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Ardenti baci fraterni sotto le arcate
gothiche.
Quando la “teoria
queer” si impiccia di storia (San Francesco "queer"?).
[da "Facebook", 28 dicembre 2015]
di: Giovanni Dall'Orto
Mi è stato chiesto in privato un parere e un commento su questo articolo, dichiaratamente imbevuto di “teoria queer”, che sostiene che san Francesco d’Assisi era “queer”.
Visto
che la risposta mi è venuta fuori articolata, ho deciso di
condividerla anche qui.
Gentile *********
Cosa devo rispondere? Non ho mai visto una tale sequela di errori storiografici concentrati in uno spazio tanto breve.
Si parte dalla mancanza di una chiara definizione. Si dice che Francesco era "queer", e passi: ma cosa vuole dire tale parola? Non viene mai spiegato... però ad un certo punto si chiarisce che non può significare "omosessuale" dato che “il concetto è contemporaneo e non si applica al passato”. Quindi, omosessuale non era.
E allora? Be’, era "homoaffective". E quindi? Cosa cavolo vuole dire questa parola? (Che, incidentalmente, è di molti più decenni ancora più contemporanea di “omosessuale”, e quindi in base alla contorta logica “queer” non si può applicare al passato).
Vuol forse dire che Francesco amava i confratelli?
Be',
ovviamente è sfuggito all'autrice il fatto che ai tempi di
Francesco esisteva una religione, detta "cristianesimo",
che chiamava i suoi adepti ad "amare" il prossimo. Amare di
affetto solidale (agapè) o fraterno (filìa),
che nella cultura dell'epoca era tenuto ben distinto dall'amore
sessualmente motivato (éros), ma questo è un
concetto che pare totalmente ignoto a chi ha scritto il pezzo.
Certo, che Francesco era "homoaffective"! Ma lo erano anche decine di milioni di suoi contemporanei. Lo straordinario accecamento ideologico e "presentismo" [giudicare il passato sulla base dei pregiudizi del presente] di chi ha scritto il pezzo emerge dal fatto di avere preso un aspetto che era comune nel medioevo (lo “smodato” attaccamento manifestato fra amici, che ai nostri occhi è scioccante: come gli arabi che si tengono per mano in mezzo alla strada, e che sono solo amici, mentre a noi sembrano amanti) per spacciarcelo come un tratto che rendeva speciale Francesco in mezzo ai suoi contemporanei. Sarebbe come sostenere che Francesco era speciale nella sua epoca perché pensava che Gesù fosse figlio di Dio. Sì, certo, lo pensava... e allora? I cristiani dell’epoca lo pensavano tutti, così come tutti trattavano i loro amici con modalità che secondo i criteri del XXI secolo sono più vicine a quelle dell’amore che di quello che noi chiamiamo “amicizia”. Quindi?
Insomma, cosa rende speciale Francesco, da questo punto di vista? Che era più affettivo? Lo era? E se sì, in base a quali criteri? Voglio dire, sulla base di quali parametri? Dopo quanti abbracci fraterni si diventava “più” affettivo, nel XII secolo?
Se davvero t'interessa il tema dell'amore amicale in àmbito cristiano ti consiglio semmai la lettura del libro di Alan Bray, The friend, che è sì scritto da un cristiano (gay) ma è attento alle differenze storiche di significato dell'esperienza affettiva dell'amicizia nell'antichità ed oggi.
Per l'uomo del medioevo, dice Bray, l'amicizia era caratterizzata dal dono del corpo, e dei propri beni, non da quello dello spirito (quello, semmai, andava fatto a Dio). Gli amici sono amici perché dormono nello stesso letto, e si fanno seppellire nella stessa tomba...
I nostri criteri sono diversi? Verissimo, però chi ci autorizza a imporre questi nostri criteri diversi alla mentalità di un uomo del XII secolo?
Alla
fine, la lettura si esaurisce nel farci sapere che Francesco era
sovversore delle convenzioni di genere della sua epoca, perché
ammise una donna vestita da uomo fra i confratelli.
Ora, la
tradizione di donne "upgradate" a uomini nella ricerca di
Dio è antichissima,
e risale
ai tempi dei monaci egiziani (e
da qui a fare di loro dei sovversori del genere credo ce ne corra,
vista la loro misoginia psicopatologica). E sulle sante ed eremite
vestite da maschio (mai però il contrario! Chissà
perché!), e sulle passing
women sono
state scritte intere monografie.
