La
presenza di un cospicuo nucleo di "sodomiti"
tanto nell'Inferno
che nel Purgatorio della Divina commedia di Dante
Alighieri (1265-1321) ha dato origine nel corso dei secoli a infinite
polemiche.
Nel suo viaggio
poetico nell'aldilà Dante immagina infatti d'incontrare personaggi
importanti, fra i quali colui che egli indica come suo maestro, Brunetto
Latini (1212?-1294).
I
sodomiti dell'Inferno (canti XV
e XVI)
sono descritti mentre corrono sotto una pioggia
di fuoco, condannati a non fermarsi mai, se non vogliono per
punizione essere inchiodati al suolo per cent'anni senza potersi schermare
dalle fiamme.
Brunetto
Latini è fra loro. Riconosciuto Dante, lo chiama e discorre
con lui.
Dante risponde
con deferenza (è uno dei pochissimi casi in cui il poeta dia rispettosamente
del "voi" a un dannato, anziché del "tu").
Non basta:
è a questo personaggio che Dante affida il compito di rivelare un'importante
profezia sul proprio futuro.
Nel descrivere
chi siano i suoi compagni di pena, Latini nomina celebri (all'epoca)
letterati, uomini politici e d'arme: il vescovo
Andrea de' Mozzi, il giurista Francesco
d'Accursio, Guglielmo Borsiere, Guido Guerra, il grammatico latino
Prisciano da Cesarea, i politici Iacopo Rusticucci e Tegghiaio Aldobrandi
degli Adimari...
Nel Purgatorio
i sodomiti riappaiono, nel
canto XXVI, insieme ai lussuriosi eterosessuali: i due
gruppi sono divisi in due schiere che camminano nel fuoco in sensi opposti,
gridando la causa della loro punizione.
Qui Dante non
indica per nome nessun sodomita di spicco.
======O======
Qual è
il significato da attribuire alla notevole deferenza e simpatia che
Dante mostra nel parlare con e dei sodomiti? Questo interrogativo ha
tormentato i commentatori danteschi fin da pochi anni dopo la morte
del poeta.
La formazione
culturale di Dante avvenne infatti in un secolo, il XIII, che in Italia
costituì un momento di transizione
nel campo degli atteggiamenti verso il comportamento omosessuale [1].
Quello che fino
al tempo della nascita di Dante era stato un crimine riprovato dalla religione
ma visto con indulgenza dalla morale quotidiana, assunse una crescente
gravità anche agli occhi dei laici, per influsso della morale della
borghesia in ascesa, che esigeva dal mondo ecclesiastico un maggior
rigore morale.
Borghesi zelanti
iniziarono a predicare rigore morale, castità
ecclesiastica (sia etero sia omosessuale), povertà, carità.
Per farlo predilessero
i "nuovi" ordini predicatori, come i francescani, fondati appunto dal ricco
borghese Francesco d'Assisi.
Laddove poté
la Chiesa osteggiò, dove non poté cooptò questo movimento,
assecondandolo nelle parti che la danneggiano meno: quindi sì a
maggiore castità, ma assolutamente no a maggior povertà
-- quanti insistevano su questa assurda richiesta
(come gli spirituali, o "fraticelli", francescani) furono dichiarati
eretici e sterminati.
Questo cambiamento
d'atteggiamento morale avviene, per l'omosessualità, grosso modo
nel corso della vita di Dante, che anzi da questo punto di vista, essendo
un conservatore, fu leggermente in ritardo sui suoi tempi.
Per l'Alighieri
era dunque possibile, com'era comune ancora nel XII secolo, separare
giudizio umano e giudizio divino nel campo della sodomia.
Pur collocando
all'Inferno, come cristiano, quanti s'erano macchiati di tale peccato,
come uomo non riteneva tale comportamento abbastanza grave da annullare
la stima che eventualmente nutrisse per tali persone.
Si spiega
così perché proprio al sodomita Brunetto Latini, e non ad
altri, Dante affidi l'importante profezia sopra citata.
Bene ha espresso
Umberto
Bosco questo contrasto di mentalità:
"Fermo il
bisogno di Dante uomo (che informa naturalmente anche l'autoritratto) d'imparziale
giustizia, lo sfondo poetico dell'episodio consiste proprio nel contrasto
tra l'austerità morale di Brunetto e la miseria del suo peccato,
tra la debolezza di cui questo è testimonianza, e la fortezza d'animo
che il suo discorso e quello totalmente concorde del suo discepolo rivelano"
(...)
