Questa è la prima parte di uno studio sugli omosessuali confinati in epoca fascista.
Per la seconda parte fare clic qui.
Due anni fa, concludendo un mio saggio sulla condizione omosessuale sotto il fascismo (pubblicato in appendice a Bent di Martin Sherman), lamentavo la mancanza di qualsiasi studio sulla repressione degli omosessuali durante il Ventennio. In assenza di una repressione violenta ed evidente come quella avvenuta nella Germania nazista (con deportazioni nei campi di sterminio ed uccisioni in massa) gli storici “per bene” (e perbenisti) avevano avuto buon gioco nel far finta di nulla: "Non esiste nessuna documentazione al proposito", ripetevano.
Soltanto romanzieri e registi avevano osato affrontare l'argomento, come ad esempio Piero Chiara ne Il balordo, o Ettore Scola nell'indimenticabile Una giornata particolare.
Del resto l'iniziativa degli storici gay, che tante volte s'è sostituita alle reticenze degli storici sedicenti “seri”, era frenata dalle difficoltà e dai costi di una ricerca dei genere.
Non avrei perciò mai immaginato che, due soli anni dopo avere scritto quelle righe, l'Arcigay sarebbe intervenuta, fornendomi preziosi “contatti” e coprendo interamente le spese legate alla ricerca. In questo modo s'è riusciti ad esaminare per la prima volta decine di fascicoli di omosessuali condannati al confino fascista.
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Lo svolgimento della ricerca
Negli anni passati l'Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti-(Anppia)ha svolto un'impressionante opera di ricerca e catalogazione dei circa 20.000 fascicoli personali dei confinati politici, conservati presso l'Archivio centrale dello Stato a Roma.
Nel
corso dei lavoro (conclusosi con la pubblicazione di due
poderosi volumi sull'argomento [2])
è capitato ai ricercatori di imbattersi spesso in casi di omosessuali:
invece di trascurarli, come avevano fatto finora gli storici benpensanti,
ne hanno preso accuratamente nota.
Scrupolo di correttezza storica che si è rivelato prezioso, rendendomi possibile, utilizzando lo schedario dall'Annpia (messomi a disposizione senza alcuna difficoltà) individuare ottantadue fascicoli sull'argomento. Senza l'aiuto dell'Annpia avrei avuto bisogno di parecchi mesi di lavoro ininterrotto per consultare, “alla cieca”, gli oltre millecento raccoglitori che compongono l'archivio dei “confinati politici”. // [p. 15]
La relazione che segue (che per ragioni di spazio verrà divisa in due parti) è frutto dei lavoro compiuto sui fascicoli personali.
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Composizione del materiale
Va innanzi tutto detto che gli ottantadue fascicoli che gli studiosi possono consultare rappresentano solo una minima parte dei materiale conservato presso l'Archivio. La massima parte di esso è sottoposta ai vincoli del segreto, ed è inoltre dispersa fra le oltre ventimila pratiche di “ammonizione” (comminata agli omosessuali con maggiore frequenza dei confino), su cui nessuno ha ancora fatto un lavoro di ricerca, e su cui pure grava ancora il segreto.
Queste limitazioni fanno sì che, con l'eccezione di una quindicina, tutti i processi esaminati risalgano agli anni 1938-1939, quando gli omosessuali furono classificati come “detenuti politici”, per effetto delle nuove leggi sulla “difesa della razza” che il fascismo aveva promulgato scimmiottando quelle tedesche.
Viceversa, i fascicoli precedenti al 1936 sono classificati fra quelli per reati comuni, e non sono consultabili li prima di settant'anni dalla sentenza. Ad esempio, noi sappiamo [nel 1986] dai documenti d'epoca che nel 1927 numerosi omosessuali veneziani furono inviati al confino, ma i loro fascicoli non potranno essere studiati prima del 1997.
Lo schedario per argomenti dell'Archivio segnala anche la presenza di una relazione della Questura sui “pederasti di Firenze”, ma poiché essa risale al 1940, non sarà accessibile prima del 2010!
Non basta: sui cinquantasei confinati presenti nel 1940 a S. Domino delle Tremiti, ben quarantasei erano stati inviati dal questore di Catania, Molina, che da solo mandò dunque oltre la metà dei confinati.
Per queste ragioni si potrebbe pensare che la ricerca svolta sia, in definitiva, poco significativa.
