Col 1998 è trascorso esattamente mezzo millennio da quando fra' Girolamo Savonarola (1452-1498), assieme a due seguaci, fu processato dai suoi nemici che erano riusciti a prendere il potere, condannato a morte, e impiccato in Piazza della Signoria.
Il suo cadavere fu immediatamente bruciato e fin il più piccolo pezzo di carbone rimasto dal rogo fu gettato in Arno, affinché non rimanesse di lui la minima reliquia. Finiva così, il 23 maggio 1498, l'avventura che dal 1494 aveva unito i cosiddetti "piagnoni" e una parte dei ceti borghesi per ridar vita alla Repubblica fiorentina cacciando i Medici, riformando oltre che lo Stato anche i costumi. Non veniva però meno la memoria del frate, specie fra quel "popolo basso" a cui aveva dato voce e rappresentanza politica: il luogo del suo supplizio nell'anniversario della sua morte si è coperto per secoli di fiori, fino a che nell'Ottocento una lapide circolare fu murata nel pavimento della piazza a ricordo del supplizio del frate, assurto a simbolo della lotta contro lo strapotere e l'immoralità dei papi.
"Va bene", mi pare già di sentire domandare da qualcuno, "ma questo che c'entra con l'omosessualità?". C'entra, perché a Firenze non si parlò mai tanto d'omosessualità quanto negli anni di massima influenza del Savonarola.
In
effetti in quegli anni a Firenze l'omosessualità, come hanno mostrato
le ricerche di Michael Rocke[2],
era considerata con straordinaria tolleranza, e se non mancavano
punizioni per i "sodomiti" anche in questa città, esse si limitavano
comunque a multe.
Savonarola, ovviamente, non vedeva di buon occhio tanta tolleranza, e a furia di portare la questione all'ordine del giorno riuscì ad ottenere un inasprimento delle pene: "Chi fussi trovato la prima volta, stessi in gogna, la seconda, fussi suggiellato [marchiato a fuoco, NdR] (...) la terza, fussi arso; e più altre leggi, con ordine tutte del Frate" [3].La sodomia, insomma, fu sempre all'ordine del giorno del dibattito politico, e prevedibilmente l'accusa d'omosessualità divenne una delle più usate contro gli avversari politici, da parte di entrambe le fazioni [4]. Diciamolo senza giri di parole: Savonarola avrebbe molto volentieri fatto ai sodomiti quello che fu poi fatto a lui. Nel 1494 dichiarò nel corso di una predica: "Grande peccato è quello di questa città, dico del peccato della città di Soddoma, per il quale Iddio non ti vuol vedere, o Firenze: di questo n'è pieno el popolo e massime el clero. Se tu non vi provvedi, Firenze, Firenze, Iddio ti farà pericolare.
Savonarola è nemico della clemenza, delle punizioni limitate a multe e carcere: vuole vedere scorrere il sangue, vuole sentire il puzzo della carne umana bruciata, vuole anzi che lo "senta tutta la Italia", e tutto questo a maggior gloria di Dio, ovviamente: "In questi magistrati non è il timor di Dio.Date queste premesse, non stupisce l'opinione di Simone Filipepi, fratello del Botticelli e ardente "piagnone", a sentire il quale alla notizia della morte del Savonarola tutti i malvagi e tutti i figli del demonio si rallegrarono sì, ma furono in particolare i sodomiti a gongolare: "un certo Benvenuto del Bianco, uno [dei magistrati] de' Dieci nuovi, morto che fu fra' Girolamo, s'accostò ad un altro di Collegio, et disse: "E' si potrà pure hora sodomitare [finalmente ora si potrà sodomizzare, NdR]" [8].Per questo proposito lussurioso, ci assicura il credulo Filipepi, Benvenuto del Bianco (sec. XV) morì subito dopo, e senza l'estrema unzione! Che i sodomiti non potessero voler bene al frate è abbastanza ovvio. Oltre ad aver chiesto leggi più severe, Savonarola aveva anche organizzato in brigate paramilitari gli adolescenti e i giovani di Firenze, cosicché mille occhi controllavano zelanti che in città non si compissero atti proibiti (e che i ragazzi non cedessero alle avances dei "sodomiti"). Grazie a questo controllo poliziesco sotto il Savonarola era diventato quasi impossibile anche solo giocare d'azzardo: figuriamoci praticare la sodomia! C'è però esagerazione propagandistica nella pretesa dei "piagnoni" secondo cui tutti i nemici di Savonarola erano sodomiti, o che solo i sodomiti avevano motivo d'odiare il Savonarola.
