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Jeff Somers, La peste digitale, "Urania" n. 1560, luglio 2010 [2009].
 
Copertina di ''La peste digitale'' di Jeff Somers

[Romanzo di fantascienza]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Più che un romanzo di fantascienza, il plot per un videogame "sparatutto".

Il romanzo inizia bene, come continuazione de La chiesa elettrica (di cui raccomando la lettura prima d'iniziare questo sequel, se si vuole capire cosa stia accadendo), e lo fa proprio grazie al fatto di non dover introdurre e spiegare un universo nuovo: parte meglio e più speditamente del precedente.

Poi però, a metà strada, gli elementi di "romanzo d'azione mozzafiato" prendono il sopravvento, e fino alla fine sarà una continua sequela di azioni costruite secondo il modulo sempre uguale dell'agguato-sparatoria-sterminio-degli-avversari, nuovo agguato, nuova sparatoria, nuovo sterminio e così via.
Io temo che più che al genere fantascientifico l'autore si sia ispirato ai videogames "sparatutto", perché il livello di complessità della trama è, ahimè, quello.

Benché l'autore abbia alcune idee assai graziose (come per esempio quella della "peste digitale", affidata a nanotecnologie autoreplicanti, che dà il titolo al romanzo), concordo con Libero87, che ha recensito questo libro su Anobii prima di me, sul fatto che l'ambientazione fantascientifica è del tutto pretestuosa: la sfilza d'inseguimenti, con accluso massacro e infinite sparatorie, poteva essere infilata in qualsiasi altro ambiente senza che la trama ne risentisse.
Oltre tutto non mancano neppure gli zombies (in versione nanotecnologica), quindi forse il confine con l'horror è stato decisamente superato.


Non sono riuscito a finire il libro, bloccato dalla noia provata per la stessa scena che continuava a ripetersi ancora ed ancora ed ancora ed ancora, in un massacro d'avversari tale da spingermi a chiedere perché mai dovessi leggere di questa macelleria spacciata per romanzo.

Come se non bastasse, trovo che l'autore abbia compiuto il celebre passo falso stiracchiando per un millimetro di troppo la "sospensione d'incredulità" che viene richiesta ad ogni lettore: qui il protagonista, un killer spietato ed efficiente, è in grado di sopravvivere agli assalti di qualsiasi combinazione e numero di nemici, nonché a ferite assortite.

Nell'Iliade, dove a combattere c'erano dei signori dèi immortali, perfino loro non potevano prevalere da soli, e quando erano feriti dovevano almeno ritirarsi dalla battaglia.
Qui invece il protagonista è fatto d'una pasta che va oltre a quella del divino... e chiedermi di credere che costui sia solo un uomo mi pare eccessivo. La prossima volta lo si faccia camminare sulle acque e resuscitare i morti e facciamo prima.

Un sei di voto, ma solo perché a differenza del precedente mi ha fatto annoiare solo dalla metà in poi, e non fin dalle prime pagine..


 
 
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