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Francisco Villar, Gli indoeuropei e le origini dell'Europa. Lingua e storia, Il Mulino, 2008 [1991].
 
Copertina di ''Gli indoeuropei e le origini dell'Europa'', di Francisco Villar.

[Saggio]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Un testo non di divulgazione, ma di cristallina chiarezza nelle parti relative alle linguistica..

Occhio, signori: questo è un testo (immagino destinato a un corso universitario) che nonostante la presentazione esteriore (copertina, grafica, quarta di copertina) da manuale divulgativo per il grande pubblico, si rivolge in realtà a lettori che hanno già buone od ottime cognizioni sul tema.
In altre parole è adatto solo a chi vuole ripassare ciò che ha studiato al liceo anni fa, o a chi volesse approfondirlo all'università, e non a chi volesse affrontare per la prima volta il tema.

L'autore non si preoccupa infatti di spiegare neppure le convenzioni grafiche di base (l'asterisco che indica una radice ricostruita ma non attestata, la parola scritta fra due barre diagonali... eccetera), o l'alfabeto fonetico, o non traslittera mai le parole in alfabeto greco, dandoli per già noti al suo lettore ideale. E il funzionamento dell'evoluzione fonetica lo riassume più che spiegarlo. E...
Dunque, chi cerca una introduzione al tema, eviti questo volume.


Quanto a me: rileggere, a 35 anni dal liceo classico, questo testo, si è rivelato affascinante. Purtroppo il testo non è recente (il copyright del testo originale spagnolo è del 1991/1996, quello italiano del 1997) quindi nel complesso il quadro che mi ha fornito è quello che studiai allora (del resto l'autore poco si discosta dal quadro generale proposto dalla Gimbutas molti decenni fa). Tuttavia un sacco di cose con gli anni si dimenticano, e reincontrarle dà sempre il piacere di una rimpatriata con vecchi amici.

L'unica obiezione che mi sento di fare è che l'autore non è un redattore distaccato che cerchi di fare il punto su un particolare campo di studi (però se non altro ha l'onestà intellettuale di non nasconderlo): è un polemista, un militante, è parte in causa nel dibattito e negli scontri fra studiosi, e quindi inevitabilmente a volte privilegia e "spinge" un po' troppo la sua visione delle cose più che tentare unla sintesi.

Per fare un esempio, personalmente avrei preferito una discussione delle tesi di Colin Renfrew più approfondita e motivata dellle poche righe bisbetiche e liquidatorie che riassumerei liberamente come: "Meglio che quello là non parli di quel che, a differenza di noi indoeuropeisti, non capisce".
Allo stesso modo avrei amato una confutazione meno spocchiosa e palesemente infastidita ("roba vecchia, ma che, stiamo a parlare ancora di quelle robe lì?") delle pretese degli studiosi indiani relative ad una collocazione più vicina al subcontinente indiano che alle steppe russe della patria ancestrale degli indoeuropei.
Lo so che la tesi indiana puzza non solo di nazionalismo ma anche di vero e proprio razzismo "indianista", ma forse tenere meglio a mente in che modo erano chiamati fino a pochi decenni fa gli indoeuropei - ariani - e che uso si sia fatto di questo concetto da parte dei razzisti "europeisti", aiuterebbe ad evitare alcuni "rischi" di cecità "involontaria".

Per non parlare di quanto occorre all'autore per confutare le ipotesi di Martin Bernal che in Atena nera proponeva le presenza di un substrato semitico anche in vaste zone europee: zero righe. Rimosso, cancellato, censurato!
E che dire della frettolosità (poche pagine in calce all'ultimo capitolo) con cui è liquidata tutto il problema del "nostratico" e della possibilità d'individuare legami di parentela fra le grandi famiglie di lingue umane, di cui si fa un gran parlare oggi? Come minimo, irritante.

Ora, io non dico che questi autori debbano avere ragione su tutto, ammetto anzi che è del tutto possibile che abbiano torto marcio, però visto che ho speso i miei soldi per imparare da questo libro, almeno di sentirmi spiegare da chi ne sa più di me perché mai abbiano torto marcio, me lo aspettavo.
Sono tesi che han fatto e fanno discutere, eppure nell'iperuranio di questo autore il cielo è sempre senza nuvole e senza dubbi, e la ipotesi e le illazioni della Gimbutas non sono state mai scosse neppure da un refolo di vento.

Ebbene: io ho, come dire, la sensazione che tutto questo radioso ottimismo sia un po' eccessivo, per essere credibile.
Diciamo che più che "sicurezza" questa è sicumera e baldanza.
E ricordiamoci che l'ultima volta che gli indoeuropei sono stati approcciati con sicumera e baldanza, la cosa ci è costata 50 milioni di morti, e quindi forse sarebbe opportuno un attimo di prudenza prima di ributtarci in ricostruzioni che se non odorano proprio di razzismo e "supremazia ariana", se non altro il "fumus" che spira in questa direzione non possono dissiparlo...