E fu così che una bella mattina apparve sul portone della chiesa di san Marco, del cui annesso convento Savonarola era priore, una serie di disegni che rappresentavano il frate che sodomizzava novizi: "alcuni scelerati dipinsero in più fogli fra Girolamo che stava con un novitio, cosa vituperosissima!, et appiccarono tal figura alla porta della chiesa di San Marco, et in qualche altro luogo di Fiorenza; et io scrittore lo viddi" [9].Un'altra volta i suoi avversari si spinsero a denunciarlo falsamente alla magistratura degli "Otto di guardia" come sodomita. L'autore della denuncia calunniosa fu però scoperto, costretto a ritrattare pubblicamente, e imprigionato nel carcere delle "Stinche": A capire a qual punto l'omosessualità fosse moneta corrente nelle polemiche di quegli anni ci aiuta l'aneddoto relativo all'estrema umiliazione che i carcerieri vollero infliggere a fra' Girolamo: "Fu scritto da un pessimo religioso a Giovanni di messer Gian<n>ozzo Manetti et a Franceschino degli Albizzi, nemici grandi di f<ra> Girolamo, come egli era hermofrodito, cioè maschio et femina; et che l'uno et l'altro sesso l'adoperava quando gli accadeva [secondo le occasioni]. Et havendo costoro la Signoria in favore, per pensiero di impetrare gratia et licenza di poter chiarirsi questa novità, et l'hebbero; onde andarono insieme all'Alberghettino dove fra Girolamo era prigione [prigioniero].(Naturalmente, a dire del Filipepi, Dio punì entrambi i malvagi facendoli morire poco dopo, e senza ricevere estrema unzione...). Era comunque destino che il soggiorno terreno del Savonarola fosse simbolicamente suggellato proprio da un sodomita.
Un testimone oculare (un ex "piagnone") ci ha tramandato scandalizzato che il rogo, suprema onta, non fu acceso dal boia bensì proprio da un sodomita, più veloce di lui, che volle così togliersi la soddisfazione di fare al Savonarola ciò che il frate avrebbe voluto fare a lui: [12]. "Vedemmo bene un certo ribaldo (...), uomo infame, il quale dalla severità de' magistrati passati era stato cacciato della città, e dalla indulgenza (per non dir peggio) de' presenti restituito, rimproverare insultando al morto frate, e dicendo che si trovava pure ad ardere quello che già aveva voluto arder lui. Pochi anni dopo, i Medici, ritornati al potere, nell'àmbito della svolta autoritaria dello Stato fiorentino avrebbero introdotto nuove, draconiane leggi, e fatto brillare sempre più spesso le fiamme dei roghi anche nella fin lì tollerante Firenze. Savonarola, se fosse stato vivo, li avrebbe certo approvati. Non sarebbe stata la prima volta, nella storia, in cui gli estremi avrebbero finito per toccarsi. L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] "Noi abbiamo presto avere così grande fragiello [flagello, NdR] se noi non ci amendiamo [emendiamo, NdR], massime della soddomia", annota il 5 aprile 1492 uno spaventato Niccolò Guicciardini (1467-sec.XVI), dopo aver ascoltato una predica del frate (in: Roberto Ridolfi, Studi savonaroliani, Olschki, Firenze 1935, p. 262). [2] Michael Rocke, Forbidden friendships. Homosexuality and male culture in Renaissance Florence, Oxford University Press, Oxford e New York 1996.
[3].Luca Landucci (1436?-1516), Diario fiorentino dal 1450 al 1516, Sansoni, Firenze 1883, e Sansoni, Firenze 1985, p. 94, in data 22/12/1494.
[4] Sul dibattito sulla sodomia negli anni del Savonarola esiste molta documentazione.
[6] Girolamo Savonarola, Prediche sopra i Salmi, Belardetti, Roma 1962, vol. 1, predica XXIV, pp. 124-125. [7] Ibidem, predica XXVI, pp. 168-169. [8] Simone Filipepi (1444-sec. XVI). Cronaca. In: P. Villari, E. Casanova (a cura di), Scelta di prediche e scritti di fra' Girolamo Savonarola, Sansoni, Firenze 1898, p. 507. [9] Simone Filipepi, Op. cit., p. 497. [10]Luca Landucci (1436?-1516), Diario fiorentino dal 1450 al 1516, Sansoni, Firenze 1883 e 1985, p. 155. [11] Simone Filipepi, Op. cit., p. 502. [12] Sull'episodio cfr. Rocke, Op. cit., pp. 223 e 326 nota 125. [13] Jacopo Nardi (1476-dopo 1563), Istorie della città di Firenze, Le Monnier, Firenze 1858, 2 voll., vol. 1, pp. 130-131.
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