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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Una riproposizione di Micromégas, ma in chiave contemporanea
A voler
essere pignoli questo non è un romanzo di fantascienza (e ciò
risponde alla domanda sul perché sia ingiustamente sconosciuto agli
appassionati del genere SF -- assieme al fatto d'essere ormai quasi
introvabile anche sul mercato dell'usato).
L'interesse
per la "scienza" da parte dell'autore non è decisamente prorompente,
tanto che la "spiegazione" del viaggio dell'alieno Oi Paz verso la Terra
è un minestrone di concetti pasticciati e incoerenti.
Senza nominare l'idiozia
di presentare rapporti sessuali fecondi tra una razza aliena e la razza
umana, cosa che la fantascienza non ammette più dagli anni Quaranta.
Il romanzo è semmai più vicino all'invenzione narrativa del Micromega di Voltaire: un "racconto filosofico" in cui la critica alla nostra società è espressa, con umorismo molto inglese, attraverso gli occhi stralunati d'un essere d'un altro mondo, che vede e giudica "dall'esterno" gli umani la loro demenziale società e i loro incomprensibili gesti. Di solito fraintendendoli.
A tratti
questo scritto ricorda pure l'esilarante descrizione etnografica della
società europea studiata da un antropologo della Papuasia, che diversi
decenni fa Umberto Eco incluse del suo Diario
minimo.
E
la descrizione della società da cui proviene il viaggiatore alieno
ricorda molto da vicino quella di Laputa e dei suoi scienziati matti
nei Viaggi
di Gulliver.
Oi
Paz non è però il saggio filosofo, proveniente da Sirio,
che Voltaire aveva immaginato. È più vicino agli occidentali
nel loro approccio al resto del mondo durante il periodo coloniale. Presuntuoso,
convinto di possedere la sola civiltà dell'universo, Oi Paz era
alla ricerca d'un nuovo pianeta per trasferirvi la popolazione del morente
e sempre più gelido pianeta natio.
Non
nutre il minimo dubbio sul fatto che la popolazione indigena della Terra
(che chiama "i mortali", dato che la definizione di "esseri umani" la riserva
esclusivamente alla propria razza) andrà sterminata per far spazio,
conservandone al massimo qualche esemplare in qualche riserva. O come servitore
ammaestrato.
Né,
oltre tutto, questa certezza se la tiene per sé: gli pare una cosa
tanto logica che ne parla apertamente coi diretti interessati.
Il
problema per Oi Paz è che viene scambiato per un uomo di spettacolo,
e mandato in tv, dove le sue farneticazioni e minacce e profezie di sterminio
vengono scambiate per un riuscitissimo show alla Vittorio Sgarbi. Di cui
tutti lodano la convinzione che ci mette l'attore.
Fino
al giorno in cui l'esercito ritrova la navetta con cui Oi Paz è
atterrato, e abbatte la seconda navetta con cui i suoi compagni erano venuti
a cercarlo.
Da quel momento tutto cambia. Oi Paz è rinchiuso in un centro di ricerche militari, e diventa una cavia sotto costante osservazione.
Finalmente qualcuno gli crede, e finalmente ora lo si ascolta. Però a questo punto succede che...
Thompson
non è un romanziere abilissimo (in effetti, è stato un grande
storico). Le descrizioni della società aliena da cui Oi Paz proviene
sembrano relazioni accademiche (e in effetti, sono esattamente presentate
come tali anche nel romanzo).
Inizialmente
divertenti per il loro tono stralunato, a causa della loro eccessiva frequenza
e lunghezza queste descrizioni finiscono per diventare cesure troppo lunghe
e dettagliate, che tolgono ritmo e fluidità alla narrazione.
Un
taglio di cento pagine avrebbe decisamente giovato a questo mattone
di oltre mezzo migliaio di facciate.
Grazie
alle proprie capacità affabulatorie Jonathan
Swift riuscì a rendere la sua satira politico-filosofica attraente
anche per il grande pubblico, tanto da farla sopravvivere fino ad oggi,
sia pure come fabula per bambini.
A
Thompson questa capacità manca, o per meglio dire, pur possedendola,
la mortifica lasciandosi andare troppo al frigido gioco intellettuale
d'immaginare in tutti i dettagli la "società perfetta" (nel senso
che proclama d'essere tale), che altro non è se non un incubo totalitario
alla Brave
new world (un'altra delle probabili fonti d'ispirazione di
questo romanzo), guidato da ottuse Intelligenze Artificiali.
Così
come la progressiva estinzione (per eccesso di manipolazioni eugenetiche)
della razza degli alieni di Oitar, anche il fallimento della loro missione
colonizzatrice sulla Terra è causata dalla quantità masochistica
di blocchi e censure imposte su tutto quanto non fosse razionale e ordinato.
Al punto da finire per rendere incomprensibile la realtà.
Viceversa,
quanto manda in rovina gli umani è la loro visceralità
isterica, capace di offuscare la razionalità. Massimamente in coloro
che sono al potere (politici e militari, descritti in termini sarcastici)
e che sono disposti a distruggere tutto pur di non mettere in discussione
i loro dogmi politici e i loro fanatismi.
Questo pessimismo di fondo è un ultimo aspetto che distanzia Thompson dal filone principale della tradizione fantascientifica.
Alla fine di questo romanzo rimarrà solo un seme di speranza e rinascita, un ibrido delle due razze, ma della sua sorte il lettore non potrà essere certo, perché il finale di Thompson è deliberatamente ambiguo e confuso, così da non permettere una cognizione chiara degli esiti successivi.
P.S.
L'inglese billion si traduce con "miliardo", non "bilione".
Un
choirboy è un "chierichetto", non un "ragazzo del coro" (p.
216).
Se
si viene diminished da qualcuno, ci si sente "sminuiti", non
"diminuiti" (p. 220).
Si
si arriva at the edge di qualcosa, si è "al limite" e non
"sull'orlo di qualcosa" (p. 221).
Un
contractor dell'esercito è un "appaltatore", non un "contraente"
(p. 226).
Un
non-starter è "un candidato privo di speranze di vittoria",
un "caso disperato" o magari un "vicolo cieco", mai però un "non-partente",
termine inesistente in italiano (p. 360).
Un
progetto pending è "sospeso", non certo "in pendenza" (p.
444).
Se
i lavoratori-schiavi sono assumed al punto che nessuno si cura di
loro, essi sono semplicemente "dati per scontati", e non certo "assunti"
(p. 460).
Una
cellula non è in italiano una "piccola cella", la quale è
semmai una "celletta" (p. 462).
Devo
proseguire?
La
traduzione di questo libro a volte è talmente (e comicamente)
assurda da obbligare a ritradurre in inglese il testo per capire cosa cavolo
voglia dire: certe frasi sono talmente sballate da essere semplicemente
incomprensibili.
Non
si possono strangolare i traduttori dando loro troppi pochi soldi e troppo
poco tempo, senza poi trovarsi di fronte a risultati di questo tipo...