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Emilio Bossi, Gesù Cristo non è mai esistito, La Baronata, 2009.
 
Copertina di  ''Gesų Cristo non č mai esistito'', di Emilio Bossi.

[Saggio]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Un testo curioso del 1904, valido per la storia della filosofia più che per il tema trattato.

Idea carina, ripubblicare questo mitico testo di Emilio Bossi (in arte Milesbo, 1870-1920), libero pensatore svizzero, che nel 1904 si mise di buzzo buono a dimostrare che Gesù Cristo è una figura interamente mitica, al pari di Apollo o di Mithra.
Coloro che scrissero di Socrate o Cesare, argomenta Bossi, furono testimoni; coloro che scrissero di Gesù, invece, non lo conobbero mai se non per sentito dire. Dunque, Gesù non era persona reale ma favola mitologica ed è nato da una creazione collettiva, passata di bocca in bocca...

La tesi è già di suo bislacchina forte, e se si aggiunge il secolo trascorso da quando il testo è stato scritto, si capisce facilmente come esso abbia oggi interesse e gusto più come documento della storia del pensiero tardo-positivista che per la tesi che sostiene.
La fiducia nel potere della Ragione e della Scienza di comprendere qualsiasi fenomeno, quello religioso incluso, è molto tipica di quel periodo storico, e questo testo, pur non essendo opera di un filosofo di spicco, è per lo meno un rappresentante tipico di quel clima intellettuale, e come tale interessante.


Più di ogni altra cosa hanno fatto invecchiare il testo le scoperte d'intere biblioteche di testi religiosi che Milesbo non poteva neppure immaginare, non solo quella ebraica del Qumram, ma neppure quella cristiano-gnostica, altrettanto importante, di Nag Hammadi.
Tutto quanto Milesbo ipotizzava nel 1904 su esseni e gnostici è quindi oggi, ovviamente, obsoleto.

Ma anche se non ci fossero state queste scoperte, la tesi centrale del libro resterebbe tirata coi denti.
Perché da un punto di vista storico, se è ovvio che la figura mitica di Gesù - Messia, figlio di Dio, facitore di miracoli - è per l'appunto mitica, la figura storica della persona attorno a cui fu costruito tale mito deve essere stata storica. Magari non si chiamava Gesù, magari non pretendeva di essere il Messia (se ne dibatte fra gli storici...) e men che meno figlio carnale di Yhwh, forse era nato a Cafarnao e non a Nazareth... ma alla fin fine il granello attorno a cui si è formata la perla, l'impurità attorno a cui è precipitato il cristallo, ha dovuto pur esistere. Sono ben esistiti Apollonio di Tiana, Pitagora di Samo, Simon Mago, a cui la leggenda ha conferito tratti mitici, ma che sono stati uomini reali...


Siamo qui a una forma di evemerismo alla rovescia, per cui al posto di un essere umano che viene trasformato in una divinità, abbiamo una divinità che si trasforma in un essere umano.
Se Milesbo pensava di avere avuto la pensata definitiva  per sistemare i cristiani, si sbagliava di grosso, dimostrando che una volta di più gli opposti si toccano: in effetti, che Gesù fosse un dio che si è fatto uomo non solo è esattamente quello che affermano anche i cristiani, ma è addirittura il nucleo della loro religione... :-)

Alla fin fine a Milesbo va insomma rimproverata la stessa cosa che lui rimprovera ai cristiani: non saper distinguere e sceverare il mito dalla storia, anche se lui lo fa in senso inverso a quello abituale ai cristiani.
La divinità gesucristo non è mai esistita, certo, alla pari di Apollo, Visnù o Allah. Ma al fatto che l'uomo Joshua il predicatore sia esistito non osta nulla di più di quanto osti all'idea che siano esistiti Maometto o Buddha o Zoroastro...


Ciò detto, resta il fatto che questo testo è un interessante esercizio di mitologia comparata, che nel cercare le ascendenze dei miti cristiani riscontra puntuali "prestiti", passati dalle religioni precristiane e dal paganesimo - specie neoplatonico - al cristianesimo. Il che è interessante... ma non nuovo.
In effetti Bossi non è un ricercatore originale, e basa la sua polemica sugli argomenti della polemica antireligiosa illuministica e positivistica, limitandosi a divulgare e popolarizzare, con piglio gustoso e con polemica spesso azzeccata, concetti nati in ricerche accademiche non di facile accesso al grande pubblico.

Ciò spiega in parte lo straordinario successo di questo pamphlet, che conta decine di edizioni in un'infinità di lingue (ed è ottimo il lavoro filologico e bibliografico dell'editore attuale del libro, che ricostruisce in appendice la storia del testo e le sue fonti).

Visto insomma che "ciò è vero non è nuovo, e ciò che è nuovo non è vero", le cose migliori del libro risultano alla fin fine le efficaci e mordenti argomentazioni di "liberopensiero" fondate sul buonsenso spicciolo, nate palesemente con un bicchiere di rosso in mano dalle discussioni all'osteria coi compaesani clericali, ma non per questo meno devastanti.
Come per esempio quella a p. 114: Perché vennero puniti Adamo ed Eva per aver fatto il male mangiando il frutto della conoscenza del bene e del male, se prima di mangiare il frutto non potevano avere la conoscenza di cosa fosse il bene e cosa il male?
Mica male, come domanda...


Nota: un'obiezione a questa recensione e la mia risposta ad essa sono qui.


 
 
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