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Massimo Russo e Vittorio Zambardino, Eretici digitali, Apogeo, Milano 2009.
 
Copertina di ''Eretici digitali'', di M. Russo e V. Zambardino.

[Saggio]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Un buon libro, nonostante un titolo ingannatore e qualche difetto

Raramente ho visto un libro avere un buon successo quanto questo nonostante un titolo sbagliato: può darsi che proprio il titolo ingannatore abbia contribuito? Si vede che sarà stato proprio così.

Devo dire che da quanto lo vedevo citare comprandolo infine pensavo di trovarmi fra le mani la quarta o quinta edizione, mentre la mia copia è solo della prima edizione. Probabilmente la scelta di mettere online gratuitamente il testo sul loro blog ha pagato, se non in copie vendute, almeno in circolazione e notorietà. O forse l'editore Apogeo ha semplicemente optato per una tiratura degna di questo nome, invece di vantarsi di aver fatto millanta "nuove edizioni"... da 300 copie ciascuna. Sia come sia, se vi interessate di Rete e comunicazione, su questo titolo inciamperete di continuo. Quindi tanto vale che lo leggiate... :-)


Il titolo è sbagliato perché spinge a pensare che il contenuto tratti dell'etica hacker / cracker, o di pirati digitali o di quant'altro di "eretico" la Rete abbia prodotto fin qui.
Invece sarebbe stato più corretto intitolarlo semmai "La Controriforma digitale", dato che il tema è la progressiva "chiusura" del web attraverso i "guardiani delle porte di accesso", che stanno cercando di "privatizzare" un mezzo fin qui abbastanza "neutrale".

Oltre tutto la tendenza che veniva raccontata qui nel "lontano" 2009, nel frattempo non ha fatto altro che accentuarsi, dato che se la bestia nera degli autori nel 2009 era Google, adesso sono Facebook e le apps Apple ad avere sgomitato come non mai per riuscire a diventare il filtro tra l'utente e la Rete. Conosco ragazzini (ehm: a scanso di equivoci, alla mia età, con "ragazzini" intendo studenti universitari...) che non rispondono neppure più all'email: se li vuoi contattare devi passare o attraverso il telefono (e non possedendo un iPhone io non ho ancora sperimentato il "giardino cintato" messo in opera da Mamma Apple, ma so che c'è), oppure "messaggiarli" su Facebook. Per loro la Rete è già Facebook.
Ciononostante nutro buone speranze sul fatto che anche questa sbronza per féisbuc, come quella per Myspace, sia destinata a passare... Tutto stucca, e quel che offre la Rete stucca due volte più rapidamente.

Probabilmente le polemiche direi quasi quotidiane sulle censure a ripetizione di Facebook in questi due ultimi anni stanno aprendo gli occhi di una parte consistente degli utenti, ma ciò non toglie l'importanza della denuncia accorata di questi due autori verso un rischio che stiamo effettivamente correndo, quello cioè che la Rete, anziché aiutarci a "disintermediare" la comunicazione nonché diverse attività professionali (fra le quali, ahimè, quella mia, il giornalismo), si limiti a sostituire un intermediario solo, e gigantesco, a molti.


In questo istante la gara è ancora in corso fra molti concorrenti, ma il passato ci ha già insegnato come l'informatica, funzionando meglio su standard condivisi da tutti, visto che tutti odiano dover usare un linguaggio/un'interfaccia diverso/a per ogni tipo di contatto, spinge "naturalmente" ai monopolii.

In questa gara Google zitta zitta si sta proponendo come monopolista dell'intermediazione, e in alcuni settori, come la raccolta pubblicitaria online, lo è già qui ed ora (controlla già più dell'80% della pubblicità online, e solo l'intervento dell'antitrust Usa le ha impedito una fusione con Yahoo! che le avrebbe consentito di arrivare al 95%!). Senza controlli, senza limiti legali: in pratica fa il cavolo che vuole, a capriccio, non avendo più nessun concorrente.

Questo libro documenta nel dettaglio cosa stia accadendo, quali siano i problemi che questo monopolio sta creando (per esempio, sono già in corso diverse cause, per abuso di posizione dominante, da parte d'imprenditori che hanno visto azzerare il loro business per la decisione di Google di cambiare unilateralmente e a capriccio le condizioni contrattuali, senza spiegare perché e senza rendere conto a nessuno), ma soprattutto il paradosso per cui la Rete sta diventando il luogo in cui accedere a un'informazione libera dai filtri (politici, ufficiali...), alla quale però si può accedere sempre più attraverso "il" filtro di Google, o di Facebook, o di Apple. Che decidono loro, di testa loro, cosa possiamo o non possiamo visualizzare.

