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Indice
del presente saggio:
1.
Introduzione
1. Introduzione.[1] La seconda metà
del XIX secolo è un periodo cruciale per la storia dell'omosessualità,
perché è in questo periodo che vengono definiti la terminologia
e l'approccio "medico-legale" al problema, quali li conosciamo ancor
oggi [2].
Di questo sforzo il concetto di "degenerazione", tema del presente saggio, è, parte integrante, al punto che senza di esso non si può capire la concezione che dell'omosessualità si ebbe immediatamente prima di Freud. Fra il 1870 ed il 1905 (anno più, anno meno) non esiste quasi scritto in cui omosessualità e degenerazione non siano, in un modo o nell'altro, collegate. In alcune sacche reazionarie questo legame sopravvisse fino alla seconda guerra mondiale, ed in Unione Sovietica riuscì persino a trascinarsi per qualche anno dopo di essa. Da qui l'interesse che a mio parere riveste lo studio di questa idea. Credo che l'esame
dello schema d'interpretazione ottocentesco del comportamento omosessuale
possa servirci, oltre che per una curiosità storica, come antidoto
contro la tentazione di considerare "vere" le spiegazioni correnti su quello
che è o non è l'omosessualità, solo perché
"spiegano tutto" in modo "convincente".
Poiché i termini della questione sono ormai irrimediabilmente e totalmente estranei al nostro modo di pensare ed alle nostre nozioni, questo saggio inizia con l'esposizione delle teorie da cui il concetto di "degenerazione" nacque. Successivamente esplorerà i legami stabiliti dagli studiosi ottocenteschi fra degenerazione ed omosessualità, fino al crollo del degenerazionismo ed ai suoi ultimi sussulti nel nazismo e nello stalinismo. 2. Le basi del concetto di "degenerazione" e Bénédict-Auguste Morel Già il
latino classico conosceva un verbo degenerare, che indicava
l'azione di perdere una qualità posseduta in passato, o comunque
tipica del "genere" (specie animale, popolo, classe sociale, mestiere)
di cui si fa parte.
In italiano
questi termini entrano presto (già nel Due-Trecento) conservando
i vari significati che possedevano in latino. Fra gli altri ne fecero uso
Dante ("e qui si intende viltade per degenerazione,
la quale a la nobiltade s'oppone") ed il Boccaccio [3].
Perciò, quando nel 1857 il francese Bénédict-Auguste Morel (1809-1873) fece sua questa terminologia nel suo bel Traité des dégénérescences physiques, intellectuelles et morales de l'espèce humaine, et des causes qui produisent ces variétés maladives.[4], non fece altro che "rilanciare" un concetto e dei termini in un certo senso "tradizionali", già pronti. L'àmbito
"tradizionale" di questo suo uso è specificato già nel titolo
del libro, che stabilisce un'equivalenza fra dégénérescences
e variétés maladives de l'espèce humaine.
Costui, nelle
sue Recherches de pathologie comparée (1853) aveva usato
il concetto di dégénération applicandolo ad
animali e vegetali, per indicare la tendenza delle specie domestiche
ed "artificiali" a tornare a conformazioni tipiche delle specie
selvatiche ("naturali") da cui discendono (ad esempio del maiale
a riprendere fisionomie tipiche dei cinghiale).
Lo studioso francese rivela quindi nel suo libro un approccio alla degenerazione pienamente positivista ma ancora pre-darwiniano. L'uomo per lui "n'est ni le produit du basard, ni la manifestation dernière de prétendues transformations incompatibles avec les notions les plus vulgaires sur la succession des espèces selon leur type primitif" [5].Partendo da una razza umana sempre uguale a se stessa, che non si è "evoluta da" e non si "evolve verso", egli identifica una serie di circostanze sociali ed ambientali che causano l'allontanamento (in peggio) dal suo standard ottimale. Queste possono essere climatiche (presenza nociva di paludi) o culturali (abuso di sostanze nocive come l'alcol), ma nell'epoca "attuale" si riducono spesso ad una sola: le inumane condizioni di vita e di lavoro che la "rivoluzione industriale" ha imposto alle classi lavoratrici. Per Morel la
degenerazione si configura quindi come una sorta di "consunzione",
di usura precoce degli strumenti corporei atti a procreare altri corpi
di uomini. Essa è, sfortunatamente, ereditaria, e può aggravarsi
di genitore in figlio, fino a portare all'estinzione del "ceppo" ammalato.
