Nota di Giovanni Dall'Orto:
Questa pagina, realizzata da Yuri Guaiana e Massimo Franceschelli in occasione di una gita tenuta per e con l'Arcigay di Como nel 1998, era ospitata in origine sul sito dell'Arcigay Koiné. Non esistendo più quel sito, ho chiesto e ottenuto la gentilezza di poterla trasferire sul mio sito.
Il testo è mio, la realizzazione della pagina e dei file audio è di Massimo e Yuri, che ringrazio per avermi "passato" il loro lavoro: lo ripropongo uniformando la grafica a quella del mio sito.
Gite storiche dello stesso tipo avevo già organizzato in occasione del Gay Pride a Milano (tre volte, due diversi itinerari) e a Venezia. Non escludo di metterne online il testo.
In queste pagine troverai il resoconto completo della visita avvenuta nel mese di Ottobre 1998 con Giovanni Dall'Orto alla scoperta dei luoghi storico/culturali della Como gay. BUONA LETTURA!
Dove compare l'icona di REAL PLAYER è possibile scaricare il commento di Giovanni Dall'Orto registrato in diretta durante la visita. (dimensione media 120Kb)
Introduzione
Ascolta Giovanni Dall'Orto in RealAudio (77 Kb - 1 min e 10 sec)
Chiesa di San Bartolomeo
Nelle vicinanze di questa chiesa, nel prato (oggi completamente urbanizzato) o nel torrente Cosia (oggi completamente interrato) veniva un tempo montato il patibolo per i condannati a morte, compresi quelli per sodomia.
Come testimonia Giovanni Baserga:
"Il
luogo del patibolo era nelle vicinanze della chiesa di S. Bartolomeo, o
meglio presso la vicina chiesa di S. Sebastiano, nel prato o nel torrente
Cosia; il reo fino a compiuta esecuzione veniva accompagnato dagli Scolari
della compagnia di San Giovanni decollato. Era questa una specie di confraternita
della quale si ha memoria fin dal 1229 ed istituita nella chiesa di S.
Giovanni in Atrio di rimpetto all'attuale S. Fedele"-[1]. |
Dell'attività di una confraternita (forse proprio quella di Como? Non ho potuto appurarlo) che accompagnava all'estremo supplizio i condannati è rimasta un'impressionante immagine nella Pinacoteca civica.
Notizie di questa compagnia, che è probabile contengano l'elenco dei condannati a morte a Como, sono conservate nell'Archivio di san Fedele, fra le carte di san Giovanni in Atrio.
Se esiste fra queste carte, come di solito in questi casi esiste, un elenco degli "assistiti" con la causa della loro condanna, chi vorrà consultare questa carte riuscirà a ricostruire l'elenco dei condannati per sodomia a Como nel corso degli ultimi secoli.
Duomo
Ai lati del portale centrale sporgono due splendide statue del XV secolo in onore dei due grandi scrittori latini nati a Como: a destra Plinio il vecchio e a sinistra Plinio il giovane.
A
destra
della facciata, appena girato l'angolo, è poi murata nel Duomo una
lapide
romana autentica, dedicata proprio a Plinio il giovane e sopravvissuta
miracolosamente attraverso i secoli, accompagnata da una lapide più
recente del Giovio
(vedi: Palazzo Giovio) [2].
Caio Plinio Cecilio Secondo (61/62 - ca. 112/113 d.C.), detto "Plinio il giovane", ci ha lasciato un Epistolario, scritto fra il 96 e il 109 d.C., in cui ci tramanda (VII 4, 4-6) questa goffa poesia, scritta per amore del suo schiavo Tirone ed ispirata (così ci assicura) dalla lettura dei versi "lascivi" che Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) aveva scritto per il "suo" liberto dello stesso nome, Marco Tullio Tirone (ca. 98 a.C.- 2 d.C.):
"Egli si duol di Tirone, che, deludendo l'amante,
dopo ben ben cenato, i pochi baciozzi dovuti,
a notte poi non gli diede. Lette che ho queste cose,
perché, mi dico, nascondo i miei amori, ho paura
a rivelarne qualcuno ed anche, sì, confessare
d'un Tirone gl'inganni, e che Tirone sa bene
le fuggitive
carezze, i furti che avvivano il fuoco?" [3]. |
(Questo brano
ha scandalizzato i commentatori della nostra epoca per attentato all'immagine
di Cicerone come eterosessuale di ferro [4]).