"La sodomia
è per Dante uno dei peccati per i quali la condanna di lui giudice
in nome della legge cristiana può coesistere con la pietà
dell'uomo consapevole della fragilità umana.
(...)
Di
fatto [questo peccato] non esclude né la reverenza affettuosa
per Brunetto, né il rispetto ammirato ed entusiastico per i tre
fiorentini dell'episodio seguente" [2]. |
E giusta è
l'obiezione mossa nel XIX secolo da Vittorio
Imbriani ai suoi contemporanei, che non si capacitavano del fatto
che Dante avesse attribuito al suo maestro quello che per loro era
in assoluto il più turpe di tutti i peccati:
"per
Dante, il più brutto fra' peccati non era quello di Brunetto, anzi
[= bensì] quello di Bocca, di Giuda e di Bruto"[3]. |
cioè il
tradimento.
Sandro
Botticelli, Sodomiti. Illustrazione per la ''Divina Commedia''.
Il più
azzeccato commento in proposito è, a mio parere, quello del nostro
contemporaneo Giuseppe
Petronio, che ci rammenta come tutte le opere celebri sollecitino
la stratificazione d'interpretazioni che, attraverso i secoli, rileggono
il testo secondo le esigenze e gli interessi del proprio secolo.
Ecco perché
è necessario liberarsi dai
"falsi
problemi, posti solo perché il lettore di età seguenti non
ha avuto la capacità di guardare dal punto di vista di Dante, e
ha creduto strano e impossibile quello che era tale per lui, ma non per
Dante e per il mondo culturale e morale al quale egli apparteneva" [4]. |
In particolare
è il peccato di Brunetto
Latini ad aver dato vita a una vera letteratura:
"a molti
critici è parso impossibile ammettere che Dante non solo abbia collocato
nell'Inferno un uomo per il quale mostra rispetto ed affetto, ma lo abbia
bollato di una colpa che a noi oggi pare particolarmente infamante.
(...)
C'è
in questa posizione una incapacità sostanziale di guardare le
cose dal punto di vista di Dante, con i suoi occhi di uomo del medioevo;
ed ecco, allora, il solito ricorso al conflitto - tutto inventato dai critici
- fra "struttura" e "poesia", secondo il quale Dante condannerebbe per
le leggi ferree impostegli dalla struttura teologale del poema, ma intanto,
in quanto "poeta", comprenderebbe e assolverebbe" [5]. |
In realtà
Dante, secondo una tipica posizione di quel cattolicesimo che intride il
suo poema, è convinto del fatto "che le virtù
umane non bastano a salvare se non siano contenute nell'àmbito della
legge divina". Ecco perciò
"gli spiriti
magnanimi che Dante apprezza e ammira, ma che pure colloca nell'Inferno,
perché il fatto che uomini come essi siano dannati può commuovere
e atterrire il lettore per permettere al poema di raggiungere quello scopo
morale per il quale esso è stato pensato.
(...)
Immaginare
perciò un conflitto tra l'atteggiamento di Dante di fronte a quegli
uomini e la loro condanna all'Inferno da parte dello stesso Dante, significa
porsi fuori del mondo morale e culturale del poeta, il quale ragionava
secondo una rigida logica di cattolico, convinto che i valori terreni,
per alti che siano, non possono aiutare al momento del giudizio divino,
e aspirava a farsi interprete lui di quel giudizio, senza trovare alcun
contrasto fra l'ammirazione o l'affetto che egli poteva nutrire per
un uomo, e il giudizio che ne doveva dare quando si fosse posto dal punto
di vista di Dio e avesse giudicato non secondo gli affetti terreni ma secondo
la legge".
(...)
"D'altra
parte in questo canto, come in tanti altri del poema, tema vero dell'episodio
non è il peccato di Brunetto, ma la polemica di Dante con Firenze
e la celebrazione di se stesso, e Brunetto è soltanto uno strumento
di cui Dante si serve a (sic) dare voce a un groppo di moti
affettivi e morali che ricorrono in tutto il poema" [6]. |
Insomma,
"Brunetto
assolve un duplice compito: da una parte è un monito probante -
probante proprio per la sua grandezza e per la sua fama - a distogliere
dal peccato di sodomia, dall'altro è un mezzo per permettere a Dante
di cominciare a sbozzare quel monumento a se stesso che egli si costruisce
in tutta la Divina Commedia" [7]. |
======O======
Resta il fatto
che il fraintendimento della posizione di Dante iniziò prestissimo,
a pochi anni dalla sua morte. Con l'evoluzione del pensiero e della società,
un simile atteggiamento per nulla complicato era diventato semplicemente
incomprensibile.
