Recensione di Giovanni Dall'Orto
Del buon uso (letterario) del paradosso.
Inizierò dalla conclusione [ma se volete saltare il preambolo, la recensione inizia qui]. Secondo il mio parere la pubblicazione di questa raccolta di racconti ha, per la storia della fantascienza, la stessa importanza che a suo tempo ebbero Cronache marziane di Bradbury, o Io, robot di Asimov, o Un cantico per Leibowitz di Miller o Ubik di Dick....
Da almeno tre decenni non
si fa altro che parlare della crisi del genere
fantascientifico, ma questo libro dimostra che non è
il genere narrativo ad essere in crisi, bensì gli scrittori, come
peraltro suggerisce il fatto che se in qualsiasi momento guardiamo ai primi
dieci campioni d'incassi al cinema troviamo sempre almeno uno,
ma più spesso due, tre o quattro, film di fantascienza (per non parlare dei videogames).
Questo suggerisce che il pubblico non s'è stancato del genere in quanto
tale, ma più banalmente dei suoi scrittori,
che a furia d'inseguire una "nobilitazione letteraria", hanno perso di
vista il fatto che la fantascienza è un genere in cui conta non lo
stile letterario o lo scavo psicologico, bensì le idee,
che devono essere provocatorie e inusuali. Costoro ci propinano
interminabili compitini di "scrittura creativa", mortalmente noiosi, scrupolosamente ambientati su pianeti alieni, nei
quali non "succede" letteralmente nulla. Non stupisce quindi che in
libreria la fantascienza sia (assieme ai classici greci e latini...) l'unico genere letterario di cui sono in vendita quasi solo titoli di autori rigorosamente defunti da decenni.
Con
questo volume entriamo in una realtà completamente diversa: ecco un
autore contemporaneo e vivente che ha tutte le qualità "visionarie" dei
"classici" della fantascienza. Tant'è che Chiang scrive davvero poco, ma ogni
volta che pubblica vince un premio per la letteratura di fantascienza.
Il volume ci propone racconti che sono perfette macchine narrative, meticolosamente progettate, come rivela il fatto che ogni
minimo dettaglio regge al tentativo di confutazione del lettore.
Si tratta di realtà alternative coerenti, in cui ogni elemento ha un significato preciso che rende veri gli altri dettagli, che a loro volta lo rendono vero. Qui il gioco è quello della fantascienza più "classica": modificare un parametro della realtà, lasciando intatti gli altri, per chiederci cosa succederebbe se fosse possibile una cosa che sappiamo essere impossibile (i viaggi nel tempo, il volo interstellare, la telepatia, l'immortalità...).
Nell'antologia di Chang non appare nessuna delle ipotesi
strampalate, superficiali, e soprattutto antiscientifiche, a cui ci
hanno abituato tre decenni di dominio "postmodernista". L'autore ha una
solida preparazione scientifico-matematica (è un informatico), e fa
della sua competenza scientifica uno dei due pilastri su cui si
reggono le sue narrazioni. Se si toglie l'ipotesi iniziale, che è
irreale e introduce l'elemento di fanta-, questi racconti sono
-scientifici, almeno in uno dei molti sensi in cui intendiamo oggi la
scienza.
Niente
paura: ogni passaggio
difficile è spiegato con sufficiente chiarezza anche se in breve
ai "non addetti", concedendo così a tutti di seguire l'autore nelle sue
affascinanti domande ipotetiche su problemi impossibili. Si tratta di
un gioco intellettuale che procura il godimento di sentire scintillare i
propri neuroni.
Godimento
che sorge anche grazie al secondo pilastro dei racconti, ossia quella
narrazione postmoderna (o di "pensiero debole", se preferite chiamarla
così) che impazza nel mondo accademico anglosassone.
La religione
postmodernista (perché di religione si tratta) parte nella Rivelazione Universale del fatto che noi non
viviamo nella realtà, ma nella percezione soggettiva che abbiamo della
realtà. "Non esistono fatti, esistono solo interpretazioni" (anzi, "narrazioni"), mediate dai
sensi umani (per definizioni, fallibili).
