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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Molto meglio del film: un classico che merita la lettura.
Dopo che due o tre film (compreso quello
da cui è stata tratta l'immagine di copertina) sono stati tratti
da questo romanzo
di fantascienza, è quasi straniante tornare alla fonte per scoprire
che fra romanzo e film c'è giusto una lontana parentela, e che la
somiglianza è davvero vaga.
E signori miei, il romanzo è tanto
ma tanto migliore dei film. E questo avviene per colpa degli innumerevoli
"miglioramenti" cinematografici della trama, che han finito per stravolgere
il senso della vicenda originale.
Che, lo dico subito a rischio di spoiler,
è molto meno ottimistica di quanto non sia diventata, a forza di
dosi di zucchero e sciroppo, nei film. Perché il romanzo,
che è del 1954 ed è quindi frutto
dell'epoca della "caccia alle streghe" anticomunista del 1950-54, nasce
dal dubbio: "e se fossero i cattivi ad essere i buoni, e se fosse colui
che si crede il buono ad essere il cattivo?".
Domanda legittima, visti i tempi in cui
il romanzo fu partorito, e tuttora valida, almeno a titolo di dubbio, specie
in questa nostra epoca in cui si moltiplicano gli allarmi dei fanatici
che chiamano al cosiddetto "scontro di civilità" fra la civiltà
"buona" (la propria) contro quelle "cattive" (tutte le altre).
Matheson è partito da un'idea non
nuova, ma valida se usata con la giusta mano leggera (che qui c'è):
concedere ai vampiri cittadinanza nel reame della fantascienza, come peraltro
fecero in quel giro d'anni vari racconti, romanzi e persino film sul tema
dei "vampires
from Outer space".
Qui l'intera umanità si trasforma
in una razza vampiresca a causa della mutazione d'un ceppo di batteri,
che sconvolge le menti e la fisiologia delle vittime al punto da trasformarle
in ciò che la leggenda ha sempre descritto come vampiri, appunto.
A differenza di quanto accade nel film
da cui è tratto il fotogramma in copertina, qui il protagonista
non è uno scienziato onnisciente alla frenetica ricerca del vaccino.
È un uomo qualunque, per motivi del tutto indipendenti dalla sua
volontà immune al batterio, che deve scoprire da solo la spiegazione
all'accaduto, scartabellando enciclopedie e testi scientifici. Fino a capire
la verità della catastrofe che lo ha ridotto a vivere le notti assediato
nella propria casa-fortezza, potendo aggirarsi solo con la luce del sole,
che è letale per la pelle delle vittime del batterio mutato.
Dopo aver perseguito a lungo un programma
di sterminio sistematico dei vampiri in tutta l'area circostante la propria
abitazione, il protagonista scoprirà - oltre ai metodi più
efficaci per ammazzarli – che i vampiri sono di due tipi: coloro che sono
ancora vivi, in qualche modo simbionti del batterio, e quelli che sono
invece morti, e tenuti in movimento da una sorta di primitiva intelligenza
collettiva della colonia batterica, che li usa come veicoli e procacciatori
di cibo.
Infine, dopo mesi e mesi passati in solitudine nell'inferno costituito dal fatto d'essere rimasto l'ultimo essere umano non infetto forse della Terra, e di certo della zona, ecco che un giorno appare una donna. In piena luce del sole.
Il finale non è quello del film, anche se pure nel libro il protagonista dovrà sacrificare la propria vita perché la razza umana abbia un futuro. E non dirò altro.
In questa edizione il romanzo è accompagnato da una bella ed affettuosa postfazione di Valerio Evangelisti, scrittore adatto quant'altri mai al compito, essendo uno dei pochi altri capaci di fondere altrettanto bene le tradizioni dell'horror e della fantascienza in racconti che non vengono meno alle premesse né dell'uno né dell'altro genere letterario, e le fondono.
Il romanzo è piuttosto breve, ma
questo non è un difetto perché nel racconto c'è tutto
l'orrore e tutta la claustrofobia che la premessa narrativa permetteva
di distillare senza diventare ripetitivi e scontati.
Oggi, a furia di vampiri extraterrestri
(tutti ovviamente trasparenti metafore dei perfidi comunisti, desiderosi
di succhiare il sangue ai sani ragazzoni americani e di trasformarli in
repliche di se stessi) letti e visti nei film da praticamente tutti, la
trama non risulta particolarmente nuova o inaudita, ma il suo svolgimento
qui non ha perso la sua freschezza. Se non ci fossero i dettagli tecnici
(come per esempio il giradischi che utilizza dischi in vinile) a "datare"
lo scritto, rivelandoci che ci troviamo attorno al 1960, la narrazione
spiccherebbe fresca e vivace come nel momento in cui fu scritta.
La potenza di questo romanzo non sta insomma nel tema (né nuovo al suo apparire, né privo d'ulteriori trattazioni successive) ma nello sviluppo della lotta solitaria d'un uomo solo contro un destino, con i suoi momenti di speranza, di disperazione, di desiderio di cambiare il destino stesso e d'accettazione dell'irrevocabilità di certi eventi, quali la mutazione d'un batterio.
Direi che a buon titolo questo romanzo, col suo "lieto fine" dal gusto amarissimo, merita d'essere inserito fra i "classici" che meritano la lettura da parte di tutte le persone appassionate del genere fantascientifico.