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Pinchas Lapide, Bibbia tradotta, Bibbia tradita, Edb, Bologna 2000.
 
Copertina ''Bibbia tradotta, Bibbia tradita'', di Pinchas Lapide.

[Saggio]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Interessante lettura... peccato che sia scritta da un apologeta che si atteggia ad esegeta.

Dopo aver letto di questo autore Predicava nelle loro sinagoghe, descrittomi come opera "minore" al confronto del presente saggio, devo confessare che mi sento un po' deluso.
In quest'opera "maggiore" trovo infatti gli stessi difetti di quella "minore", ma non molti pregi in più.

Lapide è uno studioso ebreo-israeliano, di lingua madre tedesca, che s'è dedicato alla riscoperta delle radici ebraiche del messaggio cristiano, a partire dalla figura stessa di Gesù, "ebreo fra gli ebrei".
In questa sua opera è riuscito a dimostrare come un eccesso (spesso semplicemente antisemitico) di "ripulitura" di Gesù dall'ebraismo abbia reso incomprensibile tutta una serie di gesti e frasi. Che spesso, per essere capiti, necessitano d'una ri-traduzione in ebraico o aramaico, dato che molti "punti oscuri" sono in realtà errori di traduzione. (Per esempio: i "duemila porci" nel cui corpo Gesù caccia i demoni ci colpiscono per il fatto che nessun branco di porci ha mai avuto tali dimensioni, non essendo i porci animali gregari.
E infatti si tratta d'un errore di lettura fra due parole che in ebraico, col solo cambiamento d'una lettera, significano o "un branco di porci" o "circa duemila porci").

Questa è la parte interessante e curiosa di questo saggio, specie per me che sono interessato alla filologia e all'esegesi dei testi antichi. A questa parte darei volentieri anche un voto pieno.


Meno interessanti sono invece i veri e propri sermoni che Lapide ci spaccia sotto il pretesto di considerazioni filologiche.
Di lui potremmo dire quanto fu detto di Freud: che non riuscendo a decidere se fare il rabbino o il medico, inventò la psicoanalisi in modo da potersi atteggiare ad entrambe le cose. Così Lapide, che sta sempre a mezza via tra la figura del rabbino che interpreta la Torah, e il prete che ti ammorba con lunghi e micidiali sermoni.

Troppo spesso Lapide rivela infatti una natura non di esegeta, bensì di apologeta. Per esempio, se usare pareri talmudici per illuminare opinioni di Gesù alla luce di una cultura in parte a lui contemporanea, è storicamente corretto, usare il Talmud per spiegare Gesù (in quanto Gesù era ebreo, "quindi" la sua cultura la si capisce meglio attraverso la cultura talmudica) è scorrettissimo.
Ebraismo rabbinico (e talmudico) e cristianesimo si separano nel I secolo non come religione-madre e religione-figlia (come implica costantemente Lapide in questo libro), bensì come due religioni-sorelle sopravvissute entrambe all'annientamento del giudaismo sacerdotale del Secondo Tempio.
Che è la radice comune ad entrambe, ma non è la stessa cosa del giudaismo rabbinico (che impiegò secoli per darsi i tratti con cui lo conosciamo oggi... esattamente come il cristianesimo!), ed è la madre, e non la nonna, del cristianesimo. (Su questo tema rimando ai sublimi studi di Gabriele Boccaccini, Beyond the Hessene hypothesis e soprattutto I giudaismi del Secondo Tempio).

Ripeto, Lapide è un apologeta religioso e un "predicatore", che troppo spesso permette alle sue convinzioni religiose di prevalere su un approccio scientifico e storicamente fondato ai testi. E questo io lo trovo inaccettabile.


Anche come "uomo di fede", poi, Lapide mostra limiti, dato che una buona metà delle sue "correzioni" a "cattive traduzioni" di passi dell'Antico Testamento non "correggono" proprio nessun "errore", limitandosi a sottolineare come la lettura che l'ebraismo fa di quei passi è diversa da quella che ne fa il cristianesimo. Come se chi si compra un libro di questo tipo non ne avesse già un vago sospetto per conto suo...
Quindi, mi ha affascinato la lunga dissertazione sul significato dell'espressione "figlio di" in ebraico, che spesso vuol dire solo "appartenente al gruppo di", "che ha relazione stretta con", ed appare in gustosi modi di dire che spesso i traduttori antichi hanno comicamente frainteso. Tuttavia la conclusione della dissertazione (p. 101), cioè che per quanto detto né Bibbia né Vangelo possono conoscere "figli carnali di Dio", e che "quindi" Gesù non può essere "figlio di Dio" come lo intendono i cristiani, a me è parso unicamente un dispetto da maleducato, visto che Lapide sta scrivendo per un pubblico di cristiani.

