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Michael Swanwick, I draghi del ferro e del fuoco, "Urania Millemondi Inverno" 2011.
 
Copertina di ''I draghi del ferro e del fuoco'', di Michael Swanwick.

[Romanzo di fantascienza]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


"Biancaneve e i sette elfi" (ladri e scopaioli).

Non so chi abbia detto che se si mettono miliardi di scimmie a pestare a casaccio su una macchina da scrivere per un numero sufficientemente lungo di anni, prima o poi, dalla sequenza casuale di lettere così digitate, verrà fuori un romanzo di senso compiuto.

Immagino che sia esattamente questo il modo in cui è stata scritta quest'opera. Il senso compiuto ce l'ha, in effetti, ma anche di un elenco del telefono, dopo tutto, si può dire la stessa cosa... il che non implica che a qualcuno sia mai venuta voglia di usare un elenco del telefono come lettura serale.

La protagonista è una bambina rapita dagli elfi. (Elfi? Sì, "Urania" insiste a rifilarci gli avanzi della collana fantasy "Epix", chiusa per assenza di acquirenti. E leggendo opere come questa si capisce perché!). Lavora come schiava (sì, schiava) in una fabbrica. Ma riesce a evadere risvegliando un drago da guerra, meccanismo metallico volante dotato d'intelligenza artificiale. Oltre che di poteri magici (tipo: telepatia).

Una volta libera, la ragazza va a scuola, fra gnomi, nani, elfi, folletti e tutto il resto delle creature magiche. Poi impara a taccheggiare nei negozi. Poi inizia a scopare in giro. A scuola si fa delle amiche, ma una si suicida facendosi bruciare viva deliberatamente in mezzo a uno stadio. Poi la protagonista rischia di farsi eliminare durante la Decima (liquidazione fisica rituale del 10% della popolazione -- la traduzione esatta avrebbe quindi dovuto essere "decimazione") perché non ha risultati sufficientemente buoni alle lezioni di alchimia. E così via, e così via.

Non so come se la sia cavata alla fine la protagonista, perché ho mollato a p. 226 (su 638): non ce la facevo più.


Il problema non era che questo libro innestasse elementi fantasy su un quadro con elementi della fantascienza (come il drago meccanico da guerra). Mi spiace smorzare gli entusiasmi di altri recensori, ma la cosa non è affatto né nuova né inaudita, in fantascienza. Tutto lo splendido ciclo di Darkover della Marion Zimmer Bradley, per esempio, è un cross-over tra fantascienza e fantasy, con sprazzi rubati perfino ai romanzi di cappa-e-spada. Oppure si può citare Anne McCaffrey, se si vuole rimanere ai "draghi" promessi nel titolo del volume, che ha saputo innestare queste creature del mito in un contesto pienamente fantascientifico. E così via: gli esempi di riuscita mescolanza di generi in fantascienza sono ormai decine e decine.

Dunque il problema è un altro. Cioè che Swanwick non è capace di narrare.

Ricevuta in dono dalla Sorte una sbalorditiva capacità di inventare situazioni e personaggi (e ciò spiega le ben due stelle del mio giudizio), Swanwick non ha in compenso ricevuto, per contrappasso, anche quella di raccoglierli in una narrazione coerente e continua. Ogni volta che un personaggio o una creatura o una situazione inizia a incuriosire o attirare l'attenzione (il che avviene spesso), ecco che sparisce per essere sostituto senza motivo e senza spiegazione da un altro.
La protagonista è nel posto A dove fa la cosa B, poi si sposta nel luogo C e inizia a fare la cosa D, poi viene portata nel luogo E e lì incontra F, però se ne va e si trova in G dove succede la cosa H.... e così via. Se vi siete annoiati leggendo il mio alfabetino, figuratevi l'orrore che vi si spalanca davanti all'idea di leggere 600 pagine torrenziali di questi alfabetini...


Non ci siamo. Swanwick è uno scrittore dotato d'una fantasia vulcanica, capace letteralmente di creare mondi. Il problema è che per essere narratori non basta crear mondi, occorre anche narrarli, appunto. Ed è qui che fa cilecca.

Swanwick non è banalmente capace d'organizzare il materiale che erutta in modo meraviglioso dalla sua fantasia. Come un macchinario deposita sul nastro trasportatore i pezzi che produce, uno dopo l'altro, a ritmo costante e senza variazioni.
E man mano che scorre il nastro trasportatore delle pagine, i suoi pezzi di fantasia si allineano uno dopo l'altro, senza quasi rapporto reciproco. Si limitano a succedersi, ma potrebbero benissimo svolgersi in qualsiasi altro ordine.

E non parliamo di trovare un "perché" agli avvenimenti. Per quale motivo la bimba fosse schiava in una fabbrica non si riesce a sapere. Perché il drago con cui è fuggita smetta all'improvviso di funzionare, nemmeno: si è semplicemente rotto ed amen. Perché le ragazze vengano bruciate vive, non si sa: succede e basta. A cosa serva la Decima<zione> non è chiaro: succede e basta.
Per quale motivo Swanwick abbia scritto questa roba non si sa: lo ha fatto e basta.
Il che non vuol dire che la dobbiate leggere anche voi.

Io ho deciso di adottare da questo libro la pratica della Decima<zione> e offrire alla Dea Madre, in sacrificio, proprio questo volume.
Guarda tu che in fondo un'idea carina alla fine me l'ha data...


 
 
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