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La
presenza di un cospicuo nucleo di "sodomiti"
tanto nell'Inferno
che nel Purgatorio della Divina commedia di Dante
Alighieri (1265-1321) ha dato origine nel corso dei secoli a infinite
polemiche.
Nel suo viaggio poetico nell'aldilà Dante immagina infatti d'incontrare personaggi importanti, fra i quali colui che egli indica come suo maestro, Brunetto Latini (1212?-1294). I sodomiti dell'Inferno (canti XV e XVI) sono descritti mentre corrono sotto una pioggia di fuoco, condannati a non fermarsi mai, se non vogliono per punizione essere inchiodati al suolo per cent'anni senza potersi schermare dalle fiamme. Brunetto
Latini è fra loro. Riconosciuto Dante, lo chiama e discorre
con lui.
Nel descrivere chi siano i suoi compagni di pena, Latini nomina celebri (all'epoca) letterati, uomini politici e d'arme: il vescovo Andrea de' Mozzi, il giurista Francesco d'Accursio, Guglielmo Borsiere, Guido Guerra, il grammatico latino Prisciano da Cesarea, i politici Iacopo Rusticucci e Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari... Nel Purgatorio
i sodomiti riappaiono, nel
canto XXVI, insieme ai lussuriosi eterosessuali: i due
gruppi sono divisi in due schiere che camminano nel fuoco in sensi opposti,
gridando la causa della loro punizione.
Qual è il significato da attribuire alla notevole deferenza e simpatia che Dante mostra nel parlare con e dei sodomiti? Questo interrogativo ha tormentato i commentatori danteschi fin da pochi anni dopo la morte del poeta. La formazione culturale di Dante avvenne infatti in un secolo, il XIII, che in Italia costituì un momento di transizione nel campo degli atteggiamenti verso il comportamento omosessuale [1]. Quello che fino
al tempo della nascita di Dante era stato un crimine riprovato dalla religione
ma visto con indulgenza dalla morale quotidiana, assunse una crescente
gravità anche agli occhi dei laici, per influsso della morale della
borghesia in ascesa, che esigeva dal mondo ecclesiastico un maggior
rigore morale.
Questo cambiamento d'atteggiamento morale avviene, per l'omosessualità, grosso modo nel corso della vita di Dante, che anzi da questo punto di vista, essendo un conservatore, fu leggermente in ritardo sui suoi tempi. Per l'Alighieri era dunque possibile, com'era comune ancora nel XII secolo, separare giudizio umano e giudizio divino nel campo della sodomia. Pur collocando all'Inferno, come cristiano, quanti s'erano macchiati di tale peccato, come uomo non riteneva tale comportamento abbastanza grave da annullare la stima che eventualmente nutrisse per tali persone. Si spiega così perché proprio al sodomita Brunetto Latini, e non ad altri, Dante affidi l'importante profezia sopra citata. Bene ha espresso
Umberto
Bosco questo contrasto di mentalità:
Il più
azzeccato commento in proposito è, a mio parere, quello del nostro
contemporaneo Giuseppe
Petronio, che ci rammenta come tutte le opere celebri sollecitino
la stratificazione d'interpretazioni che, attraverso i secoli, rileggono
il testo secondo le esigenze e gli interessi del proprio secolo.
In particolare
è il peccato di Brunetto
Latini ad aver dato vita a una vera letteratura:
In realtà
Dante, secondo una tipica posizione di quel cattolicesimo che intride il
suo poema, è convinto del fatto "che le virtù
umane non bastano a salvare se non siano contenute nell'àmbito della
legge divina". Ecco perciò
Resta il fatto che il fraintendimento della posizione di Dante iniziò prestissimo, a pochi anni dalla sua morte. Con l'evoluzione del pensiero e della società, un simile atteggiamento per nulla complicato era diventato semplicemente incomprensibile. Da questo punto di vista, lo studio diacronico dei commenti alla Divina Commedia (ne esistono a decine) è uno splendido test sull'evoluzione degli atteggiamenti culturali italiani sull'omosessualità, nel corso dei secoli. Ogni volta che s'abbatte un'andata di moralismo e omofobia, i commentatori se la vedono brutta, specie in quelle epoche in cui è considerato sconveniente e immorale anche soltanto nominare, anche solo ammettere la mera esistenza al mondo del comportamento omosessuale. Per
i commentatori antichi di Dante la sodomia era ormai
un peccato di tale gravità che per loro non era più, assolutamente,
concepibile trattare con rispetto uomini macchiati di tale "infamia".
