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[Saggio]
Recensione di Giovanni Dall'Orto
Interessante lettura... peccato che sia scritta da un apologeta che si atteggia ad esegeta.
Dopo
aver letto di questo autore Predicava
nelle loro sinagoghe, descrittomi come opera "minore" al confronto
del presente saggio, devo confessare che mi sento un po' deluso.
In
quest'opera "maggiore" trovo infatti gli stessi difetti di quella "minore",
ma non molti pregi in più.
Lapide
è uno studioso ebreo-israeliano, di lingua madre tedesca, che s'è
dedicato alla riscoperta delle radici ebraiche del messaggio cristiano,
a partire dalla figura stessa di Gesù, "ebreo fra gli ebrei".
In
questa sua opera è riuscito a dimostrare come un eccesso (spesso
semplicemente antisemitico) di "ripulitura" di Gesù dall'ebraismo
abbia reso incomprensibile tutta una serie di gesti e frasi. Che spesso,
per essere capiti, necessitano d'una ri-traduzione in ebraico o aramaico,
dato che molti "punti oscuri" sono in realtà errori di traduzione.
(Per esempio: i "duemila porci" nel cui corpo Gesù caccia i demoni
ci colpiscono per il fatto che nessun branco di porci ha mai avuto tali
dimensioni, non essendo i porci animali gregari.
E
infatti si tratta d'un errore di lettura fra due parole che in ebraico,
col solo cambiamento d'una lettera, significano o "un branco di porci"
o "circa duemila porci").
Questa è la parte interessante e curiosa di questo saggio, specie per me che sono interessato alla filologia e all'esegesi dei testi antichi. A questa parte darei volentieri anche un voto pieno.
Meno
interessanti sono invece i veri e propri sermoni che Lapide ci spaccia
sotto il pretesto di considerazioni filologiche.
Di
lui potremmo dire quanto fu detto di Freud: che non riuscendo a decidere
se fare il rabbino o il medico, inventò la psicoanalisi in modo
da potersi atteggiare ad entrambe le cose. Così Lapide, che sta
sempre a mezza via tra la figura del rabbino che interpreta la Torah, e
il prete che ti ammorba con lunghi e micidiali sermoni.
Troppo
spesso Lapide rivela infatti una natura non di esegeta, bensì di
apologeta. Per esempio, se usare pareri talmudici per illuminare opinioni
di Gesù alla luce di una cultura in parte a lui contemporanea,
è storicamente corretto, usare il Talmud per spiegare
Gesù (in quanto Gesù era ebreo, "quindi" la sua cultura la
si capisce meglio attraverso la cultura talmudica) è scorrettissimo.
Ebraismo
rabbinico (e talmudico) e cristianesimo si separano nel I secolo non come
religione-madre e religione-figlia (come implica costantemente Lapide
in questo libro), bensì come due religioni-sorelle sopravvissute
entrambe all'annientamento del giudaismo sacerdotale del Secondo
Tempio.
Che
è la radice comune ad entrambe, ma non è la stessa cosa del
giudaismo rabbinico (che impiegò secoli per darsi i tratti con cui
lo conosciamo oggi... esattamente come il cristianesimo!), ed è
la madre, e non la nonna, del cristianesimo. (Su questo tema rimando ai
sublimi studi di Gabriele
Boccaccini, Beyond the Hessene hypothesis e soprattutto I
giudaismi del Secondo Tempio).
Ripeto, Lapide è un apologeta religioso e un "predicatore", che troppo spesso permette alle sue convinzioni religiose di prevalere su un approccio scientifico e storicamente fondato ai testi. E questo io lo trovo inaccettabile.
Anche
come "uomo di fede", poi, Lapide mostra limiti, dato che una buona metà
delle sue "correzioni" a "cattive traduzioni" di passi dell'Antico Testamento
non "correggono" proprio nessun "errore", limitandosi a sottolineare come
la lettura che l'ebraismo fa di quei passi è diversa da quella che
ne fa il cristianesimo. Come se chi si compra un libro di questo tipo non
ne avesse già un vago sospetto per conto suo...
Quindi,
mi ha affascinato la lunga dissertazione sul significato dell'espressione
"figlio di" in ebraico, che spesso vuol dire solo "appartenente
al gruppo di", "che ha relazione stretta con", ed appare in
gustosi modi di dire che spesso i traduttori antichi hanno comicamente
frainteso. Tuttavia la conclusione della dissertazione (p. 101), cioè
che per quanto detto né Bibbia né Vangelo possono conoscere
"figli carnali di Dio", e che "quindi" Gesù non può essere
"figlio di Dio" come lo intendono i cristiani, a me è parso unicamente
un dispetto da maleducato, visto che Lapide sta scrivendo per un pubblico
di cristiani.