Francesco non era affatto un innovatore, in questo, anzi, il suo scopo era semmai "reazionario": riportare in vita una tradizione ascetico-monastica del passato che egli sentiva essere stata perduta. In realtà, non era mai esistita, almeno non con i tratti che intendeva lui, però come nel caso di Cristoforo Colombo si sbagliava sì, però il suo fu un errore fecondo (anche se forse gli indios, o gli ebrei - li nomino in quanto principali bersagli dei predicatori francescani antisemiti dei secoli successivi - userebbero una parola diversa da "fecondo". E non parliamo poi dei sodomiti, altra preda ambita dai francescani...).
Segnalo
infine come di una figura storica come quella di Francesco, che
incarna lo scontro di classe e le tensioni politiche dell'Italia dei
Comuni, l'autore del pezzo sembra riuscire a trovare elementi
innovatori solo nel modo in cui Francesco tratta la questione del
gender, che a quanto pare sta ossessionando i nostri cugini di
oltremare a un livello che definirei patologico, facendo loro
dimenticare tutto quanto nella storia fuoriesca dai confini di tale
ossessione.
Concludendo.
Che Francesco, un asceta nemico delle funzioni corporali al punto da
morire a quarant'anni o poco più per i danni che aveva
inflitto al proprio corpo per mortificarlo, potesse avere qualcosa di
nuovo o di positivo da dire sulla sessualità, lo escludo. Lo
escludo io, e lo esclude il metodo storiografico, che si basa sui
documenti, non sulle fantasie letterarie.
I
queer non hanno il minimo rispetto della metodologia storica,
dato che per loro la storia è una "narrazione" come
qualsiasi altra, "i fatti storici non esistono" se non come
costruzioni dello storico, e quindi leggono i personaggi storici come
se fossero personaggi letterari, dei quali sono consentite - anzi,
incoraggiate - infinite "letture", tutte altrettanto
legittime. Non accettano quindi un dato che ogni storico, purtroppo,
conosce fin troppo bene: la storia si fa a partire dai documenti.
Se non ci sono documenti, non c'è storia (non c'è
"narrazione"), se non nella forma di romanzo storiografico.
Ma visto che loro non percepiscono la differenza fra uno studio
storico basato sui documenti (che “non esistono”) ed un
romanzo storico della serie "Harmony" (diciamo: Ardenti
baci fraterni sotto le arcate gotiche...), per loro la cosa non è
un problema.
Ma per me, che queer non sono, lo è eccome.
Non
è infatti lecito chiamare "gay" Francesco d'Assisi,
e non è lecito neppure chiamarlo eterosessuale, per la
semplice ragione che in base ai documenti storici non è lecito
chiamarlo “sessuale”: chi ci ha lasciato documenti della
sua vita aveva in testa tutto fuorché parlarci del suo
orientamento e del suo desiderio sessuale. Sebbene statisticamente la
probabilità che Francesco fosse eterosessuale siano venti
volte maggiori della probabilità che fosse omosessuale, non
possiamo affermare nulla neppure in questo senso (voglio dire:
né per affermare, né per negare, né in un senso,
né nell’altro) perché nessun documento noto ce
ne parla (e il saggio che mi citi non propone nessun documento
fin qui ignoto). Punto. Non ne parlano neppure i documenti ostili,
che sono di solito la miniera di riserva di ogni storico gay, come
ben so.
Tutto
quel che han da dire le agiografie è che quando il corpo di
Francesco manifestava la sua natura sessuata, Francesco si rotolava
nei rovi in modo da fare andare via certe manifestazioni troppo
spontanee. Francesco infatti la sessualità non voleva affatto
liberarla, voleva semmai fare l'opposto: imbrigliarla, domarla,
controllarla e spegnerla. E se questo faceva di lui un
“queer”, allora credo che ciò sveli molte più
cose interessanti sulla natura profondamente sessuofobica della
teoria queer, che su Francesco.
Questo
dato è storicamente affermabile, mentre tutto il resto, come
tipico di tutto quanto esce dalla ciarla queer, è chiacchiera
da salotto fra una tartina di caviale (vegetale, per via dei vegani)
e l'altra.
Ciao. Giovanni Dall'Orto.
Tratto da: Facebook.
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