Invece non è così. Una concentrazione temporale e geografica così netta mi ha permesso di avere in mano un campione rappresentativo della realtà omosessuale di una città italiana dei 1939 (Catania), di fronte al quale stanno nuclei di casi da altre città (Firenze, Salerno), che possono fungere da “campioni di controllo” e casi individuali più sparsi nel tempo (il primo caso di confino politico ad omosessuale, l'unico per una donna che abbia trovato, risale al 1928) e nello spazio. Ciò rende sufficientemente completo il quadro dell'Italia “diversa” dei periodo fascista.
C'è veramente di tutto: il contadino e il sacerdote, l'analfabeta e il funzionario, il pedofilo e il prostituto, il meridionale e il settentrionale, il travestito e la “velata”.
Complessivamente, credo che il campione a mia disposizione fosse veramente molto ricco ed articolato, tale da fornire un'immagine che posso definire “completa”.
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Reati politici o reati comuni?
È solo per un cavillo di definizione che ci è stato concesso di ficcare il naso in vicende in cui non avevamo diritto di curiosare?
Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci: la risposta è no.
Le motivazionidella repressione contro gli omosessuali nel periodo esaminato (ovviamente non posso pronunciarmi a riguardo degli altri anni) furono politiche e nulla avevano a che fare con reati comuni.
Si ricordi infatti che il Codice Rocco (promulgato dal fascismo nel 1933, e tuttora in vigore) non prevede l'omosessualità (fra adulti consenzienti ed in privato) come figura di reato.
Nulla dunque, nelle stesse leggi fasciste, permetteva di considerare gli atti omosessuali compiuti senza violenza o scandalo come “reati di diritto comune”.
Del resto le autorità fasciste sono esplicite nel dichiarare l'elemento politico e ideologico della loro azione.
Ad esempio, nella cartella di Nunzio H. di Palermo, è contenuta una comunicazione dei prefetto di Foggia che avvisa che quel confinato politico è giunto alle Tremiti.
Il prefetto di Palermo gli risponde puntualizzando: “In relazione alla nota a margine, informo che l'individuo in oggetto è confinato comune e non politico”.
Copia della comunicazione viene inviata anche al ministero dell'Interno.
Due settimane dopo, dallo stesso ministero arriva una secca smentita e nuova puntualizzazione: “il confinato in oggetto è confinato politico e non comune”.
Del resto, le stesse motivazioni della condanna contro Nunzio H. (“delitti contro la razza e le disposizioni di educazione dei giovani dei Regime”) sono squisitamente ideologiche e politiche.
E così è anche nella maggior parte degli altri casi: don Enrico M. viene condannato il 10 giugno 1937 “per aver svolto opera contrario con (sic) le direttive dello Stato per la tutela della moralità”; Otello A., che gestiva una trattoria in Eritrea, è condannato il 31 ottobre 1938 per “menomazione al prestigio della razza, essendosi abbandonato passivamente ad atti di pederastia con indigeno dell'Africa Orientale Italiana”. E si potrebbe proseguire sulla stessa falsariga con decine d'altri casi.
Quello che il confino puniva qui non erano insomma azioni delittuose (come potrebbero essere le attività mafiose, per cui era comminato il confino “comune”) ma la semplice presunzione della “diversità”. Lo si nota ad esempio nel caso di Barbaro M., che viene condannato l'8 maggio 1939 a ben cinque anni di confino perché in paese (in provincia di Catania) “si dice” che sia omosessuale, in quanto “veste in modo effeminato” e frequenta cattive compagnie. Nessun atto preciso può essergli contestato: prove della sua “colpevolezza” sono solo la vox populi, e un discutibile esame dell'ano compiuto da un medico che sentenzia: “dedito alla pederastia passiva" (?).
Ancora più evidente il caso di Felice G., commerciante di Vercelli condannato a tre anni il 27 aprile 1939. Di lui “si dice” che “abbia fatto proposte oscene ai giovani e ai soldati che frequentano il suo esercizio invitandoli nel retrobottega”.
Tuttavia “non si sono potuti raccogliere elementi concreti relativi alla perversa attività del G”.
Non importa: è sufficiente che i carabinieri assicurino che “è opinione di molti che lo stesso sia dedito ai rapporti omosessuali” perché per esplicito ordine di Mussolini (sul fascicolo è stampigliato un timbro rosso: “presi gli ordini dal Duce”) G. sia condannato al confino.