Interpretazioni che a loro
volta sono nate da quei "pacchetti preconfezionati" di dati che sono le parole, i
linguaggi, che "formano" la nostra percezione del reale attraverso il loro assemblaggio in concetti. Noi non
conosciamo la rosa in sé, conosciamo solo la percezione che abbiamo di
quei fenomeni che per convenzione abbiamo raccolto sotto la serie di
lettere che compongono la parola "rosa": noi conosciamo solo il nome
della rosa, non la rosa in sé.
La realtà, quindi, è in ultima analisi
solo linguaggio: la realtà in sé non ha nessuna forma, è gassosa e
indeterminata, un magma indistinto un cui un oggetto non è distinto o
distinguibile dall'altro fino a che l'atto creativo della mente umana
non l'abbia segmentata in parole, e cose da esse "create".
Non consiglierei a nessuno di vivere secondo queste folli teorie (conviene sempre scansarsi se una macchina ci viene addosso: un investimento potrebbe risultare molto più "fattualmente" contundente di una semplice "interpretazione"...) tuttavia proprio il fatto che questo dogma sia intriso di contraddizioni lo ha reso particolarmente adatto alla trattazione artistica, soprattutto se si è capaci di sfruttare appieno la sua tendenza a generare affascinanti paradossi. A titolo di esempio citerò Memento, un film in cui un personaggio pazzo e amnesico "costruisce" letteralmente la realtà in cui vive modificando con atti di volontà i ricordi che di ciò che ha fatto, o Inception, forse (in attesa che qualcuno si decida a trarre un film da Ubik) il capolavoro delle narrazioni fantascientifiche basate sul concetto che realtà e sogno sono indistinguibili.
Ebbene, anche
questo libro riesce a far tesoro delle affascinanti ramificazioni
consentite dal paradosso, che in Logica è un importante campanello
d'allarme che segnala che nel nostro ragionamento qualche passaggio è
scorretto e va quindi riesaminato, ma che non cessa di stregare gli osservatori umani per il suo aspetto vero e falso al tempo stesso.
Questo libro è infatti una serie di
esercizi narrativi intelligenti e profondamente meditati, a partire
da questi paradossi postmodernisti, con declinazioni e prospettive sempre
diverse, cosa che lo rende vario e poliedrico, mai banale e
prevedibile.
Il racconto che dà il titolo alla raccolta, "Storia della tua vita", da cui è stato tratto il film Arrival, racconta del contatto
con una razza aliena il cui linguaggio sembra impossibile da decifrare.
Una linguista, spinta dall'urgenza di capire il motivo per cui gli
alieni sono atterrati, si dedica anima e corpo alla decifrazione,
scoprendo che il problema nasce dal fatto che questo linguaggio
richiede di esprimere, come se si trattasse di equazioni logico-linguistiche, i nessi
causali fra parole e concetti. Quando finalmente s'impadronisce di un
livello basilare di tale linguaggio, scopre che pensando con quella
lingua riesce a prevedere gli esiti futuri degli atti, tanto
che il racconto è la lettera scritta a una figlia di cui la
protagonista è incinta, e che sa già che "inevitabilmente" da adulta morirà in un incidente
durante una gita in montagna.
Dunque non soltanto "il linguaggio crea la realtà", ma lo fa in modo da descrivere
la unica realtà possibile per noi umani, con quel pessimismo
reazionario che il postmodernismo ha assorbito dal concetto di "Fine
della storia": forse non viviamo nel leibniziano "migliore dei
mondi possibili", ma ahinoi viviamo nell'unico mondo possibile,
già
predeterminato dai "discorsi del Potere" prima ancora che noi veniamo
al mondo, e impossibile da modificare per quanto ci sforziamo, perché
il futuro è scolpito dai Discorsi che pronunciamo ed ascoltiamo. Il
linguaggio addirittura "forma" la nostra mente, al punto che il
semplice apprendimento del linguaggio alieno modifica non solo la
percezione del reale della protagonista, ma la sua realtà stessa,
attraverso "ricordi" di eventi futuri (ed è delizioso il modo in cui
Chang gioca sui tempi verbali per descrivere queste memorie di eventi
non ancora avvenuti).
