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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Più che un romanzo di fantascienza, il plot per un videogame "sparatutto".
Il romanzo inizia bene, come continuazione de La chiesa elettrica (di cui raccomando la lettura prima d'iniziare questo sequel, se si vuole capire cosa stia accadendo), e lo fa proprio grazie al fatto di non dover introdurre e spiegare un universo nuovo: parte meglio e più speditamente del precedente.
Poi
però, a metà strada, gli elementi di "romanzo d'azione mozzafiato"
prendono il sopravvento, e fino alla fine sarà una continua sequela
di azioni costruite secondo il modulo sempre uguale dell'agguato-sparatoria-sterminio-degli-avversari,
nuovo agguato, nuova sparatoria, nuovo sterminio e così via.
Io
temo che più che al genere fantascientifico l'autore si sia ispirato
ai videogames "sparatutto", perché il livello di complessità
della trama è, ahimè, quello.
Benché
l'autore abbia alcune idee assai graziose (come per esempio quella della
"peste digitale", affidata a nanotecnologie autoreplicanti, che dà
il titolo al romanzo), concordo con Libero87, che ha
recensito questo libro su Anobii prima di me, sul fatto che l'ambientazione
fantascientifica è del tutto pretestuosa: la sfilza d'inseguimenti,
con accluso massacro e infinite sparatorie, poteva essere infilata in qualsiasi
altro ambiente senza che la trama ne risentisse.
Oltre
tutto non mancano neppure gli zombies (in versione nanotecnologica),
quindi forse il confine con l'horror è stato decisamente
superato.
Non sono riuscito a finire il libro, bloccato dalla noia provata per la stessa scena che continuava a ripetersi ancora ed ancora ed ancora ed ancora, in un massacro d'avversari tale da spingermi a chiedere perché mai dovessi leggere di questa macelleria spacciata per romanzo.
Come se non bastasse, trovo che l'autore abbia compiuto il celebre passo falso stiracchiando per un millimetro di troppo la "sospensione d'incredulità" che viene richiesta ad ogni lettore: qui il protagonista, un killer spietato ed efficiente, è in grado di sopravvivere agli assalti di qualsiasi combinazione e numero di nemici, nonché a ferite assortite.
Nell'Iliade,
dove a combattere c'erano dei signori dèi immortali, perfino
loro non potevano prevalere da soli, e quando erano feriti dovevano almeno
ritirarsi dalla battaglia.
Qui
invece il protagonista è fatto d'una pasta che va oltre a quella
del divino... e chiedermi di credere che costui sia solo un uomo mi pare
eccessivo. La prossima volta lo si faccia camminare sulle acque e resuscitare
i morti e facciamo prima.
Un sei di voto, ma solo perché a differenza del precedente mi ha fatto annoiare solo dalla metà in poi, e non fin dalle prime pagine..