Da questo punto
di vista, lo studio diacronico dei commenti alla Divina Commedia (ne esistono
a decine) è uno splendido test sull'evoluzione degli atteggiamenti
culturali italiani sull'omosessualità, nel corso dei secoli.
Ogni volta che
s'abbatte un'andata di moralismo e omofobia, i commentatori se la vedono
brutta, specie in quelle epoche in cui è considerato sconveniente
e immorale anche soltanto nominare, anche solo ammettere la mera esistenza
al mondo del comportamento omosessuale.
Per
i commentatori antichi di Dante la sodomia era ormai
un peccato di tale gravità che per loro non era più, assolutamente,
concepibile trattare con rispetto uomini macchiati di tale "infamia".
Come fare allora
a spiegare l'atteggiamento di Dante?
Come spiegare
la sua collocazione nell'infamante girone dei sodomiti di un uomo, ser
Brunetto, verso cui dimostra rispetto e ammirazione?
Non furono molti
coloro che, come Francesco da Buti
(1324-1406), uno dei più stimati commentatori antichi di Dante,
compresero che per Dante (e in assoluto) "l'uomo
vizioso di qualche peccato può avere virtù in sé,
per le quali merita onore e rispetto" e che Dante,
con ser Brunetto, aveva "onorato la virtù
che era in lui, lasciando il vizio" [8].
Nel tentativo
di conciliare ciò che agli occhi dei posteri appariva inconciliabile,
i commentatori azzardarono allora attraverso i secoli le spiegazioni più
strane e contorte:
-
Che Dante avesse
parlato con troppa simpatia di ser Brunetto e dei sodomiti perché
in realtà anche lui condivideva gli stessi gusti, come dichiara
per esempio un commentatore anonimo del XIV secolo:
"Qui
mostra l'Auttore l'amore et l'affezione ch'egli avea a costoro et per questo
comprende alcuno, l'Auttore essere stato maculato di questo vizio, però,
che [ = dato che] sua usanza è che quante volte egli trova
peccatori essere puniti d'alcuno vizio di che egli abbia sentito, se ne
duole et hanne compassione, pensando similmente essere punito elli" [9];
-
Oppure che ser
Brunetto fosse davvero un "infame", e che avesse attentato alla virtù
di Dante, e che quindi le parole gentili di Dante siano in realtà
sarcasmi, da intendere "per lo contrario", come suggerisce
Guiniforte Barzizza(1406-dopo 1460?):
"Mostrando
Dante molto lodare ser Brunetto lo vuol vituperare in perpetuo di
tale infamia, che oscura ed ammorza ogni laude, e questo fa introducendolo
tra i peccatori contra natura. E forse ironicamente parla Dante volendo
essere inteso per lo contrario di ciò che dice, perocché
forse avea ser Brunetto sotto apparenza di insegnargli scienza volutolo
indurre in alcuna scelleratezza" [10];
-
Oppure ancora,
avanzando una tesi, che sarebbe stata cara alla scienza medica del XX secolo,
ossia che in realtà esistano due tipi di "sodomiti": quelli
che sono tali per "scelta" e quelli che sono tali per "necessità"
(per "compensazione", si direbbe oggi).
I secondi sarebbero
meno malvagi dei primi, avendo peccato solo per necessità, appunto,
e proprio di costoro Dante avrebbe parlato nell'Inferno (è
la tesi d'un altro anonimo commentatore che scrive tra il 1321 e il 1337:
"E di questo
scelerato pecchato sono due generationi di genti, l'una religiosi e maiestri
in scientia, e genti che mostrano d'essare gente honesta e quando per vergogna,
e quando per non potere non richieggono donna o femmina, si trovano questo
altro male, e con esso si stanno.
L'altra
generatione di gente si sono gente scielerata e isfrenata, li quali, seguendo
el loro appetito, non churano in altro.
E in questo
presente capitolo tormenta la gente d'habito honesto" [11].
In tutto questo
frullare d'ipotesi emerge chiaramente il divertente sconcerto dei commentatori,
che si rompono il cervello ad escogitare altre spiegazioni solo perché
rifiutano a priori (per preconcetto omofobo) di considerare l'ipotesi più
ovvia, cioè che Dante avesse osato dare un giudizio morale
diverso da quello che loro consideravano l'unico possibile ed immaginabile.
