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Indice dei paragrafi
Introduzione Lo studio dell'omosessualità medievale affascina. Nulla, nel medioevo, è mai scontato: un immenso gioco di specchi fra la nostra epoca ed i "secoli bui" ci permette di perdere le coordinate, farci prendere dalla vertigine della storia, smarrire e ritrovare cento volte i tratti ed i segni della nostra epoca e della nostra cultura. Nel medioevo niente è mai come "dovrebbe" essere. Là dove diamo per scontato un rapporto diretto fra la nostra epoca e quella medievale (per esempio nell'etica sessuale cristiana) i documenti ci smentiscono seccamente; dove invece riteniamo impossibili strette somiglianze (per esempio nel campo degli stili di vita omosessuali), ecco emergere concezioni e pratiche di vita straordinariamente "moderne". A volte sorge perfino il dubbio che siamo noi ad esserci impadroniti delle caratteristiche più genuinamente "medievali" dei nostri avi, limitandoci a rigettare e proiettare sul passato tutti gli aspetti più odiosi della nostra epoca. E certamente, così è. Troppo spesso scordiamo di "essere nani sulle spalle di giganti", dimentichiamo che non è mai esistita una vera e propria cesura fra la nostra epoca e quelle antiche. Certo, la storia umana conosce periodiche "messe a fuoco", momenti di sintesi in cui il tesoro di conoscenza accumulato nei secoli precedenti viene ripensato e distillato. E certamente dalla "rivoluzione scientifica" in poi, la società occidentale è cambiata a velocità impressionante.
Sono queste le ragioni che mi hanno spinto ad interessarmi a un argomento a prima vista arido come quello del presente saggio.
Purtroppo spesso gli studiosi gay si tengono lontani dal periodo medievale per il mito fin troppo diffuso del "silenzio" di questi secoli, della mancanza di documenti. Si tratta ovviamente di un pregiudizio, e per dimostrarlo ho voluto proporre con questo saggio un primo esempio della documentazione che attende chi voglia "accingersi al cimento". È una documentazione così ricca che io stesso, per quel che mi riguarda, sono stato costretto a limitare il mio lavoro ad un periodo di circa cento anni (dai primi decenni del sec. XIII ai primi decenni del sec. XIV), alle sole opere in volgare (escludendo quelle in latino), alle sole composizioni poetiche (escludendo quelle in prosa, e la saggistica) e, naturalmente, ai soli autori italiani. Per rendere l'idea di quanto possano essere a volte errate le nostre convinzioni è sufficiente un dato: la poesia di tema omosessuale in lingua italiana è, da quel che ho potuto verificare, più copiosa nel XIII secolo che nel XIX... Studiare il comportamento omosessuale in epoca medievale mette sempre di fronte a non pochi problemi metodologici.
È soprattutto il confine tra "comportamenti illeciti" e "leciti" ad essere molto diverso. Ciò che ai nostri occhi è esplicitamente omosessuale, agli occhi del medioevo spesso appariva come normale espressione d'amicizia, mentre alcuni dei tratti più connotati da erotismo nella società medievale ne sono del tutto privi oggi. In particolare va notato che la società medievale, al pari di tutte le società occidentali passate, e a differenza della nostra, era altamente "omo-sociale". Gli individui cioè lavoravano, studiavano, pregavano, si svagavano, e se non sposati di solito anche dormivano con persone del loro stesso sesso. Il livello d'intimità e contatto fra gli uomini e fra le donne permesso dalla società medievale sarebbe oggi giudicato "imbarazzante" perché esplicitamente "omo-sessuale" (mentre, al contrario, l'attuale promiscuità fra i sessi sarebbe stata giudicata, da un uomo del medioevo, come espressione della più sfrenata lussuria eterosessuale).
Troppe volte
si sono male interpretate calorose manifestazioni d'amicizia (o di devozione
per
un superiore) scambiandole per espressioni d'amore [2]
ed al contrario troppe volte s'è avuto buon gioco nel camuffare
la cosciente espressione di sentimenti amorosi fra persone dello stesso
sesso, spacciandola per una più anodina "amicizia".
Infine: perché ho scelto Dante come "spartiacque storico"? Perché egli condivideva, nei confronti dei sodomiti, una mentalità relativamente tollerante (tipica dell'alto medioevo) che venne meno a partire dalla seconda metà del Duecento, al punto da non essere più capita già dai commentatori danteschi del XIV secolo. Sotto l'assurda denominazione di "medioevo" noi affastelliamo infatti ben mille anni di storia, nel corso dei quali si sono avute fasi e cicli, momenti di persecuzione e momenti di tolleranza, momenti di fioritura di una sottocultura e momenti di regressione.
Le primissime attestazioni poetiche in latino e volgare. Per quanto mi è dato conoscere, la prima composizione medievale di autore italiano per una persona dello stesso sesso è scritta in lingua latina: si tratta della ben nota canzone O admirabile Veneris ydolum, che data dal IX secolo [4]. Per trovare un documento poetico in volgare allusivo all'omosessualità (in questo caso: alla sodomia) bisogna aspettare l'inizio del Duecento, con l'enueg (od enoio) di Girardo Pateg (secc. XII-XIII).
L'espressione
andare
in zoccoli per l'asciutto è un eufemismo per "usare sodomia":
si ricorderà che con tale significato si trova ad esempio nel Decamerone
(giornata V, novella 10) e in altre opere successive fino al
Cinquecento [6].
Ser Brunetto Latini e Bondìe Dietaiùti. Certo, questo fugace accenno nulla aggiunge a quanto già sapevamo sull'argomento. Tuttavia, pochi decenni dopo Pateg abbiamo già la prima composizione in volgare dedicata a persona dello stesso sesso -- per lo meno la prima che io abbia rintracciato.
Di recente Silvio Avalle D'Arco ha invece dimostrato che il destinatario era il poeta Bondìe Dietaiùti (sec. XIII), il quale rispose con la composizione "Amor, quando mi membra". Nessun dubbio sul fatto che la poesia del Latini sia amatoria: egli usa infatti il linguaggio convenzionale della poesia amorosa eterosessuale per esprimere i suoi sentimenti verso Bondìe.