Non furono molti coloro che, come Francesco da Buti (1324-1406), uno dei più stimati commentatori antichi di Dante, compresero che per Dante (e in assoluto) "l'uomo vizioso di qualche peccato può avere virtù in sé, per le quali merita onore e rispetto" e che Dante, con ser Brunetto, aveva "onorato la virtù che era in lui, lasciando il vizio" [8]. Nel tentativo di conciliare ciò che agli occhi dei posteri appariva inconciliabile, i commentatori azzardarono allora attraverso i secoli le spiegazioni più strane e contorte:
"Qui mostra l'Auttore l'amore et l'affezione ch'egli avea a costoro et per questo comprende alcuno, l'Auttore essere stato maculato di questo vizio, però, che [ = dato che] sua usanza è che quante volte egli trova peccatori essere puniti d'alcuno vizio di che egli abbia sentito, se ne duole et hanne compassione, pensando similmente essere punito elli" [9]; "Mostrando Dante molto lodare ser Brunetto lo vuol vituperare in perpetuo di tale infamia, che oscura ed ammorza ogni laude, e questo fa introducendolo tra i peccatori contra natura. E forse ironicamente parla Dante volendo essere inteso per lo contrario di ciò che dice, perocché forse avea ser Brunetto sotto apparenza di insegnargli scienza volutolo indurre in alcuna scelleratezza" [10];
I secondi sarebbero meno malvagi dei primi, avendo peccato solo per necessità, appunto, e proprio di costoro Dante avrebbe parlato nell'Inferno (è la tesi d'un altro anonimo commentatore che scrive tra il 1321 e il 1337: "E di questo scelerato pecchato sono due generationi di genti, l'una religiosi e maiestri in scientia, e genti che mostrano d'essare gente honesta e quando per vergogna, e quando per non potere non richieggono donna o femmina, si trovano questo altro male, e con esso si stanno. L'altra generatione di gente si sono gente scielerata e isfrenata, li quali, seguendo el loro appetito, non churano in altro. E in questo presente capitolo tormenta la gente d'habito honesto" [11]. Questo sforzo (che continua anche ai giorni nostri) mostra quanto nella storia l'omosessualità possa essere colpita dallo stigma di indicibilità, al punto che perfino una condanna eterna all'Inferno che però contenga un minimo di pietà umana risulta sconcertante, incomprensibile, inspiegabile, in-concepibile e soprattutto im-menzionabile, non appena riparte un ciclo di repressione fanatica. La querelle sulle motivazioni di Dante, dicevo, ha avuto uno strascico fino ad anni recenti, con argomenti che rivelano tutto il fastidio omofobo per il fatto che un grande poeta possa aver parlato bene d'un orrido sodomita... Più volte si vede scattare il commentatore: ma non poteva evitare di trattare questo tema, e di trattarne così a lungo? [12]. E allora via con gli arzigogoli per fare sparire dalla Divina Commedia ciò che Dante ha avuto il pessimo gusto di metterci, via i sodomiti! L'omosessualità non esiste, non può e non deve esistere, da nessuna parte, nemmeno in un poema di molti secoli fa! Non ci sono sodomiti nella Divina Commedia, o se ci sono stanno in uno sgabuzzino nascosto nascosto, e non certo in uno dei canti-chiave del poema... Ciò che preme dimostrare ai commentatori omofobi è che se questi personaggi furono davvero rispettabili (e nulla lascia pensare che non lo fossero), allora non furono sodomiti, perché è inconcepibile che un omosessuale possa essere persona degna di rispetto o che, viceversa, una persona degna di rispetto possa essere omosessuale. Due le strategie dei commentatori che desiderano mettere in discussione ciò che i contemporanei di Dante non avevano trovato affatto oscuro, cioè che nei canti XV e XVI dell'Inferno appaiano i sodomiti:
Più vicino
a noi, il caso più fastidioso è quello di André
Pézard che nel 1950 dedicò un intero libro
eruditissimo allo sforzo di dimostrare che il "peccato" per cui
furono puniti Brunetto e i suoi compagni non fu sodomia vera e propria,
ma "sodomie spirituelle", cioè, nel caso di Brunetto,
l'aver usato la lingua francese per scrivere una delle sue opere [15].