Da positivista autenticamente preoccupato del "progresso" e spinto dall'ottimismo, Morel scrive allo scopo di "améliorer l'état intellectuel, physique et moral de l'espèce humaine" [6], ed in particolare quello degli "individus qui vivent dans les constitutions marécageuses du sol, ceux qui passent une partie de leur existence dans le milieu méphitique des logements insalubres, des mines et des fabriques, les tristes victimes de l'intoxication alcoolique".[7],proponendo rimedi di "igiene sociale". Per lui la degenerazione non è quindi una via "a senso unico": benché sia ereditaria, le condizioni dei discendenti di "degenerati" possono essere rapidamente migliorate fornendo loro cibo, alloggio, educazione e condizioni di lavoro migliori di quelle dei loro genitori. È questo il processo di "rigenerazione", ossia l'inverso della "degenerazione". 3.
Il concetto di degenerazione nel pensiero degli evoluzionisti
Due soli anni dopo l'apparizione del libro di Morel, Charles Darwin (1809-1882) pubblicava L'origine della specie (1859; l'edizione definitiva fu pubblicata solo nel 1872, un anno dopo L'origine dell'uomo). L'intera costruzione morelliana veniva ipso facto superata. Tuttavia, poiché
le idee di Darwin furono per anni oggetto di polemiche
e diatribe,
essa ebbe ugualmente il tempo non solo di farsi conoscere, ma anche di
mettere radici sufficientemente salde per sopravvivere alla rivoluzione
darwiniana, adattandosi alla nuova concezione del mondo.
Non fu comunque il darwinismo vero e proprio ad assorbire il concetto di "degenerazione", ma piuttosto quella particolare lettura del pensiero darwiniano, filtrata attraverso Herbert Spencer, che va sotto il nome di "darwinismo sociale". Come tutti sanno
Darwin aveva scoperto l'evoluzione delle specie viventi, che avviene
attraverso una competizione per la sopravvivenza, in cui i più adatti
a un determinato ambiente sopravvivono e si evolvono a spese dei meno adatti.
Herbert
Spencer (1820-1903) aveva poi applicato (Principles of
biology, 1872) il
modello evoluzionistico alla società umana, ma reinterpretandolo
in modo tale che nella sua visione non è tanto il più
adatto a sopravvivere (il più adatto potrebbe benissimo
essere l'individuo più piccolo e debole) quanto il più
forte.
Questa filosofia
della vita, applicata in particolare alla società ottocentesca,
giustificava
automaticamente ogni tipo di dominio, in quanto sosteneva che la
classe superiore è "naturalmente" formata dagli individui migliori,
quelli che hanno avuto più successo nella lotta per la sopravvivenza.
Eppure, nonostante questa mentalità da "migliore dei mondi possibili", i nostri avi non poterono dimenticare che l'evoluzione non è un fenomeno "razionale" e lineare, ma avviene seguendo il caso. Càpita infatti che ogni tanto riemergano, nella progenie di una specie, conformazioni fisiche superate già da molto tempo, ma rimaste "latenti" nel codice genetico. È questo il caso, per esempio, dello zoccolo tripartito del cavallo, o della coda nell'homo sapiens. Per trovare
una spiegazione "razionale" a questo fenomeno apparentemente "irrazionale",
i nostri antenati tirano in ballo non la genetica, che non conoscevano,
ma la "degenerazione".
Sino alla riscoperta
di Mendel fu perciò un altro "studioso", sir Francis
Galton (1822-1911, cugino di Darwin) a tenere banco con le sue
due "leggi" sulla "regressione filiale" e sulla "eredità
ancestrale".