Il senso della risposta di Bondie non è altrettanto facile da interpretare. Si ha infatti l'impressione che i due poeti parlino linguaggi differenti, o per meglio dire che attribuiscano alla parola "amore" significati diversi. Nella risposta di Bondìe si legge deferenza ostentata, rispetto per le alte qualità intellettuali di Brunetto, gioia per il fatto che un simile personaggio si sia ricordato di lui, nonostante una non meglio identificato colpa trascorsa; tutte ragioni - dice Bondìe - che non possono non spingerlo ad "amare" a sua volta Brunetto. Ma è questo un "amore" tutto cerebrale, mentre quello espresso dal Latini ha vibrazioni che lo avvicinano maggiormente a quanto noi riteniamo essere un sentimento amatorio. Così canta dunque Brunetto:
Ben diverso è il linguaggio di Bondìe:
Nonostante Avalle ritenga che le due composizioni appena viste siano la fonte da cui Dante avrebbe appreso dell'omosessualità del Latini, io non lo crederci probabile. Penso piuttosto che l'Alighieri si sia basato su pettegolezzi analoghi a quelli riferiti da suo figlio Pietro (nel commento alla Divina Commedia) a proposito di Jacopo Rusticucci [10]. Questo perché, come ho già detto, nel medioevo manifestazioni di attaccamento ed affetto fra persone dello stesso sesso, specie se dirette verso un superiore, erano socialmente ammesse. Si pensi solo all'artificio provenzale del senhal (che per la mentalità nostra è un controsenso): sotto il nome maschile di un superiore il poeta può nascondere l'identità della donna amata, cosicché canta l'amore per un uomo allo scopo di esprimere l'amore... per una donna [11]. Esempi di simili manifestazioni di "amor feudale" si trovano anche nella letteratura italiana, e pure in epoca piuttosto tarda (Quattrocento avanzato): sarebbe un errore crederle ipso facto genuine espressioni di un sentimento amoroso [12]. Quello che qualifica di "amatoria" la poesia in questione non è quindi il suo carattere affettuoso, che probabilmente non era visto, dalle convenzioni sociali dell'epoca, come legato alla pratica sodomitica/omosessuale, bensì il già accennato uso dei moduli stilistici scelti dal Latini, quelli dell'amor cortese. Le parole, le immagini, le similitudini che Brunetto sceglie sono adatte al registro amoroso, non a quello amicale. L'autore è tanto conscio di ciò che sta facendo, che preferisce velare il sesso della persona a cui si rivolge, attraverso l'artificio (usatissimo per secoli dagli omosessuali) di utilizzare solo aggettivi ambigeneri (si noti ad esempio l'avvenente della terzultima riga).
Al riparo di questo malizioso schermo, Brunetto può permettersi di invocare a suo favore la differenza esistente tra amicizia e sodomia, esaltando la prima in questa ed altre composizioni, e condannando la seconda nel Tesoretto: Se i suoi contemporanei abbiano poi creduto o meno alla purezza dei suoi sentimenti, è cosa da chiedere al buon Dante...Ma tra questi peccati
Attestazioni frammentarie di vari autori.
Per primi citerò due brani che testimoniano della mentalità da cui trasse alimento l'atteggiamento intollerante che trionfò dopo il 1300, e che rivelano la convergenza fra zelo religioso e rigorismo borghese.
L'altro brano ci viene invece dall'anonimo rimatore, soprannominato "il Dante genovese", che visse appunto a Genova nel XIII-XIV secolo.
Come si vede
il nostro devoto anonimo è un assertore della pena del rogo, che
iniziò ad essere effettivamente usata anche per i sodomiti
(prima sporadicamente, poi sistematicamente) a partire dall'ottavo-nono
decennio del XIII secolo [16].
Più difficile da valutare è la rilevanza di due sonetti di Rustico Filippi(1230/4-1291/1300): "A voi, messere Iacopo comare", e "Fastel, messer, fastidio de la cazza", nei quali troviamo epiteti ingiuriosi ("comare", "fastidio de la cazza") forse allusivi alla sodomia.
Quale che sia l'interpretazione da dare a questi versi (allusivi? non allusivi?) rimane comunque il fatto che si tratta in primo luogo di insulti, che come tali poco o nulla ci dicono sulle realtà esistenziali effettive. Lo stesso Rustico Filippi è del resto accusato a sua volta di darsi alla sodomia (anzi, alla prostituzione) da un altro compositore, Iacopo da Lèona (morto prima del 1277), che ci ha lasciato fra l'altro un sonetto burlesco, "Signori, udite strano malificio", zeppo di doppi sensi, in cui leggiamo:
Ovviamente è difficile che simili accuse corrispondessero à verità.
(e non è difficile immaginare quale "catapulta" (dificio) "rizzi" in modo tale da "non sbagliare un colpo") solo perché è un amorale, e non perché sia un sodomita per vocazione: infatti non esita ad utilizzare anche il furto, oltre alla prostituzione, per arraffare denaro. Sapore beffardo ha infine la composizione che Lapo Farinata degli Uberti (sec. XIII) scrive contro Guido Cavalcanti (1255?1300).
Lapo assicura che quel giorno "un che fu teco al boschetto" non vide
I casi sono insomma due, per Lapo: o Guido si è vantato "a vuoto" e quel giorno non ha fatto proprio nulla, oppure, se l'ha fatto davvero, l'ha fatto con un uomo... Ricordando però che il Cavalcanti aveva sposato una Beatrice degli Uberti, l'intera vicenda acquisisce il sapore d'una burla fra parenti.
La cerchia senese.
Costoro ci hanno infatti lasciato non solo alcune poesie omoerotiche, ma anche allusioni sparse che indirettamente si rivelano preziose per meglio definire gli incerti confini esistenti allora fra omoerotismo e pratica omosessuale. Gli autori dalle cui composizioni possiamo trarre notizie interessanti sono: Cecco Angiolieri, Musa (o Muscia) da Siena, Meo de' Tolomei, Granfione de' Tolomei e due anonimi. Nicola Musa da Siena e Granfione de' Tolomei. Fra gli autori appena nominati, Nicola Musa o Muscia da Siena (sec. XIII - dopo il 1290) è quello la cui "omosessualità" (come la chiameremmo oggi) è più probabile.
In essa Granfione paragona agli animali parlanti delle favole alcuni personaggi senesi dell'epoca; fra essi:
Più esplicito di così! Se il Muscia qui citato è davvero Musa da Siena, abbiamo anche la testimonianza convergente della sua omosessualità nei suoi stessi sonetti.