Questo sforzo
(che continua anche ai giorni nostri) mostra quanto nella storia l'omosessualità
possa essere colpita dallo stigma di indicibilità, al punto
che perfino una condanna eterna all'Inferno che però contenga
un minimo di pietà umana risulta sconcertante, incomprensibile,
inspiegabile, in-concepibile e soprattutto im-menzionabile, non appena
riparte un ciclo di repressione fanatica.
======O======
La querelle
sulle motivazioni di Dante, dicevo, ha avuto uno strascico fino ad anni
recenti, con argomenti che rivelano tutto il fastidio omofobo per il fatto
che un grande poeta possa aver parlato bene d'un orrido sodomita... Più
volte si vede scattare il commentatore: ma non poteva evitare di trattare
questo tema, e di trattarne così a lungo? [12].
E
allora via con gli arzigogoli per fare sparire dalla Divina Commedia
ciò che Dante ha avuto il pessimo gusto di metterci, via i sodomiti!
L'omosessualità non esiste, non può e non deve esistere,
da nessuna parte, nemmeno in un poema di molti secoli fa! Non ci sono
sodomiti nella Divina Commedia, o se ci sono stanno in uno sgabuzzino
nascosto nascosto, e non certo in uno dei canti-chiave del poema...
Ciò che
preme dimostrare ai commentatori omofobi è che se questi personaggi
furono davvero rispettabili (e nulla lascia pensare che non lo fossero),
allora non furono sodomiti, perché è inconcepibile
che un omosessuale possa essere persona degna di rispetto o che, viceversa,
una persona degna di rispetto possa essere omosessuale.
Due le strategie
dei commentatori che desiderano mettere in discussione ciò che
i contemporanei di Dante non avevano trovato affatto oscuro, cioè
che nei canti XV e XVI dell'Inferno appaiano i sodomiti:
-
In realtà
nel girone sono presenti eretici, patarini, "irreligiosi", bestemmiatori,
superbi, letterati italiani che non usarono la lingua italiana (come se
Dante non avesse mai scritto in latino!)... o mille altre fanfaluche. È
l'approccio più diffuso.
-
In alternativa,
una minoranza accetta (brontolando) l'idea che quelli che appaiono nei
canti XV e XVI siano davvero sodomiti, ma solo per "licenza
poetica", e non nella vita reale. Dante li ha fatti apparire come tali
per mere esigenze poetiche, di "euritmia" del poema, a noi non del tutto
chiare ma ben presenti al genio imperscrutabile del Poeta. Dunque i personaggi
sono rispettabili sì, ma non furono davvero sodomiti, in
vita: si tratta di mera finzione letteraria [13].
I testi di commentatori
moderni che usano queste strategie sono decine, quindi per farla
breve ne citerò quale esempio uno che, essendo stato scritto nell'Ottocento,
afferma candidamente ed esplicitamente ciò i suoi colleghi
omofobi d'oggi avrebbero pudore a dire con tanta franchezza: che alla base
del rifiuto di accettare la presenza di sodomiti fra le persone rispettabili
dei canti XV e XVI dell'Inferno sta il ribrezzo verso l'idea che
Dante possa avere ossequiato alcuni schifosissimi invertiti:
"Quando
proprio si dovesse riconoscere il Latini colpevole di sodomia, a
scagionar (sic!)
Dante del tutto non basterebbero forse i diritti del vero.
Pur lodandolo
di aver posto il peccatore famoso nel settimo cerchio, non potremmo noi
tuttavia non meravigliarci di vedercelo presentare come persona gentile,
nobilissima e veneranda. Nella scena del canto XV resterebbe sempre quella
"contraddizione e sconcezza", a cui il Balbo non sapeva trovare altra causa,
fuorché nella barbarie (sic) de' tempi"
(...).
"Prego il
lettore di voler ben ponderare (...) se sia più verosimile
la sodomia e non anzi la irreligiosità in gente non solo letterata,
ma grande e di gran fama" [14]. |
======O======
Più vicino
a noi, il caso più fastidioso è quello di André
Pézard che nel 1950 dedicò un intero libro
eruditissimo allo sforzo di dimostrare che il "peccato" per cui
furono puniti Brunetto e i suoi compagni non fu sodomia vera e propria,
ma "sodomie spirituelle", cioè, nel caso di Brunetto,
l'aver usato la lingua francese per scrivere una delle sue opere [15].
Il caso di
Pézard è un monito su quanto danno possa fare un'erudizione
enorme quando sia al servizio del pregiudizio cieco.