Trovo notevole che il film abbia scelto scelto di contraddire il predestinazionismo di Chiang, aggiungendo ex novo
una scena (molto azzeccata, ma anche in
totale contraddizione col senso del racconto) della telefonata al
generale cinese, che
avviene grazie alla visione di un futuro che solo il fatto di aver
fatto quella telefonata renderà possibile (un classico caso di
retroazione temporale, tanto caro alla fantascienza). Nel film la
protagonista ha quindi una scelta, e può modificare il futuro prendendo
una decisione e agendo; ma con questa innovazione diventa assurdo e incoerente il fatto che non abbia allo stesso modo scelto
di salvare la figlia (avrebbe potuto semplicemente concepirla in un altro
momento, e infatti nel film il padre lascerà la protagonista per non
averlo fatto... il che è sensato, in questa diversa visione degli
eventi).
Il messaggio
del racconto, peraltro citato anche nel film, è invece che la vita è un
viaggio, ed anche conoscendone la meta non per questo è privo di senso:
il
premo per questo viaggio consiste nel fatto di aver viaggiato.
In conclusione: chi avesse visto il film e fosse per questo finito su questa recensione sappia che il racconto è un'opera d'arte differente: siamo di fronte a due gemelli non identici, con personalità diverse. Oltre tutto, nel racconto ha un grande rilievo il rapporto fra madre e figlia, con delicate e ironiche osservazioni sulla gioia della maternità, che nel film sono assenti. Viceversa, tutta la parte del film con gli stereotipati personaggi della Cia o dell'esercito, non è presente nel racconto. Infine, il fatto che il compagno della protagonista del film sia un fisico, nel racconto non è indifferente come lo è nel film, perché nel racconto egli contribuisce alla decifrazione attraverso la logica matematica, laddove questa parte è stata semplicemente annientata nel film.
Da quanto ho appena scritto è palese che penso che da solo questo racconto meriterebbe l'acquisto del volume, tuttavia altri gioielli assoluti lo rendono un "must have" per ogni amante della fantascienza (e non).
"Capisci" è il primo racconto in cui appare il tema della lingua come "logos" (che "in principio era presso Dio, ed anzi era, Dio").
Chiang riprende il vecchio luogo comune dell'aumento artificiale
dell'intelligenza (già trattato fin dal lontano 1959 con risultati
eccellenti in "Fiori per Algernon"
di Daniel Keynes) ma ne stravolge lo sviluppo: il super-intelligentone
questa volta non userà le sue capacità per conquistare il mondo, ma per avere una
comprensione più profonda del linguaggio. Man mano che l'intelligenza
cresce, il linguaggio diventa per lui una barriera, che impedisce al
pensiero di articolarsi nel modo corretto, pertanto inventa nuovi
linguaggi per capire meglio la realtà.
Infine
scoprirà, in modo amaro, che attraverso adeguate combinazioni di parole
è possibile prendere il controllo delle menti altrui.
"Divisione per zero"
(che è un'operazione impossibile) mette in scena una geniale matematica
che fa una scoperta che porta necessariamente a concludere che 1=2, e
che tutta la matematica è quindi autocontraddittoria. Il racconto
descrive in modo semplice, in brevi digressioni, i vari passi con cui nel
XIX e XX secolo si prese coscienza dei limiti logici del pensiero
matematico. In parallelo descrive la disperazione d'una persona alla
ricerca di un Assoluto che le sfugge proprio per colpa dello strumento
che utilizza per dimostrarne l'esistenza, che è una descrizione letteraria
(ottimamente riuscita) del senso della ricerca del postmodernismo. Un'aspirazione
alla Verità Assoluta (quella che nel XX secolo né la religione, il cui
"Dio è morto", né la scienza, "il falso dio", né la politica, "il dio che ha fallito", permettono più),
che parte dal disprezzo verso la realtà, che si limita ad esistere e
nient'altro, "stupida", bisognosa che siano gli esseri umani
a fornirle un senso, un ordine, un'esistenza, con il loro linguaggio o (come nella variante di questo racconto) con
le loro teorie matematiche.
Se venisse meno questo ordine artificiale, come succede alla
protagonista del racconto, verrebbe meno il senso stesso della realtà:
Come tutti, anche questo paradosso segnala un errore nel ragionamento, come ha spiritosamente ricordato Maurizio Ferraris con il suo ironico "teorema della ciabatta" nel suo Manifesto del nuovo realismo (Laterza, 2012) -- che raccomando a chi volesse approfondire, una volta terminata la lettura di questi splendidi racconti, quali siano le fallacie logiche che hanno dato vita ai paradossi sfruttati a fini artistici da questi racconti.
