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Alan Weisman, Il mondo senza di noi, Einaudi, Torino 2010 [2007].
 
Copertina di ''Il mondo senza di noi'', di Alan Weisman.

[Saggio]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Come cambierebbe la Terra se la razza umana sparisse all'improvviso?

Si può affrontare in un libro di divulgazione il tema dell'impatto antropico sulla Natura senza annoiare i lettori? Alan Weisman c'è riuscito in modo straordinario, e con un trucco retorico banalissimo: invece di chiedersi in che modo l'ambiente sia cambiato in conseguenza dell'esplosione della razza umana, ribalta la domanda: cosa accadrebbe se l'intera razza umana svanisse per magia, da un secondo all'altro?

Ebbene, dopo una breve introduzione, i capitoli due e tre di questo libro sono dedicati a descrivere in che modo si disintegri una casa senza una manutenzione costante, o cosa accadrebbe a una metropoli abbandonata (New York) già a poche ore dalla scomparsa degli addetti al suo funzionamento.
Queste sono fra le pagine più potenti sulla "decadenza" che abbia mai letto, degne di tener testa a decine di descrizioni fantascientifiche che immaginano la sparizione della razza umana. Dato poi che nei racconti di fantascienza è la razza umana a rivestire interesse per il narratore, difficilmente si ha l'occasione di concentrarsi sullo sciame di cambiamenti chimici, statici, biologici che iniziano immediatamente a far sparire quanto l'Uomo ha costruito. Eppure di case crollate e inghiottite dal suolo sono costellate le nostre campagne, di città spazzate via dalla faccia della testa sono pieni i testi di storia e di archeologia. (Questa descrizione ha in effetti un elevato interesse anche per chi s'interessa di storia, perché descrive in fieri la nascita del "reperto archeologico", o della "rovina archeologica").


Ovviamente un libro che si limitasse a descrivere in che modo vanno in rovina le città sarebbe altrettanto noioso d'una riflessione teorica sull'impatto antropico, quindi l'autore passa, di capitolo in capitolo, ad esaminare in che modo l'uomo abbia cambiato i rapporti fra specie viventi, e fra esse e il loro ambiente, fin dalla preistoria, per esempio portando all'estinzione gran parte della megafauna.

Essendo Weisman un giornalista (non un biologo o un ecologo), ed essendo nato questo libro in abbinamento a un documentario televisivo, Il mondo senza di noi è costruito su "case histories" significative, e su interviste a diversi addetti al mantenimento dello "status quo" del mondo antropizzato (biologi ed ecologi certamente, ma anche semplici addetti alla sicurezza d'impianti a rischio costante di collasso, come ovviamente i depositi di gas e petrolio, ma anche, meno ovviamente, la Metropolitana di New York, che sarebbe completamente invasa dalle acque nel giro di poche ore dall'arresto delle pompe che oggi le permettono di rimanere all'asciutto).

Il libro spazia quindi dal ripopolamento spontaneo (da parte di specie ormai estinte altrove) della "zona neutrale" fra le due Coree, al destino della (indistruttibile!) plastica negli oceani, ai depositi di combustibili negli Usa e alla loro gestione, al probabile destino delle centrali atomiche (che se non fossero state spente al momento della sparizione della nostra razza causerebbero una devastazione radioattiva per decine di millenni), al triste destino di piante ed animali addomesticati (che senza l'aiuto umano in gran parte o sparirebbero, o tornerebbero alle forme selvatiche da cui discendono), via via fino ai "lasciti" involontari, come le piante e gli animali infestanti introdotti dall'uomo in continenti diversi da quelli d'origine, il buco nell'ozono, il riscaldamento globale.
Una volta presoci gusto, l'autore si spinge perfino ad immagine quanto a lungo resterebbe traccia nell'Universo di manufatti (razzi, sonde) lanciati dagli umani, o delle onde emanate dal loro pianeta.