Applicato alla società, questo fenomeno portava alla sgradevole conclusione che quanti sono al vertice dell'evoluzione, non lo sono necessariamente per sempre: d'improvviso la loro progenie, per atavismo o degenerazione, può trovarsi ad un livello evolutivo non solo più basso di quello dei genitori, ma anche della progenie di individui "inferiori". A questa temuta conclusione contribuirono anche le prime scoperte dell'embriologia, soprattutto quella (più presunta che vera) che Ernst Haeckel (1834-1919) battezzò "ricapitolazione filogenetica". Secondo questa
tesi l'apparizione, nell'evoluzione del feto umano, di organi rudimentali
non tipici della razza umana significa che il feto umano, alla pari di
quelli di altri animali superiori, ripercorre a velocità fantastica
nel corso del suo sviluppo il cammino dell'evoluzione. Inizia come cellula
unica, per assumere configurazioni dapprima molto simili a quelle degli
animali inferiori (a un certo stadio possiede non solo la coda come le
scimmie, ma addirittura le branchie come i pesci) e solo in un secondo
tempo quella tipica dell'essere umano.
In base a questa teoria fu facile spiegare la ragione di certe malformazioni: ad esempio l'esistenza di uomini nati con la coda sarà dovuta semplicemente al persistere nell'individuo maturo di questa caratteristica tipica del feto e di forme "inferiori" di vita. L'"arresto di sviluppo" permetteva così di spiegare più o meno a proposito una serie di fenomeni fin lì misteriosi. È però importante sottolineare che, per la legge della "ricapitolazione filogenetica" ogni "arresto di sviluppo" nell'evoluzione del feto implicava, di per sé, l'arresto ad una forma arcaica, "atavistica" di sviluppo, ormai abbandonata dalla specie umana: cioè, fatalmente, implicava la "degenerazione". 5. Il degenerato criminale e il degenerato sessuale Un'epoca materialista
e meccanicista come l'Ottocento era particolarmente incline a cercare
nella fisiologia la "causa" della differenza dei comportamenti
umani.
In questo contesto non c'è da stupirsi se si cercarono nella fisiologia le cause del comportamento "deviante" di ogni tipo, compreso quello sessuale. In un'epoca
come la nostra, abituata
dalla psicoanalisi a cercare in campo psicologico le "cause" del
comportamento "diverso", può sembrare strano attribuire l'omosessualità
di un individuo ad un arresto di sviluppo del suo sistema nervoso.
Eppure questo è quanto fu fatto alla fine dell'Ottocento.
Lo stesso discorso
vale anche per il "degenerato sessuale", ossia il delinquente sessuale
in genere, e l'"invertito" (o "uranista")
in particolare.
Lo stimolo allo studio, oltre tutto, proveniva dalla discussione sull'opportunità di mantenere in vigore le leggi antiomosessuali, oppure abrogarle, come aveva fatto il Codice Napoleonico, e non era quindi dei più felici: non per nulla i primi studiosi dell'omosessualità furono soprattutto i medici-legali. In queste condizioni
i primi casi che arrivarono alle mani degli "studiosi" furono quelli dei
transessuali, sia perché la loro "diversità" spiccava
in modo più netto e più immediatamente riconoscibile, sia
anche perché essi, a differenza di molti omosessuali, possedevano
un'identità deviante fortemente strutturata, e più facilmente
reclamavano il loro diritto alla diversità.
Inoltre, in una società in cui le differenze fra uomini e donne erano esasperate come accadeva nell'Ottocento, gli stessi omosessuali non potevano sottrarsi alla visione "bipolare" della sessualità. A meno di pensare al loro comportamento "diverso" come a un disturbo che s'innestava su un'identità "normale" (e indubbiamente furono innumerevoli gli omosessuali che scelsero questa soluzione), quanti volevano sottrarre alla sfera del "vizio", del "peccato" il loro modo di essere erano costretti a sottolineare il fatto che la loro non era una condizione acquisita, a causa di eccessi di lussuria, bensì innata. Se non si voleva
lasciare il discorso sull'omosessualità in mano alle Chiese cristiane,
che non potevano fare altro che condannarla come peccato, vizio, e frutto
di dissolutezza, era necessario insistere con tutte le forze perché
fosse accettato come un fenomeno innato, che non potendo esser oggetto
di scelta volontaria non poteva essere neanche causa di peccato.
Per queste ragioni
la prima concezione dell'omosessualità fu quella di un "sentire
sessuale contrario" (Conträre Sexualempfindung
od "inversione",
cioè una sorta di sessualità "capovolta".