In un'altra lettera (III 3, 4-5) Plinio il giovane raccomanda a un'amica un precettore "sicuro" per il figlio di lei, che per l'eccezionale bellezza è in pericolo se messo in mani non affidabili,
"perché
il nostro giovanetto, con le altre doti di natura e di fortuna, possiede
una eccezionale bellezza fisica e a lui necessita, in quell'età
pericolosa, non soltanto un maestro, ma un sorvegliante e una guida" [5]. |
Su Plinio il giovane cfr. anche Palazzo Giovio.
Anche Caio Plinio Secondo (23-79 d.C.) detto "Plinio il vecchio", zio del precedente, parla di omosessualità nella sua monumentale Storia naturale, ma con tono diverso da quello del nipote, visto che esecra (X 172) il fatto che il maschio umano abbia escogitato, solo fra gli animali, uno "scempio della natura" (scelus naturae), uno "sviamento della sessualità" (deverticula veneris) quale l'omosessualità (e cfr. anche XI 230 e XI 275).
Curiosamente
però altrove testimonia dell'esistenza di comportamenti omosessuali
proprio fra gli animali (X 166), specie le pernici (X 100), che
a suo dire praticano stupri fra maschi, mentre la iena
(VIII 105 e XXVII 92) cambia sesso ad anni alterni e la lepre (VIII
219) possiede entrambi i sessi: la femmina figlia perciò anche in
assenza di maschio copulando con le altre femmine [6].
Ascolta Giovanni Dall'Orto in RealAudio (141 Kb - 2 min e 10 sec)
Ex-Manicomio provinciale, "Mombello"
Ascolta Giovanni Dall'Orto in RealAudio (115 Kb - 1 min e 45 sec)
In questo edificio fu rinchiuso nel 1893 un certo M.L., nato nel 1851, notaio, che nella primavera aveva suscitato a Como un grave scandalo:
"Pochi mesi or sono i giornali di Como con parole nobilmente sdegnose denunciavano alla pubblica indignazione una persona di agiata condizione e appartenente alla classe colta e civile quale turpe corruttore di minorenni, narrando su tal proposito un grave scandalo avvenuto in un vicino e ridente paese. (...)
Venne
<una denuncia> che fu poi ritirata (...) perché si
sapeva che lo imputato era un irresponsabile. Tra gli atti processuali
figurava precisamente un certificato attestante che il prevenuto [imputato]
M.
L. era già stato ospite del manicomio e classificato tra i pazzi
morali [cioè gli incapaci di fare scelte morali "corrette",
NdR]. Era un certificato asciutto ma nel suo laconismo diceva assai.
Fu dichiarato non luogo a procedersi per remissione [= ritira della
denuncia, NdR] e l'imputato sponte [di sua spontanea volontà,
NdR] andò a rinchiudersi nel manicomio" [7]. |
<M.L.> "è pederasta attivo e passivo: predilige i giovanetti per sfogare con loro l'onanismo. (...)
Quando seppe che era aperta un'istruttoria penale contro di lui per le recenti oscenità - che fecero tanto clamore nel suo paese nativo - egli fuggì e andò a Parigi con pochi mezzi finanziarii. Cedo la parola a lui. "Mia moglie non voleva mandarmi denaro ed ero costretto a passare le notti ne' dormitori pubblici e cioè in mezzo a gentaccia d'ogni risma". (...)
Ai ragazzi che masturbava regalava sempre 50 centesimi e in certi giorni ne prese in casa persino sei in una sola mattinata: a quelli che esercitavano l'onanismo su di lui regalava 60 centesimi. (...)
M. mi diceva che in una sola sera con tre giovanetti per cinque volte consecutive ebbe godimenti sessuali. (...)
Come si disse, non è amante del coito con la donna, mentre ha una tendenza irresistibile per il maschio giovanetto, che pare solo svegli in lui il senso erotico" [8]. |
Analoga sorte ebbe il 18 aprile 1925 C. L., un minorenne di 19 anni, internato con l'accusa di avere derubato e dato un calcio al padre per procurarsi il denaro necessario a fuggire di casa per soddisfare le sue tendenze omosessuali prostituendosi, dall'età di sedici anni, in altre città (Milano e Venezia).