Il mondo senza di noi è un libro d'assoluto fascino, da leggere tutto d'un fiato, che ci fa capire in che modo la razza umana abbia modellato l'ambiente in cui vive, nel bene e nel male.
L'autore non esprime mai giudizi di valore diretti, del tipo "ah!, quanto sarebbe migliore il mondo senza esseri umani" (e secondo quanto mostra Weisman, in realtà non sarebbe né migliore né peggiore, sarebbe solo altra cosa rispetto a quel che è oggi).

Weisman, deo gratias, non è vittima della tipica sindrome degli ecologisti estremisti secondo i quali i "nobili selvaggi" trattavano la natura con un rispetto ignoto all'Occidente capitalistico e materialistico. Senza polemizzare con nessuno, dedica un capitolo alle estinzioni causate dai nostri avi nella preistoria, che usando armi di pietra scheggiata non si dimostrarono meno micidiali dei nostri bisnonni con le loro carabine a ripetizione. Il problema non è quindi la civiltà in sé. È l'uso che se ne fa.
D'altro canto, in un brano di grande fascino, l'autore sostiene che la foresta "vergine" amazzonica potrebbe essere in realtà solo un territorio che la foresta s'è ripresa in un contesto un tempo assai fittamente abitato, e coltivato con tecniche di silvicultura, prima che gli indios fossero spazzati via senza colpo ferire dalle malattie portate dai bianchi.
In altre parole, quanto ci appare assolutamente "naturale" e "intatto" potrebbe essere semplicemente una ri-naturalizzazione d'un paesaggio che l'Uomo ha profondamente modificato.
Come del resto ha fatto ogni forma di essere vivente da quanto esiste la vita.


Mi pare insomma che, dal punto di vista giornalistico, Weisman faccia fino in fondo il suo dovere di raccogliere dati e renderli più facilmente disponibili e comprensibili a tutti, senza nascondere quelli che magari gli piacciono meno. O che pensa possano dispiacere al pubblico dei suoi lettori potenziali…

A questo proposito, aggiungerò che leggendo queste pagine m'è venuta alla mente quanto detto in Microcosmos da Lynn Margulis, grande studiosa del mondo dei "microbi", che ammoniva su come l'illusione della razza umana circa la propria capacità di "spazzare via  la vita dalla Terra", sia in realtà parte di quell'arroganza intellettuale che, se non sarà tenuta a freno, riuscirà unicamente a spazzare via la razza umana dal libro della Vita.
La Vita, infatti, è quella roba che si manifesta anche sotto forma di batteri che proliferano particolarmente bene nelle calde acque... radioattive di raffreddamento delle centrali nucleari, ed è quella roba che è sopravvissuta in passato ad impatti che hanno liberato un'energia superiore di molte volte a quella che l'intero arsenale nucleare mondiale potrebbe sviluppare...


È quindi giustamente che questo libro è anche un esercizio d'umiltà.
Cosa resterà di noi dopo centinaia di milioni d'anni? Vene di colore diverso in filoni di roccia laddove un tempo erano esistiti manufatti in metallo. Qualche rara ceramica inglobata come "fossile" nelle rocce, dato che la ceramica è, chimicamente, ciò che maggiormente si avvicina ai fossili fra quanto creato all'uomo. Qualche onda radio che si allontana nello Spazio. E una traccia, nei fossili della nostra era, d'una brusca quanto momentanea oscillazione nel tasso d'estinzione delle specie animali e vegetali. Nient'altro.

Non posso che raccomandare vivamente la lettura di quest'opera, che insegna un sacco di nozioni interessanti non solo relativamente alla Natura, ma anche alla società umana e al suo funzionamento quotidiano. Riesce a farlo senza annoiare mai, né montare in cattedra o perdersi in elucubrazioni astruse.

Dandosi l'aria d'una favola, o d'un racconto di fantascienza (un po' alla James Ballard, magari col titolo: "Il giorno in cui la razza umana svanì"...) riesce a catturare l'attenzione del lettore, divertendolo e affascinandolo.
Sarà ben difficile restarne delusi.


 
 
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