Lo stesso accade nella dissertazione che mostra come nell'ebraismo il "profeta" sia solo "colui che richiama al dovere", e non colui che "profetizza" il futuro. Ma non comprendo la conclusione, cioè che "pertanto" i profeti non possono avere profetizzato l'avvento di Gesù.
A me,
che sono ateo, questi sembrano solo dispetti sciocchi fra bambini che vogliono
avere ragione a tutti i costi.
Ed
io non leggo un libro di questa complessità (e costo: oltre 25 euro!!!)
per sostituire le letture "di parte" cristiane con le letture "di parte"
ebraiche. E invece, troppo spesso Lapide solo questo, mi offre.
Da
qui le tre stelle finali del mio giudizio: Lapide conosce la sua materia,
la sa esporre per un pubblico di non-specialisti, ma non riesce ad essere
uno storico metodologicamente rigoroso, e lascia troppo spesso che il teologo
scacci il filologo.
Peggio
ancora: in più punti l'uomo politico (Lapide è stato console
d'Israele) scaccia anche il teologo, come per esempio alle pp. 94-96, con
una sparata che vuol dimostrare che la schiavitù fu... abolita dall'ebraismo
("I rabbi hanno soppresso già nell'antichità la schiavitù",
p. 96), il quale al massimo conosceva "lavoratori coatti".
Il
fatto poi che le convenzioni internazionali definiscano oggi ufficialmente
"schiavitù" il "lavoro coatto" e il debt-bondage,
è cosa che non importa minimamente a Lapide. Che da bravo uomo politico
sembra pensare che se si cambia il nome della rosa, essa cessa d'essere
una rosa...
Similmente, molte altre "traduzioni errate" della Bibbia sono solo tentativi di correggere in modo "politicamente conveniente" vari aspetti sgradevoli della storia dell'antico Israele, per presentare l'ebraismo come la vera religione della pace, dell'Amore universale, del perdono... e di tutto il resto.
Il mio parere è che sia stata l'agenda politica di Lapide a tagliargli le gambe come studioso. Per usare le sue stesse parole:
Questo
difetto vale anche nel senso di "ammorbidire" il Gesù storico, per
togliergli i lati meno "digeribili" per i cristiani. Per esempio, dopo
aver ottimamente argomentato che il "Simone il lebbroso" presso cui si
ferma a dormire Gesù (cosa assurda, perché i lebbrosi erano
obbligati a vivere fuori e lontano dalle città) sia in realtà
un errore di traduzione (forse voluto) per "Simone l'Esseno", Lapide discute
convincentemente sui vari indizi di vicinanza fra Gesù e le pratiche
essene.
Ma
laddove si avvicina a discutere del fatto che le celebri contraddizioni,
nei Vangeli, circa le date della celebrazione dell'Ultima Cena, spariscono
se la Pasqua si calcola in base al calendario solare degli esseni anziché
a quello lunare dell'ebraismo del Secondo Tempio, Lapide non si spinge
fino a trarre le debite conclusioni che emergono da questo dato.
Lo
stesso dicasi per la contiguità fra Gesù e zeloti, presentati
qui (ben diversamente che nel terribile e celebre studio di Samuel Brandon,
Gesù
e gli zeloti) come simpatici patrioti e allegri compagnoni alla
Robin Hood, e non come i terroristi e assassini che furono,
cioè una vera e propria "Organizzazione per la Liberazione della
Palaestina" in quanto "Territorio Occupato" dai romani. E certo
tanta prudenza ha più a che fare con il desiderio d'evitare paralleli
politici imbarazzanti con il presente, che con ragioni di correttezza storica...
In
conclusione, questo è un libro che si legge con profitto, in quanto
ha raccolto una massa di dati in più di un caso unici e pochissimo
noti ai non-specialisti.
Ma
è anche un libro che anziché mirare a far piazza pulita totale
degli errori, cerca qua e là di sostituirne alcuni con letture altrettanto
errate, ma più consone a una certa tradizione interpretativa dei
testi biblici (quella ebraica).
E
mi sfugge quale sarebbe il vantaggio per il lettore se questo scambio fosse
accettato..