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[Saggio]
Recensione di Giovanni Dall'Orto
Il falso raccontato da un "falsario". Ottima la prospettiva, ma i difetti non mancano..
Dopo i molti libri di storici e critici d'arte che han trattato del falso, è ora un'utile aggiunta questa trattazione, scritta da un perito nonché artista specializzato nella produzione d'opere d'imitazione dello stile antico.
Perché
è questo, in primo luogo, un falso: un'opera d'arte, sia
pure prodotta in uno stile che non è quello dell'epoca, o dell'artista,
che la produce.
Questa
produzione può proporsi in modi affatto diversi: dalla generica
imitazione, alla copia, alla replica (il calco), alla riproposizione "in
stile" - tutte opzioni che hanno perfetto diritto di cittadinanza nel mondo
dell'arte - per arrivare infine al falso vero e proprio, che nasce invece
come frode. Esso appartiene sempre, tecnicamente, ad una delle tipologie
d'opere appena elencate, ma pretende d'essere "qualcosa d'altro".
Non
esiste quindi il falso "intrinseco", esiste solo un'opera d'arte che
è spacciata per qualcosa di diverso, e viene letta attraverso categorie
estetiche errate. È la frode a rendere "falsa" un'opera d'arte,
in sua assenza siamo di fronte solo ad una "ottima riproduzione".
Cerbella
ci guida nel mondo di artigiani e artisti che si tramandano competenze
e sapienze costruttive spesso antichissime, trattando con il dovuto rispetto
la "rivisitazione in stile".
Attraverso
un excursus storico ci mostra come la "riproposizione" sia sempre
esistita da che esiste l'arte, e che spesso sia stata esplicita e dichiarata:
per esempio i vasi etruschi
in bùcchero imitano quasi alla perfezione, per colore e forme,
quelli (infinitamente più costosi) in bronzo, ma nessuno li considererà
mai dei "falsi bronzi".
È questa la parte più interessante del libro, ricca com'è di notizie spesso curiose ed anche divertenti, sempre istruttive.
Di grande interesse è poi la trattazione del mercato del falso nell'Italia post-unitaria, con le sue dinastie d'artisti specializzati, e soprattutto i suoi mercanti e critici d'arte disonesti, senza la complicità dei quali gli artisti non avrebbero potuto smerciare le loro creazioni.
Interessante anche l'analisi della psicologia del cliente del falsario, che spesso cade in trappola solo perché rinuncia alle tutele che la legge gli fornisce, facendosi allettare dalla proposta di truffare lo Stato acquistando reperti che la legge proibisce di commerciare.
Dopo
questo excursus l'autore si dà all'improvviso a scrivere
un'opera del tutto diversa, passando a proporre una specie di manuale alfabetico
di tecniche artistiche, per essere d'aiuto a chi compra nei mercatini o
su ebay (che questo libro rivela essere ormai sbocco per lo smercio d'una
vera e propria industria della riproduzione dell'oggetto d'antiquariato).
A
meno che l'autore non intendesse proporre questo libro come testo d'insegnamento,
è incerta l'utilità che può avere un tale lungo, minuzioso
ed anche noioso elenco di tecniche artistiche. O uno è un esperto
e sa come usarlo, ma allora non gli serve, o non lo è, ed allora
tanto valeva riassumere tutto in un: "Prima di spendere una cifra notevole
in antiquariato, chiedete una perizia ad un esperto".
Nonostante
l'interesse dell'opera, e la sua trattazione di notizie per niente banali
e usuali, non me la sento di dare un voto pieno al libro anche per alcuni
scivoloni in campi che non sono quelli dell'autore.
Ad
esempio, nel caso dei due troni gemelli d'origine ignota provenienti dal
mercato antiquario, quello
di Boston e quello Ludovisi, non si comprende perché del primo
è detto senza mezzi termini che è un falso, mentre rispetto
al secondo non si accenna neppure all'analisi di Federico Zeri che
lo definì "un
capolavoro del simbolismo figurativo tardo Ottocento".
Zeri
non è Dio e può sbagliarsi (anche se di solito il suo occhio
straordinario ci azzeccava), ma in un testo a carattere "didattico" tacere
del suo parere (forse per
non inimicarsi il museo di Roma che espone il "reperto"?) si configura
più come azione di censura che come dissenso.
Particolarmente
grave è poi la discussione della Sacra
Sindone. Un manufatto, per inciso, sulla cui autenticità
la Chiesa non si è mai espressa.
Ammonta
quindi a pura piaggeria la dichiarazione per cui "la scienza" non
è stata in grado di dare "risposte definitive" sull'autenticità
del manufatto.
La
"scienza", in verità, le
sue risposte le ha date, eccome, datandolo
al XIII/XIV secolo, e scoprendo sperimentalmente almeno
tre modi per produrre lo stesso tipo di traccia achiropita
(fra i quali la strinatura senza contatto con un rilievo in metallo riscaldato,
il che spiega il fatto che il disegno sia, bizzarramente, una
proiezione ortogonale dei volumi sottostanti, ossia un quadro
e non un sudario avvolto attorno ad un corpo, che modellandosi sui volumi
avrebbe prodotto un'immagine deformata: mettetevi un fazzoletto sulla faccia
sporca di un qualche colore e vedrete cosa ne viene fuori).
Ebbene,
se si vuole prestare culto a questa che è tecnicamente un'icona
si ha il diritto di farlo. Ma quando le credenze - religiose o di altro
tipo - del perito iniziano a interferire col suo giudizio, qui siamo di
fronte ad una perizia incompleta o sbagliata. Semplicemente.
Idem
come sopra laddove, discutendo dell'ossario
(falsissimo!) di "Giacomo, fratello di Gesù", l'autore
ci comunica che i fratelli di Gesù sono figure che sarebbero esistite
"secondo alcuni vangeli apocrifi".
FALSO.
I fratelli, e le sorelle, di Gesù, sono
elencati per nome dai vangeli canonici, e "Giacomo,
fratello del Signore" (alias "Giacomo il Giusto") è figura canonicissima,
visto che addirittura una
lettera (apocrifa) a lui attribuita fa parte del canone della Bibbia
cattolica!
La
Tradizione ha risolto il problema, e salvato sia la lettera del testo evangelico
che il dogma, affermando (senza alcuna prova, ma la soluzione escogitata
è elegante) che erano fratelli frutto d'un precedente matrimonio
di Giuseppe con un'altra donna. L'autore, invece d'usare questo semplice
escamotage, che ha l'eleganza dei classici, preferisce ricorrere
nuovamente alla falsificazione dei fatti, e trattandosi di due esempi in
poche righe, capiamo che qui si tratta d'un suo tallone d'Achille.
Alla compiutezza del testo tolgono oltre tutto anche i continui refusi nelle citazioni di parole latine, o lapsus inaccettabili in un testo di questo respiro, quali l'inclusione accidentale dei manoscritti del Qumram in una frase che elencava i "vangeli apocrifi" (non solo non sono vangeli, ma non fanno neppure parte degli apocrifi!).
Ultima
osservazione: lo smisurato formato "in-quarto" è del tutto inutile
in un libro che userà in tutto un paio di foto a piena pagina, e
serve quindi solo a renderlo difficile da maneggiare, e leggere, visto
il suo peso (è stampato su carta patinata).
Se
si aggiunge il fatto che più d'una volta le didascalie sono invertite
o incasinate, una tirata d'orecchi all'editore, per un libro di questo
prezzo (ben 39 euro) credo sia lecita.