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[Saggio]
Recensione di Giovanni Dall'Orto
Raccolta d'articoli accademici, un poco farraginosa. Interessante, ma dispersiva per il non-specialista
Questo non è il migliore dei libri di Garbini che io abbia letto, nonostante lo spessore di cotanto studioso ne faccia comunque, al solito, una lettura di grande fascino ed eleganza.
Si tratta infatti d'una raccolta di brevi saggi accademici, pubblicati su riviste specialistiche (in primis "Henoc", da lui diretta), limati e riscritti per essere (più) accessibili al grande pubblico, e infine accozzati in forma di libro.
Il
problema è però che, tipicamente, per evitare la dispersività
gli studi accademici tendono a focalizzarsi su aspetti molto ristretti:
tanto, scrivendo per specialisti si può dar per scontato che il
quadro generale lo conoscano già tutti...
Ne
consegue che qui la trattazione è minuziosissima su una serie di
questioni molto puntuali (che so io, l'abbattimento del tramezzo divisorio
nel cortile del Secondo Tempio, e le conseguenze politiche e religiose
di tale gesto) salvo poi sorvolare su interi secoli, dandone per scontata
la conoscenza a tutti, per poter balzare da una questioncella alla questioncella
successiva. Quindi convivono in questo volume piccole aree d'intensissima
luce, e grandi spazi di semioscurità...
Per
questi motivi, Storia e ideologia nell'Israele antico è
il testo più "specialistico" (e quindi, a tratti, ostico) fra quanti
Garbini ha scritto per il pubblico di non specialisti.
Lo
sconsiglio inoltre a chi non abbia altre letture di questo studioso alle
spalle, in quanto gli darebbe un'immagine inadeguata della sua levatura
intellettiva.
Perché
la farragine creata assemblando tanti temi disparati finisce col dare al
lettore un'idea di disordine, e a chiusura di libro gli fa chiedere che
cosa esattamente abbia imparato. A parte sul tramezzo del Tempio, intendo.
Io ho affrontato questo volume reduce da un saggio d'un "minimalista biblico" (The mythic past di Thomas Thompson), e la lettura ravvicinata di queste due opere m'ha permesso d'apprezzare tre aspetti: 1) la maggiore eleganza d'espressione di Garbini (nomen omen!), che oltre ad essere elegante riesce pure a non essere noioso neppure quando parla di questioni minime. 2) Il fatto che Garbini resti in dialogo costante con le tesi degli altri accademici, che cita, nomina e contesta ponendosi come una voce (magari dissenziente) in un dibattito, e non in un soliloquio, come avviene nel testo di Thompson. 3) Infine, vi ho notato una posizione più moderata relativamente alla presenza di elementi storici nelle narrazioni "storiche" bibliche. E questo avviene nonostante il leitmotiv di questo volume sia presto detto: la Bibbia non è un libro di storia: è un libro che HA una storia. Per dirla con le parole di Garbini,
Garbini
risulta particolarmente impaziente nei confronti di tutti coloro che hanno
scritto di storia dell'Israele biblico pur avendo una formazione
come teologi e non come storici. Ovvero, nei confronti della
schiacciante maggioranza di quanti hanno scritto sul tema (si veda la bordata
sparata a p. 17).
In
ciò la sua polemica esula da quella fra "minimalisti" e "massimalisti":
dire che se si parla di storia occorre avere una preparazione come storico
è una banalità. Eppure, in questo esclusivo campo di studio,
e solo in questo, suona come un'eresia. Appunto.
La posizione che guida le ricerche raccolte in questo volume è ben riassunta in questa frase a p. 93:
Tutto
considerato, mi permetto di consigliare a chi non sia già un "fan"
di Garbini di avvicinare questo studioso a partire da opere diverse da
questa, che per non essendo certo da disprezzare (non lo è!) non
permette d'apprezzare lo spessore del suo pensiero (ed oltre tutto è
pure un libro difficile da procurarsi!).
In
effetti è Garbini stesso ad ammetterlo, laddove a p. 236 afferma: