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Piergiorgio Odifreddi, C'era una volta un paradosso. Storie di illusioni e verità rovesciate, Einaudi, Torino 2001 e 2011.
 
Copertina di ''C'era una volta un paradosso'', di Piergiorgio Odifreddi.

[Saggio]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Splendida introduzione alla logica, ben scritta ma non tutta per tutti.

Mi ha dato molto fastidio vedere che fra le recensioni di lettori apparse online, questo libro è troppe volte giudicato (pro o contro) in base alle performances televisive del suo autore.
Visto che io non ho e non guardo il televisore (infame elettrodomestico per frustrati che non hanno il coraggio di guardarsi sani film porno, e allora guardano ragazzoni in mutande e ragazzone scosciate nell'idromassaggio del Grande Fratello), vorrei parlare qui del libro in quanto tale. Che oltre tutto ho preso per il tema e perché sfogliandolo mi aveva convinto, ma senza far caso a chi mai l'avesse scritto. Se poi è firmato da Ali Babà in persona, tanto meglio per Alì Babà.


Dirò subito che la tematica religiosa, per la quale si stracciano le vesti alcuni recensori particolarmente furiosi, nel libro ha poco spazio (le è effettivamente dedicato l'intero capitolo tre, ma gli altri undici capitoli parlano d'altro. Se vi dà fastidio, saltatelo). Questo lo dico anche nel caso pensaste di comprarlo aspettandovi un trattato di ateologia, cosa che invece non è. Ho letto un libro di Odifreddi sulla religione, l'ho trovato totalmente condivisibile e totalmente scontato (pesta la solita acqua nel solito mortaio: niente che non avessi già letto fin da ragazzino in Perché non sono cristiano di Bertrand Russell) tant'è che l'ho regalato via, e solo il fanatismo ottuso e rabbioso dei suoi nemici riesce a fare di Odifreddi una specie di Anticristo al comando delle Oscure Potenze. (Il che, oltretutto gli dà ragione nella sua battaglia contro il fanatismo ottuso, ma qui glissons, per favore).
Certo, Odifreddi non nasconde la sua allergia verso tutte le religioni, ma le sue ricorrenti punzecchiatine non sono peggiori delle affermazioni che toccano ai cosiddetti "non-credenti" nei libri scritti dai teoduli, quindi se noi atei sopravviviamo a tali letture limitandoci a un sorriso di compatimento verso lo scrittore, non si vede perché l'opposto dovrebbe risultare impossibile. Se siete teoduli, sorridete con compatimento alle frecciate di Odifreddi, e siamo pari.

In questo modo possiamo concentrarci sul libro in quanto tale, che alla fin fine si rivela essere giusto una dispensa universitaria nata per qualche corso di logica matematica, e niente di più di questo. Non, ripeto non, ripeto ancora, non è una confutazione della religione.

Il fatto che vi si parli (spesso) di divinità deriva solo dalla circostanza che per molti secoli i grandi logici sono stati anche grandi teologi (e il fatto che ciò sia di continuo ricordato dovrebbe far piacere ai teoduli, invece di farli arrabbiare!). Costoro si sono scontrati di continuo con paradossi non da poco causati dal confronto tra la loro fede e la Ragione. Per esempio: come si concilia nel cristianesimo il "libero arbitrio" dell'uomo con l'onniscienza di Dio, che se tutto sa, conosce il destino di ogni anima prima ancora che sia nata, e se quindi permette che nasca, ha in certo senso "predeterminato" il suo destino? Si tratta d'un paradosso non da poco, e infatti ognuna delle varie sette cristiane ha risposto in modo diverso. Ebbene: anche senza prendere posizione per l'una o l'altra soluzione, una storia della Logica avrebbe dovuto forse, per non irritare la sensibilità isterica degli stroncatori di Odifreddi, censurare il fatto che tale paradosso nel pensiero occidentale è esistito (ed ha sconvolto l'Europa con guerre durate secoli)?
La risposta la lascio a chi mi legge; quanto a me, io sono contrario alle censure, tutte, da qualsiasi parte arrivino.