Eppure il buon
senso non era certo merce rara quando Pézard pubblicò il
suo delirio omofobo, come dimostrò Vincenzo Perticone, recensendo
nel 1951 l'opera:
"Ho provato
a rileggermi il canto XV tenendo presente l'interpretazione del Pézard:
è la stessa poesia di Dante che vi si ribella.
(...)
Dante vuol
dimostrare col suo atteggiamento che a Brunetto quel peccato non aveva
impedito di essere un buon cittadino, un buon letterato, un efficace maestro.
Questa è
la realtà delle cose come le presenta Dante, qualunque (sic)
possano essere le ragioni della nostra sensibilità. La prova
ineccepibile che (sic) il peccato di sodomia non disturba il giudizio
oggettivo di Dante (...) è nella risposta a Iacopo Rusticucci:
"Non dispetto,
ma doglia /
la vostra
condizion dentro mi fisse" [16]. |
Bastava volerlo...
Ciò non
impedì a un altro omofobo, Richard
Kay, di dedicare diversi saggi in inglese a negare la presenza
di sodomiti nella Commedia dantesca...
Sandro
Botticelli, Sodomiti. Illustrazione per la ''Divina Commedia''
Ma anche l'omofobia
si evolve, e si adatta ai tempi.
Dato che oggi
non è più possibile negare, puramente, la presenza di sodomiti
nell'Inferno, ora c'è pure chi ribalta la prospettiva e torna
alla seconda tesi dei commentatori antichi, ricercando tare e difetti che
dimostrino (grazie anche alla psicoanalisi ) l'"umorismo" o la "severità"
di Dante nel tratteggiare queste personalità psicopatiche... [17].
Infine, curiosamente,
l'incomprensione della posizione di Dante ha portato anche all'eccesso
uguale e contrario, come nel 1977 in Dante, inferni dentro e "Fuori"
di Giuseppe Aprile, che con lettura "psicoanalitica" del poema dantesco
riprende la vecchia tesi dell'omosessualità dell'Alighieri (la numero
1 dei commentatori antichi) [18].
Secondo Aprile
sarebbe infatti la comunanza di gusti coi sodomiti la vera
causa della gentilezza di Dante nei loro confronti!
======O======
L'autorevole
Enciclopedia dantesca ha comunque posto fine da qualche tempo alla
diatriba, prendendo atto (finalmente!) in modo adeguato dell'indulgenza
del giudizio dell'Alighieri come chiave corretta per risolvere l'inesistente
"enigma" del girone dei sodomiti:
"Ai sodomiti
espïanti Dante sembra non rimproverare una colpa più grave
dell'incontinenza: non li distingue infatti dai lussuriosi secondo
natura, facendone un gruppo ad essi contrapposto, che però ne condivide
in pari grado la pena, il fuoco (Purg. XXV, 28-29)" [19]. |
Similmente aveva già concluso
Fernando Salsano, obiettando a quanti rifiutavano, come il già
citato Pézard, di collocare Brunetto Latini fra i sodomiti:
"Mi pare
che non considerino che l'essere tra i sodomiti non è un fatto più
grave che l'essere fra i bestemmiatori, come vorrebbe qualcuno, e che non
giova alcunché che il peccato non sia della carne ma dello spirito".
(...)
Al cospetto
della giustizia divina (...) un peccato vale l'altro, e tutti i
peccati sono soggetti ad un'unica gradazione di gravità: è
solo sul metro d'una morale tutta terrena, di convenienza sociale, di apparente
dignità terrena, che il peccato di sodomia appare più obbrobrioso
di quello dei bestemmiatori o dei violenti contro l'arte" [20]. |
 |
Dante nel
bassorilievo rinascimentale sulla sua tomba, a Ravenna. Fare clic sull'immagine
per vedere la tomba
|
======O======
Quanto alla
"vera" motivazione per cui Brunetto Latini sia finito nel
girone dei sodomiti, la recente restituzione a lui (dopo una lunga, deliberata
censura da parte degli studiosi) d'una non breve poesia d'amore
per un uomo, "S'eo
son distretto jnamoratamente", ci dimostra che essa si basò
su dati di fatto di pubblico dominio all'epoca di Dante, ma successivamente
dimenticati o censurati-[21].
Eppure la questione
continua a trascinarsi (come se non ci fossero cose più importanti
di cui discutere) insistendo sull'obiezione per cui non esiste alcun documento
o prova sull'omosessualità dei personaggi che Dante manda tra i
sodomiti del suo Inferno-[22].
