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Una
cerchia libertina a Brescia nel 1550
Le pagine che seguono sono state scritte per esemplificare con un caso concreto quanto ho discusso a livello solo teorico in un mio precedente saggio. Fra i molti casi conservati dagli archivi italiani ho scelto quello di Francesco Calcagno, prete ventiduenne di Brescia condannato a morte per "luteranesimo" nel 1550. Ho scelto proprio Calcagno perché è un personaggio sorprendente, una sorta di "riassunto vivente" di idee libertine. Oltre ad essere omosessuale, questo va da sé. Il suo processo
inedito, da
me pubblicato qui, offre uno squarcio prezioso sulle mentalità
eterodosse esistenti in Italia sul nascere del fenomeno "libertino".
A ben guardare proprio torto non aveva, dato che l'archivio di Stato di Venezia, presso cui sono depositati gli atti del suo processo, conserva la condanna di almeno una delle persone che egli cita, "Ioannis Antonius Presellium" da Brescia. A costui il 10 settembre 1550 (il suo processo quindi coincide cronologicamente con quello di Calcagno) fu comminato un anno di prigione, oltre che sei anni di bando. Purtroppo sui documenti d'archivio non è specificata la ragione della condanna (la sentenza inizia con: "per quello che vi è stato letto e detto decidete se...") [2]. Da notare pure che un Andrea Ugoni da Brescia (che a giudicare dal cognome potrebbe anche essere parente del prete Nicolò Ugoni citato nel verbale) è processato nel 1552 per "luteranesimo" [3], un'etichetta sotto cui si spacciava volentieri il libertinismo [4].
È interessante osservare come l'atteggiamento libertino di Calcagno sia stato, per ragioni di propaganda, classificato e trattato come "luteranesimo", ma punito più severamente che quello dei due luterani autentici assieme ai quali fu processato. Gli Inquisitori s'erano resi conto del fatto che questo tipo di contestazione era ben più pericoloso dell'autentico luteranesimo. I luterani erano pur sempre cristiani appartenenti a una Chiesa "sbagliata", che potevano essere "salvati" obbligandoli ad entrare nella Chiesa "giusta". I libertini invece negavano la liceità di qualsiasi Chiesa [5]. Secondo lo stesso Calcagno, il suo amico Lauro Glisenti aveva affermato di "non credere in cosa alcuna, se non in quel che si vedeva" e che San Paolo ed altri santi condannavano la sodomia perché forse a loro piaceva più che agli altri e la volevano tenere per sé. Come se non bastasse Lauro aveva prestato a Calcagno una copia della Cazzarìa.[6]. Ancora: il già citato Nicolò Ugone (un altro prete, che porta il cognome della nobile famiglia bresciana Ugoni), aveva detto che credeva tanto alla sacra scrittura quanto alle favole di Esopo. E Giovanni Antonio da Preseglie (lo stesso di cui si è già detto) aveva aggiunto "che il calice ed ostia consacrata erano ciance"... Non basta. Quando la congrega è riunita ragiona "di cose lascive" a casa di Giovanni Antonio da (Preseglie in) Val Sabbia; inoltre nella bottega di Pietro delle Grazie "se ne è dette tante che non me ne ricordo espressamente". Tutto questo
avviene nonostante lo scandalo e gli scrupoli (autentici od ostentati?)
di Giovita Ballino (un altro prete ancora, diciannovenne, oggetto
delle attenzioni erotiche del Calcagno) che colmo di giovanile zelo lo
accusa di essere "una bestia", nonché di Pietro delle Grazie
che una volta, scandalizzato, minaccia una denunzia, ma poi non ne fa niente.
Certo è
però che Calcagno aveva chiesto spudoratamente a Pietro delle Grazie
e Lauro Glisenti di procurargli qualche ragazzino, e che nessuno dei due
l'aveva denunciato.