Stabilito di cosa non parla questo libro (di Dio o di religione) diciamo di cosa invece parla: della coerenza interna del ragionamento umano, e dell'aspirazione che ha la scienza a raggiungere la massima coerenza possibile. A questo scopo l'opera esamina una realtà privilegiata nel mettere in luce le contraddizioni interne di un ragionamento: il paradosso. Cioè quella forma di ragionamento che contiene in se stessa gli elementi della propria autoconfutazione, o che rende impossibile una risposta che sia o vera o falsa.

La quarta di copertina dà un esempio di paradosso con l'affermazione: "Questo libro contiene almeno un errore". Ebbene, il paradosso sta nel fatto che questa frase può essere solo vera e mai falsa (perché se vi fossero errori sarebbe vera, ma se non vi fossero errori, allora questa frase sulla quarta di copertina sarebbe un errore, dunque se non vi sono errori nel libro quanto afferma è vero, dunque nel libro vi è almeno un errore qualora non vi siano errori...).
Questi che possono sembrare giochini mentali (abbiamo una frase che, se è falsa, allora è vera) sono in realtà ragionamenti molto importanti, e non solo in astratto come aiuti nella ricerca del corretto metodo di ragionare per un pensiero che si voglia davvero "scientifico", ma anche nella pratica di tutti i giorni, anche se non ce ne rendiamo conto. Un mio amico informatico mi faceva per esempio notare: "Prova a lasciare senza accorgertene in un software, magari smisurato e difficile da setacciare come "Windows", un comando di tipo paradossale per cui un parametro possa essere contemporaneamente vero e falso, e vedi cosa succede al computer".
Ecco, appunto.
(Questo amico mi aveva anche spiegato cosa implichino di drammatico per gli informatici i "teoremi d'incompletezza di Goedel", ma non mettiamo troppa carne al fuoco...)


Io non sono un informatico e la logica m'interessa per motivi più astratti, ossia la ricerca del "metodo corretto" di costruire i ragionamenti. E da questo punto di vista, che non ha nulla a che vedere con Dio e santi in generale, questo libro ha fatto al caso mio e l'ho trovato fino ad un certo punto una lettura straordinariamente affascinante e interessante: Odifreddi è indubbiamente bravo ad affabulare, e la sua esposizione di certo pesante non è, dato che sa, quando vuole, scrivere in modo chiaro e senza troppi fronzoli, e tale da incuriosire e allettare il suo lettore.

Dopodiché, se lasciamo infine perdere i difetti immaginari di questo libro, magari possiamo parlare dei difetti veri.
Che ci sono, e non sono piccoli (per questo do quattro stelle di voto e non cinque, nonostante l'interesse straordinario dell'opera).
In copertina non ci si avvisa, ma quest'opera non è divulgativa, come molte altre dello stesso Odifreddi. Il lettore deve infatti avere necessariamente un livello di conoscenze almeno liceali, perché quando Odifreddi parte non si ferma ad aspettare nessuno. Se non avete quelle conoscenze, peggio per voi: non sarà lui a darvele. O le avete, o fate meglio a non leggere questo libro. E questo mio è un consiglio, non una semplice considerazione astratta.

Il secondo difetto è che per quanto indubbiamente Odifreddi abbia riscritto le sue dispense prima di consegnarle a Einaudi per renderle meno aride e più leggibili, dispense universitarie restano. E così nell'ultimo capitolo, il decimo (pp. 241-290) dopo essere saliti di gradino in gradino si arriva infine alla logica matematica, e qui ti saluto Ninetta. Questo capitolo è astratto sino alla fumisteria, minato di formule matematiche ad ogni piè sospinto e semplicemente illeggibile per chi non sia capace di comprendere la matematica di quel livello. Ed io non lo sono neppure nei miei sogni più sfacciati.
Ovviamente però il lettore può semplificarsi la vita limitandosi a saltare la lettura del decimo capitolo... cosa che in effetti garantirà la sopravvivenza di chiunque non sia uno studente dei corsi del professor Odifreddi.
Certo, l'editore avrebbe anche potuto avvisarci di questo scherzetto, ma non è logico e non è umano chiedere a un editore di mettere un avviso per dire che una certa categoria di aspiranti lettori farebbe meglio a non comprare il suo libro. Sarebbe come aspettarsi che Berlusconi creda alla libertà d'informazione...