Di Lano dice Musa sempre nel secondo sonetto:
Come è evidente, anche questo poeta oltrepassa i confini dell'espressione amicale per entrare in quella amorosa. Per capirlo basterebbe notare l'insistenza con cui egli tratta dell'avvenenza dell'amico, descritta addirittura come la qualità preminente in Lano. La bellezza è infatti "tanta che non si potrebbe esprimere",
Musa, secondo le migliori tradizioni, non è riamato. Eppure non si scoraggia, e lungi dal tacere afferma orgogliosamente che la sua attrazione è frutto di "naturaltade" quanto quella che spinge il ferro verso la calamita. Nelle sue poesie, insomma, mi pare di individuare anche un elemento di autogiustificazione, nonché una rivendicazione. L'"Anonimo uno" (Musa da Siena?). Altrettanta chiarezza d'idee si ritrova in due sonetti anonimi ("Udite udite, dico a voi, signori" e "I' so' fermo in su questa oppenione") di cerchia angiolieresca (sec. XIII).
L'autore di questi due sonetti (Musa da Siena o chi per lui), per parlare dell'amore che prova per un altro uomo, nella prima composizione prende addirittura in prestito i "tre colori" della poesia "cortese":
Le intenzioni dell'autore verso l'amato sono del resto fin troppo esplicite:
Ma poiché il "bello" non sembra intenzionato a lasciare allungare le mani sui "tre bei colori", l'autore dichiara che intende mettersi a giacere e morire di sospiri e pianti. Anche nella seconda composizione le convenzioni letterarie della poesia amorosa del tempo emergono con prepotenza e (bisogna dirlo) senza alcuna originalità:
L'"Anonimo due" (Musa da Siena?). Alle poesie appena esaminate si avvicina molto un'altra una coppia di sonetti: poiché l'oggetto amato è in entrambi lo stesso, è facile identificarli come opera dello stesso rimatore.
Nella prima composizione viene descritto l'amore per un certo Corso:
Purtroppo tale amore non è ricambiato:
Nel secondo sonetto, costruito secondo i moduli del vituperium, Corso viene maledetto perché monopolizza l'attenzione d'un uomo bellissimo (al quale il nostro autore è tutt'altro che insensibile), ma anche l'amato riceve la sua dose di rabbuffi:
Anche qui il dubbio sul tipo di sentimento nutrito dall'autore non sussiste, dato che è esplicitamente definito "amor infiammato". È stato peraltro proposto di invertire il tradizionale ordine dei sonetti, di modo che il sentimento espresso dal primo per Corso risulti di gelosia piuttosto che d'amore. In questo modo, infatti, l'"Anonimo due" apparirebbe innamorato del "gaio compagno ed avvenente", portatogli via da Corso, suo rivale.
Il quadro delineato fin qui non è completo senza un paio d'allusioni che si trovano nei sonetti di Meo di Simone dei Tolomei (notizie fra il 1260 ed il 1310 circa), le cui opere sono state a lungo confuse con quelle dell'Angiolieri [32]. In alcuni di esse Meo si lamenta perché il suo ex amico Ciampolino ha perso al gioco il denaro prestatogli, e non lo vuole più restituire. Il rapporto intercorso fra i due prima della rottura appare, a prima vista, quello d'una normale amicizia, o al più di una comunanza di bagordi. È vero che Meo dice:
ma in un'altra composizione tale "amore" assume per l'appunto i normali connotati amicali:
Eppure, proprio in quest'ultimo sonetto troviamo un'inattesa ammissione di amori omosessuali:
Una volta di più: dov'era mai il confine tra l'esser "dritt'amici" ed il "voler lo mascolino" che Meo dice di aver "abbandonato" (ma solo perché troppo costoso)? La brusca e del tutto spontanea convergenza fra amicizia e "amar lo masculino" di questa poesia ci ammonisce che se non tutta l'amicizia antica va letta in chiave omosessuale, è sbagliato ostinarsi a leggerla tutta come se non potesse mai avere connotazioni omosessuali. Se l'ambiente poetico senese era, come abbiamo visto, così poco pudibondo nel parlare di amori maschili, quel birbone di Cecco Angiolieri (ca. 1250 - prima del 1313) non poteva certo mancare di dire la sua.
Il tono di questi versi è chiaramente giocoso... ma riusciamo a immaginarci un poeta, ad esempio, del XIX secolo, che per dire quanto gli è necessario l'amore paragonasse il suo bisogno a quello d'un sodomita? Evidentemente no.
Oltre tutto, va notato che non si tratta dell'atteggiamento isolato di un singolo personaggio un po' mattacchione. Il Ciampolino citato dall'Angiolieri è probabilmente lo stesso di cui parla Meo de' Tolomei.
Tale frequentazione comune degli stessi ambienti, questa apparizione ripetuta nelle rime dei senesi non solo di prostitute, giocatori, "gavazzatori", ma anche di una nutrita pattuglia di sodomiti - anche part-time - (Muscia / l'Anonimo uno / l'Anonimo due, Moco, ser Lici, Mino di Pepo Accorridore, per un certo periodo Ciampolino e Meo) ci pone un'importante questione. Da cosa nasce questa visibilità così aperta dei sodomiti, che nelle composizioni appena viste sono persone sì schernite, ma tangibilmente presenti in mezzo agli altri, neppur tanto nascoste? E da dove hanno origine le dichiarazioni così orgogliose di amore "diverso" (che ritroveremo nella cerchia dei "perugini")? Siamo di fronte a una sottocultura (tollerata dalla società dei "normali") o solo alle stranezze di alcuni eccentrici?
La questione della sottocultura deviante. Fino ad oggi la risposta degli studiosi di letteratura è stata quella di negare una rispondenza qualsiasi fra queste espressioni letterarie e la realtà oggettiva. Quelle di cui abbiamo parlato sarebbero composizioni giocose, meri divertimenti letterari che non intendono certo esprimere sul serio una "perversione sessuale". Ovviamente io dissento da questo approccio.
Proprio per questo, senza affatto negare la presenza d'elementi convenzionali nelle poesie che stiamo esaminando, non ritengo imprudente verificare anche la possibile presenza in esse di elementi derivati da una sottocultura.
Purtroppo molti studiosi, eccessivamente attaccati al modello nordamericano di sottocultura, lo usano come pietra di paragone universalmente valida. Solo quando riconoscono tratti simili a quelli esistenti oggi a San Francisco o New York, sono disposti ad ammettere la presenza di una "sottocultura omosessuale".
