arrivo della fine dei tempi e della morte di Antioco, nella primavera del 163 a.C.
La profezia palesemente non si avverò, ma il libro continuò ugualmente ad essere letto e arrivò ad essere dichiarato "canonico", perché:


Una nota finale: questo è un libro meraviglioso, ma non è per principianti.

La lettura presuppone infatti una conoscenza almeno superficiale della storia e del testo biblico. O almeno una copia della Bibbia (annotata) a portata di mano.


 
 
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