Tutto ciò premesso, io il libro lo consiglio vivamente. Non sarà forse in tutte le sue pagine una lettura facile, ma se la logica ci affascina si sa già in partenza che si andrà a trattare delle difficoltà del ragionamento umano.

Il libro è un esame che parte dai "mattoni" più semplici e costituivi della logica, per esempio l'insegnamento che traiamo dalle illusioni (ottiche, auditive eccetera, come quella che è presente in copertina ed è "paradossale") che servono a dimostrarci che i nostri sensi (intesi come vista, udito eccetera) "filtrano" i dati che riceviamo dall'esterno, fornendoceli già in "pacchetti" di significato.
Chiunque sia riuscito a percepire un viso umano in un emoticon :) capirà il discorso per cui il nostro cervello è "cablato" per riconoscere significati in certe configurazioni di segni. Ciò è - questo lo sto aggiungendo io, ma è implicito nel discorso di Odifreddi - quanto rende possibile la pareidolia, ossia il riconoscimento di schemi in dati casuali. Così come il riconoscimento di un volto nei due punti e una linea curva dell'emoticon di cui sopra: c'è chi ipotizza che questa capacità si sia evoluta quando per i nostri antenati era una questione di vita o di morte "riconoscere" un volto che li guatava davanti ad un corpo per il resto perfettamente mimetizzato nell'ambiente. Meglio un falso riconoscimento di troppo per "eccesso di capacità di riconoscimento", che un mancato riconoscimento anche una volta sola - che inevitabilmente sarebbe stata anche l'ultima.

Sia vera o falsa questa ipotesi, la pareidolia esiste, ed è ciò che ci fa percepire forme nelle nuvole, o schemi nelle costellazioni, o visi sulle montagne di Marte, il volto di Cristo su un toast bruciato o la Madonna in una macchia di umido sul muro, o voci di defunti nelle scariche statiche di una radio, o infiniti altri fenomeni "paranormali", che sono "inspiegabili" solo per chi la pareidolia non sa (o si rifiuta ottusamente di sapere) cosa sia.
Odifreddi dedica un lungo e interessantissimo capitolo, che da solo meriterebbe l'acquisto del volume, per mostrarci come il nostro cervello "aggiusti" i dati che riceve, come dimostrano le illusioni ottiche riprodotte con generosità nel libro. La medesima tonalità di grigio ci appare chiara su uno sfondo nero e scura su uno sfondo bianco, e non conta nulla il fatto che magari si tratti di un cerchio sovrapposto a una base metà bianca e metà nera: spostando l'occhio il nostro cervello "aggiusta il contrasto" automaticamente, ed anche se la nostra mente sa che la tonalità di grigio è identica (può anche verificarlo, volendo), il nostro occhio continua a "vedere" due tonalità differenti a seconda dello sfondo.

Nello stesso modo, il nostro cervello continua a percepire i colori nei loro rapporti reciproci anche quando la luce presenta una dominante di colore. Quando hanno portato ai miei genitori le vetrate infrangibili per la loro veranda, il vetro smontato era palesemente di colore verde acquamarina, però adesso che è montato "è" incolore, e la luce che l'attraversa è "bianca". Poi però quando faccio le foto o un filmato a mia nipote in quella veranda, lei si lamenta che "l'ho fatta venire fuori verde". Ma lei è verde -- in quella veranda. Lo sono io, lo è lei, e lo sono tutti, perché la luce filtra attraverso un vetro color acquamarina. È solo il nostro occhio che provvede a "correggere" (cioè, falsificare) la tonalità della luce e dirci che questo color acquamarina chiaro "in realtà" è un bianco. Ma "in realtà" non è bianco: è verdognolo. Come dimostra la mia cinepresa che non avendo un cervello che "aggiusti" i dati è "stupida" (costa poco, ma ha solo la modalità "automatico") e quindi mi presenta le cose come sono nella realtà. Ed è questo che dimostra che è stupida. Perché se apro la porta scorrevole della veranda e lascio entrare la luce del sole, quel bianco è davvero bianco, e stavolta la mia cinepresa concorda.
Dunque, chi ha ragione? Chi falsifica? I miei sensi, o la mia videocamera?


