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M. John Harrison, Nova Swing, "Urania" n. 1559, giugno 2010 [2006].
 

Copertina di ''Nova Swing'', di M. John Harrison

[Romanzo di fantascienza]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


'Natra vota? 'Natro mattone? Ma ci vogliono far costruire la casa, con gli Urania?

Quando scopri che gli "Urania" ti risultano schifosi uno dietro l'altro hai due possibilità: o c'è qualcosa di sbagliato in "Urania", o c'è qualcosa di sbagliato in te.

Trattandosi di me, la seconda ipotesi è ovviamente assurda, ma per puro amore dell'indagine scientifica ammettiamolo e proviamo a vedere: perché se sono io ad essere sbagliato i "Classici di Urania" (ovvero le ristampe di romanzi dei decenni passati) continuano a piacermi? E perché fra i libri della Delos o della Nord quelli che mi piacciono sono in percentuale doppia di quelli di "Urania"?

Sarà allora forse la fantascienza contemporanea ad essere di cacca? Poi penso a un nome come "Greg Egan" o come "Valerio Evangelisti" e m'illumino della certezza che così non è.
E allora il problema sta in "Urania", e nei suoi redattori.

Da qualche tempo un alieno dev'essersi infatti impadronito dei loro ultracorpi, e sotto sembianze umane sceglie i titoli non sulla base delle esigenze dei lettori italiani, ma a quelle di una colonia di alieni di Beta Carinii che ritengono la fantascienza un gioco di società che per legge dev'essere riservato a dodici persone alla volta al massimo, e che se la suonano e se la cantano fra loro dodici fregandosene di quel che piace al resto dell'universo!.

Anche questo Nova Swing è un prodotto che solo un fana... ehm appassionato del cyberpunk e dello sperimentalismo fine a se stesso può apprezzare. Chi ha qualche anno mi capirà se gli dico che lo sforzo di leggerlo pareggia quello di sciropparsi l'interminabile Dhalgren di Samuel Delany, che tutti penammo e faticammo a leggere perché era una "nuova frontiera" della scrittura della SF... e lo era tanto che non ha lasciato nessuna traccia o memoria di sé. Però se lo leggevi ti sentivi ganzo. (Oltre che annoiato a morte).


Lo stesso avviene con questo mattone uraniano qua (visto che a quanto pare la redazione di "Urania" ha deciso che, mattone dopo mattone, ci potremo costruire la casa, grazie a loro!).

Harrison scrive bene, e questo è ok, ed ha anche vinto un premio o due con questo romanzo. Ed è ok pure questo.
Il problema è che sa di scrivere bene, e dedica narcisisticamente ed esibizionisticamente tutte le sue energie a dimostrarcelo, disinteressandosi completamente di cazzate come trama, caratterizzazione dei personaggi, consequenzialità delle vicende eccetera eccetera.

Cioè, no, voglio dire, questo tizio è uno che scrive cose gganze, troppo ggiuste, cioè, tipo così:

Come si vede, i combattimenti non vengono descritti affatto, e se volete sapere chi o cosa fosse un cultivar, cazzi vostri perché l'autore non si degna di farlo.
Però volete mettere uno che scrive "il lampo improvviso di uno sperone" in un romanzo di fantascienza? Lui è un Artista (lo dimostra la citazione dei peni eretti grandi come quelli di un cavallo: trasgressiiiivo!), e voi state delibando vera Arte, mica banale fantascienza da edicola da 4 euro e venti centesimi! Vi state elevando lo spirito fino alle vette dell'Arte! Trooooooppo ggggiusto!


Certo, è vero, a volte (in media una ogni dieci anni) succede che sia io ad avere torto. Quindi, per escludere questa improbabile ipotesi, questa volta mi sono sforzato, mi sono obbligato ad andare avanti lo stesso. In fondo, mi sono detto, anche Philip K. Dick inizia incasinando tutto, fino a che perdi i punti di riferimento, e poi però alla fine scioglie tutti i nodi con la sua magistrale logica da paranoico.

Qui però sono arrivato a p. 102, e la trama continuava a non esserci proprio. Nessun rapporto di causa ed effetto. Nessuno svolgimento. Nessu.... zzzzzzzzz!

Oh, certo, è letteratura postmodernista. Ed è scrittura sperimentale. Ma se è questo che mi interessa, perché mi devo sciroppare un genere minore come la fantascienza quando, uscendo dal genere, ho colossi della letteratura che sanno darmi ben altro (perché, signori, diciamocelo, Harrison scrive bene, però si chiama Harrison e non Burroughs, tanto per chiarire).


Nelle cento pagine che ho letto prima di crollare c'è un bar su un pianeta dove è precipitato un "evento" (sic) all'interno del quale le leggi ordinarie delle fisica non valgono più.
L'ambiente dei bar è degno di quello dei romanzi "noir" di Philip Marlowe, popolato com'è da orchestrine jazz (sic), bulli ai margini e pupe prosperose e di facili costumi, nonché detectives in caccia di loro, che fanno cose strane che non vengono né spiegate né chiarite.
E daccapo mi chiedo perché, se uno ama Raymond Chandler, deve leggersi queste imitazioni in salsa futurizzata, invece che Chandler stesso... Per sentirsi ganzo?


Certo, e qui viene la parte che mi smentisce, gli sfregi verso l'estetica aristotelica e la tradizione del romanzo sono tanto coerenti da non poter non essere voluti.
In altre parole, qui non "succede" nulla perché l'autore pensa che in un romanzo non debba "succedere" nulla.
Lui fa "accadere" un paio di cose e poi scava con le sue parole luccicanti su quanto è attorno alle cose che "accadono", e che accadono senza alcun rapporto di causa-effetto: al massimo un rapporto temporale di "prima e dopo".
Harrison arriva, cesella le sue frasi... e questo è quanto.

Lo ripeto, è un'estetica pienamente postmoderna.
So che al mondo, con mio stupore, esiste gente a cui questa estetica piace, ed anche molto. E questo spiega i premi che il romanzo ha vinto.

Da questa considerazione consegue che, se in fatto di romanzi avete gusti tradizionali (come me), e v'interessano vicende con un capo ed una coda, personaggi con un carattere, eventi che hanno o cause o effetti o entrambe, questo romanzo non vi piacerà. Come non è piaciuto a me.

Al contrario, se l'idea di vedere frullare e spaccare tutte queste convenzioni narrative vi eccita, come immagino abbia eccitato gli alieni che scelgono i romanzi di "Urania", allora suppongo che proverete un orgasmo al solo toccare il bordo di questo libro.

Del resto, tutti i gusti sono gusti: "There is nothing so queer as folk".
 

(P.S. Un cultivar è un corpo bioingenerizzato, coltivato in vasca, nel quale viene inserita la coscienza di un individuo. Sui pianeti postmoderni lo usano per combattimenti di gladiatori. Per lo meno, questo è quel che sono riuscito a capire io).


 
 
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