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L'ineffabile questore di Catania
Se tutto questo non fosse ancora sufficiente, avremmo comunque l'appoggio del sublime questore di Catania. Questi, preso da sacro furore, iniziò nel 1939 una rabbiosa campagna contro i “pederasti”.
Per tutto l'anno imperversò in città e provincia, chiudendo le sale da ballo frequentate dai “pederasti”, compiendo raid in case private, spedendo in una botta sola al confino venti omosessuali di Catania o nove di Paternò, giungendo a dichiarare persone “pericolosissime per l'ordine sociale” persino ragazzi di 18-19 anni!
Il lato più stupefacente di tale personaggio è senz'altro la sua stranissima concezione dei l'omosessualità, che avremo modo di esaminare più avanti.
A giustificazione
delle sue iniziative il nostro eroe si sentiva in dovere di accludere ad
ogni fascicolo un testo ciclostilato, in cui si lamentava che “nel
silenzio della legge” non si potesse “intervenire con provvedimenti
più energici perché // [p. 16] il
male venga aggredito e cauterizzato nei suoi focolai”.
Per fortuna, aggiunge, “a ciò soccorre il provvedimento dei Confino di Polizia”. In altre parole: il confino è usato dichiaratamente in sostituzione di una legge anti-omosessuale che non esisteva nel codice penale italiano.
La relazione
del questore di Catania
Ecco, per la gioia degli occhi, un brano dell'alata prosa dei nostro integerrimo difensore della Razza:
“La piaga della pederastia in questo capoluogo tende ad aggravarsi e generalizzarsi perché giovani finora insospettati ora risultano presi da tale forma di degenerazione sia passiva che attiva, che molto spesso provoca anche mali venerei.
In passato molto raramente si notava che un pederasta frequentasse caffè e sale da ballo o andasse in giro per le vie più affollate; più raro ancora che lo accompagnassero pubblicamente giovani amanti od avventori. ll pederasta ed il suo ammiratore preferivano allora le vie solitarie per sottrarsi ai frizzi ed ai commenti salaci; erano in ogni caso generalmente disprezzati, non solo dai più timidi, ma anche da quelli che passavano per audaci o senza scrupoli, ma che in fondo erano di sana moralità. Oggi si nota che anche molte spontanee e naturali repugnanze sono superate e si deve constatare che vari caffè, sale da ballo, ritrovi (balneari e di montagna, secondo le epoche) accolgono molti di tali ammalati, e che giovani di tutte le classi sociali ricercano pubblicamente la loro compagnia e preferiscono i loro amori snervandosi ed abbrutendosi.
Questo dilagare di degenerazione in questa città ha richiamato l'attenzione della locale Questura che è intervenuta per stroncare o, per lo meno, arginare tale grave aberrazione sessuale che offende la morale e che è esiziale alla sanità ed al miglioramento della razza, ma purtroppo i mezzi adoperati si sono dimostrati insufficienti.
I fermi per misure, le visite sanitarie, la maggiore sorveglianza esercitata negli esercizi pubblici e nelle pubbliche vie, non rispondono più alla bisogna. Perché infatti i pederasti fatti più cauti per eludere la vigilanza della Pubblica Sicurezza ricorrono ad una infinità di ripieghi.
I più abbienti mettono su quartieri mobiliati con gusto civettuolo ed invitante, i più poveri per spirito di emulazione e per non essere da meno, ricorrono ai più disparati espedienti, non escluso il furto, per procurarsi i mezzi e mettere anch'essi su una casa ospitale. Tutti poi, per vanità, per piccole gelosie, menano vanto delle conquiste fatte, che tendono a mantenere a prezzo di qualsiasi sacrificio.
I giovani per altro - quando non espressamente invitati - sono sospinti in quelle case, alcuni dalla curiosità, altri dall'insidioso desiderio di fumarvi gratuitamente una sigaretta, e tutti, dopo avere visto, hanno voluto poi provare, sicché vi sono sempre ritornati. E tale presa di contatto, anche quando non sfugge alla polizia, non può in ogni caso essere impedita, pur prevedendosene gli sviluppi e le ultime conseguenze.
