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Elio Cadelo, Quando i romani andavano in America. Scienza e conoscenza degli antichi navigatori, Palombi & Partner, 2009.
 
Copertina di ''Quando i romani andavano in America'', di Elio Cadelo.

[Saggio]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Gli Ananas sono fra noi!

"Scoperte archeologiche e letterarie di età classica provano che i Romani visitarono l'America prima di Colombo", proclama l'introduzione.
Leggendo il libro si scopre però che in realtà nessuna "scoperta archeologica" (una volta esclusi gli scavatori dilettanti ed i reperti di ignota origine che i proprietari giurano essere stati trovati in America -- o ad Atlantide...) prova un bel nulla...

Con queste premesse, uno dice che questo libro è meglio non aprirlo nemmeno.
E invece no.
L'autore, per dimostrare la sua bislacca tesi, ha dovuto preparare la strada riesaminando quanto l'antichità sapeva di astronomia, geografia, navigazione.
E qui ha fatto un ottimo lavoro.
Probabilmente riassumendo da testi accademici (l'autore di questioni accademiche capisce troppo poco, perché questa possa essere farina del suo sacco), Cadelo ha delineato un ottimo quadro di un corpus di conoscenze che certo è famigliare a ben pochi di noi.
Per fare solo un esempio fra molti, Cadelo dimostra, citazioni dei geografi antichi alla mano, che gli antichi sapevano benissimo che la Terra è sferica (la "terra piatta" era solo una convenzione geografica per disegnare le mappe), e che sapevano orientarsi benissimo in alto mare (dunque, non è vero che si limitassero per lo più al cabotaggio lungo la costa).

Per dimostrare le sue tesi Cadelo ci conduce in un affascinante viaggio fra gli strumenti di navigazione e le tecniche di orientamento che gli antichi utilizzavano, alcune delle quali raffinatissime e al tempo stesso di una semplicità incredibile.


Oltre a ciò, Cadelo esamina le conoscenze relative all'arte della navigazione nell'antichità, estendendo la sua ricerca anche alle civiltà non europee, con risultati altrettanto affascinanti e interessanti.
Questa parte, da sola, avrebbe meritato un giudizio pienamente positivo, perché apre un mondo di notizie e dati su un tema apparentemente arido, e che invece Cadelo riesce a rendere interessante, con piglio da divulgatore.


Purtroppo però nella parte conclusiva, fortunatamente non molto lunga, Cadelo abbandona il sicuro ancoraggio delle fonti accademiche e salpa per un'impresa di fanta-archeologia alla Peter Kolosimo - quella del titolo.
La foto che vedete in copertina raffigura, secondo Cadelo, un romano con in mano un ananas (frutto di origine sudamericana, quindi ignoto prima della scoperta di Cristoforo Colombo). A me invece pare banalmente un antico romano con in mano o un grappolo d'uva (simbolo dell'Eucarestia, e come tale stra-ultra-usatissimo nell'arte paleocristiana) oppure un sacculus, reticella di corda (o borsetta di stoffa, o di cuoio) per contenere monete.
Ma Cadelo è ormai in modalità kolosimiana del tipo "GLI ANANAS SONO FRA NOI!" ed assicura che, siccome l'arte tardoromana a cui appartiene la statuetta era "assolutamente realistica", quello può essere solo... un ananas.

Ragionamenti come questi mostrano da dove nascono tesi come quella di Cadelo: da una pessima conoscenza di ciò di cui si parla (Cadelo, a giudicare dai continui svarioni nelle citazioni del suo libro, non conosce il latino - e qui e là fa a pugni anche con la sintassi italiana, cosa che essendo lui un giornalista della Rai non stupisce).
Infatti una caratteristica spicca nell'arte tardoromana, che si evolverà poi nello stile bizantino: la progressiva perdita di realismo a favore di un rendimento stilizzato, idealizzato delle cose rappresentate. Altro che "assoluto realismo"!


Fra i mille altri svarioni, segnalo quella secondo cui i romani commerciavano non solo con la Cina (il che è storicamente molto ben documentato) ma anche con la Nuova Zelanda... che però è stata scoperta e popolata, dai maori, solo nel X secolo dopo Cristo. Forse i romani avranno fatto scambi commerciali coi moa ed i merluzzi? Mah!


Per farla breve. Occorre non essere troppo schizzinosi, e comprare questo libro non per la tesi che sostiene, ma nonostante essa.
Per l'85% è infatti un excursus sula scienza della navigazione e sulla scienza geografica nel mondo antico, entrambe molto più evolute di quanto ci piaccia pensare (le recenti scoperte sul funzionamento del "meccanismo di Anticitera", del resto, confermano il livello elevatissimo che avevano raggiunto queste conoscenze).

Questa parte del libro contiene, sia pure inframmezzate da "perle" sintattiche piuttosto fastidiose e tesi a dir poco lunatiche, anche molte notizie utili e sorprendenti, e il bello è che spesso le argomentazioni dell'autore, "prese in prestito" da esperti veri, sono attendibili.
Questa parte è insomma decisamente affascinante e leggendola si imparano molte cose nuove - per lo meno nuove per noi non-specialisti.

È solo la parte conclusiva - quella de "Gli ananas sono fra noi!", interamente farina del sacco dell'autore - che può essere tranquillamente saltata...


 
 
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