Eppure il buon
senso non era certo merce rara quando Pézard pubblicò il
suo delirio omofobo, come dimostrò Vincenzo Perticone, recensendo
nel 1951 l'opera:
Ciò non impedì a un altro omofobo, Richard Kay, di dedicare diversi saggi in inglese a negare la presenza di sodomiti nella Commedia dantesca... Ma anche l'omofobia
si evolve, e si adatta ai tempi.
Infine, curiosamente,
l'incomprensione della posizione di Dante ha portato anche all'eccesso
uguale e contrario, come nel 1977 in Dante, inferni dentro e "Fuori"
di Giuseppe Aprile, che con lettura "psicoanalitica" del poema dantesco
riprende la vecchia tesi dell'omosessualità dell'Alighieri (la numero
1 dei commentatori antichi) [18].
L'autorevole
Enciclopedia dantesca ha comunque posto fine da qualche tempo alla
diatriba, prendendo atto (finalmente!) in modo adeguato dell'indulgenza
del giudizio dell'Alighieri come chiave corretta per risolvere l'inesistente
"enigma" del girone dei sodomiti:
Quanto alla "vera" motivazione per cui Brunetto Latini sia finito nel girone dei sodomiti, la recente restituzione a lui (dopo una lunga, deliberata censura da parte degli studiosi) d'una non breve poesia d'amore per un uomo, "S'eo son distretto jnamoratamente", ci dimostra che essa si basò su dati di fatto di pubblico dominio all'epoca di Dante, ma successivamente dimenticati o censurati-[21]. Eppure la questione continua a trascinarsi (come se non ci fossero cose più importanti di cui discutere) insistendo sull'obiezione per cui non esiste alcun documento o prova sull'omosessualità dei personaggi che Dante manda tra i sodomiti del suo Inferno-[22]. Questa obiezione dimentica, e non certo per mera sbadataggine, due punti importanti:
Si può discutere o meno della leggerezza con cui Dante trasformò pettegolezzi maligni in dati di fatto, tant'è che in almeno per un caso (Prisciano) è stato dimostrato che la collocazione fra i sodomiti è nata da una lettura sbagliata di un brano latino. Ciò detto, resta il fatto che la Divina Commedia è la testimonianza storica che documenta proprio l'esistenza di tali voci. In effetti, è ora di finirla con l'atteggiamento per cui l'eterosessualità è un dato di fatto d'ogni essere umano, che può semplicemente essere data per scontata, mentre l'omosessualità va dimostrata con prove inoppugnabili. Se interessa discutere della questione (e non sempre interessa, nemmeno a me) l'eterosessualità di un personaggio è un dato che va dimostrato tanto quanto la sua omosessualità. Ragionando così, ci si accorgerà con stupore del fatto che l'eterosessualità è altrettanto impossibile da dimostrare dell'omosessualità, per lo meno con i criteri assurdi pretesi da parte degli storici eterosessuali nei confronti degli studi storici sull'omosessualità. Io, in effetti, la penso così. L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Sulla questione è essenziale la consultazione di: Michael Goodich, The unmentionable vice, Ross-Erikson, Santa Barbara 1979. [2] Umberto Bosco, "Il canto XV dell'Inferno", in: Lectura Dantis scaligera, Le Monnier, Firenze 1961, pagine 6-7, poi come volume (Lectura Dantis scaligera, Le Monnier, Firenze 1967 e 1971, pp. 483-512), e come "Il canto di Brunetto", in: Umberto Bosco, Dante vicino, Sciascia, Caltanissetta e Roma 1966, pp. 92-121. [3] Vittorio Imbriani, "Che Brunetto Latini non fu maestro di Dante", in: Studi danteschi, Sansoni, Firenze 1891, p. 333-380, a p. 347. [4] Giuseppe Petronio, "Il canto XV dell'Inferno", in: Nuove letture dantesche, Le Monnier, Firenze 1966-1978, 8 voll., vol. 2, 1968, pp. 75-85. Citazione da p. 76. [5]-Ibidem, pp. 77-78. [6]-Ibidem, pp. 79-80. [7]-Ibidem, p. 81. [8] Francesco da