Ritengo, pertanto, indispensabile nell'interesse del buon costume e della sanità della razza, intervenire - con provvedimenti più energici - perché il male venga aggredito e cauterizzato nei suoi focolai.
A ciò soccorre, nel silenzio della legge, il provvedimento del Confino di Polizia, da adottarsi nei confronti dei più ostinati, fra cui segnalo... ”. |
A questo testo, uguale per tutti, il novello Catone aggiungeva poi caso per caso salaci commentini, diversi per ogni sua vittima.
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Le storie di tutti
La consultazione dei fascicoli dell'Archivio è stata per me un'esperienza umana, oltre che storica.
Dalle lettere di supplica, le relazioni, le proteste, gli aridi rapporti di polizia, emergeva in maniera nettissima un mondo di affetti negati, dignità calpestate, slanci coraggiosi di affermazione dei proprio diritto alla felicità, impauriti tentativi di “mettersi in riga” per evitare ulteriori persecuzioni.
Sono storie di mezzo secolo fa, ma sono ancora storia di noi tutti: è impossibile leggere questi racconti senza trovarne almeno uno che assomigli alla nostra vicenda.
Essi ci restituiscono la dimensione “collettiva” delle nostre vite individuali.
Una ricerca come questa, insomma, ha un significato che va al di là della semplice curiosità, o peggio ancora della banale voglia di spettegolare sui fatti altrui (passati o presenti non importa: esiste anche il “pettegolezzo storico”). Rivelare, nero su bianco, in base a documenti inoppugnabili, come la nostra società abbia per secoli ostacolato il diritto alla felicità dei gay, significa controbattere alle accuse di quanti vogliono dare a noi stessi (ed alla nostra presunta natura di “casi psichiatrici” o di “corrotti”) la colpa degli elementi meno piacevoli dei mondo gay (la vergogna, il senso di colpa, la doppiezza, il fuggire, il nascondersi).
Apriamo perciò insieme il fascicolo di alcuni “casi umani” particolarmente significativi, per farci raccontare la loro storia, che è anche la nostra storia.
========== O ==========
Gli amori padani: Dante A.
“Nel
giugno ultimo scorso [1938] veniva malmenato in una via centrale
di B. [paese in provincia di Piacenza] il sarto Dante A. (…);
e
la popolazione apprendeva con soddisfazione la notizia, perché tale
episodio era stato determinato da un tentativo di corruzione e da atti
di libidine violenti commessi dall'A. in persona dell'Avanguardista Franco
F.” [un adolescente
minorenne]. |
Con questo inizio degno di un “romanzo gotico” si apre la relazione della Questura di Piacenza sul caso di Dante A.
Dopo questo pestaggio pubblico (su cui ci si era ben guardati dall'indagare) il nostro non aveva però desistito dalle sue “losche voglie”, attirandosi guai anche peggiori.
Spinto da gelosia aveva infatti scritto una lettera, o per meglio dire,
“aveva
cercato di menomare la reputazione dei dott. T. A., al quale aveva inviato
lettera di contenuto offensivo e con chiaro invito a non frequentare il
Franco F. perché, a suo dire, gli apparteneva”. |
Purtroppo Dante A. si era trovato di fronte a un rivale in amore troppo potente per lui:
“In effetti il dott. T., essendo ufficiale della Gioventù Italiana del Littorio, trattava con speciale simpatia l'Avanguardista F. perché giovanetto sveglio ed intelligente”. |
A riguardo del dott. T. la questura dimostra una strana deferenza, a tutto scapito, si direbbe, della difesa dell'integrità morale dei “povero” Franco F., affidato a troppo premurose cure:
“Anche sul conto dei dottore corrono da tempo dicerie di omosessualità; però nulla è emerso nei suoi riguardi, mentre d'altro canto egli gode in paese di stima e rispetto”. |
Strano atteggiamento, visto che per simili “dicerie”, come abbiamo visto, molti altri furono mandati senza problemi al confino!
Fra questa potente “velata” e lo sputtanato sartorello trentenne, peraltro “non iscritto al Partito Nazionale Fascista” la scelta fu presto fatta,
“ravvisando l'opportunità che A. venga allontanato da B., dove potrebbe rinnovare le sue luride gesta, corrompendo anche altri ragazzi”. |
Quale documento a suo carico viene acclusa una lettera d'amore, che riproduco in parte per la tenerezza e la tristezza che la pervade:
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Aldo Rossi - ''Il saluto dell'avanguardista'' - 1935
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"Caro Franco,
perdonami se ti mando questa lettera, non posso fare a meno, ò conosciuto la tua sincerità. // [p. 17]
(...)