Costui in manicomio:
"parla, senza accenno a vergogna, dei furti, delle falsificazioni delle firme, dei suoi amanti di Milano (ne ricorda qualcuno come ottimo pagatore, qualcun altro verso il quale si sentiva trasportato da vero amore), e delle sozze pratiche cui si sottoponeva; cerca di scusare le fughe da casa ed i furti allegando presunti maltrattamenti, ristrettezze finanziarie cui lo obbligavano i genitori, ma soprattutto le mette in rapporto coll'insistente stimolo di dar sfogo alla sua pervertita sessualità. Insiste nel dirci che lo stimolo non è continuo, ma eccessualmente avvertito ed in ispecie quando si fa ipereccitabile.
Questa la sintomatologia clinica presentata nei primi tempi di degenza. Ora (alla distanza di circa tre mesi) appare moralmente migliorato, non parla più dei suoi vizi, anzi cerca di cambiar discorso se qualcuno gliene parla; l'affettività è maggiormente sentita, tanto che si intrattiene con molta cordialità col padre e col fratello.
Durante la degenza non ha mai cercato di sfogare il suo istinto" [9]. |
Di un altro caso ancora è stata conservata memoria: quello di P. A., che a 33 anni fu internato, il 23 aprile 1925, nello stesso manicomio, dopo una vita passata a battersi contro l'emarginazione a cui, dall'adolescenza in poi, lo aveva condannato la sua "diversità":
"All'età di 16 anni si innamorò pazzamente del maggiordomo della casa presso la quale prestava servizio e non tardò a manifestargli il suo affetto ed a concederglisi. L'idillio durò per circa un anno, ma poi, conosciuto [scoperto], egli venne cacciato dalla casa.
Da quel momento si inizia per lui una vita errabonda: in breve tempo viene nuovamente cacciato di dove presta servizio. Frequenti sono le scene di gelosia con altri giovani (pederasti passivi), perché teme gli sottraggano il suo amato e spesso si fa irascibile ed ipereccitabile.
Sentendosi inemendabile [incorreggibile] e vedendo che gli riusciva impossibile occuparsi onestamente giacché, a causa del suo vizio, era ovunque cacciato, stretta amicizia con individui che notoriamente esercitano la prostituzione maschile a Milano, cominciò egli pure a darsi alla vita di strada. Dai compagni gli fu imposto il nome di battaglia "Rosetta".
Ripugnandogli concedersi per lucro, approfittando della sua voce tenorile e del gestire femmineo, per campar la vita, andava cantado canzoni pornografiche accompagnandole con tutte le mosse poco corrette che soglionsi osservare nei Varietés di basso rango, per le osterie e i ritrovi mondani. Per rendersi maggiormente interessante, si vestì addirittura da chanteuse accompagnando il canto e le danze col cembalo. Questa occupazione era per lui assai lucrosa, poiché gli dava agio di mantenere i suoi amanti, dei quali era gelosissimo e pei quali faceva spesso violente scene di gelosia. (...)
Più volte venne arrestato e qualche volta processato per ribellione alla forza pubblica. Nei litigi coi compagni di disgrazia, che erano frequentissimi, fu anche ferito. Non ha però mai avuto tendenza al furto.
Durante la guerra, chiamato alle armi, fu adibito, in qualità di attendente, presso un ufficiale. Per sei mesi prestò servizio regolarmente, dedicandosi, con passione, alle faccende domestiche. Un bel giorno, sorpreso cogli abiti della signora a pavoneggiarsi davanti allo specchio, fu licenziato ed inviato in osservazione all'Istituto Psichiatrico di Reggio Emilia dove rimase per 18 mesi.
Ottenuta la libertà, ricominciò a fare la chanteuse, ma da qualche anno, avendogli la Questura proibito di indossare abiti femminili, per vivere ed aver modo di sovvenzionare gli amanti si diede al piccolo commercio ambulante di oggetti sacri, non rinunciando però del tutto a fare la conzonettista.
Da non molto si è dato al bere (...). Il 23 aprile 1925, trovato per le vie di Como in istato di eccitamento da intossicazione etilica acuta, è stato condotto nel nostro Istituto" [10]. |
Palazzo Giovio
Piazza Medaglie d'oro n.1.
È la sede dei Musei civici.
Vi abitò l'umanista e vescovo Paolo Giovio (1483-1552), che è celebrato da alcuni affreschi settecenteschi al primo piano.
Benché non mi risulti che Giovio fosse omosessuale, egli fu comunque abilissimo nel farsi insultare dai suoi contemporanei, e visto che all'epoca accusarsi a vicenda di omosessualità era fra i letterati uno sport, che anche il Giovo praticò, giustizia volle che anch'egli ricevesse la sua razione di accuse.