Il caso della Cina, dove i contenuti scomodi al regime non vengono semplicemente visualizzati dai motori di ricerca (Google incluso), è paradigmatico, ma con una scusa o con l'altra sono già migliaia e migliaia - denunciano gli autori - i siti "oscurati" anche nei Paesi "democratici". Magari a ragione (siti pedofili, di gioco d'azzardo) ma a volte no (siti giudicati "nazisti" o "pirati": oggi il sito nazista, e siamo tutti d'accordo per carità, domani quello comunista, domani ancora quello "filo-terrorista" solo perché ha scritto "Palestina libera", dopodomani quello semplicemente "sovversivo", dopodomani ancora quello che critica il Presidente del Consiglio... la differenza con la Cina qui è solo di grado, non di livello).

Per dirla con una frase di apertura del libro:

In particolare,

C'è da dire che la drammaticità di questa denuncia va presa un po' con le pinze.
I giornalisti professionisti da sempre drammatizzano per vendere, come dimostra il fatto che dal libro è nato un premio giornalistico, finanziato con 10.000 euro messi a disposizione da... Google.
Ebbene sì, Google, proprio quell'azienda che nel libro viene scozzonata una pagina sì ed una pure.
Accettando questa sponsorizzazione (e non è difficile immaginare perché mai Google l'abbia concessa: P.R.) gli autori ci comunicano o che Google non è poi così cattiva come l'hanno dipinta nel testo (guardate quanto è democratica: finanzia addirittura i suoi critici! Don't be evil!), oppure che la situazione non è poi così drammatica come ci vogliono far credere, se sono ancora possibili questi spazi. (C'è poi una terza ipotesi, ossia che i giornalisti italiani e le loro idee sono a disposizione del migliore offerente, il che è verissimo, ma non credo si applichi nel particolare a questi due giornalisti).

Sia come sia, di certo non credo che la Free Software Foundation sia andata avanti a furia di donazioni da parte della Microsoft... Certe scelte sono un messaggio implicito.
Dunque, il messaggio che gli autori lanciano al mondo è qui decisamente contraddittorio.

Ma la coerenza non è il pregio numero uno dei giornalisti italiani, senza il cui costante ossequio e servilismo, per dirne una, Silvio Berlusconi sarebbe solo un bancarottiere pregiudicato e dimenticato ormai da molti anni...


Un altro limite di questo libro, direi fastidioso, è la tendenza degli autori a pontificare, montando in cattedra (a tratti sembra che abbiano capito tutto loro), nonché sfoggiando un linguaggio inutilmente aulico, che non serve a comunicare ma solo a mostrare quante parolone sanno. È un difetto tipico dei giornalisti italiani, ma sarebbe stato carino non doverlo trovare in una riflessione sul futuro del giornalismo.
Perché se una cosa offre la Rete agli utenti oggi è proprio la possibilità di mollare i giornali troppo pomposi e che "fanno la ruota" per cercarne altri che fanno il loro mestiere e "parlano come mangiano".
Per fare un esempio, laddove a pagina 46 appare una frase-mostro come "Ma è possibile farlo - ed è ipotizzabile capirlo - se accanto agli aoristi e al periodo ipotetico il "critico della rete" ha capito qual è il linguaggio umano e il fenomeno sociale che sta osservando". A parte l'intricatezza della frase, che è inutile, ancora più inutile è citare gli aoristi, forma verbale del greco che solo chi ha fatto il liceo classico sa cosa cappero siano.
Questa frase non serve quindi a comunicare, ma solo a farci sapere che gli autori hanno fatto il liceo classico...
Notizia questa che serve a fare la ruota e non a comunicare idee e analisi al lettore.

E gente che scrive frasi come: "Siamo a un altro snodo chiave: la mitopoiesi della rete come luogo diverso dalla vira reale esige che, mentre nel mondo opacità e controllo sono la regola, su internet fiducia, collaborazione, apertura e trasparenza siano elementi fondanti" (p. 92), un po' portata di suo a fare la ruota lo è senz'altro.
È un limite umanissimo, per carità, ma fastidiosetto.

Per fortuna, almeno in questo caso lo si può perdonare volentieri di fronte al fatto che almeno il libro è interessante e l'analisi che propone importante. Di fronte a tanti tromboni televisivi che si vantano vendendo aria fritta, almeno questi due autori hanno contenuti seri dietro alla loro - umana, troppo umana - ruota di pavone.


Tutti questi limiti non tolgono in effetti pregio alla realtà della denuncia. È in atto un tentativo di costruire dentro la Rete "giardini cintati", dai quali, una volta entrati, non è più possibile interagire con l'esterno, se non attraverso le porte che i costruttori hanno previsto.
E per l'accesso alle quali i costruttori del giardino fanno pagare pedaggio a chiunque voglia comunicare con i visitatori. A volte fanno pagare perfino i visitatori del giardino stesso, come nel caso delle apps degli iPhones.

