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Alfred van Vogt, Non-A, "Classici di Urania" n. 87, 2010 [1945].
 

Copertina di ''Non-A'' di Alfred van Vogt.

[Romanzo di fantascienza]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Un romanzo del 1945 con più di una ruga, ma non ancora morto e sepolto.

Questo romanzo può essere letto in due modi. Come un esempio della SF dell"'epoca d'oro di Campbell" (uscì nello stesso periodo e sulla stessa rivista del fin troppo celebre Ciclo della Fondazione di Asimov), o come un normale prodotto di fantascienza, da valutare indipendentemente dall'epoca in cui fu scritto.

Nel secondo caso, ce la si vede male, dato che van Vogt non è mai stato celebre per la sua capacità stilistica ("Ormai non c'era più dubbio: era caduta la notte" (p. 92): quando si dice una notizia mozzafiato!), ed ha sempre portato avanti le vicende dei suoi romanzi con gli incessanti colpi di scena, resi possibili dalla forza delle sue idee, brillanti e a getto continuo.
Con gli anni molte di quelle idee sono diventate banalità del reale (per esempio, qui van Vogt vaticina con decenni d'anticipo l'importanza che avrebbero potuto assumere le reti di computer - Internet -, anche se non aveva previsto la miniaturizzazione dei megacomputer della sua epoca). Per questo motivo il romanzo ha perso fascino e brillantezza.

Come se non bastasse, quando nel 1945 la vicenda fu riscritta per passare da serial su rivista a libro, molte vicende che servivano a dare compiutezza alla trama furono eliminate per rendere deliberatamente incompiuta la vicenda e aprire le porte a un sequel, tant'è che quella del Non-A, se non ricordo male, divenne addirittura una trilogia (e dopo il primo libro s'è già sazi di questo mondo e del superomismo bidimensionale del protagonista, quindi mi figuro cosa saranno gli altri due).
Il traduttore Riccardo Valla (autore di un'ottima ed amorevole postfazione, talora quasi più interessante del romanzo stesso) ha cercato di ripristinare in questa edizione alcuni eventi tratti dalla versione su rivista, ma il risultato finale non è decisamente armonioso, e lo scorrere della vicenda ha accelerazioni e rallentamenti che non sono dovuti solamente alla non eccelsa maestria stilistica di van Vogt.


Se invece si legge il romanzo nel suo contesto storico, si apprezzeranno meglio i motivi per cui è stato ritenuto per molti anni un "classico".
Il fatto che alcune ingenuità "datino" decisamente il racconto (le foreste lussureggianti di alberi (!) su Venere, pianeta a dire di van Vogt caratterizzato da un'"eterna primavera" anziché da un devastante "effetto serra impazzita", o i "fari di luce atomici", come se fosse pensabile - e prudente! - infilare un reattore nucleare in un portalampada) non infastidisce più di tanto, visto che contribuisce a far risaltare il fatto che nell'insieme la vicenda non ha l'aria vecchiotta e superata di tanta parte della produzione di SF coeva.
Ovviamente poi nel 1945 i lettori avranno riconosciuto subito i tratti dei nazisti, dei fascisti e dei loro "fiancheggiatori" nei cattivissimi complici terrestri dei perfidi invasori alieni, tanto cattivissimi da non fermarsi di fronte a nessuna strage pur di far trionfare la loro visione del destino dell'umanità. Ma questo non è un romanzo a chiave, e l'allusione resta fine a se stessa.

Piuttosto, ciò che nuoce al romanzo è la stessa cosa che ammazzerebbe qualsiasi altro racconto di fantascienza: la pretesa di far filosofia.
Perché la filosofia invecchia molto più rapidamente della stessa scienza, e in questo modo "data" uno scritto di SF in modo micidiale. E l'insieme dei farfugliamenti vanvogtiani (al traino di un certo Alfred_Korzybski) relativi a un futuro "Non-Aristotelico", in cui l'umanità avrà imparato ad integrare la parte razionale e quella animale/istintuale in una sintesi superiore, avrà forse significato qualcosa per i lettori del 1945, ma oggi è del tutto dissennato.
Tanto che l'utopia prefigurata da van Vogt assume a volte i tratti della distopia, alla "1984" di Orwell.

In altre parole, i punti davvero deboli della vicenda sono proprio quelli che nell'intenzione dell'autore dovevano esserne il "piatto forte": le elucubrazioni pseudo-filosofiche, che non possono avere per noi neppure una frazione del fascino che dovettero indubbiamente avere sul pubblico originale (non riesci a pubblicarla, una trilogia, se non hai nessuno che ne solleciti, pagando, le puntate ulteriori...).
D'altra parte, il futuro scientifico preconizzato da van Vogt non ci appare tanto inverosimile quanto la sua filosofia.

Dunque, se si riesce a leggere questo volume in prospettiva almeno in parte storica, se ne apprezzerà la vicenda, che invece apparirà piuttosto sconcertante se la si prenderà come uno scritto d'oggi. Cosa che non è.


 
 
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