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Giuseppe Garbini, Storia e ideologia nell'Israele antico , Paideia, Brescia 1986 (anche in ristampa anastatica).
 
Copertina di ''Storia e ideologia nell'Israele antico'', di Giovanni Garbini.

[Saggio]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Raccolta d'articoli accademici, un poco farraginosa. Interessante, ma dispersiva per il non-specialista

Questo non è il migliore dei libri di Garbini che io abbia letto, nonostante lo spessore di cotanto studioso ne faccia comunque, al solito, una lettura di grande fascino ed eleganza.

Si tratta infatti d'una raccolta di brevi saggi accademici, pubblicati su riviste specialistiche (in primis "Henoc", da lui diretta), limati e riscritti per essere (più) accessibili al grande  pubblico, e infine accozzati in forma di libro.

Il problema è però che, tipicamente, per evitare la dispersività gli studi accademici tendono a focalizzarsi su aspetti molto ristretti: tanto, scrivendo per specialisti si può dar per scontato che il quadro generale lo conoscano già tutti...
Ne consegue che qui la trattazione è minuziosissima su una serie di questioni molto puntuali (che so io, l'abbattimento del tramezzo divisorio nel cortile del Secondo Tempio, e le conseguenze politiche e religiose di tale gesto) salvo poi sorvolare su interi secoli, dandone per scontata la conoscenza a tutti, per poter balzare da una questioncella alla questioncella successiva. Quindi convivono in questo volume piccole aree d'intensissima luce, e grandi spazi di semioscurità...

Per questi motivi, Storia e ideologia nell'Israele antico  è il testo più "specialistico" (e quindi, a tratti, ostico) fra quanti Garbini ha scritto per il pubblico di non specialisti.
Lo sconsiglio inoltre a chi non abbia altre letture di questo studioso alle spalle, in quanto gli darebbe un'immagine inadeguata della sua levatura intellettiva.
Perché la farragine creata assemblando tanti temi disparati finisce col dare al lettore un'idea di disordine, e a chiusura di libro gli fa chiedere che cosa esattamente abbia imparato. A parte sul tramezzo del Tempio, intendo.


Io ho affrontato questo volume reduce da un saggio d'un "minimalista biblico" (The mythic past di Thomas Thompson), e la lettura ravvicinata di queste due opere m'ha permesso d'apprezzare tre aspetti: 1) la maggiore eleganza d'espressione di Garbini (nomen omen!), che oltre ad essere elegante riesce pure a non essere noioso neppure quando parla di questioni minime. 2) Il fatto che Garbini resti in dialogo costante con le tesi degli altri accademici, che cita, nomina e contesta ponendosi come una voce (magari dissenziente) in un dibattito, e non in un soliloquio, come avviene nel testo di Thompson. 3) Infine, vi ho notato una posizione più moderata relativamente alla presenza di elementi storici nelle narrazioni "storiche" bibliche. E questo avviene nonostante il leitmotiv di questo volume sia presto detto: la Bibbia non è un libro di storia: è un libro che HA una storia. Per dirla con le parole di Garbini,

In effetti, Garbini in quest'opera appare su posizioni per molti versi più vicine a quelle dei "minimalisti" che a quelle dei "massimalisti" (fondamentalisti), in particolare rispetto alla datazione "bassa" della redazione finale dei testi biblici (che in base ai suoi saggi risultano riflettere preoccupazioni e conflitti tipici dell'epoca asmonaica, cioè dell'ellenismo maturo); ciononostante Garbini non è assolutamente assimilabile alle posizioni dei primi.
Soprattutto, non possiede un "sistema" interpretativo, ed esamina ogni pericope facendone una storia a sé, caso per caso. È un approccio che a me personalmente è piaciuto (poi, ovviamente, ognuno valuterà da sé).

Garbini risulta particolarmente impaziente nei confronti di tutti coloro che hanno scritto di storia dell'Israele biblico pur avendo una formazione come teologi e non come storici. Ovvero, nei confronti della schiacciante maggioranza di quanti hanno scritto sul tema (si veda la bordata sparata a p. 17).
In ciò la sua polemica esula da quella fra "minimalisti" e "massimalisti": dire che se si parla di storia occorre avere una preparazione come storico è una banalità. Eppure, in questo esclusivo campo di studio, e solo in questo, suona come un'eresia. Appunto.

La posizione che guida le ricerche raccolte in questo volume è ben riassunta in questa frase a p. 93:

Una conclusione quasi banale, ma che a molti suona ancora molto "audace"...


Tutto considerato, mi permetto di consigliare a chi non sia già un "fan" di Garbini di avvicinare questo studioso a partire da opere diverse da questa, che per non essendo certo da disprezzare (non lo è!) non permette d'apprezzare lo spessore del suo pensiero (ed oltre tutto è pure un libro difficile da procurarsi!).
In effetti è Garbini stesso ad ammetterlo, laddove a p. 236 afferma:

È onesto da parte di Garbini ammetterlo francamente, ma per il lettore una cosa del genere risulta più utile da sapere prima di avere aperto il portafoglio, piuttosto che dopo aver chiuso il volume....


 
 
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