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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Forza Europa! Un'antologia tale da meritare che si faccia il tifo per... noi.
Solo ad un americano poteva passare per la testa che il concetto di "Europa" costituisca una categoria letteraria valida nella ricerca d'autori di fantascienza nuovi e validi. Cos'hanno in comune un lappone ed un ceceno, un siciliano e un berlinese, un irlandese e un portoghese, lo sa soltanto iddio.
Eppure, per quanto bizzarra fosse l'idea di partenza, il risultato di quest'antologia del "meglio" della nuova fantascienza europea è ottimo. Merito, immagino, dei curatori, che han saputo tenere saldamente le redini d'un carro che avendo troppi cavalli rischiava d'uscire di strada ad ogni passo.
Da
un'impresa tanto composita mi aspettavo forti sbalzi di tono e qualità.
E sebbene si noti in effetti qualche differenza d'accento fra i vari scrittori,
in realtà poi questa differenza non è maggiore di quella
che si riscontra normalmente fra gli scrittori di fantascienza d'un medesimo
Paese.
Anche
se poi i curatori riescono comunque, citando una simpatica battuta, a dare
il loro punto di vista sulla differenza principale fra scrittori di SF
europei ed americani: "Gli europei sono convinti che cento miglia siano
tanta strada, gli americani che cento anni siano tanto tempo" (p. 17).
Quella che emerge è casommai una certa propensione comune degli scrittori europei per il racconto fantastico con sconfinamenti nel surrealismo (come l'inquietante "Quattro giorni all'eternità" di Ondrej Neff), che è meno diffusa nella SF americana.
Non
tutti i racconti mi sono piaciuti, ma è matematicamente impossibile
che un'antologia abbia solo racconti che piacciano, dato che i curatori
devono cercare di accontentare tutti, e i gusti dei lettori variano.
Il
punto qui è che tolta la parte che non mi piace, quella che mi è
piaciuta, ed è riuscita perfino a colpirmi, è maggioritaria.
Cosa ormai rara.
Per
i miei gusti personali ho trovato straordinario soprattutto "Baby Doll"
di Johanna Sinisalo, una satira garbata ma affilatissima dello sfruttamento,
da parte dei media e della pubblicità, del corpo dei bambini. La
finlandese Sinisalo (che ha fatto per quindici anni la pubblicitaria, e
quindi quando se la prende con questo mondo sa di cosa parla) fa pieno
centro nella sua polemica, utilizzando lo strumento del paradosso, raccontando
le avventure di due bambine in età di scuola media trasformate l'una
in superfotomodella erotica e l'altra in macchinario di consumo di capi
di vestiario e chirurgia estetica.
In
questo racconto manca la morbosità voyeuristica che ho trovato in
passato in scenari simili, e il racconto riesce a trovare il tono giusto
senza mai scadere nel grottesco o nel moralistico. A mio parere, resta
impresso nella memoria.
"Sepultura" del "nostro" Valerio Evangelisti, per quanto penso sia già noto ai più, merita comunque una rilettura per come, una volta di più, riesce a mescolare perfettamente horror ed occulto sullo sfondo di scenari futuristici. Al solito, Evangelisti piace o non piace, ma sia in un caso che nell'altro, inquieta.
"Pezzi
di ricambio" di Marek Huberath è uno dei pochi racconti che
abbia conservato quell'aspetto di critica sociale che un tempo veniva associato
con facilità alla fantascienza. Huberath ci presenta una società
post-olocausto nucleare costruita su uno spietato sfruttamento pianificato
degli esseri umani non autosufficienti per predarne gli organi a vantaggio
di coloro che manifestano meno mutazioni da radiazioni, e quindi maggiori
speranze di sopravvivenza. L'orrore della situazione si disvela a poco
a poco, non è mai esibito con compiacimento, e proprio la sua asettica
banalità lo rende ancora più raccapricciante.
Il
racconto contiene inoltre un elemento ormai assente anche dalle distopie
americane più crudeli: la pietà verso le vittime. Che porta
addirittura alla ribellione del protagonista.
"Il giorno che attraversammo la transizione", degli spagnoli (catalani) Ricard de la Casa e Pedro Jorge Romero, è una dimostrazione dell'attaccamento degli scrittori europei alla loro storia, minacciata, nel mondo della fantascienza, dai viaggiatori nel tempo che han deciso di modificarla... Tema per nulla nuovo, ma qui trattato con spirito e brio.
"Destiny, Inc." del russo Sergei Lukyanenko non è vera fantascienza (una misteriosa società promette e ottiene di scambiare i Destini), e rientra meglio nella categoria del "fantastico", il che non toglie che sia costruito con equilibrio e con un delizioso finale, perfettamente logico e perfettamente inatteso.
"Notte ai confini dell'impero" del portoghese Joao Barreiros è un racconto umoristico che gioca sulle incomprensioni reciproche fra razze: non è il più riuscito racconto umoristico che abbia mai letto, ma il sorriso lo strappa senza difficoltà.
Anche "Tra le righe" di José Antonio Cotrina non è vera fanta-scienza ma piuttosto un racconto del fantastico (un professore universitario recluta uno studente per insegnargli a leggere i testi contenuti letteralmente fra una riga e l'altra dei libri prima, e delle cose poi). Costruire un racconto dando concretezza a un trito modo di dire espone al rischio di non dire nulla di più di quanto già non fosse nella metafora di partenza, ma Cotrina è riuscito nella sua sfida, e il racconto è grazioso e perfino adorno d'un lieve tocco di poesia.
Infine, "Gerold Schenna, il Messia", di Bernhard Ribbeck, si diverte con i paradossi temporali, che han fatto sì che un pianeta attenda non si sa bene se dire "il ritorno" o "l'arrivo" dell'astronauta che, provenendo dal futuro, aveva dato vita - secoli prima - alla colonizzazione del loro pianeta. Questa civiltà che ha conservato e tramandato di generazione in generazione la memoria quasi mitica di questo evento futuro è descritta con il divertimento che merita una situazione tanto paradossale...
Questi
sono i racconti che, nell'insieme, ho trovato maggiormente riusciti, ma
ovviamente ne sono presenti molti altri. Di veramente brutti ce n'è
solo un paio, ma quando si dice "brutto" si entra nel campo del soggettivo,
e qui ciascuno giudichi secondo i propri gusti. (La mia palma del pollice
verso la do comunque all'insulso "Il pianeta muto" di Elena Arsenieva,
una favoletta fantastica su un pianeta in cui chi apre la bocca per parlare
ci resta secco sui due piedi, non si sa né perché né
percome).
Resta
il fatto che dopo tanti scivoloni questo "Millemondi Urania" è sorprendentemente
equilibrato e di buona qualità letteraria, tale da meritare che
se ne consigli, senza dubbi, l'acquisto e la lettura.
Questo
nonostante il fatto che "Urania" proprio non riesca a produrre rose senza
spine. Infatti, anche chi non è un purista proverà un brivido
notando che le traduzioni sono "di seconda mano", ovvero ritraduzioni,
dato che il traduttore ha lavorato sulla traduzione in inglese e non sui
testi originari - a parte, si spera, per il testo di Evangelisti.
Ma
"Urania" è fatta così. Prendere o lasciare.