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3. La natura del controllo sociale religioso: cattolicesimo e calvinismo Fu una scelta di enorme importanza, che ci rimanda subito alla questione centrale del mio intervento. Perché mai la classe politica italiana, invece di "completare l'opera" estendendo l'art. 425 anche al Sud, come avrebbe potuto benissimo fare, scelse al contrario di cancellarlo del tutto? La risposta è semplice: perché sapeva che in Italia esisteva già un'altra agenzia di potere a cui poteva essere affidato il controllo e la repressione dell'omosessualità: la Chiesa cattolica. Per la classe politica liberale ottocentesca (ma anche per quella attuale, perfino a sinistra), il campo della morale, specialmente sessuale, è di "naturale" competenza della religione. La morale sessuale non riguarda lo Stato, che al più ha il dovere di intervenire solo quando l'immoralità rischia di creare turbamento all'"ordine pubblico". Non si tratta di un'innovazione. La spartizione delle aree di controllo sociale fra chiesa cattolica e Stato fu utilizzata già dallo stesso Napoleone, attraverso lo strumento del Concordato. Quello che voglio dire è, in altre parole, che il codice napoleonico è uno strumento legale pensato e creato per le esigenze dei Paesi cattolici, dove la Chiesa garantisce la repressione e la "copertura" di quelle aree di comportamento che i codici penali lasciano volutamente "scoperte". Se si osserva quali sono le nazioni che fin dall'Ottocento hanno abbandonato la persecuzione legale del comportamento omosessuale (Francia, Italia, Spagna, Portogallo, le repubbliche dell'America latina, persino la Polonia fascista di Pilsuldski) si noterà che sono tutti Paesi cattolici.
Il caso limite, paradigmatico, è forse quello dell'Olanda, che ha seguìto il codice napoleonico fino a che la maggioranza della popolazione è stata cattolica, ma che dopo l'indipendenza del Belgio (e la conseguente riduzione dei cattolici a minoranza) introdusse leggi antiomosessuali [6]. Diversa è la situazione nei Paesi protestanti, dove spesso esiste una galassia polverizzata di chiese e sètte. Qui lo Stato non dispone di un interlocutore unico, ed è costretto ad "agire in proprio" con leggi dirette.
Qui siamo di fronte, a mio parere, a una tipica esigenza calvinista, che nasce dalla teoria della predestinazione. Secondo questa teoria l'individuo ha solo un modo per verificare se appartiene o meno a una chiesa di predestinati alla salvezza. Se la Grazia divina si manifesta nella comunità, allora quella è una comunità di "salvati". Come si manifesta la Grazia? Se la comunità stessa osserva fedelmente i dettami divini, e "quindi" prospera (anche - se non soprattutto - economicamente...) è evidente che la Grazia salvifica è all'opera [7]. Per comunità di questo tipo l'individuazione di comportamenti privati "scorretti" diventa una necessità vitale: è come scoprire il baco nella mela. Permettere l'esistenza anche occulta (anzi, soprattutto se occulta) di comportamenti "immorali" equivale a disinteressarsi del proprio destino di "predestinato" alla salvezza o meno. (Da qui anche la passione tutta anglosassone per gli affari di letto degli uomini politici...).
Diverso è l'atteggiamento mentale (e morale) del cattolico, a cui manca l'ossessivo autocontrollo dei calvinisti.
Particolare illuminante: mentre negli Stati cattolici la Chiesa è contraria a leggi antiomosessuali, nei Paesi protestanti, dove è solo una delle tante sette cristiane, e non può quindi controllare in prima persona la società, ne è una delle più accese sostenitrici. Non mi si obbietti che il background religioso di cui ho appena parlato non può avere grande importanza nella società laica attuale. Se qualcuno si fa illusioni al proposito, gli ricorderò che la famosa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1986, ha giustificato ed ammesso le leggi antiomosessuali proprio facendo esplicito richiamo alla legge divina... Honoré Daumier, Le Grand Escalier du Palais de Justice, 1865.
4. "Riesce più utile l'ignoranza del vizio" Dopo questo excursus torniamo al punto di partenza, cioè all'Italia dell'Ottocento, dove l'esistenza di una "divisione dei compiti" fra chi si deve occupare del "campo della morale" (cioè la Chiesa) e lo Stato viene ammessa senza alcuna difficoltà.
Dunque per la classe politica italiana il problema omosessuale non esiste, è meglio non parlarne nemmeno, perché se ne parlassimo troppo la gente comincerebbe a porsi questioni un po' pericolose sulla natura dell'omosessualità. Il parere di Zanardelli viene esplicitato in modo inequivocabile in un commento del 1889:
Il concetto viene ribattuto ancora una volta nel 1909:
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Note
[6] Si veda in proposito l'essenziale studio di Maarten Salden, The Dutch Penal law and homosexual conduct, "Journal of Homosexuality", XIII winter 1986/spring 1987, pp. 155-179. Naturalmente sono ben conscio del fatto che altri elementi, soprattutto influenze culturali da parte di un Paese della stessa lingua, hanno giocato nella complessa partita per l'introduzione o meno di leggi antiomosessuali nei codici.
[7] L'ovvio riferimento di queste mie osservazioni non è tanto il classico -L'etica protestante e lo spirito del capitalismo (Sansoni, Firenze 1980) di Max Weber, quanto piuttosto il suo Le sette e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano 1977. [8] Questa situazione ha un'altra conseguenza, interessantissima. Costringendo il fedele a interrogare incessantemente la propria coscienza, il calvinismo spinge involontariamente l'omosessuale a dissezionare, definire, ed infine (in alcuni casi) rivendicare la propria "diversità".
Naturalmente queste mie osservazioni sull'influenza della religione nella società andrebbero applicate anche alla rovescia, verificando cioè come la società latina e la società anglosassone abbiano riversato nella religione, in quanto (marxianamente) "ideologia", le rispettive preoccupazioni tipiche nei confronti dell'omosessualità.
[9] Camera dei Deputati, Progetto per il codice penale per il Regno d'Italia, vol. 1, Relazione ministeriale, Stamperia Reale, Roma 1887, pp. 213-214 (seduta del 22 novembre 1887).
[10] Giampaolo Tolomei, Dei delitti contro il buon costume e contro l'ordine delle famiglie, "Rivista penale", XXX 1889, p. 319.
[11] P. Tuozzi, "I delitti contro il buon costume e la famiglia", in: Enrico Pessina (a cura di) Enciclopedia di diritto penale, vol. IX (1909), SELI, Milano 1905-1913; pp. 172 e 175.
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