Gli storici
francesi della devianza hanno suggerito, nei loro studi degli anni passati,
che la nascita dell'omosessuale in quanto "diverso" sia il frutto del lavoro
di catalogazione e sistemazione dei medici ottocenteschi.
Di
recente questi militanti sono stati accusati di avere, in pratica,
portato inconsapevolmente acqua al mulino della medicalizzazione, stigmatizzazione,
e incasellamento a fine di controllo sociale del comportamento omosessuale.
Iniziata così
la ricerca di una causa organica dell'omosessualità, la si
trovò grazie all'embriologia.
I casi di pseudoermafroditismo fisico [11] che per tutto l'Ottocento erano stati studiati con sempre maggiore interesse, grazie a questa scoperta poterono essere agevolmente spiegati come persistenze di rudimenti di conformazioni tipiche dell'embrione, che per errore non erano scomparse. Ma se lo pseudo-ermafroditismo
fisico ha tale causa, si chiesero gli studiosi ed i militanti dell'Ottocento,
non è forse possibile che l'inversione sessuale abbia un'origine
analoga? Non potrebbe cioè configurarsi come una sorta di "pseudo-ermafroditismo"
psichico, causato da una persistenza in età adulta di una
fisiologia "ermafrodita" del sistema nervoso, tipica dell'ermafroditismo
fetale?
L'italiano Cesare Lombroso (1835-1909), ad esempio, osservò al proposito: "L'amore invertito ci ricorda gli orrori [sic... NdR] Lesbi e Socratici e li spiega, e forse rimonta a quell'ermafroditismo che Darwin divinò nei nostri più antichi preantenati e che si intravvede nei primi mesi dell'età fetale, ed anche, come ben notò Hoffman, in quell'analogia dei due sessi che io scopersi nei delinquenti" [12].(E forse è inutile notare che, una volta di più, ci troviamo di fronte alla degenerazione...) Questa
è invece l'opinione più matura di Richard
von Krafft-Ebing (1840-1902), l'autore di quella Psychopathia
sexualis che per più di mezzo secolo costituì la
"pietra angolare" su cui si fondarono tutti gli studi sulla sessualità
"diversa" (compresi quelli di Freud):
"La differenziazione dei sessi, colla produzione di caratteri definitivi, è certamente il risultato di una lenta evoluzione graduale. Lo stato originario è l'ermafroditismo o bisessualità, la quale si riscontra ancor oggi negli animali inferiori e negli stadii meno avanzati della vita fetale dell'uomo.E poco oltre così prosegue: "Se si ritiene che disturbi di sviluppo possono dar luogo alla persistenza in eccesso di caratteri bisessuali, specialmente nei territori cerebrali, si spiegano facilmente molti fenomeni, in apparenza paradossali, della perversione sessuale. E cioè si può pensare che il territorio centrale omologo [del proprio sesso, NdR] delle ghiandole genitali esistenti nel singolo caso ha subìto un arresto di sviluppo, mentre ha subìto un aumento di sviluppo il territorio centrale eterologo [del sesso opposto, NdR] . (...)Ovviamente esiste una piccola, ma notevole, differenza, fra le opinioni qui riferite di Krafft-Ebing e quelle dei militanti omosessuali dell'epoca. Il più importante di essi, Karl Heinrich Ulrichs (1825-1895) sosteneva sì che essendo nella fase embrionale i due sessi poco chiaramente determinati, non si poteva escludere che una "anima" di donna si fosse innestata in alcuni casi su un corpo di uomo, e viceversa. Tuttavia egli riteneva che l'"uranita" (o "uranista" o "urningo", cioè l'individuo con tendenze omosessuali) non fosse la vittima di un'anomalia, ma il componente di un vero e proprio "terzo" sesso, che fino ai suoi giorni non era stato riconosciuto. La specie umana, sosteneva Ulrichs, si divide non in due, ma in tre sessi: maschile, femminile ed "intermedio". In questo senso egli, pur utilizzando gli stessi dati e gli stessi ragionamenti da cui partivano gli scienziati degenerazionisti, riusciva a costruire una spiegazione delle "cause" dell'omosessualità che faceva a meno del concetto di degenerazione. Purtroppo, per
il pensiero scientifico della sua epoca, aveva un notevole difetto: parlando
di "anima" rinchiusa in un corpo inadatto, non riusciva assolutamente
a rendere conto di come materialmente accadesse questo "travaso di psiche"
da lui ipotizzato.