Non voglio mettermi a fare per ogni capitolo un commento lungo quanto questo, altrimenti faccio prima a riscrivere il libro di Odifreddi, ma volevo aiutare chi stesse considerando l'acquisto del volume a capire per quale ragione il ragionamento sul paradosso ci sia utile, e non sia solo un giochino ozioso da "Settimana enigmistica". Il paradosso è prezioso perché ci segnala i "punti ciechi" sia dei nostri sensi, sia del nostro modo di ragionare.
Certe strutture del ragionamento, come direbbe Chomsky, sono hard-wired, "pre-cablate" nel nostro cervello. Ora che i computer ci hanno reso famigliare il concetto, possiamo usare come esempio comprensibile a tutti il fatto che la nostra percezione del reale funziona come nei files in .mp3 o .jpg: nel file c'è solo una parte dei dati necessari a ricostruire il file audio o l'immagine, il resto viene "interpolato" dal computer. O meglio, dal nostro cervello, dato che noi abbiamo un cervello che è abituato, anzi, creato apposta per estrapolare una parte dei dati (con notevole risparmio di input). Fate attenzione a quante poche lettere sono realmente necessarie a capire un discorso. Solo quando ci parlano in una lingua straniera, ci rendiamo conto del fatto che tutti parliamo sempre troppo velocemente perché sia fisicamente possibile capire tutti i suoni che si pronunciano: gli altri vengono estrapolati dal contesto in base all'esperienza che i parlanti hanno di tale lingua. Nn è ncssr scri tt l lettr pr capr cs vgl dre. Bastano alcuni punti di appoggio: il resto lo completa il cervello.

Ma cosa succede se il nostro cervello sbaglia (e lo fa!) ad estrapolare, e completa in modo errato?
Non rispondo alla domanda, perché la risposta è il libro di Odifreddi, che si aggira per i meandri del paradosso proprio per dimostrare lo sforzo fatto dalla logica per ovviare o evitare i vicoli ciechi in cui la scienza (e il sapere umano in generale) può impantanarsi per colpa dei limiti intrinseci nei nostri sensi e nella grammatica del nostro linguaggio e nella struttura della nostra mente e nei sentieri predeterminati della nostra cultura e....

Questo libro è una storia degli sforzi fatti dalla razza umana, fin dagli antichi filosofi indiani o greci, per sfuggire, appunto, alle secche dei paradossi: campanelli d'allarme che segnalano che una formulazione logica non è abbastanza precisa ed abbastanza approfondita, perché rende possibili risultati assurdi.
Dopodiché, avanzando nel libro, dopo averci mostrato come i paradossi siano stati i nostri migliori alleati nel mostrarci le fallacie del ragionamento logico, all'improvviso con la fisica quantistica il paradosso diventa il risultato per così dire "normale" del ragionamento scientifico -- e qui confesso di avere perso Odifreddi, che ha proseguito il suo "viaggio" (nel senso che qui a me sembra proprio "fatto" di Lsd, assieme ai suoi compari fisici e matematici) senza di me.


Sarei presuntuoso se pretendessi, con le mie deboli forze, di riassumere un testo titanico come questo. E non dico "titanico" pensando a Odifreddi, bensì alle generazioni e generazioni di pensatori che hanno dedicato la vita a sciogliere il "paradosso del mentitore" o di "Achille e la tartaruga" o "del gatto di Schrödinger" e di tanti altri che nemmeno sospettavo fossero tanto numerosi... Ognuno di loro segnala una "trappola" in cui può cadere il ragionamento, e per crescere la scienza ha avuto bisogno di trovare risposte ai problemi che essi pongono.

Consiglio quindi la lettura di questo libro, nonostante i limiti che ho segnalato più sopra, perché a fronte a tanta ricchezza di spunti e stimoli, non riesco a immaginare come in un volume del genere ogni lettore non riesca a trovare almeno qualche capitolo che lo interessi, affascini ed istruisca, facendolo riflettere su come facciamo a sapere quel che sappiamo, e come facciamo a ragionarci sopra.

A meno che non sia un concorrente del "Grande Fratello", ovviamente...


 
 
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