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Robert Sawyer, Rollback, "Urania", ottobre 2010 [2007].
 
Copertina di ''Rollback''

 
[Romanzo di fantascienza]

Recensione di Giovanni Dall'Orto
 


Un gradevole romanzetto di molte pretese.

Potrò sbagliare, ma a mio parere per scrivere un buon romanzo di fantascienza occorrono tre cose: le idee, lo stile narrativo, e lo sviluppo delle idee.
Sui primi due punti Sawyer è forte: l'idea su cui si basa questo romanzo è ottima, e il suo stile è liscio come il velluto: tutti i suoi libri si lasciano leggere senza un intoppo, dall’inizio alla fine.
È sull’elusivo “terzo elemento” che a mio parere questo romanzo inciampa. Sullo stile ho già detto e di idee ce n’è fin troppe: è quindi il modo in cui esse sono sviluppate a costituire il problema. Sawyer vuole dire troppe cose tute assieme, non riesce a decidere a quali dare precedenza, e il risultato è un minestrone. Qualche altro recensore ha parlato di “delusione per il finale”. Ma il problema non è il finale, sono le 260 pagine che lo precedono (e che vàgolano senza decidersi mai da quale parte andare) ad esserlo.

Intendiamoci. Non sono un fan sfegatato di Sawyer, però lo trovo un professionista capace. I numerosi altri romanzi tradotti negli anni passati in italiano garantiscono tutti al lettore un onesto intrattenimento, e qualcuno (come l’esilarante Processo alieno, decisamente riuscito) anche più di questo. Ma Rollback, semplicemente, non è uno dei suoi scritti più azzeccati. Concordo con la lettrice del sito Anobii dell’edizione in lingua inglese, “pktechgirl”, che ha commentato che questo sembra più un abbozzo non sviluppato che un romanzo: “Reads more like an outline than a story. The concept is interesting, but the implementation is poor”.

A mio parere se Sawyer avesse scritto un racconto, magari anche un racconto lungo, il risultato sarebbe stato accettabile, e invece qui c’è troppo brodetto allungato, e allungato nel modo peggiore, con lunghissime conferenze su qualsiasi tema dello scibile umano, o flussi di coscienza interiore che interrompono l’azione ogni tre pagine. Ed è un peccato, perché la partenza era stata fulminea, e lasciava prefigurare tutt’altra cosa.


La vicenda tratta d’una coppia di coniugi ultraottantenni, nella quale la moglie Sarah (astrofisica) aveva avuto il suo momento di gloria 38 anni prima, quando era stata il primo essere umano a decifrare un messaggio arrivato via radio da un pianeta alieno, distante 16 anni luce, e a codificare la risposta. Ora è giunta la replica, e le si chiede di dare un contributo a svelarne il senso... dato che per un motivo incomprensibile è cifrata.
Peccato che la signora in questione abbia ormai l’età che ha, e non possa certo proporsi di seguire gli sviluppi per gli ulteriori 38 anni...

Entra allora in scena un mecenate (un miliardario col ticchio degli alieni, le cui motivazioni e carattere sono delineate in modo decisamente superficiale: come nelle commedie dell’oratorio, al momento in cui c’è bisogno di soldi, arriva, paga, e toglie il disturbo) disposto a pagare i miliardi di dollari necessari per il trattamento di ringiovanimento appena escogitato dalla scienza medica, allo scopo di metterla in grado di seguire gli ulteriori sviluppi. Lei accetta, ma a patto che anche il marito sia ringiovanito con lei.

Per farla breve: sul marito il trattamento ha effetto, su di lei no. Il resto del romanzo finisce così per mettere sullo sfondo il messaggio alieno, per seguire le vicende del marito di nuovo giovane, che si trova con una moglie anziana e sulla soglia della morte.
Il quale marito, “ovviamente”, la prima cosa che fa è trovarsi un’amante giovane e sessualmente intraprendente... Forse Sawyer voleva dargli in questo modo un tratto “umano”, ma a mio parere riesce solo a trasformarlo in un quaraquaqquà. Il modo in cui ripaga la moglie del dono che gli ha fatto, a mio avviso, è semplicemente ripugnante.