La "traduzione"
compiuta da Krafft-Ebing di "anima" come "sistema nervoso" è
quindi perfettamente comprensibile, e coerente con l'impostazione materialista
della scienza ottocentesca.
Krafft-Ebing arrivò infine a dichiarare (nonostante l'accusa oggi mossagli dai "costruzionisti storici" di essere stato il più gran "criminalizzatore" degli omosessuali nella sua epoca): "Si tratta dunque di un fenomeno naturale sul quale la volontà dell'individuo non ha influenza. 7. Omosessualità e criminalità Alla luce di
quest'ultima affermazione non si può negare al degenerazionismo,
nonostante il carattere di strumento di controllo sociale che presto assunse,
un grande merito: quello di aver diminuito la colpa che il diverso
ha nell'essere tale. Il criminale-nato, cioè chi è incapace
di comportarsi normalmente perché è "degenerato", lo è
indipendentemente dalla sua volontà. Egli non ha colpa di
essere quello che è, perché manca di senso morale per ragioni
ereditarie.
Il "sorvegliare
e punire" (per dirla con Foucault)
tipico dell'epoca precedente diviene così sempre più un semplice
"sorvegliare e reprimere" (affinché l'ordine non sia
turbato), senza connotazioni moralistiche. Non è per un caso se
nel nostro Paese il nuovo Codice
Zanardelli, emanato nel 1889, prevedeva la non-punibilità
legale degli atti omosessuali compiuti in privato fra adulti consenzienti,
gettando le basi di una tradizione legislativa che s'è mantenuta
fino ai giorni nostri [17].
In Italia chi
soprattutto si fece portavoce, con la sua cerchia, di questo punto di vista,
fu il già citato Cesare
Lombroso (1835-1909). Sono
note a tutti le sue misurazioni di crani, di mani, di angoli facciali,
di andature, allo scopo di determinare il tipo fisico del deliquente-nato
degenerato, in modo da poterlo individuare da un semplice esame
somatico.
Nei suoi studi
su "l'uomo di genio" (1864) e su "l'uomo delinquente" (1878) Lombroso fece
alcune "scoperte" in proposito [18].
Secondo lui determinati tipi di pazzia si possono spiegare con l'"aplasia"
(cioè il mancato sviluppo) di certe parti del cervello che sovraintendono
a precise funzioni dell'intelligenza e del comportamento.
8. Crisi e scomparsa del concetto di degenerazione Ma ahimé,
nella storia umana tutto è transitorio. Dopo qualche decennio di
successo anche la barca della "degenerazione" inizia a fare acqua.
Vari studiosi,
in polemica con la scuola lombrosiana, sottolineano l'importanza del ruolo
giocato dall'ambiente nella determinazione di un "carattere criminale".
La contestazione di questi studiosi fu cosi serrata ed efficace che alla fine lo stesso Lombroso non poté fare a meno di ammettere, nei suoi studi più tardi, che l'ambiente ha una certa importanza nella determinazione del carattere dei criminali, e che la "degenerazione" da sola non permetteva di rendersi pienamente conto della complessità della questione. In un altro
campo, quello della sessualità, le idee di Sigmund
Freud iniziarono a farsi strada a partire dall'ultimo decennio
dell'Ottocento, prendendo
piede a tutto scàpito delle spiegazioni che si fondavano sul degenerazionismo,
e finendo col conquistarsi un'importanza che tutti conosciamo.
Facendo tesoro di questo fervore di idee, nel 1903 Otto Weininger (1880-1903), in un libro molto controverso, Sesso e carattere, lanciò l'idea che ogni individuo è per natura bisessuale, cioè che in ogni individuo còvino per natura tendenze psichiche sia etero che omosessuali. Egli si spinse a dichiarare: "Non esiste neppure amicizia tra uomini, che sia totalmente priva di qualunque elemento di sessualità. (...) L'esser "benviso", la protezione, il nepotismo fra uomini si riferiscono per buona parte a tali relazioni sessuali spesso incoscienti [inconscie, NdR]" [21].È chiaro che se tutti gli esseri umani sono in potenza omosessuali, l'omosessualità non può essere una "degenerazione" di solo alcuni fra loro. La presa di
posizione di Weininger.non
nasce ovviamente dal nulla, ma è in fondo l'estrema conclusione
delle discussioni sui caratteri di ermafroditismo latenti nelle specie
animali, che Darwin stesso aveva ipotizzato per primo.