Eppure i tratti che emergono dai documenti antichi delineano ambienti in cui certe caratteristiche riappaiono con insistenza, e ci permettono di farci un'idea di massima di una possibile sottocultura medievale:
Era composta da persone sposate in misura maggiore di quanto lo sia oggi la sottocultura omosessuale, ma conosceva anche il sodomita non ammogliato [37]. Taverne, negozi di barbieri (sic!) e quartieri "malfamati" sono le zone che con più insistenza ritornano per secoli nei processi, nei fulmini dei predicatori, nelle barzellette, nelle disposizioni legislative che riguardano i sodomiti. Ma a volte troviamo anche luoghi assolutamente "anomali", come i portici delle chiese [38]. La sottocultura sodomita prevedeva quindi e stimolava la nascita ai suoi margini di una fiorente prostituzione.[39]. La motivazione economica del "passivo" è del resto ribadita fino alla nausea da molti documenti, prodotti sia all'interno che all'esterno di questa sottocultura. Lo stesso "sodomita" si aspettava tale motivazione dal suo partner, e tentava quindi di allettarlo con favori, grazie e soprattutto denaro.[40]. Anche le poesie che stiamo esaminando lasciano trasparire, a mio parere, una simile concezione. Mi limito pertanto a questi pochi cenni, ripromettendomi di ritornare più ampiamente sull'argomento in futuro [41]. Quello che contava sottolineare qui era come non sia del tutto assurdo ipotizzare che le composizioni ora esaminate (o almeno alcune di esse) possano essere almeno in parte espressione di uno "stile di vita" (o sottocultura) sodomita, nonostante indossino le vesti ortodosse ed eleganti della convenzione letteraria amorosa (o giocosa) dell'epoca.
Un simile sospetto diviene particolarmente forte esaminando le composizioni lasciateci dalla "cerchia perugina", fiorita nei primi decenni del Trecento. Trattandosi del fenomeno più visibile (ed "ingombrante") di espressione poetica di sentimenti omoerotici nel periodo pre-rinascimentale, è soprattutto su questa cerchia che si sono appuntati gli strali e l'attenzione degli studiosi. "Giocosi epigoni", li definisce ad esempio un ricercatore della levatura di Mario Marti, che aggiunge:
"Con loro siamo di fronte al fossilizzarsi di una tradizione e al rinnovarsi in volgare di un "genere" letterario, già così garrulo, vivace e zampillante nel latino dei Goliardi".[42].Per Marti la tematica omoerotica che troviamo in una percentuale piuttosto consistente di composizioni di questa cerchia, è in definitiva solo un gioco letterario, l'estrema dissacrazione dei poeti burleschi del Due-Trecento: "A noi repugna il pensiero che uomini veramente pervertiti si facciano della loro perversione una luminosa bandiera e si esaltino della loro vergogna…La posizione del Marti riassume le reticenze di molti altri studiosi che fino ad oggi hanno letto la poesia omoerotica in tutti i modi possibili ed immaginabili (poesia d'amicizia, poesia burlesca, imitazione dell'antichità grecoromana…) dando sempre per scontata una sua intrinseca non-sincerità. Le stesse reticenze che Francesco Gnerre ha riscontrato nella critica letteraria italiana a proposito del romanzo moderno [44] o Roberto Polce a proposito della poesia contemporanea [45] si ritrovano (ed in modo perfino più accentuato) a proposito della poesia e della letteratura antica [46]. Con questo non voglio affatto negare che almeno in parte Marti abbia ragione. Nelle tenzoni (comprendenti composizione di Attaviano, Gilio Lelli, Neri Moscoli, Cola di messer Alessandro, ser Cione, Trebaldino Manfredini, Cecco Nuccoli e Cecco di messer Baglioni), il carattere burlesco è immediatamente evidente. E che in altre composizioni si possano ritrovare elementi tipici della poesia giocosa, è pure vero: ad esempio laddove Cecco Nuccoli rievoca
viene sùbito alla mente l'Angiolieri:
Qui siamo di fronte, come ben sottolinea Marti, alla triade "taberna, lusus, puella" (taverna, gioco e donna), dei goliardi, tradotta in chiave omosessuale (il ciamprolino è un amante di sesso maschile, o prostituto). Eppure ancora una volta il ricorso alla convenzione letteraria non è da solo sufficiente per spiegare le poesie dei rimatori perugini. Per almeno due di loro, Cecco Nùccoli (che dedica un piccolo, delicato canzoniere all'amato Trebaldino Manfredini) e Marino Céccoli (il migliore dei poeti di questa cerchia) il tema omosessuale è un'importante fonte di ispirazione, espressa in composizioni "letterariamente garbate", per usare una volta di più le parole del Marti. Si noti quanto sia esplicito il carattere giocoso delle tenzoni; ad esempio in quella fra Attaviano e Neri Moscoli:
Né Moscoli rinuncia a (letteralmente) "risponder per le rime":
Si noti qui il doppio senso osceno: "giardino" ed "orto" nel linguaggio burlesco significano "ano", mentre nel linguaggio burchiellesco, che è palesemente anticipato dal linguaggio di questi rimatori, la "virtù" sarà il "membro virile"…
Eppure cosa c'è mai di "giocoso" in questi versi amorosi di Marino Ceccoli?
E cosa c'è di "burlesco" in questi altri versi dello stesso autore?
Anche Cecco Nuccoli, che pure è più "scanzonato" e meno "intimista" del Ceccoli. Sa trovare accenti appassionati che nulla hanno a che spartire con intenti satirici:
Ecco perché Giorgio Petrocchi, parlando del Nuccoli, osserva: "Egli riflette così intensamente un'impressione personale, che la sua produzione poetica si potrebbe collocare meglio tra le liriche a sfondo autobiografico del primo Trecento; la supposizione di un malizioso intento burlesco per il Nuccoli come per il Ceccoli non è facile da provare".[54].E dello stesso parere è anche Achille Tartaro: "Il linguaggio cortese si adatta senza fatica al sentimento di un amore innaturale. Potrà trattarsi di un gioco, come crede il Marti; ma non lo diremmo un gioco "burlesco", maliziosamente anticortese: non vi percepiamo, al fondo, i tratti dell'ammicco dissacratorio, i segni del riso osceno e grossolanamente allusivo che si scopre invece - come una costante autenticamente parodistica - nelle tenzoni d'argomento sodomitico.Mi sono soffermato a riportare i pareri critici appena citati per due ragioni. La prima era mostrare quanto sia difficile, anche per gli studiosi padroni dei più raffinati strumenti di critica testuale, afferrare il significato sociale ed umano di simili manifestazioni letterarie, che la nostra società bolla di "scabrose". La seconda era richiamare l'attenzione sullo "sconvolgente" fenomeno di un'intera cerchia di poeti che non solo riprende l'ormai noto tema burlesco della sodomia (accusa che rimbalza dall'uno all'altro nelle tenzoni) ma che lascia spazio ad almeno due compositori per cui l'omoerotismo è un tema d'ispirazione essenziale (e la qualità poetica, oltre tutto, è decisamente superiore alla media). Anche qui siamo di fronte non ad un "gioco da salotto", ma alla cosciente affermazione d'orgoglio per il proprio amore.
