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[Saggio]
Recensione di Giovanni Dall'Orto
Come cambierebbe la Terra se la razza umana sparisse all'improvviso?
Si può affrontare in un libro di divulgazione il tema dell'impatto antropico sulla Natura senza annoiare i lettori? Alan Weisman c'è riuscito in modo straordinario, e con un trucco retorico banalissimo: invece di chiedersi in che modo l'ambiente sia cambiato in conseguenza dell'esplosione della razza umana, ribalta la domanda: cosa accadrebbe se l'intera razza umana svanisse per magia, da un secondo all'altro?
Ebbene,
dopo una breve introduzione, i capitoli due e tre di questo libro sono
dedicati a descrivere in che modo si disintegri una casa senza una manutenzione
costante, o cosa accadrebbe a una metropoli abbandonata (New York) già
a poche ore dalla scomparsa degli addetti al suo funzionamento.
Queste
sono fra le pagine più potenti sulla "decadenza" che abbia mai letto,
degne di tener testa a decine di descrizioni fantascientifiche che immaginano
la sparizione della razza umana. Dato poi che nei racconti di fantascienza
è la razza umana a rivestire interesse per il narratore, difficilmente
si ha l'occasione di concentrarsi sullo sciame di cambiamenti chimici,
statici, biologici che iniziano immediatamente a far sparire quanto l'Uomo
ha costruito. Eppure di case crollate e inghiottite dal suolo sono costellate
le nostre campagne, di città spazzate via dalla faccia della testa
sono pieni i testi di storia e di archeologia. (Questa descrizione ha in
effetti un elevato interesse anche per chi s'interessa di storia, perché
descrive in fieri la nascita del "reperto archeologico", o della
"rovina archeologica").
Ovviamente un libro che si limitasse a descrivere in che modo vanno in rovina le città sarebbe altrettanto noioso d'una riflessione teorica sull'impatto antropico, quindi l'autore passa, di capitolo in capitolo, ad esaminare in che modo l'uomo abbia cambiato i rapporti fra specie viventi, e fra esse e il loro ambiente, fin dalla preistoria, per esempio portando all'estinzione gran parte della megafauna.
Essendo Weisman un giornalista (non un biologo o un ecologo), ed essendo nato questo libro in abbinamento a un documentario televisivo, Il mondo senza di noi è costruito su "case histories" significative, e su interviste a diversi addetti al mantenimento dello "status quo" del mondo antropizzato (biologi ed ecologi certamente, ma anche semplici addetti alla sicurezza d'impianti a rischio costante di collasso, come ovviamente i depositi di gas e petrolio, ma anche, meno ovviamente, la Metropolitana di New York, che sarebbe completamente invasa dalle acque nel giro di poche ore dall'arresto delle pompe che oggi le permettono di rimanere all'asciutto).
Il
libro spazia quindi dal ripopolamento spontaneo (da parte di specie ormai
estinte altrove) della "zona neutrale" fra le due Coree, al destino della
(indistruttibile!) plastica negli oceani, ai depositi di combustibili negli
Usa e alla loro gestione, al probabile destino delle centrali atomiche
(che se non fossero state spente al momento della sparizione della nostra
razza causerebbero una devastazione radioattiva per decine di millenni),
al triste destino di piante ed animali addomesticati (che senza l'aiuto
umano in gran parte o sparirebbero, o tornerebbero alle forme selvatiche
da cui discendono), via via fino ai "lasciti" involontari, come le piante
e gli animali infestanti introdotti dall'uomo in continenti diversi da
quelli d'origine, il buco nell'ozono, il riscaldamento globale.
Una
volta presoci gusto, l'autore si spinge perfino ad immagine quanto a lungo
resterebbe traccia nell'Universo di manufatti (razzi, sonde) lanciati dagli
umani, o delle onde emanate dal loro pianeta.
Il
mondo senza di noi è un libro d'assoluto fascino, da leggere
tutto d'un fiato, che ci fa capire in che modo la razza umana abbia modellato
l'ambiente in cui vive, nel bene e nel male.
