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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Una fantasia sulla licantropia del 1940, che ha ben retto il passare del tempo.
Anche
se va detto subito che a rigori questo è un romanzo fantastico
e non di fantascienza (l'elemento "scientifico" è praticamente assente),
si deve proprio a tale circostanza il fatto che quest'opera del 1940, rivista
nel 1947, si legga ancor oggi con un buon godimento.
La
scienza invecchia rapidamente, le fantasie sui lupi mannari (perché
è di questo che si tratta qui) sono evergreen da cinquemila
anni... e più.
E infatti, non a caso, ciò che "data" maggiormente il romanzo sono i riferimenti scientifici, come per esempio l'ampio spazio che vi si dà alla pratica psicoanalitica (tanto di moda nel dopoguerra quanto praticamente scomparsa dall'occhio pubblico oggi), oppure le superate ipotesi paleontologiche che collocano in Cina, anziché in Africa, le origini dell'Homo Sapiens.
La trama fa capo a tutto il filone del tipo I predatori dell'Arca perduta o La mummia: alcuni brillanti archeologi tornano da una spedizione con una cassa misteriosa, il cui contenuto alla fine si rivelerà fatale per molti (a iniziare da loro).
Senza
svelare la trama, ben costruita con mestiere sicuro, dirò solo che
la narrazione postula che la storia umana nasconda un antico conflitto
fra umani come me e voi, ed una super-razza umana dotata di poteri paranormali,
capace di mutare forma trasformandosi in animali, di leggere il pensiero,
di parlare telepaticamente e di tante altre cosucce molto utili e molto
pratiche.
Millenni
fa, nella preistoria, la ribellione di noi semplici umani, tenuti in schiavitù,
aveva scosso il giogo, però nel nostro codice genetico si nascondono
ancora i geni della razza antica. Che oggi, dopo un'attenta politica eugenetica,
è riuscita infine a ricreare in alcuni individui in modo dominante
i tratti e le capacità già possedute in passato in forma
solo recessiva.
Il romanzo è il racconto di come il protagonista si trovi coinvolto, malgré lui, in questo scontro, nel quale scoprirà di essere più coinvolto di quanto immaginasse.
Questo
scritto non ha elevate pretese, vive del gusto del racconto, ma riesce
a raccontare bene. Il che, in un romanzo, va benissimo.
Molto
efficace è la descrizione del mondo così com'è percepito
dal lupo in cui il protagonista s'è trasformato: un mondo fatto
molto più di odori che d'immagini.
Ho
apprezzato anche il perfido finale, "lieto fine" per il protagonista ma
non per il resto della razza umana. Magari sarà semplicemente stato
il classico "finale aperto" per consentire eventuali sequels (che
non mi risulta ci siano stati, peraltro), ma anche così, è
piacevolmente insolito.