Ovvio che un simile atteggiamento doveva provocare reazioni sociali. Nuccoli ha il problema di quanti "parlano e lo mostrano a dito", ma anche il buon Ceccoli deve vedersela con le malelingue che propalano ciò che non si è mai molto curato di nascondere. Di lui esiste una lettera in latino, in cui si difende dall'accusa di sodomia, come richiestogli dal destinatario, il suo amico Ugolino [57]. Ma anche così facendo ha più l'aria di cercare di giustificare ciò che è, piuttosto che di sembrare ciò che non è. Non mi è possibile setacciare ulteriormente il troppo copioso materiale che ci viene dai perugini. L'omosessualità è davvero pervasiva di buona parte della produzione poetica di questa cerchia. Una lettura attenta rivela il tema omosessuale, fra le pieghe, anche in composizioni dove apparentemente non c'entra.
E qui i "capretti" ed "agnelli" saranno, come è attestato più volte nella letteratura antica di tema omosessuale, specie burlesca, i "ragazzini", i "garzoni". Tanto è vero che al verso successivo Moscoli aggiunge:
Allo stesso modo salta all'occhio la tenzone fra Cione e Neri Moscoli, in cui il secondo risponde ai vanti guerreschi del primo, che si dipinge fiero in groppa al suo morello, dicendogli che non conquistatore è, ma banalmente… promiscuo e di bocca buona:
Moscoli non partecipa degli ardori omoerotici di Nuccoli e Ceccoli, e canta la bellezza femminile; resta però di rilievo il fatto che anch'egli viene, per così dire, "contagiato" dall'interesse che la cerchia perugina dimostra verso i comportamenti e gli amori omosessuali. È auspicabile che ulteriori studi analizzino il come ed il perché. Il discorso fatto fin qui non può essere completo senza un'analisi delle opinioni che l'Alighieri (1265-1321) esprime sulla sodomia nei canti XV e XVI dell'Inferno.
Mi sarà sufficiente notare la relativa indulgenza che egli dimostra verso questo peccato, e non solo nell'Inferno, dove gli usurai sono puniti con maggiore severità dei sodomiti, ma anche nel canto XXVI del Purgatorio, in cui lussuriosi "secondo natura" e "contro natura" sono puniti con una pena identica. Dante si serve in effetti di un doppio criterio per giudicare i sodomiti: da un lato, secondo un giudizio teologico, la sodomia è un peccato gravissimo, tale da far meritare l'inferno a chi lo commetta e non se ne penta in tempo.
L'identità di pena comminata a sodomiti e lussuriosi "secondo natura" nel Purgatorio, è perfettamente in linea con la mentalità ufficiale (soprattutto religiosa) del medioevo. Essa non considera la lussuria omosessuale come qualitativamente diversa dall'eterosessuale. La prima si colloca per così dire su un gradino più basso, rispetto alla lussuria in generale, piuttosto che su un cammino differente. Il sodomita è, per il pensiero religioso, un individuo talmente accecato dalla libidine da non fare più nemmeno caso al sesso della persona con cui copula. Come nota san Tommaso d'Aquino: "Il lussurioso non ha di mira la generazione, ma il piacere venereo, il quale si può ottenere anche senza gli atti da cui segue la generazione di un uomo.Dalla presa di posizione del più grande teologo del medioevo cristiano si può capire come non sia priva di fondamento la pretesa, spesso portata avanti dagli storici anglosassoni, secondo cui nel medioevo l'atto sodomitico era visto come "atto singolo", non legato ad una tendenza "innata" dell'individuo che lo commetteva. Questa conclusione può essere senz'altro accettata, purché se ne specifichi l'àmbito: è nel pensiero religioso cristiano (e nel pensiero laico da esso influenzato direttamente) che l'atto omosessuale viene interpretato esclusivamente come "peccato" che si innesta su una "natura umana" uguale per tutti. Quanto tale atteggiamento fosse radicato nel pensiero cristiano, l'ha dimostrato la Chiesa cattolica, che fino a dieci anni fa rifiutava di considerare la pulsione omosessuale come altro che frutto di vizio o di tentazione del demonio. È stato solo con il Persona humana di Paolo VI [1975] che essa ha timidamente ammesso che a volte può essere frutto di fattori "innati". Prima di allora respingeva addirittura l'idea che l'omosessualità costituisse una "malattia", perché ciò minava il dogma di una umanità tutta egualmente predisposta ai peccati di lussuria, ma diversa nella capacità di resistervi. Lo storico che fra mille anni scrivesse la storia del comportamento omosessuale basandosi solo sui documenti ufficiali della Chiesa cattolica (come pretendono di fare per il medioevo troppi storici), ne concluderebbe che fino al 1976 in Occidente si riteneva l'omosessualità frutto di vizio o di istigazione diabolica. Ciò non sarebbe di per sé falso, ma risulterebbe fuorviante, anche perché non terrebbe conto (fra l'altro) della discrepanza spesso esistente fra le dichiarazioni ufficiali di una società, e quel che in realtà la gente pensa "ufficiosamente" (quanti cattolici oggi non usano la pillola?). Ebbene, Dante
era figlio di una società che "ufficiosamente" non considerava ancora
la sodomia come un peccato gravissimo [63].
Egli non collocò affatto Brunetto fra i sodomiti per "infamarlo":
per
lui la fama di sodomita non era sufficiente a scemare il rispetto che si
deve alle persone illustri.
