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Hal Clement, Stella doppia 61 Cygni, "I classici di Urania" n. 89, 2010 [1954].
 
Copertina di ''Stella doppia 61 Cygni'' di Hal Clement.

[Romanzo di fantascienza]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Un capolavoro della fantascienza "hard".

In questo periodo in cui in libreria si trovano ormai, per motivi ignoti, esclusivamente titoli di fantascienza di Asimov, Dick e Clarke, e basta, chi si avvicinasse per la prima volta a questo genere letterario rischierebbe di trovarlo monotono e ripetitivo. Un difetto fatale per un genere che ha la parola "fantasia" nel nome stesso.

Un applauso quindi ad "Urania" per la sua ristampa (la quarta!) d'un classico della FS "hard", ovvero quel genere che mette l'accento sulla parola "scienza" in "fanta-scienza".
Clement è uno dei maestri riconosciuti di questo sottogenere, e il non vedere i suoi magnifici romanzi sugli scaffali delle librerie riempie di rabbia; la sua è fantascienza al top!


In questo romanzo Clement usa una formula da lui prediletta: sceglie un pianeta dalle caratteristiche insolite per l'osservatore (in Pianeta di ghiaccio si tratta della... Terra, vista da un alieno abituato alle alte temperature!), fa un'ipotesi fantastica (di solito: "cosa succederebbe se esistesse la vita in questo contesto?") e poi si lancia pazzamente ad esplorare con l'entusiasmo d'un bambino il mondo e l'ecosistema che risultano da questo mélange tra fantasia e scienza.
Con un'avvertenza: le invenzioni devono rispettare le conoscenze scientifiche, cercando di allontanarsi quanto più possibile da quanto ci è famigliare, ma senza infrangerle.

Con questa metodologia Clement torna in un certo senso alle origini del genere fantascientifico, cioè ai racconti di viaggio in territori inesplorati ed esotici (come il lussureggiante Marte di Burroughs), con la differenza che qui la scienza ha un peso maggiore che nei racconti delle origini.


Nel caso presente il pianeta prescelto, Misklin, ha una massa enorme (è più grande di Giove) al punto che al polo la gravità è 700 volte superiore a quella terrestre. Misklin ruota a una velocità pazzesca, cosa che lo ha deformato dandogli la forma di un disco, e che fa sì che la forza centrifuga contrasti sempre più la forza di gravità man mano che si va verso l'equatore (cioè verso il bordo del disco), dove la gravità è "appena" 4 volte quella terrestre.
L'atmosfera è diversissima da quella terrestre (al punto da risultare esplosiva, come scopriranno a loro spese gli scienziati umani che lo studiano) e la rotazione crea venti micidiali.


Proprio qui decide di andare a cadere quel cretino del satellite d'osservazione scientifica messo in orbita dagli scienziati terrestri, che studiano il pianeta proprio per le sue caratteristiche anomale.
Il tentativo di recuperarne coi propri mezzi i preziosissimi dati, fallisce. La gravità è proibitiva per gli umani, e l'atmosfera è fatale per i macchinari robotici.

Che fare? La soluzione è affidarsi agli indigeni intelligenti (ma dalla cultura preindustriale), millepiedoni o forse scorpioncioni di cinquanta centimetri, coperti da un carapace estremamente flessibile e resistente. Per questo s'invia una sonda per consegnar loro una radio che insegni l'inglese e serva da canale di comunicazione.

Il resto del romanzo segue le vicissitudini dell'affascinante viaggio attraverso il pianeta (parte per mare, parte per terra), lottando contro una gravità che si rivela fatale anche per cadute molto brevi, o capace di schiacciare e uccidere per la caduta d'oggetti che sulla Terra avrebbero scarso peso.

Lo scaltro capitano del vascello indigeno che parte alla volta della sonda terrestre cerca di sottrarre quanti più concetti scientifici esotici e nuovi agli stranieri, stupendosi nel contempo di quante cose essi non sappiano del suo pianeta.

Trattandosi d'un viaggio di scoperta, il fascino della narrazione si regge interamente sulla capacità di creare di continuo creature aliene fantastiche, ambienti sconosciuti e situazioni affascinanti, più che sui colpi di scena mozzafiato, o su navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione... (qui, di navi spaziali in fiamme, nisba).


Gli amanti della Space opera in effetti potrebbero trovare troppo "tranquilla" per i loro gusti la vicenda (c'è una sola battaglia, e fra indigeni), mentre invece la massima soddisfazione la ricaveranno i lettori che nella SF cercano il sense of wonder ("senso del meraviglioso"): questo romanzo è infatti una specie di Brucaliffo (alieno) nel paese delle meraviglie.

Personalmente io considero questo romanzo un classico della fantascienza. Come tutti i classici, non è invecchiato minimamente, nonostante la sua stesura risalga al lontano 1954.

Ne consiglio la lettura a quanti amano la fantascienza, e in modo particolare a coloro che amano la fantascienza dalle solide basi scientifiche ma al tempo stesso altamente capace di sense of wonder.


 
 
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