Si andava così completando un quadro che rendeva sempre più difficile considerare l'omosessualità come anomalia, e suggeriva con sempre maggiore insistenza che fosse piuttosto una potenzialità presente in ogni essere umano. È questa
l'opinione cui arriva pionieristicameente nel 1908 l'olandese Arnold
Aletrino (1858-1916, che non era omosessuale) come logica
conclusione della sua serrata critica alla spiegazione degenerazionistica
dell'omosessualità.
*** Essi sostenevano che gli individui "più adatti" alla sopravvivenza non erano quelli della ristretta minoranza al potere, ma quelli della massa popolare, sana e vigorosa, il "quarto stato" che grazie alla marea montante del socialismo avrebbe strappato entro breve il potere all'anemica borghesia, autocondannatasi alla degenerazione per i suoi abusi di lussi, per la sua vita artificiale, molle, innaturale. Anche i frequenti scandali provocati dalle leggi antiomosessuali in vigore in molti Stati europei furono sfruttati dalla sinistra di allora, che aveva buon gioco nel dichiarare che la "degenerazione" da cui era colpita la borghesia si manifestava chiaramente nel sempre maggior numero di "invertiti" che nascevano nel suo seno [23]. A questa visione della situazione sociale di allora contribuì involontariamente un autore tutt'altro che rivoluzionario, Max Nordau (pseudonimo di Simon Suedfeld, 1849-1923) che, influenzato dalle idee di Lombroso, applicò il concetto di "degenerazione" all'arte, alla filosofia, alla letteratura del suo tempo in un libro che fu un bestseller mondiale, Degenerazione (1892-93) [24]. La sua moralistica condanna come "degenerate" delle espressioni culturali "di punta" della borghesia del suo tempo, non poté non confermare nel loro punto di vista i "sovversivi" di allora. Così
stando le cose, era giunto il momento di sbarazzarsi di questo concetto
divenuto ormai inutile, se non controproducente.
La borghesia piccola piccola aveva trovato in questa visione del mondo certezze "granitiche e irrevocabili", e non volle rinunciarvi senza combattere. Quando, nel corso della Rivoluzione d'Ottobre, questa borghesia piccola piccola si dimostrò disponibile a collaborare con il potere sovietico, non si ebbe una sua conversione al materialismo dialettico (troppo faticoso, con il suo procedere per "negazioni di negazioni") ma piuttosto ad un materialismo "volgare", meccanicistico, più familiare alla cultura che aveva respirato fino a quel momento. Ecco quindi,
nel Paese del "proletariato vittorioso", il trionfo delle idee di cui altrove
la borghesia si stava ormai sbarazzando!
La stessa classe sociale riuscì anche altrove, per nostalgia e revanscismo, ad imporre per mezzo del nazismo un analogo recupero del degenerazionismo, col risultato di teorizzare la necessità dello sterminio dei "degenerati" omosessuali. Questo tardivo recupero costò la vita a un numero di omosessuali compreso fra i 15.000 e i 30.000 (la cifra è ancora controversa), a causa delle deportazioni nei lager nazisti. Ho già esaminato altrove i presupposti culturali e ideologici e lo svolgimento di questa persecuzione, e non insisterò quindi sull'argomento. Mi basti solo aggiungere che l'uso e abuso che fece il nazismo dell'idea di "degenerazione", fu sufficiente a terminare di screditare e a decretare l'immediata scomparsa di questo concetto dalla scena intellettuale del dopoguerra. Debellata così per sempre l'ultima resistenza del degenerazionismo, la psicoanalisi americana poté finalmente sbarcare sul Vecchio Continente e trasformare ex abrupto l'omosessuale in un nevrotico. Il resto è storia d'oggi. Come appendice
a questo saggio, e come esemplificazione delle tesi qui riassunte, ho tradotto
dal francese un saggio di Cesare Lombroso, Del
parallelismo tra l'omosessualità e la criminalità innata
[1906].