Fra i nemici più tembili del Giovio fu nientepopodimenoché Pietro Aretino che nel 1527, in occasione del Sacco di Roma, affermò che i lanzichenecchi non avevano avuto rispetto per nessuno, nemmeno per il Giovio:
"che l'han preso a furore
e strafottuto
e'l cazzo gli è piaciuto,
ma voglion bene e crudi
che paghi trenta scudi
in fottitura" [11]. |
(cioè: dopo averlo stuprato si sono accorti che lo stupro gli è piaciuto ed allora vogliono essere pagati per il servizio!).
In una composizione dello stesso anno l'Aretino arriva a mandargli questa maledizione indubbiamente originale:
Et quando Paolo Iovio fotter fasse
riderìa [riderei] se a quel giovene stallone
il cazzo
in sul più bel non si rizzasse" [12]. |
Infine in una
pasquinata
sempre del 1527 circa, attribuita all'Aretino, ai versi 222-226 Giovio
è accusato in gergo burchiellesco
di essere alla cera paziente, cioè "passivo in sodomia" [13].
Ecco poi due buffi falsi epitaffi per lui, il primo dei quali opera di Francesco Grazzini(1503-1584):
"Qui
giace il Giovio: a sì gran nome corra
tutto lo stuol di Sodoma e Gomorra.
===
Qui giace Paolo Giovio ermafrodito
che ora fece da moglie, or da marito" [14]. |
Spostando ora l'attenzione dal Giovio al museo contenuto nel suo palazzo troviamo:
Piano terreno. Sala romana (a destra del portone d'ingresso)
Frammento
di lapide [dopo il 100 d.C.] dedicata a Plinio il giovane (vedi:
Duomo).
A destra dell'ingresso, nell'angolo [15].
L'aquila di Giove rapisce Ganimede, bassorilievo romano su frammento di zoccolo, forse una base di colonna (è la prima a destra per chi entra; l'immagine è sul lato opposto alla porta d'ingresso). La parte superiore del rilievo non si è conservata.
Il pastorello rapito dall'aquila di Giove, il re degli dèi che si era innamorato di lui e volle farne il suo servitore a tavole e il suo amante a letto, è rappresentato nudo e di schiena, in modo da mostrare allusivamente il sedere.
A destra un cane alza il muso osservando l'aquila di Giove (che è riconoscibile dall'attributo del fulmine, schematizzato dalle due frecce che si vedono sulla sinistra) mentre gli rapisce il padrone.
Il mito di Giove e Ganimede è il più diffuso e più rappresentato dei miti omosessuali dell'antica Grecia e Roma.
Ascolta Giovanni Dall'Orto in RealAudio (68 Kb - 1 min e 02 sec)
Scalone d'ingresso. Pianerottolo.
Ganimede e l'aquila di Giove [sec. XVII/XVIII]. Lo stucco un po' goffo di un putto a cavallo di un rapace, che dallo stile direi sei-settecentesco, funge da portalampada per lo scalone (il lume pende dalla mano del putto).
L'iconografia è quella tradizionale di Ganimede rapito dall'aquila di Giove, ma il putto è d'età così tenera che il carattere erotico del mito è obliterato in favore di un uso puramente decorativo del gruppo, tale da destinarlo ad una funzione, quella di portalampada, perlomeno insolita.
Ascolta Giovanni Dall'Orto in RealAudio (141 Kb - 2 min e 09 sec)
Primo piano. Sala greca.
Giovanbattista Rodriguez (sec. XVIII), Alleanza fra Bacco e Amore [ca. 1780]. L'affresco, che sta sul lato verso la "sala egizia," è tratto da un'incisione francese (di un certo Coypel, avvisa il cartellino) e simboleggia l'incitamento alla libidine causato dal vino.
Per questo motivo non può essere innocente (come avrebbe potuto essere in un contesto diverso da questo) il gruppo delle tre donne sulla destra che si toccano e abbracciano, soprattutto se si nota il dettaglio della donna di spalle che sta alzando con la mano sinistra un bel bottiglione di vino. L'effetto di Bacco (il vino) sulle due donne viste di fronte è evidente nella loro espressione allegra; l'effetto di Amore, a questo punto, non potrà che manifestarsi nel gesto di toccarsi a vicenda.
E qui mi sorge il sospetto (ma non la certezza) che anche la collocazione, sopra la porta alla sinistra di questo affresco, di un medaglione con un ritratto ideale della poetessa Saffo possa essere un malizioso ma innocente scherzo "libertino" sull'argomento.
Pinacoteca civica
Via Diaz 86.