Se la storia dell'omosessualità fosse solo la storia di un'incessante repressione, non si spiegherebbe la svergognata ostentazione di Francesco Calcagno, che anche ai giorni nostri sarebbe motivo di non poche grane. Effettivamente una denuncia, alla fine, arrivò (forse, io ritengo, per bloccare i maneggi di Calcagno con un "puttino" (ragazzino) figlio della ex "massara" del denunciante). E si trattò certamente d'un segno del nuovo clima portato dalla neonata Controriforma, dal concilio di Trento. Toccò all'allegra brigata di Brescia (come a mille altri ignoti) constatare sulla propria pelle la fine di un'epoca. Un nuovo atteggiamento più bacchettone rendeva impossibile la spudorata sincerità del libertinismo delle origini, e necessario il "nicodemismo" [9]. Conferma queste considerazioni la sentenza contro Calcagno, laddove specifica chiaramente di voler comminare pene "esemplari", che fungessero da monito per la cittadinanza.
Criteri di trascrizione e particolarità linguistiche
Il testo del processo Per
leggere la trascrizione del processo fare clic qui.
Epilogo
In particolare
si legge nella lettera [7]:
È possibile che dietro questa richiesta si celassero pressioni dei famigliari o amici del Calcagno, che desideravano un giudice più "sensibile" alle pressioni locali di quanto non fossero le autorità veneziane, la cui severità nei confronti dei sodomiti era proverbiale. Il 23 agosto,
lettera ai Rectores Brixiae che non tiene in nessun conto la richiesta
del vicario ed anzi ordina:
Il 29 agosto i Rectores inviano lettera "accompagnatoria" per gli estradati a Venezia. Il 14 ottobre i Rectores accusano ricevuta della sentenza definitiva, e comunicano che i libri di Calcagno si trovano presso l'inquisitore di Brescia.
Calcagno
è giudicato da una commissione di teologi e dottori. La sentenza
è in latino, ma viene riassunta in italiano come segue:
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Note
[1]
Da: "Sodoma" n. 5, primavera-estate 1993, pp. 43-55.
[2]
ASV, "Consiglio dei Dieci", Miste, reg. 7, in data 10 sett. 1550.
Dopo la pubblicazione
del presente saggio cercai, all'Archivio di Stato di Brescia, tracce
di questa cerchia libertina. Purtroppo però questo archivio era
stato in gran parte mandato al macero (!) nell'Ottocento.
Meritevole di nota anche il fatto che Calcagno appaia ancora in Rete come semplice "luterano", cosa che non era affatto, censurando sia le sue convinzioni "libertine" sia la sua omosessualità. [3] ASV, "Consiglio dei Dieci", Miste, busta 11, 102. [4]
Anche Giovanni Treccani degli Alfieri nella sua Storia di Brescia
(Morcelliana, Brescia 1963, vol. 2) cita il caso di Francesco Calcagno
affermando (p. 515, nota 9) che "fra i seguaci delle sette riformatrici
era (...) un prete Calcagnino, bruciato a Brescia nel 1550".
[5] Viceversa Giorgio Spini, nel suo Ritratto del protestante come libertino (in: Tullio Gregory et all., Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento, La Nuova Italia, Firenze 1981, pp. 177-188) documenta l'attribuzione (da parte dei cattolici) dei tratti del libertino ai protestanti. L'ostentata indifferenza con cui le fonti cattoliche confondono "libertinismo" e "protestantesimo" è indice della deliberata non-volontà di prendere in considerazione i tratti specifici degli avversari, a cui vengono attribuiti a forza lineamenti prefabbricati, e quindi perfettamente intercambiabili. Ciò dovrebbe metterci in guardia contro l'immagine tradizionale del libertino, che spesso non contiene nulla di autentico. [6] Si tratta con ogni probabilità della Cazzarìa di Antonio Vignali de' Buonagiunti, composta nel 1525/1526, pubblicata fra il 1530 e il 1540. È stata riedita dalle Edizioni dell'elefante, Roma 1984. [7] Tutte le lettere che seguono si trovano in: ASV, "Santo Offizio", busta 8, "pezza" 29. [8] Cfr. anche Giovanni Treccani degli Alfieri, Op. cit., vol. 2, p. 449: "Il prete Calcagnini, riferisce il Caravaggi, venne barbaramente giustiziato: gli venne strappata la lingua, dopo di che fu decapitato e bruciato". |