L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1]
Edito originariamente in "Sodoma" n. 2, anno II, estate-autunno 1985, pp.
59-74.
Per approfondire il tema di questo saggio rimando alla sintesi veramente preziosa di Pasquale Penta, Dei vari studi pubblicati sui pervertimenti sessuali dai primi sino ai più recenti dei giorni nostri, "Archivio delle psicopatie sessuali", 1 1896, pp. 9-15 e 111-117 (purtroppo incompleto perché la rivista scomparve prima della terza "puntata" di questo saggio). Un po' meno brillante è la sintesi tentata da Vito Massarotti in Nel regno di Ulrichs, Lux, Roma 1913, ma è altrettanto utile. Molto chiaro e schematico si rivela anche: Giovanni Lombardi, Degenerazione psicopatica e delinquenza, "La giustizia penale", XL 1934, coll. 156-160, che ovviamente, data l'epoca, è "venuto per seppellire, non per lodare". Per maggiori dati bibliografici si vedano le pp. 79-101 della mia bibliografia: Giovanni Dall'Orto, Leggere omosessuale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, specificamente dedicate agli studiosi ottocenteschi. Sull'omosessualità in Italia fra Ottocento e Novecento si veda infine: Giovanni Dall'Orto, Frugando nei cassetti del nonno. Quando gli omosessuali non erano ancora "gay". [2] Ho dedicato al tema un saggio: "L'evoluzione del concetto di 'omosessualità' nei secoli, in: Ferruccio Castellano (a cura di): Essere omosessuali, AGA, Cuneo 1981, pp. 39-62, che però oggi considero superato: avevo appena letto Foucault e ne ero un po' troppo entusiasta. Oggi ci andrei più cauto... [3] Dante Alighieri, Convivio, Le Monnier, Firenze 1954; tratt. IV, cap. 10, par. 10. Vedi al proposito Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, UTET, Torino 1961-2002, Vol. 4, alle voci: "degenerare", "degenerato", "degenerazione". [4] Bénédict - Auguste Morel, Traité des dégénérescences physiques, intellectuelles et morales de l'espèce humaine et des causes qui produisent ces variétés maladives, Ballière, Paris 1857 (2 voll.). In Italia una copia di questo libro è posseduta dalla biblioteca nazionale di Bologna. [5].Ibidem, pp. 6 e 2. [6].Ibidem, p. IX. [7].Ibidem,
pp. XIII-XIV.
[8] La differenza fra "degenerazione" ed "atavismo" è che mentre il primo termine indica un qualsiasi peggioramento del lignaggio evolutivo di un individuo, e comprende quindi anche le mostruosità fisiche non funzionali, il secondo indica esclusivamente quel "peggioramento" che ripropone soluzioni evolutive che la specie ha già conosciuto nella sua storia passata. [9] Johann Casper, Über Nothzucht und Päderastie, "Vierteiljahrsschrift für gerichtliche und öffentliche Med. Bin.", I 1852, pp. 21-78; Johann Casper, Manuale pratico di medicina legale [1856], Botta, Torino 1858; Johann Casper, Novelle cliniche appartenenti alla medicina legale [1863], Botta, Torino 1872; Karl Westphal, Die conträre Sexualempfindung, "Archiv für Psychiatrie und Nervenkrankheiten", II 1870, pp. 73-108. (Oggi i "costruzionisti storici", per un qualche motivo che mi sfugge, venerano Westphal come "Inventore dell'omosessualità"). A livello di curiosità va osservato che la teoria "neurologica" dell'omosessualità fu riesumata nella Germania ex comunista (sic) da Günter Dorner, che sosteneva che l'omosessuale è tale perché il suo cervello è stato "femminilizzato" da un eccesso di ormoni nel periodo fetale. Costui sosteneva addirittura di poter "curare" l'omosessualità per mezzo della "psico-chirurgia". [10].Heinrich Hössli, Die Unzuverlässigkeit der äusseren Kennzeicheben im Geschlechtsleben des Leibes und der Seele, selbstverlag, Glarus 1836 e Scheitlin, St. Gallen 