Questa obiezione
dimentica, e non certo per mera sbadataggine, due punti importanti:
-
la Divina Commedia
è essa stessa un documento contemporaneo agli eventi.
Per il fatto stesso di esistere e di parlarne, documenta l'esistenza di
pettegolezzi relativi alle tendenze sessuali dei personaggi che
elenca.
Si può
discutere o meno della leggerezza con cui Dante trasformò pettegolezzi
maligni in dati di fatto, tant'è che in almeno
per un caso (Prisciano) è stato dimostrato che la collocazione
fra i sodomiti è nata da una lettura sbagliata di un brano latino.
Ciò
detto, resta il fatto che la Divina Commedia è la testimonianza
storica che documenta proprio l'esistenza di tali voci.
-
Tocca a chi sostiene
la falsità di tali voci dimostrarla, con prove del
contrario. Affermare che Dante avrà avuto fonti e informazioni oggi
non più esistenti non è storicamente scorretto (solo molto
pigro).
In effetti,
è ora di finirla con l'atteggiamento per cui l'eterosessualità
è un dato di fatto d'ogni essere umano, che può
semplicemente essere data per scontata, mentre l'omosessualità
va dimostrata con prove inoppugnabili. Se interessa discutere della
questione (e non sempre interessa, nemmeno a me) l'eterosessualità
di un personaggio è un dato che va dimostrato tanto quanto
la sua omosessualità.
Ragionando
così, ci si accorgerà con stupore del fatto che l'eterosessualità
è altrettanto impossibile da dimostrare dell'omosessualità,
per lo meno con i criteri assurdi pretesi da parte degli storici eterosessuali
nei confronti degli studi storici sull'omosessualità.
Non sarebbe ora
di farla finita con l'isteria omofoba, che è già costata
sei secoli di delirii inconcludenti, e metterci a discutere, senza preconcetti,
di ciò che desiderava dirci Dante?
Io, in effetti,
la penso così.
L'autore ringrazia
fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati
su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi
gli segnalerà
eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1]
Sulla questione è essenziale la consultazione di: Michael Goodich,
The unmentionable vice,
Ross-Erikson, Santa Barbara 1979.
[2]
Umberto Bosco, "Il canto XV dell'Inferno", in: Lectura Dantis scaligera,
Le Monnier, Firenze 1961, pagine 6-7, poi come volume (Lectura Dantis
scaligera, Le Monnier, Firenze 1967 e 1971, pp. 483-512), e come "Il
canto di Brunetto", in: Umberto Bosco, Dante vicino, Sciascia, Caltanissetta
e Roma 1966, pp. 92-121.
[3]
Vittorio Imbriani, "Che Brunetto Latini non fu maestro di Dante", in: Studi
danteschi, Sansoni, Firenze 1891, p. 333-380, a p. 347.
[4]
Giuseppe Petronio, "Il canto XV dell'Inferno", in: Nuove letture
dantesche, Le Monnier, Firenze 1966-1978, 8 voll., vol. 2, 1968, pp.
75-85. Citazione da p. 76.
[5]-Ibidem,
pp. 77-78.
[6]-Ibidem,
pp. 79-80.
[7]-Ibidem,
p. 81.
[8]
Francesco da Buti, Commento sopra la Divina Commedia [ca. 1385-1395],
Nistri, Pisa 1858, 3 voll., vol. I, pp. 405-433. Citazione da p. 407.
[9]-Commento
alla Divina commedia d'Anonimo fiorentino del sec. XIV, Romagnoli,
Bologna 1866, vol. 1, p. 375.
[10]
Guiniforte Barzizza (Guiniforto dei Bargigi), Lo Inferno della Commedia
di Dante Alighieri col commento di Guiniforto delli Bargigi, Molini
e Mossy, Firenze e Marsiglia 1838, p. 367.
[11]
Giuseppe Avalle (a cura di), Chiose all'Inferno di Dante, Lapi,
Città di Castello 1900, p. 81.
[12]
Per una bibliografia su Dante, Brunetto Latini e la querelle sulla
natura del suo peccato si veda la pagina
dedicata al Latini in questo sito, nota 5.