Quando leggo che è quasi certo che perfino i relitti pre-indeuropei (baschi, georgiani) in Europa risalgono "probabilmente" ad una precedente ondata di pre-pre-indoeropei, i confini tra un indoeuropeo e Mandrake iniziano a essere un po' troppo sfumati. Ma che erano 'sti indoeuropei, che sbaragliavano tutti? Superman?

(In compenso, mi son goduto ogni virgola della tremenda scozzonata inflitta a Georges Dumézil, che a mio modo di vedere ha costruito troppo e con troppa sicumera su troppo poche, e troppo evanescenti, ipotesi storiche).


L'aspetto fastidioso di questo volume, in effetti, è la continua oscillazione dell'autore fra la trattazione d'un gruppo di lingue collegate, e un gruppo di popoli di presunto ceppo comune.
 
La sua dichiarazione iniziale sul fatto che "noi siamo indoeuropei" mi ha fatto saltare sulla sedia, perché ci vedo il vecchio errore che identifica lingua e "popolo".
Un indio boliviano che parli spagnolo non "è indoeuropeo", bensì "parla una lingua di ceppo indoeuropeo", esattamente come un nero caraibico che parli inglese non "è anglosassone". Anche perché neppure gli anglosassoni sono molto angli né molto sassoni, essendo piuttosto discendenti delle popolazione celtiche... e così via.

Invece gli studi seminali e rivoluzionari di Francesco Cavalli-Sforza sulla preistoria, in questo libro vengono sì nominati, ma controvoglia e in una paginetta, giusto per identificare l'invasione "indoeuropea" con una in particolare delle molte ondate migratorie di cui Cavalli-Sforza ha rinvenuto le tracce nei geni di noi europei.
Ora, va bene voler discutere di una sola di queste ondate (specie se lo si fa in un libro che promette fin dal titolo di parlare di questa, e non di altre), ma spendere due pagine per chiedersi quanto abbiano contato anche le altre sei o sette, non avrebbe senso?
Che hanno di così speciale gli indoeuropei, rispetto a tutti gli altri invasori dell'Europa? Se si pensa che davvero abbiamo qualcosa che li rende speciali, almeno ci si spieghi perché...
Se quelli indoeuropei sono popoli, allora dati come quelli di Cavalli-Sforza vanno discussi e integrati nel quadro (e Villar non lo fa), se invece esiste solo una famiglia di lingue, allora tutte le elucubrazioni su chi fossero i popoli che le parlavano sono solo un "dipiù" che ha a che fare più con la fantastoria che con la storia...

Ovviamente la mia posizione va più nella prima direzione che nella seconda: i popoli fanno le lingue, ma anche le lingue a loro volta fanno i popoli.

Però io avrei preferito meno ambiguità su questo tasto molto delicato, mentre l'autore (che pure è pienamente cosciente della delicatezza del tema, tanto che spreca inviti alla prudenza e mette in guardia contro le iper-generalizzazioni) glissa prudentemente su tutto il castello razziale e soprattutto razzista che è stato costruito sugli indoeuropei, massimamente dai nazisti... e non solo da loro.
Ed è un po' come cercare di nascondere lo sporco sotto il tappeto...


Quando però ci allontaniamo da questo campo minato, allora tutto cambia, e decisamente per il meglio.
Infatti, quando Villar si attiene allo stretto campo linguistico, che poi in fondo è il suo campo di competenza vera, è di una chiarezza semplicemente cristallina.
Se amate la linguistica, questo libro vi darà momenti di intenso piacere intellettuale. Chi s'interessa di linguistica non potrà che trovare fantastica un'esposizione metodica e ordinata, sistematica ed appassionata, come quella di Villar. Qui c'è un intero magazzino di dati da digerire...

Viceversa, se non avete il pallino dell'argomento, questo spesso tomo di 700 pagine si rivelerà certamente di una noia assolutamente mortale. L'autore non fa nulla per rendere meno arida l'elencazione di fenomeni fonetici ed elenchi di popoli: o vi interessano fin dall'inizio, o non è certo questo il libro che riuscirà a farveli amare.
A chi desiderasse un primo approccio al tema, insomma, consiglio vivamente qualche altro testo, meno specialistico di questo.


Concludendo.
Questo è un testo che merita (magari proprio per la passionalità con cui difende certe tesi) un voto pieno per quanto riguarda l'aspetto propriamente linguistico, mentre a mio parere mette i piedi in più di un tratto di sabbie mobili ogni volta che lascia il terreno dell'evoluzione linguistica per avventurarsi nella ricostruzione storica in senso ampio.

Ma, come dice un vecchio detto indoeuropeo: nessuno è perfetto.


 
 
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