ò visto che sei passato oggi in bicicletta vicino e questo mi fa molto piacere, continua a passare Franco così il mio cuore si calmerà un pochettino di soffrire.
Franco non puoi immaginare il dolore che provo pensando le belle serate passate in tua compagnia, e un vago rimpianto, un desiderio di rinvocare questa felicità si fa in me sempre più crescente.
Ricordo quando ti baciavo, alla tua bocca esangue tu pure mi restituivi i tuoi baci: io sento veramente di amarti sino alla follia, ti amo ti amo te lo vorrei esprimere a voce, il mio sentimento, ma giacché non posso mi accontento di ripetertelo qui, ti amo come il poeta ama la natura, ti amo come l'ape ama il fiore dal quale sugge il nettare che le dà la vita.
Passo le notti insonne pensando continuamente a te; i tuoi occhi neri che sanno così ammaliare, il tuo carattere umile e così buono, così gentile io ti ricordo sempre mi sei restato veramente impresso nel mio cuore. Spero col tempo di rinnovare ancora il nostro amore, e di riabbracciarti come nell'ultima volta, avrei ancora tante cose a dirti, ma quando penso che dobbiamo troncare il nostro amore causa della gente mi si riempie l'animo mio di una tristezza in finita.
Saluti in finiti - e baci tanti.
Dante”.
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Gli amori siciliani
Quale potere avesse a quell'epoca la pressione sociale, al di fuori degli strumenti legali di pressione, lo abbiamo appena visto.
Un “buon” pestaggio in mezzo al paese (benché non previsto dal Codice penale), poteva essere altrettanto efficace (e sputtanante) di un arresto.
Dove però il “cosa dirà la gente?” raggiungeva la massima efficacia era in Sicilia, dove la maggior parte della popolazione era ancora legata ai tradizionali concetti di “onore”.
Il caso in cui è meglio evidente il potere delle pressioni sociali è quello di Orazio L., un ragazzo di 20 anni, figlio di genitori poverissimi che, come si usava fare in passato, lo avevano mandato a studiare in seminario perché si “facesse una posizione”, per poi aiutare la numerosa famiglia.
L'arresto compromette questo “investimento economico”, stroncandogli sul nascere ogni possibilità di carriera come insegnante, e al tempo stesso attirandogli l'ostracismo di quanti lo conoscono.
Cosa significasse l'ostracismo Orazio L. lo sperimentò allorché, al confino delle Tremiti, chiese l'autorizzazione a scambiare corrispondenza con alcune persone. Nessun problema ebbe per quel che riguardava la madre, la nonna ed una zia.
Ma, al di fuori di questa cerchia, nessun altro gli volle scrivere: uno zio, da Tripoli, comunica che “non gradirebbe tenere corrispondenza epistolare coi proprio nipote”; don Giovanni M., sacerdote dei seminario in cui Orazio L. aveva studiato, dichiara che “non intende tenere corrispondenza col confinato in oggetto”, mentre un tale duca Salvatore di M. afferma che “non conosce e non ha mai avuto relazione coi confinato in oggetto”.
Sapendo come va il mondo, non si può fare a meno di pensare che negli ultimi due casi si trattasse di probabili ex amanti di Orazio che per viltà lo abbandonavano (al solito) nel momento del bisogno.
Come se non bastasse al povero Orazio fu negato il permesso di corrispondere con una zia che abitava in Francia, Paese ormai ai ferri corti con l'Italia. Era l'isolamento, la morte sociale e civile.
Lo stato di abbattimento che doveva provare, il peso dei “disonore” che il suo arresto aveva gettato sulla famiglia, sono espressi dolorosamente in una richiesta di grazia spedita dalle Tremiti il 6 ottobre 1939:
"Onorevole Ministero
È da otto mesi che sospiro la libertà tutti i giorni, in tutte le ore, in tutti i momenti....
Quattro lunghi mesi di prigione, pene, vergogne e, di più grave, una manata di fango sul viso di quattro sorelle e tre fratelli e dei miei onestissimi genitori.