Per farla breve, il resto del romanzo beccheggia sotto l’urto di ondate continue di riflessioni sul senso della vecchiaia, della vita, della morte, dell’esser (di nuovo) giovani, della fedeltà, della fiducia, dell’etica personale, dell’amore, dell’innamoramento, del senso della famiglia, del tempo che passa, del.... mentre fra tutti questi “messaggi” umani il fottuto messaggio alieno se ne resta lì, sullo sfondo, dimenticato, in attesa che la povera vecchietta riesca infine a decrittarlo.
Cosa che peraltro farà, scoprendo che si tratta d’un messaggio personale e privato per lei.
A questo punto... be’, il finale è stato già definito “posticcio”, guai dunque se lo indebolissi ulteriormente svelandolo. Ma no, non c’è nessun alienus ex machina che cali dall’alto a salvare la situazione, o magari sveli il segreto della longevità per tutti. Sarah in effetti muore poco dopo il suo trionfo, di vecchiaia.
R.I.P.


Che dire? Leggendo le altre recensioni su Anobii, alcune delle quali entusiastiche, comprendo che esiste una fascia di lettori a cui piace che la vicenda venga interrotta di continuo con considerazioni banalucce sul senso della vita.
Rispetto ovviamente il loro punto di vista. Da parte mia, però, insisto sul fatto che se desidero un romanzo di approfondimento psicologico, filosofico e umano, ben altri sono i nomi di scrittori che mi passano per la mente, e che se scelgo un romanzo di fantascienza è per trovarci altro rispetto a tutto questo.

D’altro canto le recensioni (gradevolmente stupite) sui siti americani, da parte di lettori che iniziano ad andare sull’anzianotto, rivelano la sorpresa, il piacere e il gradimento per un autore che tratta dei dolorini articolari che l’età porta a ciascuno di noi (me incluso...), del pensiero che ogni giorno vissuto è un giorno in meno, dello sbalordimento che ti prende il giorno in cui ti guardi indietro e ti accorgi del fatto che la parte maggiore della tua vita ormai l’hai vissuta, e quanto viene dopo è solo “il resto”...
In una società sempre più dominata nella realtà collettiva da persone anziane, e nell’immaginario collettivo da un giovanilismo esasperato e fanatico, il romanzetto di Sawyer probabilmente spicca per il fatto di andare controcorrente. E penso che sia questo che lo rende apprezzabile a molti.
Ripeto, io continuo a pensare che se è una riflessione sull’invecchiare che si cerca, ben altri sono i romanzieri (e i poeti) che hanno scritto cose meritevoli di lettura. Eppure, se mi sforzo di farne un elenco, in effetti non me ne vengono in mente moltissimi. Questo romanzo di Sawyer, pertanto, è probabilmente la prima occasione, per molti lettori, di venire a contatto con la trattazione di questi temi. Comprendo quindi che costoro riescano a trovarlo nuovo ed originale.

Dunque, se non vi spiace l’idea d’una vicenda interrotta di continuo, ogni poche pagine, da Grandi Rivelazioni sul Senso Della Vita (della serie "La vita, l'Universo e tutto quanto”), non ho dubbi sul fatto che questo romanzo vi piacerà. Come detto, Sawyer scrive in modo scorrevole, e l’intrattenimento lo garantisce.
Nel caso in cui, invece, non foste molto dell’idea di prendere lezioni di filosofia da “Selezione del Reader’s Digest” (però in versione più “di sinistra”), resta il fatto che pur senza essere un capolavoro questo romanzo è ben al di sopra della soglia di insulsa illeggibilità che caratterizza gran parte delle proposte editoriali di “Urania”. Purtroppo non posso definirlo “un gradevole romanzetto senza pretese”, perché di pretese Sawyer ne ha, eccome, però se non altro resta un gradevole romanzetto. Cosa che nella vita è pur sempre meglio di un dito nell’occhio.

Diciamo in conclusione che una spesa di 4,2 euro per l’acquisto di questo romanzetto, la si può arrischiare senza rimorsi:  magari alla fine piace pure, “vedessi mai”.
Ed a maggior ragione è un rischio da correre se dovete ancora rifarvi la bocca dopo il trauma di quel capolavoro folle e allucinato che era Incandescence di Greg Egan, uscito il mese precedente su “Urania”, e riservato a palati fortissimi.

Quindi, se magari Egan ha lasciato qualcuno/a con l’amaro in bocca, una risciacquatina con lo sciroppo di rosa di Rollback le/gli capiterà proprio a fagiolo...  


 
 
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