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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Per metà una collezione di sfighe, ma poi inaspettatamente migliora.
Quando iniziai a leggere fantascienza andava per la maggiore l'antologia einaudiana intitolata Le meraviglie del possibile, e la fantascienza questo, era: l'illustrazione di un futuro a tratti chiaro e a tratti oscuro (minaccioso com'era di guerre atomiche, ultime spiagge e invasioni di ultracorpi alieni) ma alla fin fine ritenuto meraviglioso, e di una meraviglia attesa come "possibile".
Poi la fantascienza ha dimenticato, anzi deliberatamente rinnegato le sue radici (e non a caso "è andata in crisi"), ed oggi mi ritrovo di fronte a un'antologia come questa, Uraniana, che nel raccogliere "il meglio dei racconti di fantascienza del 2006" mi rifila per la prima metà ed oltre una tale sfilza di sfighe, distopie e disastri da farmi chiedere se la fantascienza oggi sia prodotta dalle ditte di antidepressivi per incentivare le vendite...
Per fortuna però verso la metà il volume inizia ad avere alcuni colpi d'ala tali da avergli risparmiato il volo (non spaziale) verso la mia cassetta della carta da riciclare.
Il punto sta solo nel riuscire a sopravvivere (a meno che a voi le sfighe piacciano, sia chiaro!) fra le ben due ere glaciali venture (una ricorda James Ballard, il che però significa solo che non dice nulla che Ballard non avesse già detto, e lo aveva anche detto decisamente meglio), un'armata di gigantesche e misteriose donne guerriere che ammazzano a sangue freddo (oppure violentano) i maschi e schiavizzano le femmine, o lo sterminio della razza umana da parte di un virus trasportato dal vento che risparmia solo gli amministratori di sistema di Internet (al sicuro nei loro grattacieli dall'aria climatizzata e filtrata), o un progetto di nanoprocessori autoreplicanti che sfuggono al controllo, e demoliscono Marte e la Terra per trasformare l'intera razza umana in duplicati virtuali memorizzati nel supercomputer risultato dalla demolizione... ed altre amenità del genere.
Il
punto non è che si tratti di idee deprimenti. Molti capolavori
della SF strapazzano la razza umana anche peggio: per dire, nell'Ultima
spiaggia la razza umana si estingueva addirittura, per la guerra
atomica.
Ma
un tempo il pessimismo aveva la sua ragion d'essere come monito contro
il disastro che avrebbe potuto accadere se l'umanità non fosse rinsavita
dalla corsa agli armamenti atomici. E a giudicare dal fatto che siamo ancora
qui, il monito, almeno un poco, ha funzionato.
In
quest'antologia, invece (come peraltro in molti libri analoghi) le sfighe
sono fini a se stesse, succedono e basta, e nulla possono fare gli
esseri umani per prevenirle: possono soltanto subirle.
Gli
autori rivelano un gusto sempre più vicino all'horror puro
e semplice, e oltre tutto di mediocre qualità.
I
personaggi vivono in un mondo che non solo non controllano, ma che neppure
comprendono, né si sforzano di comprendere. Si limitano a cercare
di sopravvivere, e questo è quanto. La fantascienza diventa così
il genere letterario del "tirare a campare".
Non ci vuole molto per ipotizzare che il fondamentale cinismo e egoismo, la mancanza di speranza nel futuro degli esseri umani (ed in un caso anche di cani e gatti) di questi racconti siano la proiezione di un contesto occidentale che fatica ad uscire dai danni del cinismo e del ributtante egoismo che ha governato con pugno di ferro tutti gli anni del turbo-liberismo. Questa fantascienza, semplicemente, è il test di Rorschach di un'America che la realtà futura la vede per davvero così, e che approfitta della SF per rendere espliciti, nero su bianco, i propri incubi oscuri.
Il
problema di questi personaggi è quindi non che sono sfigati ("shit
happens": "la sfiga, capita"), ma che sono tutti fondamentalmente vittime,
soli, incapaci di reagire alle sfide della realtà. Quindi personaggi
poco interessanti, per nulla "supereroi", al massimo supersfigati.