Buti, Commento sopra la Divina Commedia [ca. 1385-1395], Nistri, Pisa 1858, 3 voll., vol. I, pp. 405-433. Citazione da p. 407. [9]-Commento alla Divina commedia d'Anonimo fiorentino del sec. XIV, Romagnoli, Bologna 1866, vol. 1, p. 375. [10] Guiniforte Barzizza (Guiniforto dei Bargigi), Lo Inferno della Commedia di Dante Alighieri col commento di Guiniforto delli Bargigi, Molini e Mossy, Firenze e Marsiglia 1838, p. 367. [11] Giuseppe Avalle (a cura di), Chiose all'Inferno di Dante, Lapi, Città di Castello 1900, p. 81. [12] Per una bibliografia su Dante, Brunetto Latini e la querelle sulla natura del suo peccato si veda la pagina dedicata al Latini in questo sito, nota 5. In aggiunta, sui sodomiti in generale o sugli altri sodomiti dell'Inferno nello specifico, si veda:
[13] I sostenitori di questa bizzarra tesi annoverano nomi illustri quali Benedetto Croce (Letture di poeti e riflessioni sulla teoria e la critica della poesia, Laterza, Bari 1950, p. 14), Ernesto Parodi ("Perché Dante lo condanna?". In: AA.VV., Dai tempi antichi ai tempi moderni, Hoepli, Milano 1904, pp. 121-127) e Vittorio Rossi (Il canto XV dell'Inferno letto nella "casa di Dante", Sansoni, Firenze 1915, pp. 27-34). Per costoro la presenza di Latini & c. fra i sodomiti è mera "licenza poetica", che serve a Dante a... scatenare la sua invettiva sdegnosa contro i fiorentini... Come se non avesse avuto nessun altro modo per farlo! [14] Pietro Merlo, Sulla euritmia delle colpe nell'Inferno dantesco, "Atti del reale istituto veneto di scienze, lettere ed arti", tomo VI, serie 6, 1887-1888, pp. 979-1000, alle pp. 981 e 983 [15] André Pézard, Dante sous la pluie de feu, Librairie philosophique, Paris 1950. [16]
Vincenzo Pernicone, André Pézard, Dante sous la pluie
de feu, "Giornale storico della letteratura italiana", CXXVIII 1951,
pp. 88-95.
[17] Così per esempio Vittorio Sermonti, L'Inferno di Dante, Rizzoli, Milano 1991: la colpa di Brunetto e soci consiste "nel deliberato sopruso morale che il pederasta esercita sul ragazzo, soggiogandolo con il prestigio intellettuale, con le seduzioni del potere politico o economico e mondano, e comunque con le prospettive del losco e tiepido privilegio di appartenere ad una setta" (p. 225). Olé! Non
scherza neppure il fanta-dantesco Silvio Pasquazi, Il
canto XVI dell'"Inferno", Le Monnier, Firenze 1961 (poi in: Lectura
Dantis scaligera. Inferno, Le Monnier, Firenze 1961, pp. 513-562 e
Le Monnier, Firenze 1967 e 1971, pp. 515-549, e ancora come "Il canto dei
tre fiorentini", in: All'eterno del tempo, Le Monnier, Firenze 1972,
specie pp. 155-169).
[18] Giuseppe Aprile, Dante, inferni dentro e fuori, Il vespro, Palermo 1977. A giudicare dal titolo il tema dovrebbe essere ripreso anche in: Antonio Balsamo, Dante, fedele amante e sodomita pentito: parlar d'amore per dire altro, Palomar, Bari s.d. [1998?], che non ho ancora potuto leggere. [19]-Enciclopedia
dantesca, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1976, vol. 5,
pp. 285-287.
[20] Fernando Salsano, Il canto XV dell'Inferno (Lectura Dantis romana), Società editrice internazionale, Torino 1967. Poi come: "Carità e giustizia. Brunetto Latini e i tre fiorentini", in: La coda di Minosse e altri studi danteschi, Marzorati, Milano 1968, pp. 21-52. Citazione dalle pp. 19-20. [21] Sul tema si veda anche: Giovanni Dall'Orto, L'omosessualità nella poesia volgare italiana fino al tempo di Dante, "Sodoma" n. 3, Primavera Estate 1986, pp. 13-35. [22] A dire il vero qualche aneddoto minore lo tramandano pure i commentatori danteschi, ma costoro vengono liquidati come "inaffidabili": hanno copiato la notizia da Dante stesso, signorina maestra! |