Perché tutto ciò? Perché, sei anni addietro, per la prima volta uscito da collegio per villeggiare insieme ai miei, un disgraziato mi costrinse a fare ciò che ora avrei abborito [sic].
Poi ho fatto altri sbagli. Ma terminate le vacanze sono ritornato in collegio, da dove mi sono licenziato sei mesi prima del mio arresto. Là ho potuto dare prova della mia condotta.
(…)
Mio Padre, povero operaio, fece enormi sacrifici per mantenermi in collegio, avendo una nidiata di figli tutti più piccoli di me. Sono il maggiore, ed ero la più grande speranza della famiglia. Da me i miei poveri genitori speravano il primo aiuto per il sostentamento di altri sette fratellini.
Ed ora, immagini questo Onorevole Ministero il cordoglio del mio amato genitore. Quale disonore per lui!
Confinato per cinque anni! Cinque lunghissimi anni! Mi viene d'impazzire solo al pensarci.
È il tempo che dovrebbe prepararmi l'avvenire. Dovevo scrivermi all'Università in lettere. Qui, in quest'inerzia che mi avvilisce, lontano dalla società, cosa poss'io fare di bene? Più tempo passa e più divento cupo, triste ed apatico. Posso dire che anche le mie facoltà mentali sono in un profondo letargo. La sola libertà le potrebbe risvegliare. Ho fatto domanda per ottenere il permesso d'impartire lezioni, e non mi è stato concesso, perché confinato.
Sono tanto stanco. Per quanto tempo dovrò subire tante umiliazioni? Se sbagliai, in un caso come il mio, a quindici anni, chi non avrebbe sbagliato? A vent'anni sento la dignità e l'orgoglio del mio essere e giammai mi potrei sozzare in codesto fango.
Onorevole Ministero, desidero il proscioglimento, perché voglio servire la patria, come l'ha servita mio padre nell'ultima grande guerra. Desidero il proscioglimento per cancellare la macchia del disonore dalla fronte della mia famiglia. Non ho portate, non ho conoscenze, spero in Dio e nella benevola considerazione di questo Onorevole Ministero.
Il solo proscioglimento dal confino per andare a fare il servizio militare, e poi ritornare in seminario a menare una vita per sempre ritirata, è l'unico mezzo per riparare lo scandalo e il disonore alla mia famiglia. Questo mi preme e mi fa soffrire più della libertà perduta. Rinunzierò tutti i piaceri della vita, anche i più leciti, farò la carriera ecclesiastica a costo di grandissimi sacrifici, per l'onore della mia famiglia, per la Patria e per me.
Si degni questo Onorevole Ministero prestar fiducia a quanto ho detto e mi dia la consolazione che non mi passi più tempo, per me molto prezioso, in un ozio che opprime tanto l'anima mia”. |
La fine della storia
Con una secca nota l'“Onorevole Ministero” informa però: “la domanda in oggetto non è stata accolta”.
Nel fascicolo di un altro confinato ho comunque trovato parte del seguito della vicenda: rimandato a casa assieme a tutti gli altri omosessuali il primo giugno 1940, Orazio L. era stato sottoposto a due anni di ammonizione (che comportava fra l'altro il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione).
Dopo un anno era fuggito per andare a rinchiudersi in un monastero a Roma o Firenze; nel 1941 figurava nell'elenco dei ricercati dalla polizia.
Dopodiché, più nulla sappiamo di lui.
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L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1]-Questa pagina riproduce il testo così come fu pubblicato in origine su "Babilonia" n. 35, aprile 1986, pp. 14-17, senza aggiunte o modifiche di rilievo.
Mettendo online questo scritto ho mantenuto l'indicazione dell'inizio della pagina del testo a stampa (e messo anchors numerici all'inizio dei paragrafi), per facilitare la citazione dei brani sia a stampa sia in Rete.
Questo studio è diviso in due parti, di cui il presente testo costituisce la prima parte.
Per leggere la seconda parte fare clic qui.
[2]-Anppia (a cura di), Antifascisti nel casellario politico centrale, Anppia, Roma 1988-1995 (19 voll).
I fascicoli che usato per questo studio sono conservati presso l'Archivio Centrale dello Stato di Roma, "Ministero dell'interno, Divisione Generale PS, Divisione Affari Generali e Riservati, ufficio confino politico, fascicoli personali".
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