Per
esempio, nella distopia che apre il volume, l'arrivo d'una nanotecnologia
che permette di produrre qualsiasi bene a prezzi praticamente nulli disgrega
la società e rende tutti più infelici (e violenti): la sola
risposta possibile sarà allora il rifiuto della tecnologia e
il rifugio in un'utopia bucolica regressiva in cui la protagonista
sopravvive, letteralmente, coltivando il proprio orticello e chiudendo
le porte alla novità.
E
nel racconto "Chu e i nant" solo un idiote savant salverà,
e a sua insaputa, la Terra dalla digitalizzazione non voluta. Qui la Ragione
nulla può contro la follia: la sola cosa che funziona è un
virus informatico, che diventa il nuovo - e poco credibile - "deus ex
machina" di questo tipo di fantascienza.
E questa sarebbe la fantascienza di oggi? Il rimpianto di un medioevo agricolo, mai esistito nella realtà?
Per fortuna il volume contiene anche vari gioiellini che alzano il livello complessivo, al punto da farmi dire che per il prezzo che costa (7 euro e mezzo per quasi 500 pagine!), tutto soppesato, vale senz'altro la pena di leggerlo, dato che qualcosa di davvero buono per sé penso che la troverà ogni tipologia di lettore.
Io
ho amato più di qualsiasi altro il racconto "Silenzio a Firenze"
di Ian Creasey, purtroppo assai breve ma assolutamente perfetto. Narra
della visita di tre alieni alla corte della Firenze del Seicento. Solo
la serva addetta a svuotare i vasi da notte si accorge del fatto che qualcosa
non va: gli ospiti non defecano e non orinano, e i loro pitali sono sempre
vuoti. E ne conclude che...
Un
racconto originale sia per la prospettiva scelta che per l'ambientazione,
molto umano, e anche divertente.
Bello
anche "L'alba, il tramonto, e i colori della terra" di Michael Flynn,
una sorta di Ponte
di San Luis Rey in versione aggiornata. Un traghetto con
duemila persone a bordo sparisce in una baia statunitense. Il racconto
segue la vicenda a partire dalle testimonianze delle persone che erano
legate ad alcuni degli scomparsi, o all'evento.
La
scomparsa alla fine rivelerà una causa (fanta)scientifica, che però
ad essere sinceri è posticcia: il racconto avrebbe retto esattamente
nello stesso modo se il traghetto fosse semplicemente affondato.
Ma siccome questo è un buon racconto, di sicuro non nuoce (anzi!)
il fatto che sia alla fine un buon racconto di fantascienza.
Splendido anche lo scoppiettante "Tigre, in fiamme", di Alastair Reynolds, un divértissement sugli spostamenti fra universi paralleli, e i rischi connessi. Lo stile è qui un poco legnoso e il racconto procede con poca fluidità, ma lo zampillare continuo di idee salva il risultato finale.
Da segnalare anche "I morti camminano" di Paul McAuley (un androide da guerra si nasconde, dopo la guerra, per evitare la propria inevitabile "disattivazione", ma sa di avere i giorni contati comunque: un poco Blade runner, ma ben scritto); "Damasco" di Daryl Gregory (un ghirigoro sui prioni - quelli della "mucca pazza" - un poco horror, che si diverte con l'idea secondo cui la credenza religiosa è solo frutto di uno scompenso chimico nel cervello); "Palude metallica" di Michael Swanwick, un ritorno a Venere (pianeta che aveva perso fascino per la SF dopo le rivelazione delle sonde spaziali) al seguito di due minatori paranoici alla ricerca di ruscelletti di metallo fuso; "Spedizione nelle basseterre" di Stephen Baxter, che appartiene al classico filone del viaggio verso un pianeta sconosciuto, con gli inevitabili incontri più o meno alieni.
Insomma,
facendo un bilancio finale, penso di poterne consigliare la lettura, pur
avvisando che metà del volume secondo i miei gusti è da buttare.
Ma
250 pagine leggibili non sono poco, di questi tempi...