L'autore
non esprime mai giudizi di valore diretti, del tipo "ah!, quanto sarebbe
migliore il mondo senza esseri umani" (e secondo quanto mostra Weisman,
in realtà non sarebbe né migliore né peggiore,
sarebbe solo altra cosa rispetto a quel che è oggi).
Weisman,
deo gratias, non è vittima della tipica sindrome degli ecologisti
estremisti secondo i quali i "nobili selvaggi" trattavano la natura con
un rispetto ignoto all'Occidente capitalistico e materialistico. Senza
polemizzare con nessuno, dedica un capitolo alle estinzioni causate
dai nostri avi nella preistoria, che usando armi di pietra scheggiata non
si dimostrarono meno micidiali dei nostri bisnonni con le loro carabine
a ripetizione. Il problema non è quindi la civiltà in sé.
È l'uso che se ne fa.
D'altro
canto, in un brano di grande fascino, l'autore sostiene che la foresta
"vergine" amazzonica potrebbe essere in realtà solo
un territorio che la foresta s'è ripresa in un contesto un tempo
assai fittamente abitato, e coltivato con tecniche di silvicultura, prima
che gli indios fossero spazzati via senza colpo ferire dalle malattie
portate dai bianchi.
In
altre parole, quanto ci appare assolutamente "naturale" e "intatto" potrebbe
essere semplicemente una ri-naturalizzazione d'un paesaggio che l'Uomo
ha profondamente modificato.
Come
del resto ha fatto ogni forma di essere vivente da quanto esiste la vita.
Mi pare insomma che, dal punto di vista giornalistico, Weisman faccia fino in fondo il suo dovere di raccogliere dati e renderli più facilmente disponibili e comprensibili a tutti, senza nascondere quelli che magari gli piacciono meno. O che pensa possano dispiacere al pubblico dei suoi lettori potenziali…
A questo
proposito, aggiungerò che leggendo queste pagine m'è venuta
alla mente quanto detto in Microcosmos
da Lynn
Margulis, grande studiosa del mondo dei "microbi", che ammoniva
su come l'illusione della razza umana circa la propria capacità
di "spazzare via la vita dalla Terra", sia in realtà parte
di quell'arroganza intellettuale che, se non sarà tenuta a freno,
riuscirà unicamente a spazzare via la razza umana dal libro
della Vita.
La
Vita, infatti, è quella roba che si manifesta anche sotto forma
di batteri che proliferano particolarmente bene nelle calde acque... radioattive
di raffreddamento delle centrali nucleari, ed è quella roba che
è sopravvissuta in passato ad impatti che hanno liberato un'energia
superiore di molte volte a quella che l'intero arsenale nucleare mondiale
potrebbe sviluppare...
È
quindi giustamente che questo libro è anche un esercizio d'umiltà.
Cosa
resterà di noi dopo centinaia di milioni d'anni? Vene di colore
diverso in filoni di roccia laddove un tempo erano esistiti manufatti in
metallo. Qualche rara ceramica inglobata come "fossile" nelle rocce, dato
che la ceramica è, chimicamente, ciò che maggiormente si
avvicina ai fossili fra quanto creato all'uomo. Qualche onda radio che
si allontana nello Spazio. E una traccia, nei fossili della nostra era,
d'una brusca quanto momentanea oscillazione nel tasso d'estinzione delle
specie animali e vegetali. Nient'altro.
Non posso che raccomandare vivamente la lettura di quest'opera, che insegna un sacco di nozioni interessanti non solo relativamente alla Natura, ma anche alla società umana e al suo funzionamento quotidiano. Riesce a farlo senza annoiare mai, né montare in cattedra o perdersi in elucubrazioni astruse.
Dandosi
l'aria d'una favola, o d'un racconto di fantascienza (un po' alla James
Ballard, magari col titolo: "Il giorno in cui la razza umana svanì"...)
riesce a catturare l'attenzione del lettore, divertendolo e affascinandolo.
Sarà
ben difficile restarne delusi.