In aggiunta,
sui sodomiti in generale o sugli altri sodomiti dell'Inferno nello
specifico, si veda:
-
Boswell, John,
Dante and the sodomites, "Dante Studies", CXII 1994, pp. 63-76;
-
Burgwinkle, William,
"The form of our desire": Arnaut Daniel and the homoerotic subject in
Dante's "Commedia", "Gay and Lesbian Quarterly", X 2004, pp. 565-597;
-
Culberstone, Diana,
Dante, the Yahwist, and the sins of Sodom, "Italian culture", IV
1983, pp. 11-23;
-
D'Ovidio, Francesco,
Cenni sui criteri di Dante nel dannare o salvare le singole anime
[1895], Tipografia della Regia Università, Napoli 1904. Poi in:
Opere, Guida, Napoli, vol. 2 (Nuovi studi danteschi), 1932,
pp. 179-207;
-
Filippini, Francesco,
Il grammatico Prisciano nell'Inferno
dantesco, "L'archiginnasio", XII 1917, pp. 23-31;
-
Hollander,
Robert, Dante's harmonious homosexuals (Inferno 16.7-90) ["Electronic
Bulletin of the Dante Society of America", 1996].
-
Kay,
Richard, Dante's unnatural lawyer: Francesco
D'Accorso in Inferno XV, "Studia Gratiana" XV 1972, pp.
149-200;
-
Kay, Richard, Dante's
unnatural lawyer: Francesco d'Accorso in Inferno XV, "Studia gratiana",
XV 1972, pp. 147-200. Poi in: Dante swift and strong. Essays on "Inferno"
XV, The Regents press of Kansas, Lawrence 1978;
-
Palandri,
Eletto, Il vescovo Andrea de' Mozzi nella
storia e nella leggenda dantesca, "Il giornale dantesco", XXXII 1929
(ma 1931), pp. 93-118;
-
Pequigney,
Joseph, Sodomy in Dante's Inferno and Purgatorio, "Representations",
XXXVI Fall 1991, pp. 22- 42.
-
Pietrobono, Luigi,
Tre fiorentini: Guido Guerra, Tegghiaio Aldobrandi e Jacopo
Rusticucci, "L'Alighieri", III 1962, 2, pp. 17-24 (NB: non
parla della sodomia);
-
Radcliff-Umstead,
Douglas, "Erotic sin in the Divine Comedy". In: D. Radcliff-Umstead
(cur.), Human sexuality in the Middle Ages and Renaissance,
University of Pittsburgh, Pittsburgh 1978, pp. 41-96;
-
Raimondi, Ezio,
Metafora e storia, Einaudi, Torino 1970, pp. 41-43 (su Dante e Accursio);
-
Sacchetto, Aleardo,
"Il canto dei tre fiorentini". In: Dieci letture dantesche, Le Monnier,
Firenze 1960, pp. 27-56;
-
Sanesi, Emilio,
Del trasferimento di messer Andrea de' Mozzi
da Firenze a Vicenza, "Studi danteschi", XII 1938, pp. 115-122;
-
Santini, Pietro,
Sui fiorentini "che fur sì degni", "Studi danteschi", VI
1923, pp. 25-44;
-
Schizzerotto,
Giancarlo, Uguccione da Pisa, Dante e la colpa di Prisciano,
"Studi danteschi", XLIII 1966, pp. 79-83 [svela l'equivoco che fece collocare
l'innocente Prisciano fra i sodomiti];
-
Verschuer, U. F.
von, Die Homosexuelle in Dante's Gottlicher Komödie, "Jahrbuch
für sexuelle Zwischenstufen", VII 1906, pp. 353-363 (non vidi).
-
Vivaldi, Fulberto,
Note sparse (I sette P, la fiera moglie, ecc.), "L'Alighieri", V
1964, pp. 79-82. Poi in: Qualche segreto della Divina Commedia,
Olschki, Firenze 1968, pp. 133-137 [su Iacopo Rusticucci].
Ovviamente ogni
commentatore dei canti XV e XVI ha da dire la sua in materia, ma a doverli
citare tutti "il
tempo sarìa corto a tanto suono"...
[13]
I sostenitori di questa bizzarra tesi annoverano nomi illustri quali Benedetto
Croce (Letture di poeti e riflessioni sulla teoria e la critica
della poesia, Laterza, Bari 1950, p. 14), Ernesto Parodi ("Perché
Dante lo condanna?". In: AA.VV., Dai tempi antichi ai tempi moderni,
Hoepli, Milano 1904, pp. 121-127) e Vittorio Rossi (Il canto
XV dell'Inferno letto nella "casa di Dante", Sansoni, Firenze 1915,
pp. 27-34). Per costoro la presenza di Latini & c. fra i sodomiti è
mera "licenza poetica", che serve a Dante a... scatenare la sua invettiva
sdegnosa contro i fiorentini... Come se non avesse avuto nessun altro modo
per farlo!
