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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Meno bello dell'opera d'esordio, ma pur sempre ben scritto
Che
buffo. Di solito l'opera d'esordio d'uno scrittore tende (anche se, sì:
le eccezioni esistono) ad essere meno compiuta e coerente di quelle successive,
dato che il mestiere si affina con la pratica.
In
questo caso, invece, il secondo romanzo di Masali risulta meno compatto
e coerente della sua opera prima, I
biplani di D'Annunzio.
Qui
la passione di Masali per le macchine d'epoca, folle ma anche perfetta
quale inconfondibile "marchio di fabbrica", è stata o repressa dall'autore
o massacrata spietatamente dall'editore.
Ne
sopravvive qui e lì qualche brandello, a iniziare dal pretesto che
origina l'avventura (una scommessa fra il signor Citroen e il signor Renault,
nel 1924, relativa a un attraversamento del deserto del Sahara in automobile).
A mio parere il romanzo risente negativamente di questa mancanza: per dirla dannunzieggiando (ci sta),
Viceversa,
una cosa che non c'era nel romanzo precedente spicca nel presente: un palpabile
influsso da parte di Valerio
Evangelisti, non particolarmente ben digerito, come se Masali stesse
ancora brancolando alla ricerca d'un proprio stile autonomo senza riuscire
ancora a staccarsi dal modello troppo ammirato di Evangelisti (al quale
in effetti Masali dedica le frasi conclusive della pagina dei ringraziamenti).
La
mistura fra horror, esoterismo arcano, religione (qui quella islamica,
là quella cattolica d'un inquisitore) e fantascienza, è qui
presente nelle medesime proporzioni prescritte dalla celebre ricetta della
premiata ditta Evangelisti.
In
effetti in questo romanzo i piani temporali slittano continuamente fra
il 1924 e un futuro lontano, nel quale imperversa nei Paesi islamici (i
soli sopravvissuti, dopo che una devastante guerra atomica ha cancellato
dalla faccia della terra tutti i paesi cristiani) una guerra che ricorda
molto - troppo - da vicino la guerra contro la RACHE con la quale
Evangelisti alterna le vicende del suo Inquisitore Eymerich.
L'ambientazione
è la stessa, direi, anche se quella di Evangelisti è più
"simbolica" (con gli zombi che simboleggiano ciò a cui sono ridotti
gli esseri umani dalle ideologie neonaziste professate dai loro padroni),
mentre quella di Masali è più goliardica e fine a se stessa
(Masali s'è divertito perfino a immaginare una restaurazione completa
dell'impero ottomano, con tanto di sultano... che non ha però il
minimo senso storico-politico).
La vicenda si svolge perlopiù nel Sahara, nel quale finiscono rapidamente insabbiati gli autori della scommessa automobilistica, e dal quale iniziano ad emergere uno dopo l'altro misteri collegati alla mistica islamica (non so cosa legga Masali prima di andare a dormire dopo aver misurato spinterogeni tutto il giorno, ma temo di avere qualche sospetto...).
Metà romanzo di viaggio alla Pierre Loti (a tratti davvero troppo carico di scontatissimo "colore locale" per riuscire anche lontanamente credibile), metà romanzone d'avventura alla Emilio Salgari, la vicenda partita su questo tono s'avvita rapidamente in una serie di misteri intrecciati l'uno con l'altro, su tre piani temporali diversi: il 1929, l'epoca della nascita della leggenda del Dodicesimo Imam sciita, e il futuro sconvolto dalla guerra.
Tutto ruota attorno a una misteriosa grotta in mezzo al deserto, su cui non rivelerò altro perché giunti a questo punto il romanzo assume anche i contorni del thriller e se racconto la vicenda, addio piacere della lettura.
Masali
ha messo nel piatto una tale quantità di spunti, idee e ambientazioni
da rischiare l'indigestione. O quasi.
I
personaggi e le situazioni sono forse troppe, e si finisce col perdere
di vista dettagli e persone (ogni tanto ci si chiede: "Ma questo qui da
dove spunta?").
A salvataggio
d'una storia che rischiava l'implosione è però corsa la felice
fantasia dell'autore, che è riuscito a costruire un'affabulazione
decisamente gradevole, e ben puntellata da improbabili leggende e addirittura
citazioni coraniche, con il risultato inatteso che alla fin fine
la lettura scorre e risulta gradevole.
Al
di là di tutti i limiti che ho elencato, insomma, alla fine la narrazione
dell'improbabile cavalcata nel deserto "regge" e risulta divertente e piacevole.
Peccato solo che, come succede spesso quando ci sono troppi personaggi da gestire tutti assieme, il finale sia piuttosto sbrigativo. Peccato.
Nonostante
i limiti, insomma, e il fatto che narrativamente questo romanzo sia meno
riuscito del primo (e del terzo), io personalmente la lettura la consiglierei.
La
fantasia di Masali zampilla infatti idee sempre nuove a getto continuo,
al punto che alla fine della vicenda nulla sarà quel che sembrava,
con la sola eccezione del personaggio di Campini, proveniente dal primo
romanzo e destinato a vivere ancora nel terzo con gli stessi connotati
che possiede qui.
Ma
il resto dell'universo narrativo propone mostri e viaggi nel tempo, leggende
profetiche ed esseri immortali (o quasi), agenti segreti abilissimi e sette
misteriose. Ci sono ingenuità, qualche fastidioso cliché
troppo frusto e scontato (il rituale notturno dei legionari cattivi sembra
uscito da un romanzaccio pulp di serie Z, dal possibile titolo "I
terribili misteri oscuri dell'Africa selvaggia"), ma la narrazione
regge, e nell'insieme siamo distanti dal dilettantismo pretenzioso che
contraddistingue gli scrittori italiani di fantascienza.
L'autore
è originale, ha belle idee, e sa scrivere. Tanto basta.
La
conclusione? Che Masali o lo si ama o lo si odia.
Questo
non è il migliore dei suoi romanzi, ma se avete letto gli altri
e vi sono piaciuti, non vi deluderà, perché è sufficientemente
originale da salvarsi perfino in mezzo a un uso non proprio parco di situazioni
scontate e stereotipate della letteratura di viaggio nella "misteriosa
Africa".
E personalmente io l'ho amato....