Ha sede nel palazzo Volpi, del 1616, che nell'Ottocento fu tribunale e, fino a una decina d'anni fa, carcere.
Nel museo non sono conservate opere d'interesse omosessuale; sono però da segnalare due quadri perché sono rari documenti iconografici sull'amministrazione della giustizia antica, di cui anche i sodomiti dovettero purtroppo sperimentare la barbarie. Fino a poco tempo fa erano esposti al primo piano le seguenti opere (ora relegate nei magazzini, dopo però possono essere esaminate previa richiesta alla Direzione):
Anonimo lombardo (sec. XVII), Il conforto del condannato;
Anonimo lombardo (sec. XVII), La benedizione del decapitato.
La gran quantità di spazio occupato nei due quadri dai nobiluomini che svolgono il compito di "confortatori" e la macabra precisione anatomica della scena di decapitazione (certo non adatta a un salotto casalingo!) suggeriscono che i due quadri "abbellissero" forse in origine la sede di una congregazione (quella di san Giovanni decollato?) che offriva assistenza religiosa ai condannati a morte. Anzi, il costume di tale congregazione, bianco con un crocifissone dipinto sulla manica sinistra, si osserva assai bene nella figura di destra nel secondo quadro.
Le due opere rappresentano la prima la visita in carcere d'un condannato a morte, incatenato, e la seconda il momento immediatamente successivo alla decapitazione d'un condannato.
Confraternite
di questo tipo ebbero gran diffusione in tutta Italia. Esiste addirittura
un manuale pratico per confessori di condannati a morte, di padre Giacinto
Manara-[16],
che parla anche di sodomiti e che si legge con raccapriccio e curiosità.
Villa Olmo
Di proprietà pubblica, è aperta in occasione di mostre, dibattiti e concerti. Nel salone della musica (a cui si accede direttamente dall'ingresso) sul soffitto, a destra, appare un affresco (sul quale non ho dati più precisi: nel palazzo sono entrato clandestinamente mentre stavano montando una mostra) nel quale è Giove con ai piedi l'aquila e un puttino che, avendo in mano una coppa, è identificabile con Ganimede.
L'età tenerissima del putto desessualizza il mito, trasformandolo in un semplice elemento decorativo carinuccio e leziosetto.
Facendo clic qui si può leggere (in formato immagine, 53 Kb) un ritaglio sulla gita. Alessandro Dall'Orto sarei io, ma non si può pretendere che i giornalisti verifichino quel che scrivono. O sì?
L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Giovanni Baserga,
Giustizia penale a Como. Estratto da: "Periodico della società storica della provincia e antica diocesi di Como", 1926, pp. 8-36, p. 34.
[2]Su di essa vedi: Plinio il giovane (Caio Plinio Cecilio Secondo, detto), Lettere ai familiari, Rizzoli, Milano 1961, p. 298.
[3] Plino il giovane, Op. cit., p. 205.
[4] William Mc Dermott, M. Cicero and M. Tiro, "Historia", XXI 1972, pp. 259-286, specie alle pp. 272-275.
[5] Plinio il giovane, Op. cit., p. 89.
[6] Plinio il vecchio (Caio Plinio Secondo, detto), Storia naturale, Einaudi, Torino 1983-1988 (5 voll.).
[7] Lino Ferriani, Un caso di pervertimento sessuale, "La scuola positiva", III 1893, pp. 909-912, p. 910.
[8] Lino Ferriani, Op. cit., 911-912.
[9] Mario De Paoli, Contributo allo studio della omosessualità passiva, "Quaderni di psichiatria", XII 1925, pp. 239-251, p. 242.
[10] Mario De Paoli, Op. cit., p. 243.
[11] Antonio Marzo (a cura di), Pasquino e dintorni, Salerno, Roma 1990, p. 84.
[12] Danilo Romei, Scritti di Pietro Aretino nel Codice Marciano It. XI 66 (= 6730), Cesati, Firenze 1987, p. 46.
[13]Coriero mandato da Venere a cercare l'amore. In: Antonio Marzo (a cura di), Pasquino e dintorni, Salerno, Roma 1990, pp. 41-64, ai versi 222-226.
[14] Vittorio Cian, Gioviana, "Giornale storico della letteratura italiana", XVII 1891, pp. 277-357, p. 355.
[15] Su di essa vedi Plinio il giovane, Op. cit., p. 298.
[16] Giacinto Manara, Notti malinconiche, Ferroni, Bologna 1658.
Vi si parla della sodomia alle pp. 312-313. |