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[Saggio]
Recensione di Giovanni Dall'Orto
Quando il diritto d'autore diventa un torto....
Nel medioevo i signorotti feudali vantavano una serie di diritti di proprietà sui beni d'uso collettivo o individuale, per i quali pretendevano il pagamento d'una tassa: per il diritto ad accendere il fuoco, per il diritto di fare legna nel bosco e così via, includendo l'uso del mulino, dei pascoli e chi più ne ha più ne metta.
In
modo molto simile, oggi, una serie sempre maggiore di beni usati da tutti
sono stati sottoposti a copyright, al punto che è diventato impossibile
vivere senza infrangere qualche legge.
La
proliferazione "feudale" del diritto di copyright - che ormai copre perfino
interi esseri viventi, geni del nostro corpo, semi, la silhouete di un
palazzo, l'illuminazione della Tour Eiffel, il diritto di fotografare una
stazione ferroviaria, la canzoncina "Tanti auguri a te" (sì, in
teoria per cantarla voi dovreste pagare i diritti d'autore: questa è
la legge, e se non pagate o dissentite, siete "pirati", vi piaccia o no)
- è arrivato al punto da costituire un oggettivo ostacolo al
progresso della ricerca.
Ovvero
a sortire l'effetto opposto a quello per cui fu in origine inventato, che
era favorire l'innovazione concedendo, al creatore o scopritore,
un monopolio d'utilizzo della sua creazione per un certo numero
d'anni (in origine 20, oggi ormai anche 140/160...).
A fronte
d'una problematica di questa portata questo libro, che s'interroga sul
"futuro del copyright" non la racconta del tutto giusta. L'autore, un giurista,
lascia trasparire di saperne molto di più di quanto non dica effettivamente.
Questo perché il suo cerca di essere un libro di "pacificazione"
in un campo in cui l'accanimento delle polemiche è stato, in passato,
proporzionale al volume di denaro generato dai cugini moderni dei diritti
feudali.
Il
che non toglie, però, che Lessig la sappia molto lunga, e che nel
libro lo dimostri.
Certo, per chi si è interessato al dibattito, questo appare come un testo introduttivo più che di approfondimento. Lo scopo divulgativo dell'autore è infatti evidente non solo nel tono semplice e piano, ma anche nel fatto che ripete sempre due o tre volte ogni argomento, in modo che s'imprima nella testa del lettore meno avvertito... e che annoi quello meno sprovveduto...
Questo non vuol dire che l'autore sia superficiale. Tutt'altro. Si vede che domina l'argomento, che conosce bene ciò di cui parla, ed è perfettamente addentro soprattutto al campo di massimo scontro sul tema: la Rete.
Nel
suo sforzo di dare un poco ragione a tutti i partecipanti alla disputa,
Lessig ricorda come il diritto di riutilizzare parti della produzione creativa
altrui sia sempre stato la ragion d'essere fondamentale della cultura,
fin da quando esiste. A iniziare dai linguaggi artistici ed espressivi.
È
solo la pretesa, recentissima, di controllare ogni aspetto della creazione
artistica (ivi incluso il "remix", ovvero la sua utilizzazione come base
di partenza per creazioni nuove ed originali) che ha creato conflitti che,
Lessig argomenta, non hanno ragione d'esistere, in quanto è nel
miglior interesse delle stesse aziende permettere che i fans contribuiscano
alla "creazione collettiva" su cui si basa il successo di un artista.
I
fans di Guerre stellari o di Harry Potter fanno parte degli
assets commerciali del franchise, e non dei nemici da combattere
come pirati, come hanno fatto gli ottusi avvocati a cui Hollywood si è
affidata per troppo tempo:
Certo, Lessig prende le distanze da chi crede che l'utilizzo della produzione intellettuale dovrebbe essere sempre gratuito. Ma lo fa al tempo stesso anche da chi pensa che non debba esserlo mai.
Lessig
insiste poi molto su come il concetto di "proprietà intellettuale"
sia concepito in modo totalmente nuovo da parte della generazione Internet.
E
da bravo docente torna più e più volte sul bisogno di non
criminalizzare "i nostri ragazzi", spezzando una lancia a favore di un
ripensamento dei modi d'utilizzo della proprietà intellettuale,
così da consentire lo sviluppo della loro creatività anche
attraverso il mashup e il remix.
Dunque, questo è un libro che, apparentemente, non chiede di rimettere in discussione l'assurda legislazione del copyright, nel senso di ridurla a dimensioni più ragionevoli (ormai i brevetti sono un incubo anche per le aziende per le quali sono state riscritte le leggi e che ne detengono a migliaia, perché per molte piccole aziende è diventato infinitamente più redditizio brevettare a tappeto qualsiasi scematina, anche irrilevante, e poi restare come ragni sulla tela in attesa di prendere al varco le varie Microsoft, Apple o Nokia denunciandole per furto di proprietà intellettuale e chiedendo risarcimenti astronomici). Ma al tempo stesso non è certo un libro scritto per fare piacere alle multinazionali del copyright.
Lessing
piacerà semmai a tutti coloro che ritengono il dibattito sulla riduzione
della portata del diritto d'autore una pericolosa pretesa comunista, perché
si spinge tanto lontano quanto è possibile farlo senza mettere in
discussione radicalmente le attuali leggi sul copyright (anche se un capitolo
intero, il 9, è dedicato al tema "Riformare la legge").
Al
tempo stesso, Lessing fornisce una serie di racconti di casi concreti di
conflitto fra detentori di copyright e comunità della Rete, molti
utili e molto interessanti, che dimostrano meglio di mille proclami le
assurdità a cui ci ha portato l'attuale legislazione eccessivamente
restrittiva.
Diciamo quindi che per essere un libro sul "futuro del copyright" questo è un po' troppo timido ed equidistante. Fa un po' l'effetto di un libro scritto nel 1780 per proporre una riforma "equa" delle angarie feudali...
Era
comunque un tentativo di sintesi fra posizioni opposte che andava fatto
e, tenendo conto di quest'ottica, nel suo genere è anche un tentativo
ottimamente riuscito.
Sicuramente
questa è una delle migliori trattazioni del tema in un'ottica argomentativa,
e non di critica, delle attuali leggi e della attuale situazione.
Che
poi dalla parte opposta si agitino campagne
per l'abolizione pura e semplice della data di scadenza del copyright,
che così verrebbe trasformato in un vero e proprio diritto feudale
ereditario, questo è un altro paio di maniche.
Solo
il tempo dirà se l'approccio di Lessig era troppo ottimistico, perfettamente
azzeccato, o troppo pessimistico...