Proseguendo:
"Settantadue
lettere" immagina una realtà alternativa in cui da un lato la scienza
aristotelica corrisponde alla realtà (in particolare per quanto concerne la
riproduzione degli esseri umani e degli animali) e dall'altro anche la
cabala è una scienza, riuscendo a mettere in movimento oggetti-golem, grazie alla combinazione mutevole di lettere alfabetiche.
A fronte d'un problema che
riguarda la sopravvivenza della razza umana che non svelerò, lo scienziato protagonista si trova nella
necessità di "animare" non oggetti, ma embrioni umani. Riuscendo nello
sforzo intellettuale nel momento in cui comprende che
anche l'essere umano è il risultato d'una combinazione di lettere
(quelle del DNA, anche se questo dettaglio non è esplicitato) ossia "una rappresentazione lessicale". Il protagonista comprende così che "L'umanità si sarebbe fatta veicolo del nome, e al tempo stesso sarebbe diventata un suo prodotto"
(p. 223).
Così come i pitagorici antichi vedevano numeri ovunque,
Chiang vede linguaggio (codice) ovunque.
"L'inferno è l'assenza di Dio" riattualizza il concetto gnostico di un Dio lontano dalle sue creature, inconoscibile e incomprensibile, né buono né cattivo, semplicemente alieno più degli alieni che ci presenta la fantascienza. Anche se a rigore questo è più un racconto fantastico che un racconto di fantascienza religiosa (sì, esiste: si pensi solo a Left behind), non è il caso di fare i puristi, tant'è che questo straniante racconto ha (meritatamente) vinto non uno ma addirittura due premi fantascientifici: un Hugo e un Locus.
Infine "Amare ciò che si vede: un documentario",
fa ancora una volta uso del paradosso per esplorare un'altra faccetta ancora
del postmodernismo: l'ossessione del "politicamente corretto" che ha
devastato le capacità intellettuali di due o tre generazioni
d'universitari anglosassoni.
Cosa accadrebbe, si chiede Chiang, se
fosse possibile "spegnere" (sia pure reversibilmente) quella parte del
nostro cervello che ci spinge, per istinto animale, a preferire e
compiacere le persone di aspetto attraente? Sarebbe desiderabile che
un'università in vena di "politicamente corretto" adottasse l'obbligo per tutti gli studenti di sottoporsi
a tale intervento, in modo da eliminare le ingiuste discriminazioni
verso quanti non hanno la sfortuna di avere un aspetto attraente?
Chiang esamina la domanda da vari punti di vista, senza sposare una
tesi piuttosto che l'altra, documentando in uno scritto satirico e
pungente, ma che pone domande serissime, uno degli altri aspetti
inquietanti del postmodernismo: la sua guerra contro l'eredità
biologica, animale, dell'essere umano. Una guerra che ne fa l'erede del
puritanesimo e delle aspirazioni religiose ascetiche antiche, che
sognavano un essere umano liberato dalle catene della carne, pura
mente, puro intelletto, come Dio, relegando il corpo in un campo da
mortificare e liquidare come secondario e irrilevante.
Ovviamente, una
teoria che presenta la realtà come puro frutto del linguaggio e del
ragionamento non può accettare l'idea di limiti biologici, di istinti
animali non soggetti a tale controllo, e quindi tende a liquidarli come
ininfluenti, anzi come insopportabili difetti da correggere e combattere (e il sesso, guarda
caso, è uno degli impulsi più temuti e combattuti dal "politically
correct" postmoderno... e a ragione, aggiungerei). Salvo poi far chiedere
alla protagonista se sarebbe possibile, un giorno, "spegnare" la parte
del cervello che riconosce le differenze razziali, come se esistessero davvero "differenze razziali" come fatti naturali e
innati anziché convenzioni culturali...
Completa la raccolta un altro paio di racconti per me un po' meno riusciti, uno perché è brevissimo ("L'evoluzione della scienza umana") e un altro ("Torre di Babilonia") perché è più simile ad una fantasia borghesiana che a un racconto di fantascienza.
Conclusione: questa è un'antologia destinata a lasciare un segno. Da regalarsi e da regalare a tutti gli appassionati di fantascienza.