Sarà solo dal tentativo di colmare questa dicotomia fra giudizio divino e giudizio umano (tentativo incoraggiato in parte dall'affermarsi del pensiero tomistico, e in parte dai fremiti religiosi e di moralizzazione del riformismo popolar-borghese, già notati precedentemente), che nascerà, a cavallo fra il Duecento ed il Trecento, la mentalità intollerante e persecutoria verso i sodomiti [64]. Sarà così possibile fraintendere, già a pochi anni dalla morte di Dante, il senso del suo comportamento. Nota un anonimo commentatore del XIV secolo, equivocando a proposito della gentilezza dimostrata dall'Alighieri verso i sodomiti: "Qui mostra l'Auttore l'amore et l'affezione ch'egli avea a costoro et per questo comprende alcuno, l'Auttore essere stato maculato di questo vizio, però, che sua usanza è che quante volte egli trova peccatori essere puniti d'alcuno vizio di che egli abbia sentito, se ne duole et hanne compassione, pensando similmente essere punito elli" [65].Un altro anonimo, che scrive fra il 1321 ed il 1337, cercherà di risolvere la "strana" indulgenza di Dante ipotizzando due categorie diverse: una di sodomiti "buoni", che sono tali "per cause di forza maggiore", l'altra di "cattivi", che sono tali per "vocazione". Naturalmente Dante si sarebbe rivolto solo ai primi: "E di questo scelerato pecchato sono due generationi di genti, l'una religiosi e maiestri in scientia, e genti che mostrano d'essare gente honesta e quando per vergogna, e quando per non potere non richieggono donna o femmina, si trovano questo altro male, e con esso si stanno.In realtà vede molto più correttamente Francesco da Buti (1324-1406) là dove commenta al proposito: "E qui è notabile che l'uomo vizioso in alcuno peccato puote avere virtù in sé, per la quale merita onore e reverenzia; e così mostra l'autore che facesse a ser Brunetto nella vita presente onorando la virtù ch'era in lui, lasciando il vizio" [67].Di tutti i sodomiti infatti Dante rispetta le virtù ("A costor si vuol esser cortese"): una delle rare volte in cui egli abbandona il "tu" nel rivolgersi ai dannati, per passare ad un rispettoso "voi", e proprio nei parlare con i sodomiti. Oggi per molte persone l'accusare qualcuno di essere un sodomita è incompatibile col desiderio di onorarne la memoria. Non era così comunque, per Dante, che anzi descrisse i suoi interlocutori nell'atto di chiedergli senza vergogna di parlare di loro quando fosse tornato sulla Terra, al contrario di altri peccatori che non avrebbero voluto che il loro nome e la loro colpa fossero conosciuti. Dante perciò non ha scelto di "rivelare" il "vizio" di ser Brunetto per disonorarne la memoria. Dal suo punto di vista questo peccato è assai meno disonorevole di molti altri, per i quali oggi il Latini sarebbe invece assolto più volentieri (quanti studiosi lo avrebbero preferito assassino piuttosto che "sodomita"!) [68]. L'Alighieri non aveva però previsto che subito dopo la sua morte la sodomia sarebbe stata valutata con molto più rigore di quanto non avesse fatto lui.
"Mostrando Dante molto lodare ser Brunetto lo vuol vituperare in perpetuo di tale infamia, che oscura ed ammorza ogni laude, e questo fa introducendolo tra i peccatori contra natura.Guiniforte è insomma così lontano ormai dalle posizioni di Dante, da pretendere di "intenderlo per lo contrario di ciò che dice". Ebbene, il "mistero" della presenza di Brunetto nel girone dei sodomiti è nato tutto da qui: dalla pretesa di leggere la Commedia "per lo contrario", secondo la nostra moralità, e non secondo quella del suo autore .
Da un saggio compilativo ed antologico come questo non credo si possano trarre conclusioni. Scopo di questo lavoro era "aprire la strada" alla ricerca di altri, facilitare il lavoro dei futuri studiosi col raccogliere i documenti sparsi qua e là, richiamare l'attenzione sulla ricchezza del patrimonio letterario italiano che attende ancora d'essere passato a setaccio, e fornire qualche rado appunto metodologico. Forse chi scriverà fra qualche anno, forte di nuove ricerche e di nuovi documenti, potrà offrire quelle conclusioni che per ora sarebbe prematuro dare.
Milano, 13 dicembre 1985 L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Edito in origine come: Giovanni Dall'Orto, L'omosessualità nella poesia volgare italiana fino al tempo di Dante. Appunti,"Sodoma", III 3, primavera-estate 1986, pp. 13-37. Il saggio è stato rivisto prima d'essere messo online. Ho fatto qualche aggiunta (specie nelle note) e soprattutto correzione d'errori, ma non ne ho aggiornato la bibliografia (che resta sostanzialmente quella del 1985) perché per farlo avrei dovuto riscriverlo ex novo, se non altro per aggiungere il nuovo materiale poetico che ho scoperto nel frattempo. Ho quindi preferito lasciare le cose grosso modo come stavano. Qui è online, in formato .pdf, una copia del saggio com'era prima degli aggiornamenti e delle correzioni (con in più diversi errori dovuti a una scansione frettolosa). Una ripresa di una parte del presente lavoro (senza mai citarlo!) è in: Giandomenico Turchi, Dai Toscani ai Perugini: l'omosessualità nella poesia comico-realistica, "Inverses. Littératures, arts & homosexualités", n. 4, 2004, pp. 124-147 (anche in traduzione francese, pp. 97-123).
[2] Così fa ad esempio John Boswell nel suo Cristianesimo, tolleranza, omosessualità [1980], Leonardo, Milano 1989: molte delle sue "sicure prove" dell'omosessualità di questo o quell'autore non escono di fatto dalle banali convenzioni epistolari o letterarie dell'epoca.
[3].Alcuni contributi importanti per dirimere la questione sono già apparsi.
Gerard Herman, The "sin against nature" and its echoes in medieval French literature, "Annuale mediaevale", XVII 1976, pp. 70-87; Jefim Schirmann, The ephebe in medieval Hebrew poetry, "Sefaraad", XV 1955, pp. 55-68; Guglielmo Volpi, Il "bel giovine" nella letteratura volgare del sec. XV, Tedeschi, Verona 1891 (non conclusivo e incentrato sul Quattrocento, ma molto utile); Jean Leclercq, L'amitié dans les lettres au Moyen Age, "Revue du Moyen Age latin", I 1945, pp. 391-410 (molto importante per capire le convenzioni epistolari). Un essenziale contributo ci viene dall'introduzione di Thomas Stehling all'antologia da lui curata: Medieval latin poems of male love and friendship, Garland, New York and London 1984 (che purtroppo, per eccesso di venerazione, riprende anche alcuni errori di Boswell). [4] Per il testo latino, con traduzione a fronte, si veda: Antonio Viscardi (a cura di), Le origini: testi latini, italiani, provenzali e franco-italiani, Ricciardi, Milano-Napoli 1956, pp. 242-43.
