Home page Giovanni Dall'Orto > Recensioni > Recensioni di saggistica > Un regno che è stato grande
 
Gianni Oliva, Un regno che è stato grande, Mondadori, Milano 2012.
 
Copertina di ''   '', di .

[Saggio]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Una storia della dinastia dei Borboni di Napoli spacciata per altro

A questo libro nuoce la presentazione in quarta di copertina come "Un racconto che rovescia la visione risorgimentale e restituisce alla storia del Sud il suo valore e la sua dignità", mentre invece non fa proprio nulla di tutto questo: chi ha scritto queste frasi il libro non lo aveva neppure annusato!
L'opera è infatti una semplicissima storia della dinastia che resse il Regno di Napoli dall'indipendenza dalla Spagna al 1860. Di ognuno dei sovrani borbonici descrive in ampio dettaglio vita morte e miracoli, nonché pregi e difetti; al punto che le vicende del Regno finiscono per risultare come semplice sfondo della vita dei re di Napoli. Da questo punto di vista, il titolo vero risulta il sottotitolo: "La storia negata dei Borboni di Napoli e Sicilia".
In breve: questa è una storia dei re di Napoli, checché prometta il titolo.

Oliva è un bravo storico, equilibrato, alieno dagli eccessi passionali, e sa narrare. Il libro scorre come un romanzo, senza difficoltà -- ma anche senza grande costrutto, per chi come me cercava un saggio che davvero "rovesciasse la visione risorgimentale".

La tesi di Oliva è che i Borboni furono sovrani del tutto all'altezza del loro compito fino al 1848 (il che è abbastanza vero, anche se avrei qualcosa da ridire sul fatto che la grandezza d'un sovrano si misuri dal fatto che dilapidò fortune a costruire regge e casini di caccia, o a organizzare feste e luminarie sontuose...).
Dopo il 1848, invece, per qualche misteriosa ragione che l'autore non discute e che non si preoccupa di approfondire, persero il treno, e il trono. Fine del libro.

Sulle vicende della fine del loro regno Oliva addirittura si esenta dal parlare, dicendo che tanto sono ampiamente note, mentre invece era proprio lì che aspettavo di arrivare fin dalle prime pagine. Perché il fatto che il sovrano all'arrivo di Garibaldi scopra di non poter più contare né sui suoi soldati, né sui sudditi, né sui funzionari, storicamente qualcosa lo vorrà pure dire... Un'analisi, questo fenomeno, la meritava. E invece non c'è.
E resta il dubbio che manchi perché tirando le somme sarebbe emerso come non proprio tutte le calunnie che i Savoia fecero scrivere contro i Borboni fossero calunnie...
Oscurantisti e "borbonici" i Borboni lo furono davvero, anche se poi i Savoia non è che scherzassero, in fatto di chiusura mentale... Ma i Savoia ebbero i Cavour e i Rattazzi, i Borboni no. E i Cavour e i Rattazzi non erano signori qualunque, erano espressioni di classi sociali emergenti e combattive. Dalla loro, invece, i Borboni ebbero una nobiltà feudale di cui cercavano di limitare il potere nel momento stesso in cui cercavano di usarla come base del proprio potere...
Poi uno si stupisce se le cose andarono a finire così, e che non sia stato Napoli a conquistare il Piemonte...


Attenzione, non dico che Oliva sia un cattivo storico. Dal modo in cui maneggia la materia è palese che la conosce a menadito e ci si sa orientare con la massima disinvoltura. È l'approccio (ossia, alla fin fine, l'impostazione politica), che mi lascia perplesso.
Oliva conosce i problemi che sono stati nodali nel dibattito sulla condizione del Mezzogiorno (la squallida povertà delle plebi, lo strapotere del baronaggio e della Chiesa...) ma vi accenna solo di tanto in tanto, laddove sia necessario raccontare qualche timido tentativo dei sovrani di porvi rimedio (e di solito senza eccessivo successo).
Ma a parte questo, le caratteristiche sociali del Regno restano ostinatamente sullo sfondo, semplice fondale delle imprese dei re.
A tratti poi il tentativo (lodevole) di non cadere nei luoghi comuni della pamphlettistica antiborbonica risorgimentale causa qualche incidente di percorso, come per esempio laddove si accenna sempre al brigantaggio preunitario sotto l'eufemistica definizione di "bande armate", come se le bande armate sotto i Borboni non fossero "briganti", o come se i briganti sotto il Regno d'Italia non fossero "bande armate"... In questa distinzione artificiosa, piaccia o no, si cade nei luoghi comuni opposti della pamphlettistica borbonica, che esaltò il brigantaggio come la riedizione dell'impresa sanfedista, cosa che invece non fu mai, avendo il brigantaggio aggiunto spiccati caratteri di lotta di classe -- che in questo libro non appare quasi mai.


In base a queste considerazioni, mi sento di consigliare quest'opera come testo di storia sulla dinastia dei Borboni di Napoli a chi cercasse un libro elegante, scorrevole, piacevole, dotato di doti di leggibilità non comuni.
Lo sconsiglio invece a chi cercasse un contributo critico all'approccio spesso mistificatorio della storiografia risorgimentale: l'autore non ha inteso fare questo, e presentare il suo libro sotto questa luce è stata solo una scaltra quanto disonesta operazione di marketing da parte dell'editore.


 
 
Quest'opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons "Attribuzione - Non opere derivate 2.5" Italia.
La ripubblicazione integrale è consentita a chiunque sotto i termini di tale licenza. La ripubblicazione parziale è concesso esclusivamente previo accordo con l'autore: scrivere per accordi.
[Torna alla pagina principale] [Torna all'indice delle recensioni]
[Mandami correzioni, suggerimenti o proponimi un nuovo link]