1838 (2 voll.). Seconda e terza edizione [1892 e 1924] coI titolo Eros, riedita in ristampa anastatica dalla Rosa Winkel verlag, Berlin 1996 (3 voll.). Karl Heinrich Ulrichs (1825-1895) pubblicò fra il 1864 ed il 1868 ben sette opuscoli (Inclusa, Vindex, Ara Spei, Formatrix, Vindicta, Gladius furens, Memnon), riediti insieme da Spohr, Liepzig 1898. Ristampa anastatica: come: Karl Heinrich Ulrichs: Forschungen über das Rätsel der mannmännlichen Liebe, Rosa Winkel verlag, Berlin 1994, 4 voll. Karl Maria Benkert (o Kertbeny), Paragraph 143 des preussischen Strafgesetzbuches vom 14 April 1851, Serbe, Liepzig 1869. Ora in: Karl Maria Kertbeny, Schriften zur Homosexualitäts- forschung (a cura di Manfred Herzer), Rosa Winkel verlag, Berlin 2000. Su Ulrichs vedi anche: Nicolò Persichetti, In memoriam Caroli Henrici Ulrichs, Cappelli, S. Casciano 1896. Su tutti e tre questi militanti vedi: John Lauritsen e David Thorstad, Per una storia del movimento dei diritti omosessuali, Savelli, Roma 1979. [11]
Un buon esempio di questo interesse per l'ermafroditismo è: Hérculine
Barbier, Una strana confessione: memorie di un ermafrodito,
Einaudi, Torino 1979 (pubblicato originariamente nel 1874 da Ambroise
Tardieu).
[12] Cesare Lombroso, L'amore nei pazzi, "Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale", II 1881, p. 32. [13] Richard von Krafft-Ebing, "Sulle perversioni sessuali", in: E. Leyden - F. Klemperer (a cura di), La clinica contemporanea, vol. VI, Soc. Ed. libraria, Milano 1908 (pp. 94-132), p. 96. [14].Ibidem, pp. 98 e 105. [15] Fu probabilmente per questa ragione che Benkert, nell'opuscolo già citato, coniò il termine "Homosexualität" in concorrenza con il termine "Uranismus" che era stato proposto da Ulrichs: Benkert infatti insisteva sulla virilità a tutta prova dell'"omosessuale", mentre Ulrichs non aveva paura di ammettere la propria "effeminatezza". [16] Richard von Krafft-Ebing, Op. cit., p. 108. [17].Ho avuto già modo di esaminare le vicissitudini della legislazione penale italiana nel mio saggio: "Le ragioni di una persecuzione", in: Martin Sherman, Bent, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985, pp. 101-119. [18] Cesare Lombroso, Genio e follia, Milano 1864 (ed. definitiva col titolo di: L'uomo di genio, 1894); Cesare Lombroso, L'uomo delinquente, Bocca, Torino 1878 (quinta edizione: 1896-1897). [19]
Vedi ad esempio, al proposito:
Havelock Ellis, Nota sulle facoltà artistiche degli invertiti, "Archivio delle psicopatie sessuali", I 1896, pp. 243-45. [20] Gregorio Marañón, L'evoluzione della sessualità e gli stati intersessuali [1929], Zanichelli, Bologna 1934. Leonidio Ribeiro, Omosessualità ed endocrinologia [1938], Bocca, Milano 1939 (con prefazione di Marañón). [21] Otto Weininger, Sesso e carattere, Bocca, Torino 1922, p. 44. Nuova edizione: Feltrinelli, Milano 1978. Si veda anche Ernest Jones, Vita e opere di Freud, Il Saggiatore, Milano 1962, vol. 1, pp. 371-385 (su Weininger, Freud e Fliess). [22] Arnold Aletrino, Uranisme et dégénérescence, "Archives d'anthropologie criminelle", XXIII 1908, pp. 633-667. Aletrino aveva comunque già esposto idee avanzatissime nel 1901, nell'articolo: La situation sociale de l'uraniste, "La scuola positiva", XI 1901, pp. 481-496. [23] Cfr. al proposito: Giovanni Dall'Orto, La rivoluzione contro gli omosessuali e la contro-rivoluzione sessuale del socialismo, "Lotta continua", 14 gennaio 1982, soprattutto per quanto riguarda Paolo Valera, Silvano Fasulo e lo scandalo Krupp. [24].Max
Nordau, Degenerazione, Bocca, Torino 1896, 2* ed.
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