[5].Il testo qui riportato è quello dato in: Gianfranco Contini (a cura di) Poeti del Duecento, Ricciardi, Milano e Napoli 1970, vol. 1, p. 587.
[6] Si veda per esempio: Matteo Bandello, Le novelle, Laterza, Bari 1911 vol. I, p. 95: "Ma fra gli altri diffetti che in lui abbondavano, questo fra gli altri era uno dei solenni… che quello era il sommo suo diletto d'andare in zoccoli per l'asciutto". Si veda anche: Francesco Berni (sic) Opere burlesche, Usecht al Reno (ma Milano) 1760, vol. 11, p. 231 ("In lode delle mele", di Andrea Lori). [7] Ad esempio nella versione pubblicata in: Ezio Levi, Poeti antichi lombardi, Cogliati, Milano 1921, p. 83. [8] Silvio Avalle D'Arco, Ai luoghi di delizia pieni, Ricciardi, Milano e Napoli 1977, pp. 87-106 e 191-197.
[9].Ibidem,
pp. 194-197.
[10] Pietro Alighieri, Commentarium super Dantis ipsius genitoris comoediam, Piatti, Firenze 1845, pp. 178-79. [11] L'ambiguità di simile pratica è stata però messa in luce dal saggio di Christiane Marchello-Nizia, Amour courtois, société masculine et figures du pouvoir, "Annales E.S.C.", XXXVI 1981, II, pp. 969-982, che sostiene che nella letteratura cortese dei secc. XII-XIII, "la femme n'est que la mediatrice d'une relation instaurée entre des hommes… Dans cette hypothèse, la dame peut être interpretée comme la métonymie du seigneur son époux" (p. 980). [12] Si veda ad esempio Niccolò Cieco (notizie fra 1428 e 1440), che alla partenza del conte Francesco Sforza da Firenze nel 1434 gli indirizzò il sonetto: "Signor, membrando l'effettivo amore".
[13] Brunetto Latini, Tesoretto. In: Gianfranco Contini (a cura di), Poeti del Duecento, Op. cit., tomo 2, p. 274, versi 2859-2864.
[14] Iacopone Da Todi, Laude, Laterza, Bari 1974, p. 193. [15] Anonimo Genovese, Poesie, Ed. dell'Ateneo, Roma 1970, poesia n. 82. [16] La prima attestazione di esecuzione capitale per sodomia in Europa risale al 1277: Annales Basileenses, in: Monumenta Germaniae Historica, scriptorum tomus XVII, p. 201. Per l'Italia la prima attestazione risale, per quanto ne sappia io, al 1293, e sta nella Cronaca fiorentina di anonimo, pubblicata in: Alfredo Schiaffini (a cura di), Testi fiorentini del Duecento e dei primi del Trecento, Sansoni, Firenze 1926, p. 139. [17] Maurizio Vitale (a cura di), Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, Utet, Torino 1956, vol. 1, p. 120; ed anche Mario Marti, Poeti giocosi del tempo di Dante, Rizzoli, Milano 1956, p. 33. [18] Maurizio Vitale, Op. cit., pp. 207-208; ed anche Mario Marti, Op. cit., p. 97. [19].Ivi. [20] In: "Il propugnatore", X 1877, parte 1, pp. 138-39. Successivamente alla pubblicazione di questo saggio è poi apparsa in: Guido Cavalcanti, Rime, Einaudi, Torino 1986, p. 178.
[21].Ivi. Poi in: Guido Cavalcanti, Rime, Einaudi, Torino 1986, p. 182.
Non appartengo a questa "scuola" e tanto basti; quanto a Yorik, impari a leggere e scrivere, prima di criticare. Credo sia il minimo che si possa pretendere. [22] Mario Marti, Op. cit., p. 299.
Anche il parallelo con la "gatta" è allusivo, e fa riferimento alla dimensione "notturna" della vita del sodomita, che schivando le ronde si aggirava per la città vuota alla ricerca di amori, proprio come un gattaccio randagio. Più oltre vedremo che in una tenzone burlesca Attaviano accuserà Neri Moscoli di avere gli occhi della gatta, ma anche in un sonetto inedito scritto a Venezia nel XVI secolo ritroviamo la stessa metafora: Sù gatti, reduseve in Carampane, / lassé da banda el sesso masculin... / forse che manca al mondo le puttane / che serve volentiera del monin?" (Bibl. nazionale Marciana, Venezia, Ms. it. cl. 9 n. 217 = 7061. Devo la segnalazione e la trascrizione di questo inedito alla cortesia del prof. Gianni Scarabello).
[23] Mario Marti, Op. cit., p. 293. [24].Ivi. [25].Ivi. [26].Ibidem, p. 240. [27].Ivi. [28].Ibidem, p. 241. [29].Ibidem, p. 242. [30].Ivi. [31].Ibidem, p. 243.
[32] Non citerò in questo paragrafo la nota composizione "Quando Min Zeppa entra in Santo", perché io ritengo che l'epiteto di finocchio qui usato non significhi "sodomita", ma più semplicemente "babbeo", come è nelle altre attestazioni della stessa epoca, e fino al XIX secolo. [33] Mario Marti, Op. cit., p. 269. [34].Ibidem, p. 268. [35].Ivi. [36].Ibidem, p. 148. Il testo è online anche sul sito del Progetto Manuzio, sonetto 7, che si basa su: Cecco Angiolieri, Rime, a cura di Gigi Cavalli, BUR, Milano 1979.