Lo stesso accade nella dissertazione che mostra come nell'ebraismo il "profeta" sia solo "colui che richiama al dovere", e non colui che "profetizza" il futuro. Ma non comprendo la conclusione, cioè che "pertanto" i profeti non possono avere profetizzato l'avvento di Gesù.

A me, che sono ateo, questi sembrano solo dispetti sciocchi fra bambini che vogliono avere ragione a tutti i costi.
Ed io non leggo un libro di questa complessità (e costo: oltre 25 euro!!!) per sostituire le letture "di parte" cristiane con le letture "di parte" ebraiche. E invece, troppo spesso Lapide solo questo, mi offre.

Da qui le tre stelle finali del mio giudizio: Lapide conosce la sua materia, la sa esporre per un pubblico di non-specialisti, ma non riesce ad essere uno storico metodologicamente rigoroso, e lascia troppo spesso che il teologo scacci il filologo.
Peggio ancora: in più punti l'uomo politico (Lapide è stato console d'Israele) scaccia anche il teologo, come per esempio alle pp. 94-96, con una sparata che vuol dimostrare che la schiavitù fu... abolita dall'ebraismo ("I rabbi hanno soppresso già nell'antichità la schiavitù", p. 96), il quale al massimo conosceva "lavoratori coatti".
Il fatto poi che le convenzioni internazionali definiscano oggi ufficialmente "schiavitù" il "lavoro coatto" e il debt-bondage, è cosa che non importa minimamente a Lapide. Che da bravo uomo politico sembra pensare che se si cambia il nome della rosa, essa cessa d'essere una rosa...


Similmente, molte altre "traduzioni errate" della Bibbia sono solo tentativi di correggere in modo "politicamente conveniente" vari aspetti sgradevoli della storia dell'antico Israele, per presentare l'ebraismo come la vera religione della pace, dell'Amore universale, del perdono... e di tutto il resto.

Il mio parere è che sia stata l'agenda politica di Lapide a tagliargli le gambe come studioso. Per usare le sue stesse parole:

Non solo concordo con questo avviso, ma affermo che nelle traduzioni proposte da Lapide c'è spesso più che un semplice "inizio". C'è proprio un commento implicito fatto e finito.

Questo difetto vale anche nel senso di "ammorbidire" il Gesù storico, per togliergli i lati meno "digeribili" per i cristiani. Per esempio, dopo aver ottimamente argomentato che il "Simone il lebbroso" presso cui si ferma a dormire Gesù (cosa assurda, perché i lebbrosi erano obbligati a vivere fuori e lontano dalle città) sia in realtà un errore di traduzione (forse voluto) per "Simone l'Esseno", Lapide discute convincentemente sui vari indizi di vicinanza fra Gesù e le pratiche essene.
Ma laddove si avvicina a discutere del fatto che le celebri contraddizioni, nei Vangeli, circa le date della celebrazione dell'Ultima Cena, spariscono se la Pasqua si calcola in base al calendario solare degli esseni anziché a quello lunare dell'ebraismo del Secondo Tempio, Lapide non si spinge fino a trarre le debite conclusioni che emergono da questo dato.
Lo stesso dicasi per la contiguità fra Gesù e zeloti, presentati qui (ben diversamente che nel terribile e celebre studio di Samuel Brandon, Gesù e gli zeloti) come simpatici patrioti e allegri compagnoni alla Robin Hood, e non come i terroristi e assassini che furono, cioè una vera e propria "Organizzazione per la Liberazione della Palaestina" in quanto "Territorio Occupato" dai romani. E certo tanta prudenza ha più a che fare con il desiderio d'evitare paralleli politici imbarazzanti con il presente, che con ragioni di correttezza storica...


In conclusione, questo è un libro che si legge con profitto, in quanto ha raccolto una massa di dati in più di un caso unici e pochissimo noti ai non-specialisti.
Ma è anche un libro che anziché mirare a far piazza pulita totale degli errori, cerca qua e là di sostituirne alcuni con letture altrettanto errate, ma più consone a una certa tradizione interpretativa dei testi biblici (quella ebraica).
E mi sfugge quale sarebbe il vantaggio per il lettore se questo scambio fosse accettato..


 
 
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