La mia speranza, leggendo questa denuncia (che è verissima, e sotto agli occhi di tutti), è che si ripeta quanto è successo in passato con tentativi del genere. Quello di AOL, che vendeva connettività alla Rete permettendo di comunicare solo con i propri abbonati e non con quelli della concorrenza... O quello di Apple, che è stata scalzata dal mercato dei sistemi operativi da Microsoft, nonostante offrisse prodotti migliori, perché Microsoft interagiva con tutti i prodotti, Apple solo coi propri. O quello di Yahoo! o Altavista, che vendevano ai migliori offerenti il piazzamento nei loro motori di ricerca, causando la transumanza in massa della loro intera utenza verso Google non appena Google decise che si potevano vendere le pubblicità abbinata ai risultati, ma non i risultati stessi. O...

Certo, gli autori insistono sul fatto che con la maturazione della Rete sta diventando sempre più difficile ripetere a Google lo scherzetto che Google giocò a Yahoo ed Altavista. Le barriere d'ingresso sono sempre più elevate.
Specie in campo economico. Un'azienda che guadagna miliardi di dollari come Google, può permettersi d'impedire l'accesso ai nuovi concorrenti semplicemente facendo quello per cui è diventata famosa: regalando i propri servizi, che oltre tutto sono ottimi. Dal motore di ricerca stesso fino a Gmail o ai sistemi operativi per smartphone. Tutte operazioni in perdita, rese possibili solo dai ricavi extra garantiti dalla posizione monopolistica nel campo della pubblicità. Posizione che viene rafforzata dalla sua onnipresenza dovuta proprio alla gratuità dei suoi prodotti. E così via.

Da questo circolo vizioso si può uscire solo attraverso normative antitrust che affrontino come tale il problema, ma il mondo politico, denunciano convincentemente gli autori, spesso è generazionalmente incapace di comprendere il problema.
I politici sono vecchi, spesso (- aggiungo io - come Bersani che ha definito Internet "quell'ambaradan lì" o Berlusconi che crede che il motore di ricerca di cui ho appena parlato si chiami "Gogòl") non sono neppure capaci di usarla, la Rete, che fanno usare dalla loro segretaria. Figuriamoci di capirne i problemi ed i rischi!
Anzi, tendono a vederla solo come un pericolo che occorre depotenziare con dosi sempre più massicce di censura, per giustificare la quale scatenano campagne isteriche sul pericolo pedofilia in Rete, sul pericolo terrorismo in Rete, sul pericolo pirateria in Rete, sul pericolo...

E invece il solo pericolo reale che esiste, è che questa classe politica perda il monopolio dell'informazione che fin qui le hanno garantito giornali e tv.
Aggiungo io che se la Banda Larga in italia non si riesce proprio a fare, è perché Silvio Berlusconi (al quale come capo del Governo competono diverse decisioni in materia, visti gli investimenti in infrastutture necessari) è terrorizzato dall'idea che la gente cerchi in Rete i contenuti che oggi si sciroppa dalla Tv. Scegliendoli lei anziché subendoli come decidono i direttori di testata, nominati da lui.
Ed aggiungo che ha perfettamente ragione: la gente vuole la banda larga esattamente per fare questo!.


Per concludere, mi permetto di consigliare il blog che tiene uno dei due autori, Vittorio Zambardino, sul portale di "Repubblica".

Fa un po' sorridere un giornalista professionista di "Repubblica" (cioè della testata che paga quindici euro per un pezzo ai "collaboratori esterni", contribuendo all'estinzione della professione più di qualunque altra cosa... altro che i pericoli della Rete!) che parla delle nuove frontiere del giornalismo: è un po' come un papa che discetti di libero pensiero e laicità.
Tuttavia, tenendo conto di questo limite, e facendo la debita tara alle sue prese di posizione (che come quelle di qualsiasi essere umano - incluso me - tengono conto degli interessi personali dell'autore, e ci mancherebbe altro!) siccome il personaggio è intelligente (anzi, decisamente sveglio!) e si tiene informato, ha sempre cose interessanti da dire. Tanto che io l'ho aggiunto ai miei feeds.

Vero, a volte la supponenza di questi due autori irrita (la loro tendenza a parlare dalla cattedra sembra una costante), però almeno le loro tesi stimolano sempre. Dunque, consiglio la lettura tanto del libro, quanto dei loro blog (quello di Russo è qui, però rispetto a quello di Zambardino mi sembra troppo iPad-dipendente, quindi a me intriga meno: i gadget, specie se inutilmente costosi, mi lasciano freddino).


 
 
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