[37] Assai significativi da questo punto di vista i dati di Michael Rocke sulla presenza spropositata di maschi adulti mai ammogliati nei processi per sodomia della Firenze quattrocentesca. [38] Una lista di "luoghi" frequentati da sodomiti, secondo gli antichi documenti, appare nel mio saggio: Antonio Rocco and the background of his "L'Alcibiade fanciullo a scola", (1652), in: Atti del convegno "Among men, among women", Amsterdam 1983, pp. 224-232, e poi, in italiano, nel mio saggio: La fenice di Sodoma. Essere omosessuale nell'Italia del Rinascimento, "Sodoma" V 4, primavera-estate 1988, pp. 31-53. [39] Per il Trecento si veda la testimonianza di Giordano da Rivalta, Prediche inedite, Silvestri, Milano 1839, vol. 1, p. 101 e, per un periodo più tardo, di san Bernardino da Siena, Le prediche volgari, Rizzoli, Milano s.d. (ma 1936), p. 898 e passim. [40].Dopodiché Michael Rocke ha scoperto nel suo studio della Firenze del Rinascimento (Forbidden friendships. Homosexuality and male culture in Renaissance Florence, Oxford University Press, Oxford e New York 1996), che una certa percentuale di sodomiti, iniziata da ragazzo la "carriera" come passivo per guadagno, l'ha continuata da adulto come attivo, pagando.
[41].L'ho fatto nel mio saggio: La fenice di Sodoma. Essere omosessuale nell'Italia del Rinascimento, "Sodoma" n. 4, Primavera/estate 1988, pp. 31-53. [42].Mario Marti, Cultura e stile nei discorsi giocosi del tempo di Dante, Nistri-Lischi, Pisa 1953, p. 183. [43].Mario Marti, Poeti giocosi del tempo di Dante, op. cit., p. 658. [44] Francesco Gnerre, L'eroe negato, Gammalibri, Milano 1981 e Baldini e Castoldi, Milano 2000; Francesco Gnerre, "Omosessualità e letteratura" in: Giovanni Delfino (a cura di), Quando le nostre labbra si parlano, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985, pp. 15-20. [45] Roberto Polce, Penna rubato, "Libertaria", n. 2, inverno 1983, pp. 58-65. [46] Non si creda che i critici più recenti siano necessariamente i più aperti. Il culto ottocentesco (talora fanatico) per il "documento di lingua" ha spesso spinto gli studiosi del secolo scorso a pubblicare e discutere testi dal contenuto "scabroso". Molte di queste opere sono oggi disponibili solo in edizioni ottocentesche perché, venuta meno la curiosità erudita del secolo passato, si è preferito lasciarle elegantemente cadere nell'oblio…
[47] Mario Marti, Poeti giocosi…, Op. cit., p. 695. [48].Ibidem, p. 192. [49].Ibidem, p. 774. [50].Ibidem, p. 775.
[51].Ibidem, p. 668.
Paradossalmente Marti finirebbe con l'avere avuto ragione: i perugini desideravano realmente sputtanare il rarefatto linguaggio stilnovista facendosene beffe e trasformandone le virtù, l'amore e l'anima nella richiesta al proprio ganzo di non andarsene lasciando orfana e vuota la propria cavità posteriore… Dubito però che Marti intendesse insinuare che le radici del gergo burchiellesco vadano cercate tanto lontano: se non altro perché il gergo burchiellesco è stato fin qui la pecora nera degli studiosi italiani, al punto che ancora non esiste un'edizione critica delle Rime del Burchiello.
[52].Ibidem, p. 671. [53].Ibidem, p. 703. Volendo a tutti i costi continuare il gioco del "proto-burchiellesco" il "ramo fiorito" è un "membro in erezione" (nel gergo burchiellesco tutto ciò che indica forza e vigore è metonimia per l'erezione), e ciò che teme il poeta è che gli venga strappata via l'"anima" dal "cuore". Eccetera.
[54] Emilio Cecchi e Natalino Sapegno (a cura di), Storia della letteratura italiana, Garzanti, Milano 1972, vol. 1, p. 712. [55] Carlo Muscetta (a cura di), La letteratura italiana: storia e testi, Laterza, Bari 1973, vol. 1, pp. 427-428. [56] Mario Marti, Op. cit., p. 702. [57] Ne segnala l'esistenza Marti, Op. cit., che dal manoscritto Barberiniano-Vaticano latino 4036 riprende alle pp. 685-686 il sonetto che accompagna la lettera, e "buona parte" del testo latino. Anche questa è una ben strana "difesa", in cui il nostro si paragona ad una barca che da fortuna malvagia è stata spinta con freddi venti in un luogo dove "salute se desvia", e supplica l'amico Ugolino di pregare Dio, perché gli sia concesso di accodarsi alla sua barca che "immacolata per la via d'Amore va". [58] Mario Marti, Op. cit., p. 642. [59].Ibidem, p. 773. [60] Non discuterò in questo paragrafo della cosiddetta "Tenzone fra Dante e Forese", la cui autenticità è molto controversa. Personalmente sono convinto dagli argomenti di quanti la considerano un falso burlesco del XV secolo.
[61] Per una trattazione della questione si veda l'Enciclopedia dantesca, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1976, vol. 5, pp. 285-287, alle voci "Sodoma" e "sodomiti". [62] Tommaso d'Aquino, Summa theologica, II, II, q. 154, art. 11, c. 3. Traduzione italiana: Salani, Firenze 1968, vol. XXI. [63] Per capire l'atteggiamento della società italiana verso la sodomia in questo periodo, è indispensabile fare riferimento al libro di Michael Goodich, The unmentionable vice: homosexuality in the later medieval period, Ross-Erikson, Santa Barbara 1979. [64] Per un'accurata trattazione di tale evoluzione si veda Michael Goodich, Op. cit., cap. 4 ("The fourth Lateran Council and Scholasticism"). [65].Commento alla Divina commedia d'Anonimo fiorentino del sec. XIV, Romagnoli, Bologna 1866, vol. 1, p. 375. [66] Giuseppe Avalle (a cura di), Chiose all'Inferno di Dante, Lapi, Città di Castello 1900, p. 81. [67] Francesco da Buti, Commento sopra la Divina commedia, Nistri, Pisa 1858, vol. 1, p. 407. [68] André Pézard ha dedicato un intero libro (Dante sous la pluie de feu, Librairie philosophique, Paris 1950) al ridicolo sforzo di "lavare l'onta" di cui ritiene ingiustamente macchiati Brunetto e gli altri. Pézard vuole dimostrare che in realtà i canti XV e XVI dell'Inferno non parlano di sodomia vera e propria, ma di "sodomie spirituelle", consistente, nel caso del Latini, nell'avere usato il francese e non il volgare fiorentino per il Trésor. [69] Guiniforte dei Bargigi, Lo Inferno della Commedia di Dante Alighieri col commento di Guiniforto delli Bargigi, Molini e Mossy, Firenze e Marsiglia 1838, p. 367. |
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