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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Quando i computer saranno papi....
Un
gruppo di robot (ma sarebbe più opportuno definirle "intelligenze
artificiali"), frustrati dal fatto che gli umani rifiutano l'accesso alle
loro religioni (i robot non hanno anima!) è fuggito un millennio
prima del racconto su un pianeta ai margini della galassia.
Su
questo pianeta le intelligenze artificiali hanno costruito una versione
"robot-friendly" del cattolicesimo, dotandosi di gerarchie simili,
rituali simili, ed ovviamente di un doppione del Vaticano. L'intero insediamento
si chiama in effetti Vaticano-17.
Qui le intelligenze meccaniche, affiancate da un nucleo d'esseri umani (dei quali hanno scoperto di non poter fare a meno), hanno costruito un enorme elaboratore, il loro "papa definitivo", che secolo dopo secolo hanno nutrito con tutte le informazioni sull'Universo che sono riuscite a raccogliere. Lo scopo? Scoprire le basi di una rivelazione religiosa veramente universale (nel senso letterale del termine), senza preoccuparsi di quanti millenni possono occorrere a farlo. Tanto, i robot non avranno anima, però sono immortali.
Su
questo pianeta piombano, per diversi motivi, un medico in fuga da un complotto
politico e una giornalista che ha sentito parlare dei pellegrinaggi alieni
che questo pianeta attira, e vuole indagare.
Entrambi
troveranno più di quel che cercavano, passando di scoperta in
scoperta, fino a trovarsi malgrado loro coinvolti in uno scontro tra le
due fazioni di robot: coloro che vogliono che Vaticano-17 resti fedele
al progetto per cui è nato, e coloro che invece si sono resi conto
del fatto che più cresce il sapere, e più la scoperta della
Vera Fede appare un ossimoro: la ricerca è in sé e
per sé un fine degno del loro lavoro.
Simak
eccelle nella creazione di personaggi in cerca o in prossimità della
serenità interiore, ed anche in questo romanzo alcuni dei suoi personaggi
più simpatici sono proprio quelli che tendono a questa condizione
dell'animo. Viceversa, la sua delineazione dei conflitti è sbrigativa
al limite dello schematico: i conflitti sono seccature della serenità
da risolvere prima che si può e da lasciarsi alle spalle senza più
pensarci, non certo avvenimenti degni di un'appassionata analisi.
I
suoi "robot saggi" sono decisamente affascinanti e forse addirittura "umani,
troppo umani". Ma sono loro stessi ad ammettere di pensare che, in quanto
prodotto della mente e della mentalità umana, sono comunque parte
della razza umana, sia pure a modo loro.
In compenso, in questo romanzo l'autore dà prova di una straordinaria capacità di produrre a getto continuo personaggi alieni, situazioni nuove e intriganti, cambi di scenario improvvisi. Non siamo al precetto vanvogtiano di "due idee a pagina", ma ci siamo vicini.
Il limite di quest'opera è forse che ci sono troppe idee (ad un certo punto arriva perfino un complotto intergalattico, del tutto inutile ai fini della narrazione, che la complica e la intrica senza arricchirla minimamente), tante che alla fine l'autore, come se non riuscisse più a rilanciare in aria tutte le palle che ha aggiunto, è costretto a lasciarne cadere un bel po'. La parte finale è infatti in tono minore rispetto al crescendo grandioso che Simak aveva costruito fino a tre quarti del racconto. Come un soufflé che gli si sgonfia tra le mani.
Confesso
di pensare che l'abbondanza d'idee e di personaggi affascinanti compensi
largamente la debolezza del finale della vicenda, ma mi chiedo cosa
sarebbe stato nelle mani di un Vonnegut
o di un Dick
un personaggio grandioso come quello del papa, il computer scettico
che più impara e più si allontana dall'esigenza di una
"fede" (la quale resiste incrollabile solo al patto di non porsi
domande, come accade con il personaggio del giardiniere), ma che al tempo
stesso per la crescente coscienza di sapere di non sapere non può
smettere di cercare, perché non sapendo non può né
confermare né confutare i contenuti della fede. Può solo
continuare a studiare ed apprendere.
Simak
ha per le mani personaggi di questa portata, ma li spreca per far
fare loro qualche scintilla per una pagina o due, preferendo alla possibilità
di approfondirli la creazione di altri personaggi, altrettanto validi,
a loro volta bruciati in poche pagine e così via.
Il
risultato di questo romanzo, pur con i limiti che ho esposto, è
a mio parere positivo.
Le
caratteristiche del "classico" del genere ci sono tutte, pur mancando
quelle del "capolavoro assoluto". Il "sense of wonder" non manca
mai, le azioni e le sorprese intellettuali si susseguono senza sosta (salvo
nella parte finale, dove alcune elucubrazioni teologico-robotiche fanno
inciampare un po' il ritmo, ma mai in modo definitivo) e insomma, è
difficile annoiarsi con questo libro in mano.
Lettura consigliata.