[14]
Pietro Merlo, Sulla euritmia delle colpe nell'Inferno dantesco,
"Atti del reale istituto veneto di scienze, lettere ed arti", tomo VI,
serie 6, 1887-1888, pp. 979-1000, alle pp. 981 e 983
[15]
André Pézard, Dante sous la pluie de feu, Librairie
philosophique, Paris 1950.
[16]
Vincenzo Pernicone, André Pézard, Dante sous la pluie
de feu, "Giornale storico della letteratura italiana", CXXVIII 1951,
pp. 88-95.
Similmente
critico Vincenzo Romano, Dante sotto la pioggia di fuoco, "Belfagor",
VI 1951, 2, pp. 190-195.
[17]
Così per esempio Vittorio Sermonti, L'Inferno di Dante,
Rizzoli, Milano 1991: la colpa di Brunetto e soci consiste "nel deliberato
sopruso morale che il pederasta esercita sul ragazzo, soggiogandolo con
il prestigio intellettuale, con le seduzioni del potere politico o economico
e mondano, e comunque con le prospettive del losco e tiepido privilegio
di appartenere ad una setta" (p. 225). Olé!
Non
scherza neppure il fanta-dantesco Silvio Pasquazi, Il
canto XVI dell'"Inferno", Le Monnier, Firenze 1961 (poi in: Lectura
Dantis scaligera. Inferno, Le Monnier, Firenze 1961, pp. 513-562 e
Le Monnier, Firenze 1967 e 1971, pp. 515-549, e ancora come "Il canto dei
tre fiorentini", in: All'eterno del tempo, Le Monnier, Firenze 1972,
specie pp. 155-169).
"Dante
mostra qui di aver identificato l'essenza del peccato di sodomia in un
rifiuto da parte dell'io rispetto ad un tu - che per essere io e tu devono
essere diversi e complementari - e in una conseguente chiusura e pretesa
autosufficienza dell'io - che rimane io senza tu, anche se inaugura rapporti
contro natura con altri da cui non è differenziato e di cui non
è complementare. (...) Vi è rifiuto della relazione
(gli psicanalisti direbbero il complesso di Narciso). (...)
Soltanto
avendo chiaro ciò, è possibile capire la questione del come
Dante non abbia esitato a colpire così atrocemente la figura e la
fama di colui che chiama pressappoco caro e buon padre" (p. 518 dell'edizione
1967).
Sì
certo, chiaro: "S'io
m'intuassi, come tu t'immii"...
[18]
Giuseppe Aprile, Dante, inferni dentro e fuori, Il vespro,
Palermo 1977.
A giudicare
dal titolo il tema dovrebbe essere ripreso anche in: Antonio Balsamo,
Dante, fedele amante e sodomita pentito: parlar d'amore per dire
altro, Palomar, Bari s.d. [1998?], che non ho ancora potuto leggere.
[19]-Enciclopedia
dantesca, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1976, vol. 5,
pp. 285-287.
Prima d'allora
erano già arrivati vicini alla conclusione corretta Ludwig Blanc,
Saggio di una interpretazione filologica di parecchi passi oscuri e
controversi della Divina Commedia, Coen, Trieste 1865, pp. 144-147
("cotesto vizio abominevole par fosse a' que' tempi sì d'uso,
che anco i migliori non ne sentivano più tutto il ribrezzo"),
e Adolfo Bartoli, Storia della letteratura italiana, Sansoni,
Firenze 1887, vol. VI, parte 2, pp. 55-71.
[20]
Fernando Salsano, Il canto XV dell'Inferno (Lectura Dantis romana),
Società editrice internazionale, Torino 1967. Poi come: "Carità
e giustizia. Brunetto Latini e i tre fiorentini", in: La coda di Minosse
e altri studi danteschi, Marzorati, Milano 1968, pp. 21-52. Citazione
dalle pp. 19-20.
[21]
Sul tema si veda anche: Giovanni Dall'Orto, L'omosessualità
nella poesia volgare italiana fino al tempo di Dante,
"Sodoma" n. 3, Primavera Estate 1986, pp. 13-35.
[22]
A dire il vero qualche aneddoto minore lo tramandano pure i commentatori
danteschi, ma costoro vengono liquidati come "inaffidabili": hanno copiato
la notizia da Dante stesso, signorina maestra! |